dal sito:
http://www.atma-o-jibon.org/italiano/don_doglio12.htm#
L’ambiente familiare di Gesù
FIGURE FEMMINILI NELLE SACRE SCRITTURE
Don Claudio Doglio
Donne evangelizzatrici nella comunità cristiana primitiva
Verso la conclusione della carrellata biblica sulle figure femminili, dedicheremo questo incontro alle donne nelle opere apostoliche, cioè alle figure femminili che compaiono negli Atti e nelle Lettere.
Con questo, intendo mettere in rilievo come siano numerose e significative le figure di donne; anche se restano un po’ in penombra e non diventano mai protagoniste, sono presenti ed hanno un ruolo importante. L’idea che mi interessa sottolineare soprattutto è che nella comunità cristiana primitiva le donne ebbero un ruolo di evangelizzazione; questo è proprio il senso dato ai racconti della visita al sepolcro da parte delle donne: tutti gli evangelisti sottolineano come, all’inizio della predicazione apostolica, ci sia stata la testimonianza di alcune donne, anche se nella tradizione giudaica la testimonianza delle donne non era credibile e non era attendibile. Dicevano che per una documentazione seria servivano dieci testimoni, ma dovevano essere uomini e adulti; non sarebbero bastati nove uomini e cento donne. Era decisamente un senso di disprezzo nei confronti della donna.
Quel racconto della visita al sepolcro da parte delle donne, le quali per prime annunciano di avere visto il Signore risorto, non può essere stato inventato, proprio perché è contro la mentalità corrente; avrebbero piuttosto inventato la visita da parte degli Apostoli, e di tutti gli Apostoli per potere essere in numero sufficiente da poter testimoniare; non hanno invece alcun interesse a inventare falsità e raccontano come realmente sono andati i fatti. Anche se da un punto di vista giuridico ebraico quelle testimonianze non hanno alcun valore, a loro non interessa. Interessa invece il fatto che il Signore risorto si presentò a delle donne per prime e le mandò ad annunciare la risurrezione agli Apostoli, facendole così diventare evangelizzatrici degli Apostoli; il ruolo importante della Magdalena sta proprio qui: è colei che per prima incontrò il risorto, è colei che annunciò agli Apostoli la risurrezione.
Si adopera proprio il termine « evangelizzazione », per cui queste donne sono delle « evangeliste », non per avere scritto dei Vangeli ma nel senso che hanno annunciato il Vangelo ed hanno avuto un ruolo primario. Qualche maligno dice che la scelta delle donne come prime annunciatrici sarebbe dovuto al fatto che il Signore voleva che la notizia si diffondesse rapidamente, cosicché tutta Gerusalemme, in un solo giorno, venne a conoscenza del fatto. In realtà non si tratta di una notazione poi tanto maligna, ma piuttosto di un’indicazione importante di coraggiosa testimonianza.
L’ambiente familiare di Gesù nella comunità cristiana primitiva e le donne che ne facevano parte
Nella comunità cristiana delle origini le donne sono presenti in numero considerevole e sono a fianco agli Apostoli; all’inizio degli Atti, Luca ricorda il gruppo dei discepoli: elenca gli undici rimasti, poi annota che erano uniti insieme a Maria, la Madre di Gesù, e ad alcune donne. C’è l’ambiente familiare di Gesù e viene nominata frequentemente Maria di Cleofa, che era presente ai piedi della croce e che viene chiamata « sorella di sua Madre »; in realtà era la cognata, ma sappiamo che il termine « sorella » viene usato molto frequentemente per indicare i vari gradi di parentela, senza stare ad analizzare con sottigliezza se si tratta di cugine, cognate, zie o nuore. Cleofa, secondo la tradizione giudeo-cristiana documentata da Eusebio di Cesarea, era fratello di San Giuseppe – e sarebbe quel Cleofa nominato come uno dei due discepoli di Emmaus -, quindi era zio di Gesù. Maria di Cleofa era la moglie di questo Cleofa, mentre Maria, Madre di Gesù, era moglie di San Giuseppe, per cui erano spose di due fratelli e perciò cognate e, conseguentemente, Maria di Cleofa era zia di Gesù; talvolta viene chiamata « Maria di Giacomo », ma non si tratta di un’altra persona perché Giacomo è il figlio e viene cioè indicata con il nome del marito o con il nome del figlio.
Giacomo, figlio appunto di Cleofa e di sua moglie Maria, era uno dei cosiddetti « fratelli di Gesù », che sono espressamente nominati nel Vangelo di Marco e sono, oltre a Giacomo: Giuseppe, Giuda Taddeo, Simeone e poi due sorelle, una delle quali si chiamava Salome.
Giacomo, detto il minore, e Giuda Taddeo – detto anche Giuda di Giacomo per indicare che erano due fratelli – sono due degli Apostoli, cugini di Gesù. Salome era andata sposa ad uno di nome Zebedeo ed era perciò la madre di Giacomo e Giovanni, che erano quindi cugini di Gesù in secondo grado. Vediamo perciò che era abbondantemente presente tutto il parentado, un ambiente di famiglia come era normale a quel tempo, che costituiva l’insieme che veniva chiamato « i fratelli e le sorelle di Gesù ». Questo ambiente familiare seguì il maestro, benché in un primo tempo avesse avuto dei dubbi e delle perplessità.
Giacomo, il « fratello » di Gesù – in realtà il cugino, come abbiamo visto – fu vescovo di Gerusalemme e sempre indicato come tale; non si parla mai, infatti, di San Pietro come vescovo di Gerusalemme, ma si parla sempre appunto di questo Giacomo come il capo della comunità cristiana di Gerusalemme. In quanto « fratello » del Signore, fu considerato come l’erede e la guida della comunità giudeo-cristiana; fu martirizzato nell’anno 62 e prese il suo posto l’altro fratello minore, Simeone, che divenne vecchissimo superando i cento anni di età e restando uno degli ultimi testimoni oculari della vita storica di Gesù di Nazaret.
L’ambiente di Gerusalemme della comunità cristiana primitiva è dunque caratterizzato anche dalla presenza di alcune donne; sono quelle che fanno parte della « famiglia » di Gesù, ma ce ne sono altre: Maria di Magdala, Maria di Betania, Marta, che non erano legate da parentela, ma avevano seguito Gesù per amicizia, per fede nella sua figura messianica e nella sua persona divina.
Le donne nelle comunità cristiane fondate dagli Apostoli
Le donne compaiono però anche nelle comunità cristiane fondate dagli Apostoli fuori dall’ambiente giudaico; anzi, ancora di più negli ambienti greci le donne hanno un ruolo significativo. Passiamo allora in rassegna alcune figure che vengono nominate
Iniziamo con due personaggi importanti, dei quali si parla abbastanza negli Atti degli Apostoli: si tratta di Lidia e di Priscilla.
Al capitolo sedici degli Atti degli Apostoli si parla di Lidia; in questo punto, il narratore racconta in prima persona, il che significa che lo stesso narratore era presente ai fatti.
« Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni; il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, … » (At 16, 11-13a). Siamo intorno all’anno 50, all’inizio del secondo viaggio apostolico di Paolo; i personaggi in questo « noi », oltre a Paolo, sono: Sila, Timoteo e lo stesso Luca, quattro in totale. Partono da Troade, la città ellenista costruita vicino ai resti dell’antica Troia, e con due giorni di navigazione, facendo scalo nell’isola di Samotracia, arrivano al porto di Neapoli – che oggi si chiama Kavala -, sbarcano e, a piedi, sorpassano la montagna che è sulla costa per arrivare nella grande pianura interna dove era costruita l’immensa città di Filippi, una delle grandi colonie romane. Era una città abbastanza recente, di tipo militare, costruita dai romani proprio per interesse strategico e amministrativo; non c’era un’antica tradizione commerciale, per cui gli ebrei non avevano una sede e per questo nella città non c’era una sinagoga.
Paolo era abituato ad iniziare la predicazione dalla sinagoga; se non c’era una sinagoga, gli ebrei della città avevano l’abitudine di riunirsi per la preghiera del sabato in un luogo vicino all’acqua corrente. Questa abitudine doveva risalire all’epoca in cui nacque la sinagoga, cioè al tempo dell’esilio babilonese, quando Israele era sui fiumi di Babilonia, per cui rimase l’idea che la preghiera, in terra d’esilio, si facesse presso l’acqua, presso un fiume o un lago o una sorgente.
Gli evangelizzatori – Paolo e gli altri tre – si recano dunque fuori della città, lungo un corso d’acqua sul quale avevano avuto notizia che si sarebbe tenuta la preghiera « e sedutici rivolgevamo la parola alle donne là riunite » (ib. 16, 13b). Questo è proprio il motivo di particolare interesse: non c’era sinagoga e non c’erano neppure uomini, c’erano solo donne riunite in quel punto. Come detto prima per la testimonianza, la stessa regola valeva per la preghiera del sabato: un principio giudaico dice che per fare la preghiera del sabato ci vogliono almeno dieci uomini adulti, ma non bastano nove uomini e cento donne; se non ci sono dieci uomini adulti, non si può fare la preghiera del sabato. Ancora oggi le donne non possono entrare nell’aula della sinagoga; nella sinagoga di Roma c’è il matroneo tuttora funzionante e nell’aula, magari in fondo, hanno accesso solo le bambine e le donne anziane, mentre l’aula della preghiera è riservata agli uomini adulti.
L’elemento caratteristico di questo episodio è che Paolo, Sila, Timoteo e Luca, trovandosi in quel contesto, non obiettano assolutamente nulla e Paolo comincia a parlare a queste poche donne come aveva parlato in altre sinagoghe affollate di uomini; è un elemento importante che occorre sottolineare perché significa che dà importanza e peso a queste persone e non tiene in considerazione il fatto che siano poche e tanto meno che siano donne.
Lidia, una « manager » intraprendente, prima convertita in Europa
« C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatìra, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo » (ib. 16, 14). Si tratta di una signora benestante ed intraprendente, che oggi potremmo definire una manager o un’industriale: « commerciante di porpora » indica una donna che aveva un’industria ed una rete di negozi, probabilmente delle fabbriche di produzione della porpora. Veniva da Tiatìra, città all’interno della Turchia nella zona di Efeso e una delle Chiese dell’Apocalisse; la regione si chiamava anch’essa Lidia, per cui il nome della donna era legato alla regione di provenienza. Una donna quindi ricca e sicuramente anche colta perché capace di avere un commercio internazionale, cosa certamente non di poco conto, oggi come nell’antichità. Era un’ebrea, credente in Dio: « il Signore le aprì il cuore », dove « il Signore » è chiaramente Gesù, il Cristo risorto, il quale apre il cuore di questa donna perché aderisca alle parole di Paolo; è evidente che c’è l’annuncio del Vangelo e questa donna crede alla predicazione di Paolo. Con tocco di finezza teologica Luca spiega che « il Signore le aveva aperto il cuore », esattamente come si dice dei discepoli di Emmaus o degli Apostoli nel Cenacolo: il Cristo risorto apre la mente alla comprensione delle Scritture e se non è il Cristo che apre il cuore, né l’uomo né la donna arrivano ad accogliere veramente questa Parola; ciò che era avvenuto agli Apostoli ora avviene per questa donna.
È la prima volta, così come raccontano gli Atti, che la predicazione evangelica arriva in Europa – Troade infatti è in Asia e con la navigazione gli Apostoli sono sbarcati in Europa – e la prima persona di cui si racconti la conversione e il battesimo in Europa è una donna, Lidia.
« Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare » (ib. 16, 15). Quest’ultima espressione è detta con una venatura di ironia da parte di Luca: probabilmente, i quattro avevano prima dormito all’aperto, quindi saranno stati fuor di dubbio molto contenti di trovare una casa, un letto e una mensa.
Lidia si fa battezzare « insieme alla sua famiglia ». Di per sé non si parla né di marito né di figli, per cui, forse, la famiglia era l’insieme dei dipendenti; nell’espressione latina i « famuli », i servi, costituivano la famiglia. È una donna a capo di una « famiglia », ha una casa grande ed ha un emporio, forse addirittura una fabbrica di tessuti. Ha lo spazio per accogliere questi quattro e non solo per dare vitto e alloggio; la sua casa diventa, nel nostro gergo, la « parrocchia » di Filippi: mette a disposizione la casa perché diventi l’ambiente d’incontro dove si radunano i cristiani per celebrare l’Eucaristia, la sua casa diventa cioè la sede della comunità cristiana.
Priscilla e la sua opera nelle comunità cristiane di Corinto e di Efeso
Andando oltre nel racconto degli Atti, al capitolo diciotto, sempre in quello stesso anno 50, accompagniamo Paolo che arriva a Corinto. Paolo è stato maltrattato a Filippi, poi a Tessalonica, poi ancora a Berea, è passato da Atene dove ha rimediato un fallimento colossale sull’Areopago, infine arriva a Corinto, città altamente malfamata. È ormai tardo autunno se non addirittura inverno, è un anno che Paolo è in giro per città greche e fino adesso ha avuto solo grane. A Corinto non trova una bella situazione, anzi; è una città portuale, una città di schiavi, di marinai, di mercenari, di persone di passaggio, dove la nota caratteristica è la prostituzione. A Corinto c’è una grande sinagoga e Paolo comincia a frequentarla; qui ha un colpo di fortuna perché trova un giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto – quello che oggi chiamiamo il Mar Nero -, arrivato poco prima dall’Italia con la moglie Priscilla in seguito all’editto di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei.
Paolo incontra dunque Priscilla, o Prisca, nome romano classico e tradizionale, come pure quello del marito, Aquila; sono ebrei, ma molto bene inculturati nella tradizione greco-romana. Sono anch’essi benestanti, commercianti, produttori di tende ed hanno una fabbrica di tessuti e di stuoie. Sono stati mandati via da Roma, e questo è un fatto molto importante perché abbiamo la stessa notizia testimoniata dallo storico latino Svetonio, il quale in « Le vite dei dodici Cesari », a proposito di Claudio racconta che mandò via da Roma i giudei e dice testualmente: « Assidue tumultuantes, impulsore Chresto, Roma expulit » – « (Claudio) mandò via da Roma (i giudei), che erano sempre in rivolta per istigazione di Cristo ». Probabilmente quel « Chresto » nominato da Svetonio è proprio il Signore Gesù, che l’autore non conosce, non capisce e prende per un nome qualsiasi; sente dire « Cristo » ma, trattandosi di una parola greca, ritiene che sia scritto con la lettera ? e quindi scrive “Chresto”: è un problema di pronuncia tipico di quell’epoca.
Tutto questo vuol dire che nel 49, anno di emanazione dell’editto di Claudio, a Roma è arrivata la predicazione cristiana ed è già arrivata da qualche tempo, al punto che la comunità giudaica della capitale si trova in rivolta perché qualcuno ritiene che Gesù sia veramente il Messia mentre altri lo rifiutano; si originano quindi delle sommosse a causa di Cristo, per cui il governo imperiale prese la risoluzione di allontanare da Roma il maggior numero possibile di giudei. Aquila e Priscilla sono due di questi che, avendo perso la possibilità di restare a Roma, si sono appena trasferiti a Corinto, che hanno scelto in quanto città tipicamente commerciale dove poter installare nuovamente la loro fabbrica di tessuti. Non si sa se sono già cristiani, sicuramente sono ebrei simpatizzanti della predicazione cristiana e, incontrando Paolo, lo invitano a casa loro e gli danno lavoro; in un certo modo lo assumono e Paolo si mantiene lavorando alle dipendenze di Aquila e Priscilla e diventando loro amico.
A questo punto, sicuramente Aquila e Priscilla sono cristiani e diventano collaboratori di Paolo; quando, un anno e mezzo dopo, l’apostolo Paolo parte da Corinto anche loro due lo seguono, s’imbarcano con lui e si fermano a Efeso. Una cosa che meraviglia leggendo queste vicende è la grande mobilità che le persone avevano in quel tempo: una famiglia come quella di Aquila e Priscilla, marito e moglie, nel 49 sono a Roma, nel 50 sono a Corinto e nel 52 sono ad Efeso. Pensiamo cosa significa non solo cambiare città, ma trasportare un’attività; il che dimostra che avevano delle possibilità economiche, ma che dovevano avere anche e soprattutto delle capacità imprenditoriali. Quindi, tanti discorsi che a volte si sentono fare circa il cristianesimo delle origini come una realtà da schiavi, da bassa plebe e di disperati, non sta assolutamente in piedi. Queste persone che hanno aiutato Paolo e che hanno avuto un ruolo importante nella strutturazione della prima comunità sono persone istruite e benestanti, che hanno dato la possibilità ai predicatori cristiani di avere dei punti di appoggio e degli aiuti, di avere dei sostegni economici. Successivamente, Aquila e Priscilla si fermarono a Efeso, mentre Paolo ripartì per Gerusalemme.
Leggiamo ora ciò che racconta Luca alla fine del capitolo diciotto. « Arrivò a Efeso un giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni » (ib. 18, 24-25). Questo Apollo, in altre parole, aveva avuto una formazione incompleta e imprecisa: era cioè un ebreo simpatizzante del cristianesimo con qualche conoscenza del Cristo.
« Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio » (ib. 18, 26). Notiamo come tutto si svolge sempre in ambiente giudaico – la sinagoga – e non c’è distinzione o separazione alcuna con i cristiani, risultando normale e naturale che gli ebrei siano cristiani; oltre al fatto che il narratore cita sempre per prima la donna, notiamo anche un particolare molto interessante: marito e moglie, sentendo questo dotto alessandrino che parla di Cristo e accorgendosi che non conosce troppo bene le cose, lo invitano a casa e gliele spiegano meglio. In questo ruolo Priscilla è nominata per prima e, in ogni caso, si tratta di una coppia, di una catechesi familiare.
Occorre inoltre tenere conto che questi due laici, moglie e marito, formano Apollo che sarà poi parroco o vescovo di Corinto. Sono loro che lo educano e gli spiegano il Vangelo e, addirittura, scrivono una lettera di raccomandazione per presentare Apollo alla comunità di Corinto. « Poiché egli desiderava passare nell’Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza » (ib, 18, 27a). La nomina di un parroco a Corinto viene fatta da Priscilla e Aquila; siamo ovviamente in una fase primordiale, in cui queste persone, che hanno una competenza evangelica, hanno anche un ruolo significativo all’interno della comunità.
Le donne menzionate in alcune Lettere di Paolo
Facciamo ora una carrellata prendendo in considerazione le Lettere, semplicemente per vedere nomi di donne e tralasciandone molte per ricordarne alcune.
Nella Lettera ai Filippesi, scritta proprio in quegli anni, al capitolo quattro Paolo manda a salutare due donne. « Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore » (Fil 4, 2). Si tratta di nomi non molto famosi e certamente non comuni: Evòdia significa « profumata » ed è quindi il nome del buon odore, mentre Sìntiche corrisponde a « fortunata ». In questa lettera, indirizzata a tutta la comunità, ad un certo momento Paolo ricorda due donne e le esorta ad andare d’accordo: è evidente che c’era qualcosa che non andava fra loro due. Il fatto che Paolo le nomini e si rivolga a loro espressamente significa che dovevano essere persone importanti nella comunità, dovevano avere un ruolo; e il fatto che le inviti ad andare d’accordo significa che c’erano delle tensioni. Paolo continua dicendo: « E prego te pure, mio fedele collaboratore – il cui nome non ci è noto -,di aiutarle, poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita » (ib. 4, 3). Siamo di fronte ad una bella espressione: queste due donne hanno bisogno di essere aiutate, dice Paolo, « poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me ». Sono quindi delle donne combattive che in questo momento si trovano in disaccordo fra di loro, ma hanno fatto molto per il Vangelo insieme con Paolo, per cui bisogna aiutarle a ritrovare una concordia smarrita.
Quando Paolo scrive a Filèmone, la Lettera è indirizzata anche alla sorella di lui, Appia, e ad Archippo, « nostro compagno d’armi » – un modo per indicare il combattimento spirituale, l’impegno serio nella predicazione apostolica. C’è quindi una lettera di Paolo a Filèmone inviata anche a questa donna, Appia, che era la moglie; si è cioè sintetizzato parlando di « Lettera a Filèmone », mentre in realtà la lettera è a Filèmone e alla moglie Appia.
Nella seconda Lettera a Timoteo, al capitolo primo, Paolo ricorda la madre e la nonna di Timoteo, due donne che aveva conosciuto prima di conoscere lui e di prenderlo con sé. « Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Loide, poi in tua madre Eunice, e ora, ne sono certo, anche in te » (2 Tm 1, 5).
È interessante il fatto che abbiamo il nome della madre e della nonna di Timoteo, due donne che hanno lasciato un ricordo positivo nella mente di Paolo. Quei discorsi di Paolo che sembrano misogini non corrispondono affatto a questi schemi; un conto è l’impostazione teologica – che non riusciamo a capire bene e che ci urtano -, un conto è Paolo schietto, fraterno, umano, che ha contatti con tante donne, è capace di collaborare con loro e le valorizza, in un ambiente ed in un mondo dove invece non sono né valorizzate né rispettate. C’è un vero e proprio esercito di donne nelle comunità cristiane primitive, con ruoli importanti e significativi.
Le donne nella comunità cristiana di Roma (ancora Priscilla fra queste)
Terminiamo con la Lettera ai Romani, un testo bellissimo e di una teologia implicita splendida; al capitolo sedici troviamo un elenco di nomi che è però il quadro della comunità, come un album di fotografie che mostrano un ambiente umano e fraterno. Terminando questa Lettera così importante, Paolo ricorda che questo testo sarà portato da una donna. « Vi raccomando Fede, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: … » (Rm 16, 1). Tradurre « diaconessa » crea solo dei problemi, perché è un termine che in greco non ha femminile, che significa « servo » o « ministro » e indica semplicemente una donna impegnata, una donna che lavora nella parrocchia di Cencre, uno dei porti di Corinto, cioè un borgo della città; quindi tutti i discorsi sull’ordine diaconale dato alle donne e basati su questo testo non hanno alcun fondamento.
Paolo manda a Roma una Lettera di tale portata affidandola ad una donna; questa donna è quindi importante e in gamba, capace di muoversi, di prendere la nave e arrivare a Roma. È una donna che ha l’autorità di arrivare nella comunità romana portando il testo certamente non come postina, ma come vera e propria rappresentante di Paolo: è lei che leggerà la Lettera. « … ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso » (ib. 16, 2). È una lettera di raccomandazione, dove si chiede di trattarla bene perché è una donna che ha fatto molte cose, ha protetto e ha difeso: evidentemente, a Corinto si è esposta per aiutare delle persone ed ha aiutato Paolo.
« Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili – cioè dei cristiani provenienti dal mondo greco-romano -; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa »(ib. 16, 3-5a). Quindi, Prisca – Priscilla – e Aquila sono di nuovo a Roma: nel 52 li avevamo lasciati ad Efeso, la Lettera è scritta nel 57 e li manda a salutare a Roma; hanno cambiato molti luoghi dove hanno svolto le loro attività, sono cioè una coppia decisamente mobile.
Il cristianesimo si è diffuso velocemente nelle città del Mediterraneo antico proprio grazie a persone di questo tipo, che non hanno messo radici in un luogo per morirci, ma nel giro di pochi anni hanno cambiato domicilio da una città all’altra del Mediterraneo, ricreando i contatti: Paolo non era ancora stato a Roma, ma notiamo il gran numero di persone che risiedono a Roma e che conosce, avendole incontrate prima da altre parti. C’era all’epoca molta più mobilità di quella che noi conosciamo oggi; ed è proprio grazie a questa mobilità che il Vangelo si è rapidamente diffuso. Tornando al testo appena letto, notiamo che Priscilla e Aquila, dopo avere dato la propria casa a Corinto per la parrocchia ed avere a Efeso evangelizzato altri, trasferitisi a Roma, la loro casa diventa una parrocchia – una « domus Ecclesiae ». Hanno rischiato la testa per salvare Paolo: probabilmente a Efeso nel 56, l’anno che precede la scrittura della Lettera, Paolo fu condannato a morte, ma venne prodigiosamente liberato e si pensa che sia stata proprio la mediazione di Aquila, personaggio importante, che è riuscito a introdursi e ad ottenere la grazia per l’amico Paolo. Nella tradizione romana, la casa di Prisca e Aquila si trova sull’Aventino, dove c’è ancora l’antica basilica di Santa Prisca, dedicata a lei e non al marito Aquila.
« Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell’Asia per Cristo. Salutate Maria, che ha faticato molto per voi » (ib. 16, 6). C’è quindi un’altra donna, un’altra Maria, che ha faticato molto per la comunità.
« Salutate Andronico e Giunia – probabilmente marito e moglie -, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me » (ib. 16, 7). Paolo attribuisce il termine di « apostolo » con l’aggettivo « insigne » ad una donna: questa Giunia viene cioè qualificata come « apostolo insigne », che ha faticato, che si è impegnata, che « era in Cristo prima di Paolo », quindi prima dell’anno 36; e sono suoi parenti.
« Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che sono nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa – altre due donne – che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside – altra donna – che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia » (ib. 16, 7-13). Notiamo, per inciso, la menzione di Rufo ricordando che è figlio del Cireneo; Marco, che scrive per i romani, è l’unico che dice che « Simone di Cirene era padre di Alessandro e di Rufo ». Quindi, Rufo si trovava in quel tempo a Roma, e sua madre era la moglie del Cireneo; Paolo dice che questa donna non è solo madre di Rufo, ma è stata anche madre sua, gli ha fatto da madre, cioè esisteva fra queste persone un riconoscimento di affetto, di servizio, di impegno.
« Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro » (ib. 16, 15).
Questo testo è un po’ l’elenco dei cristiani più in vista della prima comunità e, fra di essi, sono numerosi i nomi di donne; nomi di persone oscure, ma importanti nella comunità, presenti, reali. Tante, tante donne, nei primi anni del cristianesimo, sono state persone significative e in quell’ambiente la predicazione evangelica è arrivata proprio anche grazie alla testimonianza femminile: dal primo mattino di Pasqua fino alla comunità di Roma le donne sono state presenti e importanti. Ringraziamo gli Apostoli di avere lasciato i loro nomi, quasi le loro fotografie, perché ci ricordiamo del ruolo importante che oggi possono avere nella Chiesa, semplicemente, come donne che annunciano il Vangelo.