Archive pour le 16 octobre, 2010

FRIDAY AFTER TRINITY VII

FRIDAY AFTER TRINITY VII dans immagini sacre Jesus

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Publié dans:immagini sacre |on 16 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia (17-10-2010) : Missione e preghiera: una supplica liberatrice

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19653.html

Omelia (17-10-2010) 
don Alberto Brignoli

Missione e preghiera: una supplica liberatrice

Siamo ormai abituati ad ascoltare dal Vangelo affermazioni e sentenze puntuali. Non è certo usuale ascoltare un brano domenicale che termina con una domanda. E qualora ciò succeda (come nel caso odierno) la cosa non è frutto della casualità, per cui non può lasciare nell’indifferenza. Una domanda irrisolta, un interrogativo lasciato senza risposta, è sempre una porta aperta a molte interpretazioni, o quantomeno ad una profonda riflessione.
Qui, tra l’altro, non si tratta di una domanda vaga come tante altre: è una domanda fondamentale su cui si gioca la nostra vita di credenti: « Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? ».
Possiamo ovviamente scatenarci a dare tutte le risposte esegeticamente e letterariamente corrette che conosciamo, e quindi affermare che Luca mette queste parole in bocca a Gesù perché la comunità dei credenti del suo tempo era preoccupata rispetto al ritorno glorioso del Figlio dell’uomo sulla terra: un ritorno ritenuto imminente di fronte al quale molti sentivano la propria impreparazione perché privi di una fede forte e sicura.
A me, però, piace prendere questa domanda nella sua estemporaneità, e quindi considerarla una domanda che esula dai confini dello spazio e del tempo e si dirige ad ogni uomo, in ogni epoca e in ogni parte del pianeta: quindi, anche ad ognuno di noi, credenti in Cristo o presunti tali, che forse sullo stimolo delle nostre capacità conoscitive sempre più sviluppate e delle nostre tecnologie sempre più avanzate, pensiamo di essere ormai capaci di autogestirci, di risolverci i nostri problemi da noi stessi, di poter dare una risposta personale a quegli interrogativi più profondi dell’esistenza, che già il Concilio Vaticano II delineava nella Gaudium et Spes: « Cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita? » (GS 10), e molti altri simili.
Queste domande necessitano una risposta, e l’uomo contemporaneo (spesso anche il credente) è convinto di trovarla da sé, senza più alcun riferimento ad un assoluto, ovvero, senza più pensare a Dio. E di conseguenza, senza più rivolgere a lui nessun tipo di pensiero, di richiesta o di intercessione.
La Parola di Dio di quest’oggi vuole aiutarci a comprendere che il motivo di un Dio che sembra essere assente dal vissuto delle persone non risiede nell’incapacità o nella mancata volontà di Dio a rispondere alle nostre necessità, ma in un’umanità che ha smarrito il senso di Dio. E ciò che fa più specie è che questa « perdita del senso di Dio » non è solo l’espressione manifesta di un’umanità indifferente al sacro, ma è in maniera altrettanto evidente espressione di quell’umanità che si definisce credente e della quale anche noi facciamo parte.
Questa nostra perdita del senso di Dio si manifesta in noi nella perdita della capacità di rivolgere a Dio preghiere di supplica e di intercessione con profondo spirito di fede. Con fatica, ormai, supplichiamo Dio negli eventi difficili della nostra vita, meno ancora in quelli lieti: e quando lo facciamo, diamo alla preghiera e alla supplica quella connotazione di magia e di ricerca efficace ed automatica della Grazia che ci fa smarrire il senso di gratuità e di fiducia. Preghiamo e supplichiamo Dio non per affidarci a lui, ma per costringerlo, quasi con un atteggiamento di sfida, a fare per noi ciò che gli chiediamo, quasi fosse un nostro diritto esigerlo e un suo dovere concedercelo.
Sono temi che già la Liturgia della Parola delle precedenti domeniche toccava, parlando del nostro rapporto con Dio come gratuità e Grazia; ma oggi il Vangelo abbina la nostra incapacità a pregare, o meglio la nostra poca insistenza, la nostra incostanza, la nostra accidia, il nostro pensare di poter fare a meno della preghiera, a qualcosa di più profondo, oserei dire di più grave: la mancanza di fede. E Gesù diventa ancora più provocatorio in questa sua affermazione perché non la dichiara attraverso una sentenza, ma attraverso una domanda a cui vuole che ognuno di noi, in prima persona, dia ad essa una risposta: « Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra? ».
L’urgenza dell’apertura alla dimensione missionaria sulla quale stiamo riflettendo in questo mese di ottobre mi porta ancora una volta a riferirmi alla mia esperienza di missione in America Latina.
Perdonatemi: non è bello – e per certi aspetti non è neppure debito – fare dei paragoni tra il modo di vivere la fede cristiana qui e il modo di viverla in una Chiesa storicamente così vicina eppure così diversa dalla nostra come quella del continente latinoamericano. Ma tra la varie cose che mi porto a casa dal mio contatto con quella Chiesa e con quel popolo c’è sicuramente la dimensione profondamente spirituale e di costante contatto con Dio che i cristiani di quella terra mantengono dentro di sé come distintiva del loro carattere, pur a volte professando una fede cristiana in una confessione diversa da quella cattolica, o magari manifestando la propria fede in forme di devozione popolare che a noi possono sembrare primordiali, un po’ animiste o quantomeno strane.
Strane o no che siano, di matrice profondamente cattolica oppure abbinate a una confessione cristiana differente, sta di fatto che le manifestazioni di contatto con Dio attraverso la preghiera presenti nel popolo sudamericano hanno certamente molto da insegnare a noi cristiani del nord del mondo, che presi dalla preoccupazione di una fede motivata e che sappia rendere ragione di ciò in cui crede, non siamo più capaci di parlare con Dio.
A conferma di quanto vi sto testimoniando, vi invito a ripensare alle immagini che hanno fatto il giro del mondo in questi giorni, mostrando i 33 minatori cileni riscattati dalle viscere della terra in cui erano intrappolati da oltre due mesi: non si è sentito uno solo di essi e delle loro famiglie che non abbia testimoniato, senza alcun timore, di aver attinto dalla fede e dalla preghiera la forza di superare una prova così ardua.
E ciò non è affatto espressione di bigottismo o di una concezione del mondo per cui è bene affidarsi a Dio per chiedere a lui – invece di impegnarci noi – di risolvere i problemi che la vita quotidiana ci presenta davanti. Perché un’altra caratteristica della vita di fede e della preghiera che ne scaturisce all’interno delle comunità credenti dell’America Latina è che mai essa è disgiunta da un profondo impegno di rinnovamento, di liberazione e di trasformazione sociale capace di dare svolte significative a situazioni tutt’altro che agiate, ad esempio da un punto di vista socio-economico.
Insomma, una fede e una preghiera che si fanno concretezza di vita, e che non lasciano mai cadere le braccia; che non si stancano mai, al momento opportuno e non opportuno, di rivolgere a Dio suppliche e invocazioni capaci di trasformare l’umana esistenza.
Dio è molto più giusto di un giudice disonesto che ascolta le suppliche di una vedova solo per non avere ulteriori fastidi.
Dio fa giustizia, e la fa prontamente, a tutti coloro che gridano giustizia verso di lui. La gridano pure ai potenti della terra, ma quasi sempre vengono da essi ignorati.
La preghiera del povero non è capace nemmeno di compiere un giro della terra prima di essere ascoltata: ma attraversa le nubi – lo ascolteremo domenica prossima – e non si quieta finché non sia arrivata a Dio. 

Il tuo volto Signore io cerco

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=3254

Il tuo volto Signore io cerco
 
di Rebecca Nazzaro

dal sito:

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=3254

Il tuo volto Signore io cerco
 
di Rebecca Nazzaro

L’uomo non è che una canna – ci dice Pascal – l’essere più debole della natura; ma allo stesso tempo più nobile, perché è consapevole di quello che avviene attorno a lui; la natura, invece, non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. Diventare pienamente uomini, allora, significa anche e soprattutto, come dice Pascal, «lavorare a ben pensare», farsi coraggiosi esploratori della verità, liberamente interrogarsi e rigorosamente tentare di argomentare.
La fatica della riflessione e il ristoro della conoscenza, l’uso della ragione come di un principio che mette ordine nella massa confusa della realtà, come un filo che intrecciandosi va componendo un tessuto, non solo aiutano ad avvicinarsi alla fede, ma sono anche un’altra possibile forma attraverso la quale ci è dato di incontrare il bello.
Nella Sacra Scrittura troviamo più volte espresso l’invito ad approfondire la fede attraverso la conoscenza: «La sapienza tutto conosce e tutto comprende» (Sap 9, 11); «E’ gloria di Dio nascondere le cose, è gloria dei re investigarle» (Pro 25, 2). «Beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza, considera nel cuore le sue vie, ne penetra con la mente i segreti. La insegue come uno che segue una pista, si apposta sui suoi sentieri» (Sir 14, 20-22).
La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida; lo dimostrano esempi di “appassionate della verità”, come Edith Stein e Santa Teresa d’Avila, donne che si sono esercitate senza risparmio nell’approfondire l’intelligenza della fede e che a lungo hanno indugiato sul “senso dell’oltre”.
Arriva, però, un punto in cui la ragione si ferma come stupita davanti ad una soglia, ad un mistero che sempre la supera, non irrazionale ma “soprarazionale”, è necessario allora con umiltà mettere da parte i propri schemi e ragionamenti umani, perché i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, le nostre vie non sono le Sue vie (cfr. Is 55,8), e affidarsi alle ragioni della fede come un bambino si abbandona nelle braccia di sua madre. La fede, pur fondandosi sulla ragione, va oltre e penetra nel mistero di Dio, fino a contemplare il Suo Volto: “il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8-9). Il mondo, infatti, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto il volto di Dio, per questo “è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (I Cor 1, 21-24).
Sono, queste, parole che, oggi, s’impongono come ancora più necessarie, contro una ragione ricurva su di sé, che ha preteso di farsi autosufficiente, diventando in questo modo superba e rapace, nella convinzione di poter tutto svelare e tutto inquadrare in equazioni granitiche. A questa ragione si contrappone il vero volto di Dio, che si rivela in Gesù Crocifisso, morto e risorto. Gesù contrappone ai ragionamenti di questo mondo la logica inerme dell’amore, che sulla Croce sembra soccombere, ma in realtà vince, perché dal suo costato trafitto fiumi di misericordia sgorgano su tutta l’umanità per liberarla dal peccato e dalla morte.

2 aprile 2008

Publié dans:meditazioni |on 16 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

La preghiera nella Chiesa

dal sito:

http://www.opusmariae.it/poggiali_preghiera.htm

La preghiera nella Chiesa

di don Giovanni Poggiali

« Il Timone » – Gennaio 2009

La Chiesa è il corpo di Cristo, come dice san Paolo: « Egli [Cristo] è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa » (Col 1,18). Pur essendo, come il corpo, costituita da molte membra la Chiesa è Una ed è unita inscindibilmente al suo Signore che è il Capo. Il primato di Cristo, questa signoria che è il suo Regno, Egli lo estende a tutto il mondo per mezzo della Chiesa, prefigurata nell’Antico Testamento, e in essa dilata la preghiera che è comunione con Lui e che diviene autentica preghiera cristiana perché trova in Lui la propria origine. La preghiera, che è il tratto più profondo e rivelativo del rapporto tra Gesù e il Padre, viene donata alla Chiesa la quale risponde all’amore del Signore mediante il proprio amore e il proprio desiderio, manifestando pienamente al mondo ciò che essa è, ciò che essa crede.
Attraverso la Tradizione, che è comunicazione e trasmissione vivente di Gesù Cristo e del suo insegnamento (si può dire che è la Chiesa la viva Tradizione), lo Spirito Santo insegna la preghiera nella Chiesa: lo Spirito di Cristo ci suggerisce come pregare e cosa domandare e ci dona la libertà di pronunciare: « Abbà, Padre » (cf. Rom 8,15; Gal 4,6) ponendoci, come figli adottivi, in relazione con Dio. Questa comunione avviene massimamente nella Liturgia, opera di Dio, in cui « Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’Eterno Padre » (Sacrosanctum Concilium, 7). La Liturgia, esercizio del culto divino, realizza e manifesta la Chiesa come segno visibile di tale comunione tra Dio e gli uomini.
Non si può, allora, cercare e trovare la fonte della preghiera nella Chiesa se non in Gesù Cristo: Egli prega il Padre, spesso nel silenzio della notte e prima di ogni decisione importante o scelta decisiva, e diviene per noi sorgente e modello di preghiera. Pensiamo alla Sua preghiera nel Battesimo (cf. Lc 3,21), prima della vita pubblica nei 40 giorni di deserto (cf. Lc 4), prima della scelta degli Apostoli (cf Lc 6,12-13), prima della sua Passione (cf Lc 22,39-46)… Così, in Cristo, Dio manifesta il proprio volto: l’uomo si comprende ed è compreso solo nella relazione personale con Dio e tale relazione ha il suo luogo principale nella preghiera, la quale diventa un ascoltare e un parlare con Dio che rivela l’uomo a sé stesso. Pregando, l’uomo compie un atto « divino », perché entra in comunicazione con Dio, si abbandona a Lui e si lascia amare da Dio per amare i fratelli. Quale povertà la mancanza di preghiera nell’uomo! Quale aridità l’assenza di una vita spirituale: Gesù ci insegna infatti che occorre pregare sempre senza stancarci (cf. Lc 18,1).
Un giorno, mentre Gesù era in preghiera e dopo che ebbe finito, uno dei discepoli gli chiese di insegnare loro a pregare. Gesù pronunciò la preghiera del Padre Nostro, la sintesi di tutto il Vangelo come la chiamerà Tertulliano (De oratione, 1). Questa preghiera, scaturita dallo stesso Figlio di Dio – dal suo cuore e dalle sue labbra -, indica che l’autentica preghiera cristiana è personale ma ha anche una dimensione comunitaria (Padre nostro): « Nell’atto del pregare, l’aspetto esclusivamente personale e quello comunitario devono sempre compenetrarsi » (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 158). Anche quando l’uomo prega nel segreto della sua camera, ossia nell’intimo del proprio cuore, è preghiera della Chiesa, perché la nostra vita non può mai essere dissociata dai nostri fratelli, essendo figli dello stesso Padre ed essendo rigenerati dallo stesso Sangue del Verbo incarnato. Chi prega, lo fa anche per chi non prega. Non dobbiamo desiderare la salvezza solo per noi.
Tale preghiera comunitaria si manifesta in varie forme nella Chiesa: la preghiera di benedizione esprime l’incontro tra Dio, fonte di ogni benedizione, e l’uomo che risponde nel suo cuore: bene-dicere, dire bene. Dio fa questo con la Sua presenza e provvidenza. Egli ci benedice nei cieli in Cristo (cf. Ef 1,3) e invita noi a bene-dire (di) Lui che ci ama (qui si comprende la gravità della bestemmia). La preghiera di adorazione esprime la nostra creaturalità, la nostra dipendenza da Dio, l’Unico che si deve adorare esaltandone la grandezza, la misericordia, l’onnipotenza, bandendo gli idoli dal nostro cuore. Ma esprime e manifesta anche l’intimità stessa di Dio che è Trinità, un Dio in cui il Figlio è rivolto sempre verso il Padre e la cui esistenza filiale può essere intesa come una grande preghiera offerta al Padre nello Spirito Santo. La domanda esprime la forma più comune e abituale di preghiera per l’uomo che entra in relazione con Dio. Gesù stesso invitava a domandare insistentemente: « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto » (Mt 7,7-8). Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che « in Cristo risorto, la domanda della Chiesa è sostenuta dalla speranza » (2630). Noi chiediamo aiuto a Dio, per noi e per i fratelli, perché speriamo nel suo perdono e perché desideriamo che venga il suo Regno. Esiste una gerarchia nella domanda, che non si riduce solo alla richiesta di « cose » materiali, pur importanti, ma implora anzitutto lo Spirito Santo, vita stessa di Dio e respiro del Suo amore. La preghiera di intercessione ci rende conformi a Cristo, intercessore per noi peccatori presso il Padre. Colui che intercede si preoccupa delle necessità di un altro: è un grande atto di misericordia, una delle più belle beatitudini – Beati i misericordiosi (Mt 5,7) – e ci avvicina ai Patriarchi (pensiamo all’intercessione di Abramo e di Mosè). Ci rende simili anche al cuore di Maria, la Madre di Gesù, che intercede sempre per noi suoi figli. La preghiera di ringraziamento è il primo movimento che scaturisce da un cuore grato e riconoscente per tutti i doni di Dio: « Tutto proviene da Dio » (1 Cor 11,12), dice san Paolo che aggiunge: « Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto? » (1 Cor 4,7). Ogni dono ci giunge dall’amore di Dio ed è per questo che è frutto di umiltà rendere grazie in ogni cosa (cf. 1 Ts 5,18). Infine, la preghiera di lode. Lodare Dio significa riconoscerlo per ciò che Egli è, lodare è lo stupore per le Sue meraviglie: « Siate ricolmi dello Spirito intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore ». Ecco la lode a Dio!
Tutte queste forme di preghiera nella Chiesa sono realizzate ed espresse dalla Liturgia, in particolare dall’Eucaristia, nella quale rendiamo grazie al Padre per il sacrificio del Figlio che viene offerto e si offre in espiazione per salvarci dai nostri peccati. Nella Liturgia noi adoriamo Dio, lo ringraziamo, lo lodiamo, impetriamo e benediciamo Colui dal Quale siamo amati e benedetti. La preghiera liturgica, rivolta al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, è comunione con la Trinità Santa, mistero d’amore rivelato a noi da Gesù e comunicato alla Chiesa per l’evangelizzazione del mondo. La preghiera nella Chiesa e della Chiesa ci pone in relazione con tutto questo e ci guida verso l’intimità con Cristo, sorgente e culmine della vita cristiana. Parlando di Origene (vissuto tra il II e il III secolo) e dei suoi scritti sulla preghiera, papa Benedetto XVI ha detto: « A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui » (Udienza generale, 2 maggio 2007). Questo è il termine e lo scopo dell’azione della Chiesa: innamorarsi di Cristo per fare innamorare di Cristo.
Chi più dei santi ha vissuto questa esaltante esperienza? Nella comunione dei santi, la Chiesa pellegrina sulla terra è unita a quella del Cielo dove i nostri fratelli glorificati intercedono per noi e ci fanno da guida. Questa « nube di testimoni », come la chiama il Catechismo, ha combattuto il buon combattimento della preghiera e della fede, a cominciare dai giusti dell’Antico Testamento e da Maria Madre di Gesù. Le grandi e diverse spiritualità scaturite dall’esperienza spirituale dei santi, contribuiscono a formare la grande Tradizione della Chiesa e ci indicano una via. Proverbiale fu l’esperienza di santa Teresa d’Avila che disse: « L’orazione mentale, a mio parere, non è che un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati » (Libro della mia vita, 8). La preghiera deve superare tante difficoltà – tentazioni, pigrizia, accidia, distrazioni, aridità – ma, alla fine, è una questione di desiderio, di amore, di volontà. Sant’Alfonso Maria de Liguori, a questo riguardo, dirà che « chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna » (Del gran mezzo della preghiera)….
I santi ci insegnano ciò che più è importante nella nostra vita e anche nella vita della Chiesa: il rapporto con Dio, il desiderare un’intimità profonda con Lui, il cercarlo con ferma fiducia. Questa è la via alla santità cristiana, cioè alla perfezione dell’amore, al vivere straordinariamente bene le cose ordinarie. Questo procura la vera gioia. Gesù stesso ce lo ha insegnato con la Sua vita. Infatti, « si prega come si vive, perché si vive come si prega »…(CCC 2752).
Infine, è la Chiesa stessa che ci offre tutti quei mezzi che ci conducono alla santità e all’incontro con il Signore: la celebrazione della Santa Messa, l’adorazione eucaristica, la devozione alla Madonna – soprattutto la recita del Rosario –, la lettura quotidiana della Sacra Scrittura, la confessione frequente e l’esperienza dei Santi. Così, noi membra della Chiesa, possiamo giungere a contemplare quel Dio che desidera unirsi con noi per farci partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9) dove Dio stesso, dono inaudito, passerà a servirci (cf. Lc 12,37).

BIBLIOGRAFIA

Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 157-201.
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), dal n. 2559 al n. 2758
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Publié dans:preghiera (sulla) |on 16 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans OMELIE PREDICH, DISCORSI E...♥♥♥ Ilex_verticillata026DmMa

Ilex verticillata

http://toptropicals.com/cgi-bin/garden_catalog/cat.cgi?family=Aquifoliaceae

Omelia per il 16 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10796.html

Omelia (20-10-2007) 
Monaci Benedettini Silvestrini

Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò…

Nel vangelo di oggi spicca il tema della testimonianza dei cristiani. Gesù si rivolge ad una comunità che subirà persecuzioni di ogni sorta e vuol infondere coraggio e fiducia in cuori che potrebbero vacillare di fronte alle difficoltà che essa dovrà affrontare. La vita delle prime comunità cristiane ci riporta numerosi esempi di testimonianze vere e coraggiose, il più delle volte pagate con il prezzo della propria vita offerta con gioia. Potremo essere portati a credere che il martirio sia per pochi e la vera via alla santità è privilegio per anime ben temprate. A noi non rimane che vivere in una quotidianità sempre uguale a se stessa, nella quale possiamo solo sperare nella misericordia di Dio. La fede in Dio misericordioso è l’anima della vera speranza cristiana che guarda in Cristo la salvezza incarnata e realizzata nel Mistero Pasquale. In questa realtà dovremo porre la nostra vita, nelle sue difficoltà quotidiane, per trovare una via di riscatto che ci faccia avanzare verso l’amore di Cristo. Scopriamo che la via alla santità non è per una piccola schiera di eletti ma per tutti noi, scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al cospetto di Dio nella carità. E’ nell’amore e nella carità che possiamo dare la vera testimonianza di essere figli di Dio. Lo stesso Gesù ha detto ai discepoli che si dovranno distinguere in modo assoluto da come ci si ama a vicenda. Gesù è la fonte del nostro amore e l’unico vero modello. La vera testimonianza di Gesù è nella nostra vita; così come rinneghiamo Gesù quando non lo poniamo al centro della nostra esistenza. 

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