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Estasi di santa Teresa d’Avila [Gian Battista Mengardi (1738 - 1796)]

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http://www.ossicella.it/arte_sacra/tele_duomo.htm

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Teologia paolina: Conoscere la potenza della risurrezione

dal sito:

http://www.parrocchiadiarenzano.it/FileDoc/2009/LezioneFebbraio23.doc

TEOLOGIA PAOLINA – ANNO 2009 – Don Claudio Doglio
Lezione del 23/02/2009

Conoscere la potenza della risurrezione

L’esperienza profonda vissuta da Paolo è stata una esperienza di risurrezione. Ha incontrato il Risorto e ha sperimentato la potenza della Risurrezione. Ed è proprio su questo aspetto che vogliamo concentrare la nostra attenzione. La potenza del Risorto è l’energia che dentro la vita di una persona realizza il progetto di Dio e segna, trasformando, migliorando la persona stessa. E’ una forza divina che ri-suscita, ri-anima. Da morti che eravamo per i nostri peccati, Dio ci ha fatti ri-vivere in Cristo; con Lui ci ha risuscitati. Ci ha addirittura  fatti salire al cielo insieme con Lui e ci ha fatti sedere alla destra di Dio. Questo lo scrive nella lettera agli Efesini al cap 2. E’ un’espressione fondamentale dell’esperienza spirituale cristiana: da morti che eravamo, Dio ci ha fatti ri-vivere.
E’ già avvenuto in noi un elemento di trasformazione che ha ridato vita alla nostra esistenza. Prima di parlare però di questa condizione che vale per l’umanità in genere, Paolo si è presentato personalmente come un uomo trasformato da questa grazia. Leggiamo al cap 3 della Lettera ai Filippesi la sua presentazione  da questa esperienza fondamentale.
E’ una delle pagine che potremmo considerare autobiografiche, anche se non racconta particolari della vita; ci offre però una bella delineazione delle caratteristiche fondamentali della sua coscienza. I Filippesi sono gli abitanti di Filippi; sono un piccolo gruppo di cristiani che abitavano nella città di Filippi che si trova in Macedonia.
Oggi non esiste più come città: è solo un campo archeologico. Paolo aveva incontrato diverse persone che erano diventate amiche. E’ la prima tappa in Europa che ha fatto. Ricordiamo ad esempio Lidia, la signora che lo accoglie in casa, la prima battezzata da Paolo; poi il carceriere che da nemico oppressore, è diventato un amico liberato da Paolo.
A Filippi si è fermato anche Luca, quello che poi in seguito sarà l’evangelista, come responsabile della comunità.
Mentre in Galazia i cristiani di quella regione lo avevano fatto arrabbiare, perché avevano cambiato bandiera andando dietro altri predicatori, i cristiani di Filippi gli sono sempre stati fedeli e amici.
Abbiamo letto diversi passi della Lettera ai Galati in cui il tono era qualche volta acceso, polemico, contro gli stessi destinatari perché trasgressori. Invece la lettera ai Filippesi è scritta con un tono molto più dolce, cordiale. E’ scritta nello stesso anno della Lettera ai Galati, nello stesso ambiente; è la stessa persona che scrive però a comunità diverse. E’ logico che troviamo le stesse idee con qualche sfumatura differente. Il cap 3 si colloca in mezzo ad una serie di ricordi, saluti, espressioni affettive ed è un testo ricco da un punto di vista dottrinale. Inizia con una insistente raccomandazione: “ per il resto fratelli miei state lieti nel Signore, a me non pesa e a voi è utile che io vi scriva le stesse cose. Ve le ho già dette, ve le dico per iscritto; a me non pesa ripeterle e a voi fa bene sentirle di nuovo perché così ve le mettete bene in testa. Guardatevi dai cani”. Sta parlando di animali? “Guardatevi dai cattivi operai”. Di chi sta parlando? “Guardatevi da quelli che si fanno circoncidere”. Quando parla di cattivi operai, sta parlando di confratelli preti (con linguaggio nostro). Paolo aveva a che fare, anche nella prima comunità cristiana, con degli operai del vangelo, che erano cattivi con delle idee sbagliate che rischiavano di rovinare.
L’elemento di fondo è che Gesù Cristo non basta, ma ci vuole anche qualcosa di più; ad esempio la circoncisione: è necessaria per la salvezza.
In Galazia avevano fatto dei danni, allora è probabile che Paolo abbia agito di anticipo..
“Siamo infatti noi i veri circoncisi”. Noi chi?
“Noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù senza avere fiducia nella carne”
La circoncisione vera è il cambiamento del cuore; l’evento non è rituale, ma esistenziale. Questo discorso deve essere fatto seriamente anche per noi: stiamo cercando di capire come essere cristiani autentici. Quindi questo discorso che Paolo fa sulla circoncisione, noi lo dobbiamo adottare ad esempio ai Sacramenti che riteniamo riti indispensabili. Il rischio è quello di considerare solo il rito come indispensabile in modo tale che produca magicamente l’effetto anche senza Cristo. L’effetto si sente e si vede; se non si sente e non si vede, l’effetto non c’è. Noi abbiamo creato una trattazione dei Sacramenti e ci siamo messi in testa delle idee sui Sacramenti che hanno qualche cosa di magico e di inconsistente
Il sacramento ricevuto fa qualche cosa, non si vede niente, non si sente niente, però il Sacramento c’è L’importante è che ci sia il cuore nuovo.
L’importante non è confessarsi spesso, ma non peccare più. Non che se uno si confessa ripetutamente è a posto; è uno strumento, non un fine. Non si è bravi cristiani perché ci si confessa spesso; si è bravi cristiani se pecchiamo poco. I protestanti usano una battuta di questo genere: “sapete la differenza tra un bambino cattolico e un bambino protestante? Il bambino protestante dice le bugie e poi….dice le bugie; il bambino cattolico, dice le bugie, si confessa e poi dice le bugie”.
La novità di Cristo non è che ci ha portato a confessarci, ma a non peccare. Noi siamo testimoni del’opera della grazia di Cristo, non perché facciamo dei riti, ma perché viviamo una vita.
I riti servono e sono importanti, ma perché ci sia questa vita. Sono strumenti finalizzati alla vita.
Il rischio continuo di ritornare alla mentalità giudaizzante è quello di accontentarci dei riti che non segnano la vita.
Se c’è l’incontro con il Signore che dona la sua misericordia, c’è un cambiamento, un segno. Questa grazia di Dio opera o non opera? Se non ci si accorge di niente come si fa a dire che opera? L’effetto si vede in noi. Come ci accorgiamo se c’è il vento? Guardando gli alberi che si muovono. Da cosa capiamo che c’è vento? Dagli effetti. Vediamo una bandiera che sventola e capiamo che c’è tanto o poco vento e capiamo che direzione ha il vento a seconda della parte dove è orientata la bandiera.
Come facciamo a capire che in noi agisce lo Spirito se non vediamo gli effetti? L’azione dello Spirito si vede dagli effetti. Se ognuno di noi si guarda bene, con attenzione alla luce di Cristo, si accorge che gli effetti ci sono.
Se viviamo bene i Sacramenti, gli effetti ci sono; se li viviamo superficialmente, in modo rituale, allora no.
Rileggiamo il versetto: “siamo noi i veri circoncisi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio. C’è uno spirito che ci mette in comunione con Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù”
Quest’espressione piace molto a Paolo: è entrata anche nella liturgia della Chiesa per il battesimo. Anche nel battesimo si dice: “questa è la nostra fede; questa è la fede della Chiesa e ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù Nostro Signore”.
Noi siamo fieri di professarla. Gloriarsi è un atteggiamento abbastanza comune; ognuno di noi si gloria di qualcosa anche se in  genere adoperiamo piuttosto il verbo “vantarsi”
Ognuno di noi ha le proprie qualità e non lo neghiamo; siamo fieri di qualche cosa. La domanda che Paolo ci pone è: “di cosa sei fiero di fronte a Dio?”.
L’unica realtà di cui ci possiamo vantare è quella di avere Cristo Gesù. Io non mi vanto di me stesso, ma di Cristo Gesù che vive in me. Perché io possa essere fiero di Gesù Cristo è necessario e indispensabile che ci sia un rapporto che ci unisca. Noi ci gloriamo in Cristo, non nelle nostre carnali capacità. Davanti a Dio non mi vanto di essere capace di pregare bene; quello è vantarsi nella carne.
Paolo adopera il “noi” ma poi improvvisamente al vers 4 si passa al singolare.
“Noi non abbiamo fiducia nella carne sebbene io possa confidare anche nella carne. Se qualcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui”.
Ecco una specie di carta d’identità che l’apostolo ci presenta: “circonciso l’8° giorno, quindi 8 giorni dopo la nascita; quindi più giusto di così non può essere nessuno. Della stirpe di Israele, della Tribù di Beniamino, ebreo da ebrei. Quanto a zelo, persecutore della Chiesa. Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge. Ma quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo”.
Quello che sembrava un guadagno, avendo incontrato Cristo, ho capito che era una perdita. Qui c’è probabilmente l’allusione a quel detto di Gesù: chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.
“Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura”.
Tutto reputo una perdita, tutto ho lasciato perdere, tutto considero spazzatura.
Ha lasciato perdere tutte quelle situazioni che sembrano titoli di merito ma sono solo una zavorra pesante (spazzatura). Spazzatura è una traduzione dolce, perché in greco c’è “skubalà” che vuol dire qualcosa di leggermente diverso. Lo sterco dei cavalli si chiama “scibale”…quindi la terminologia tradotta è: “ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero stronzate!”
Ha lasciato perdere queste cose al fine di guadagnare Cristo, cioè incontrarlo, ottenerlo e di essere trovato in Lui. Ha lasciato perdere il suo vanto personale al fine di essere trovato in Gesù non con una sua giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo. Tutte le nostre pratiche cristiane possono essere ottimi strumenti di questa comunione con Cristo o possono essere solo riti superficiali che lasciano il tempo che trovano e montano la testa delle persone che le fanno creando l’orgoglio di essere giusti e non avendo niente a che fare con Cristo.
L’obbiettivo della vita cristiana è conoscere la potenza della risurrezione di Cristo.
Paolo vuole conoscere la potenza della risurrezione; vuole sperimentare che questo Cristo possa davvero guarirlo.
Paolo, conquistato da Cristo, ha passato la sua vita a corrergli dietro per raggiungerlo, visto che è stato raggiunto. E’ un’immagine di amore, di incontro di persone e di desiderio di incontro sempre maggiore.
Quel verbo che è tradotto con “mi sforzo” nell’originale greco è il verbo che talvolta si traduce anche con “perseguitare”. Paolo era un persecutore; dopo è diventato un “persecutore”…
Paolo dice: “io inseguivo i cristiani; inseguivo Cristo con un atteggiamento negativo. Persecutore è uno che per-segue; persegue un obbiettivo in senso maligno o benigno. Ha cambiato prospettiva ma sempre persecutore è!
Persegue l’obbiettivo che è Cristo e ha lo stesso zelo che aveva prima. Non è tanto lo sforzo personale, quanto l’impegno per raggiungere l’obbiettivo: l’obbiettivo è l’incontro con il Cristo

Publié dans:San Paolo |on 15 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Il Medio Oriente di Benedetto XVI (di Samir Khalil Samir)

dal sito:

http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Medio-Oriente-di-Benedetto-XVI-19692.html

11/10/2010 15:47

VATICANO – M. ORIENTE

Il Medio Oriente di Benedetto XVI

di Samir Khalil Samir

Come il papa guarda al Sinodo, ai problemi della regione e alle Chiese? Ecco alcune annotazioni: la tradizione apostolica delle Chiese orientali, la loro diversità e unità col papa. Il suggerimento per gli ortodossi; l’importanza della missione e dell’annuncio di Cristo salvatore anche per i musulmani. L’enfasi sulla “terra” di israeliani, palestinesi, musulmani e la testimonianza cristiana su una “terra” che non è di questo mondo.

Città del Vaticano (AsiaNews) – All’inizio del Sinodo delle Chiese del Medio oriente è molto importante analizzare il discorso che Benedetto XVI ha tenuto ieri durante la solenne liturgia in san Pietro. Alcune sue sottolineature sono fondamentali per comprendere la situazione sociale e ecclesiale della regione.
 
Chiese apostoliche
 
Il papa anzitutto accenna al fatto che il Medio Oriente ha visto “sempre, dai tempi di Gesù fino ad oggi, la continuità della presenza dei cristiani”.
Il pontefice vuole sottolineare l’apostolicità delle chiese del Medio Oriente e il fatto che sono Chiese vive. Chiesa d’Antiochia, laddove i cristiani per la prima volto ricevono dagli altri questo nome (Atti  11,26). Chiesa di Gerusalemme, che ha vissuto il fatto storico Gesù e ha conosciuto gli Apostoli. Chiesa d’Alessandria, dove San Marco l’Evangelista è stato martirizzato. Non sono Chiese che hanno ricevuto la fede da missionari venuti da Roma, ma dagli apostoli stessi, e sono dunque testimoni del messaggio originale. Questo, per le nostre Chiese, è una forza spirituale importante. Se spariscono, sarebbe una perdita per l’insieme dei cristiani.
 
Pluralismo culturale e religioso: ricchezza ma anche particolarismo
 
Continua il papa: “In quelle terre, l’unica Chiesa di Cristo si esprime nella varietà di tradizioni liturgiche, spirituali, culturali e disciplinari”.
Poi parla della varietà di tradizioni. Questa varietà va sottolineata: in Oriente abbiamo addirittura sette Patriarchi e sette tradizioni liturgiche, culturali, spirituali, disciplinari, e aggiungerei teologiche. Dogmaticamente c’è unità, teologicamente c’è una grande varietà, che ne fanno la ricchezza. In esegesi per esempio, con le due grande scuole d’interpretazione: quella di Alessandria, più allegorica e mistica, con Origene già alla fine del secondo secolo; e quella di Antiochia, più grammaticale e letterale.
 
Anche le posizioni teologiche sono sin dall’inizio multiple. La varietà liturgica è ben nota; quella spirituale raramente si approfondisce; le varietà culturali denotano una grande ricchezza, di lingue e di tradizioni. E’ la diversità culturale dell’Oriente che ha creato un’immensa ricchezza ma anche conflitti politici e teologici.
 
In Occidente invece c’era solo Roma, come città di profonda cultura. Le altre non avevano peso, né politico, né culturale. Invece in Oriente, anche ben prima del cristianesimo, c’erano centri importantissimi: Alessandria, Edessa, Gerusalemme, Antiochia.
 
Questa varietà viene dalla struttura storica dell’Oriente. E le conseguenze si sentono fino ad oggi. In Occidente l’unificazione (e forse l’omogeneità) andava da sé, da noi invece è il contrario. Ogni Chiesa è fiera del suo passato anche precristiano, sanno tutte di essere erede di civiltà prestigiose!
Questa varietà è una grande ricchezza, ma talvolta fa scivolare le Chiese nel particolarismo, oppure nel nazionalismo e nelle divisioni interne che indeboliscono.
 
Il papato e l’unità della Chiesa
 
Ed è anche il problema del Papato, che sarà sollevato, lo so, da alcuni vescovi. Alcuni sentono che Roma interviene troppo nei loro affari, senza necessità, semplicemente per abitudine di centralismo, oppure talvolta per convinzione che la pratica romana è superiore a quella nostra. Altri sottolineano che ci vuole una sola testa, soprattutto in caso di conflitti, che permette di risolvere i problemi. Tutti dicono pero’ : rispettate le nostre diversità, le nostre culture. In Oriente cattolico, per esempio, ci sono preti sposati e preti celibi, e tanti punti …
 
E questo è uno degli aspetti che il papa vuole affrontare. Se non c’è comunione, non c’è testimonianza. La nostra testimonianza viene dalla nostra comunione. Come dice il Vangelo: da questo sapranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni con gli altri (Giov. 13, 35).  Se ognuno sottolinea troppo la propria specificità si può arrivare alla divisione o alla dimenticanza degli altri per salvare la propria cultura. L’Oriente insiste sulla particolarità più che sull’unità : ci vuole un equilibrio.
 
Anche l’Occidente sta riscoprendo la particolarità: Germania, Francia, Spagna, rivendicano modi specifici di credere e di governare la Chiesa, per non parlare delle tradizioni africane e asiatiche.
 
Negli Stati Uniti vi sono tendenze particolaristiche riguardo alla relazione uomo-donna, che mettono molte cose in questione. L’anglicanesimo si è spaccato negli ultimi decenni perché le chiese africane hanno rifiutato le decisioni americane o inglesi su questo punto. Come mantenere l’unità della Chiesa, rispettando però la cultura di ognuno ?
 
Questo è un problema essenziale: esso riguarda lo scisma o l’unità, ed è su questo che le Chiese d’Oriente possono dare un contributo. Perché siamo orientali, con innumerevoli tradizioni, ma siamo cattolici, riconoscendo il principio di unità che è rappresentato dal vescovo di Roma.
 
Questo modello delle Chiese d’oriente potrebbe essere un suggerimento per il mondo dell’ortodossia. Se gli ortodossi vedono che la realtà cattolica è vissuta in modo ricco e positivo, allora potrebbero avvicinarsi all’unità. E viceversa : Un vescovo mi confidava ieri che se gli ortodossi vedono l’unità solo testimoniata in modo burocratico, non come rapporto fra i patriarchi e il papa, questo li allontanerebbe dall’unità.
 
I fedeli orientali emigrati in Occidente
 
Ad un certo punto del suo discorso, il papa parla dei fedeli della diaspora, e questo solleva un problema dentro la Chiesa cattolica, perché spesso i vescovi in Europa vogliono avere giurisdizione sui fedeli orientali emigrati. Per esempio c’è una regola che vieta l’esistenza di preti orientali sposati in occidente. Possono averli in Oriente, ma non nelle diocesi occidentali. Era stato deciso – si è detto – per non scandalizzare i fedeli. Ma tutto questo deve cambiare.
 
All’origine, i patriarcati erano geografici, ma ora il fatto dell’emigrazione sta sollevando diverse questioni. Ieri il papa ha parlato di “tutti i fedeli affidati alle loro (cioè dei Patriarchi) cure pastorali nei rispettivi Paesi e anche nella diaspora”. É un piccolo punto, ma fondamentale. É un problema che esiste anche con gli ortodossi, con la Chiesa di Mosca. Da chi dipendono gli ortodossi della diaspora? Una volta era il Patriarca ecumenico che aveva la responsabilità fuori, adesso vogliono restringere la sua responsabilità alla sola Turchia.
 
“La salvezza è universale, ma passa attraverso una mediazione determinata, storica”
 
Ad un certo punto Benedetto XVI commenta le letture della messa e racconta dei due malati di lebbra, ambedue non ebrei [Naaman il siro (2 Re 5,14-17); il samaritano (Luca, 17,11-19)], che guariscono perché credono alla parola dell’inviato di Dio, e li guarisce. Commenta: “Guariscono nel corpo, ma si aprono alla fede, e questa li guarisce nell’anima, cioè li salva”.
Il papa solleva il problema della conversione. Andando oltre egli afferma: “la salvezza è universale”, tutti sono chiamati dall’amore di Dio a esser salvati. Per noi cristiani questo ha un’importanza teologica essenziale nei confronti dei musulmani. Non è una razza, un popolo, che è salvato: Dio vuole la salvezza universale.
 
Ma dice che tale salvezza passa attraverso il giudaismo, e poi attraverso il cristianesimo. “La salvezza è universale, ma passa attraverso una mediazione determinata, storica”. E lo sottolinea usando la parola “porta”: “la porta della vita è aperta a tutti”. In pratica Benedetto XVI riafferma che la salvezza è solo in Cristo (2 Timoteo 2,10), e questo è un passaggio obbligato.
 
Nella teologia contemporanea vi è spesso opposizione. Qualcuno dice: la salvezza è universale, quindi non c’è bisogno di Cristo; altri dicono: fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.
 
In una visione semplice, partendo dai testi biblici, Ratzinger risolve questa opposizione: la salvezza è il Cristo, annunciato o preparato dall’Israele storico, e prolungato dall’Israele spirituale che è la Chiesa. Il ruolo della Chiesa è perciò indispensabile, anche se non assoluto.
 
Necessità della missione per ritrovare il senso della nostra fede
 
Tutto questo è importante per noi in Medio Oriente.  Dal punto di vista sociologico ci sentiamo nell’impossibilità di praticare la missione verso i musulmani, che sono la maggioranza del nostro popolo, di invitarli a scoprire il Vangelo e la salvezza assoluta che viene dal Vangelo, perché le leggi lo vietano.
 
Ho visto ieri il vescovo di Algeri che mi diceva di aver passato due ore con il ministro del Culto, su questa questione [leggi anti-proselitismo, che frenano la libertà di annunciare]. Al punto che alcuni vescovi e tanti missionari si rifiutano di battezzare musulmani che pure chiedono il battesimo da anni, per paura di far loro perdere elementi della loro cultura!
Dal punto di vista teologico il discorso del papa corregge quelle teologie (come alcune indiane e molte “teologie delle religioni” diffuse in Occidente) che predicano che non è necessario il passaggio per il Cristo. Un missionario mi diceva: il Concilio Vaticano II ha stabilito che tutti possono essere salvati nella loro religione; perché dunque battezzarle?
 
Le nostre Chiese in Oriente hanno perso il senso missionario concentrandosi sulla sopravvivenza. Ma la sopravvivenza di un corpo non avviene se sto solo a guardare il problema fisico: diviene un’asfissia. Ed è quanto succede alle nostre Chiese: siamo talmente interessati a salvare la nostra cultura, la nostra particolarità, la nostra sopravvivenza, che alla fine ci occupiamo di piccolezze, invece di vedere la nostra missione mondiale.
 
Anche in Europa stiamo morendo perché tutta l’epoca missionaria, quella in cui dall’Italia e dalla Francia andavano dappertutto, non c’è più. Oggi siamo talmente preoccupati di noi stessi e dei nostri problemi che si perde il senso missionario. Dobbiamo ritrovare questo senso.  Anche ridurre la nostra missione a opere caritative, a impegno per lo sviluppo non è soddisfacente.
 
La terra
 
Proseguendo, Benedetto XVI parla di una salvezza legata alla terra: “Dio si rivela così come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (cfr Esodo 3,6), che vuole condurre il suo popolo alla ‘terra’ della libertà e della pace”. Ma – aggiunge – “questa ‘terra’ non è di questo mondo”.
 
Queste affermazioni sono importantissime per il Medio Oriente dove è diffusa tutta una teologia e una politica basata sulla “terra”: la questione di Gerusalemme, l’Israele di oggi (o quello dei sionisti, fino al Nilo e all’Eufrate), la Palestina… Tutta la problematica della terra è fondamentale. E ognuno la rivendica per sé. Gli ebrei rivendicano la Terra Santa in nome della promessa divina della “terra”; i musulmani la rivendicano perché fa parte del “Dâr al-Islâm”, la Casa dell’Islam. Ma il papa dice: è una terra non di questo mondo.
 
Eppure, Gerusalemme, per i cristiani – più che per chiunque altro – è la terra dove Gesù ha vissuto, ha predicato ed è morto. Ma la Chiesa cattolica non ha mai rivendicato, almeno nei tempi moderni, che essa sia una terra cristiana. Ha solo rivendicato la libertà di accesso, anche ai tempi delle crociate.
 
Invece gli ebrei nella loro maggioranza, dicono: No, questa terra non la lasceremo mai (e ci sono anche coloni che lottano militarmente per occuparla!). In verità va detto che vi sono pure ebrei che spiritualizzano il legame con la terra. I musulmani a loro volta dicono che ciò che è stato una volta musulmano, non si può più lasciare. I cristiani d’Oriente dovranno sempre sottolineare, che questa “terra” non è di questo mondo. É un nostro contributo alla pace e alla giustizia.
 
Il Medio Oriente, “terra” di tutti
 
Anche lo sguardo che Benedetto XVI ha sul Medio Oriente è speciale: “è la terra di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; la terra dell’esodo e del ritorno dall’esilio; la terra del tempio e dei profeti; la terra in cui il Figlio Unigenito è nato da Maria, dove ha vissuto, è morto ed è risorto; la culla della Chiesa, costituita per portare il Vangelo di Cristo sino ai confini del mondo”.
 
Questa enumerazione in cinque elementi è meravigliosa! Il papa collega questa visione (“dall’alto”, secondo la prospettiva di Dio)
·         alla fede di Abramo (in cui possiamo vedere anche l’inserimento dei musulmani, per i quali Abramo è padre nelle fede, e più largamente a tutti quelli che cercano Dio in cuor loro!);
·         all’Israele storico: “la terra dell’esodo e del ritorno dall’esilio; la terra del tempio e dei profeti”; ma forse anche di tutti quelli che “ritornano dall’esilio” che sono oggigiorno innumerevoli;
·         al cristianesimo storico: “la terra in cui il Figlio Unigenito è nato da Maria, dove ha vissuto, è morto ed è risorto” (da notare che la passione è sempre collegata alla risurrezione, senza la quale non ha senso);
·         infine per sottolineare “la culla della Chiesa, costituita per portare il Vangelo di Cristo sino ai confini del mondo”, cioè l’evangelizzazione. Ancora una volta, la missione della Chiesa è di nuovo sottolineata con questo “per”.
Non possiamo escludere nessuna dimensione dal Medio Oriente, ma non possiamo dimenticare che tutto questo è orientato alla missione. Questa meraviglia della rivelazione dell’amore di Dio in Cristo non posso tenerla per me: anche i musulmani hanno diritto a conoscere Gesù Cristo.
 
Conclusione : il disegno di Amore universale di Dio
 
Infine, un ultimo aspetto: guardare il Medio Oriente nella prospettiva di Dio significa che esiste “un disegno universale di salvezza nell’amore”. La salvezza nell’amore si esplica nella libertà e non può essere proselitismo. Tutto ha compimento in Gesù Cristo, figlio di questa terra. Dal suo cuore e dal suo spirito, la Chiesa è nata (allusione alla morte di Cristo sulla croce, col suo costato aperto e l’acqua e il sangue che scorre); essa è pellegrina in questo mondo, assume il suo ruolo universale salvifico: segno, e strumento, cioè sacramento di Cristo. La Chiesa che ha come missione la comunione e la testimonianza.
 
Il messaggio di salvezza è l’annuncio che Dio è amore. L’uomo, creato a immagine di Dio, ha come compito di riconoscere la natura vera di Dio, e di salvarsi vivendo l’amore e diffondendolo. La Chiesa è segno e strumento solo se vive la comunione d’amore.
 
“La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”, ecco il motto di questo Sinodo, come l’ha sviluppato Benedetto XVI ieri nell’omelia
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buona notte

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Omelia per il 15 ottobre 2010

omelia:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10804.html

Omelia (19-10-2007) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.

Come vivere questa Parola?
Un paragone suggestivo e tenerissimo, un’affermazione che spreme consolazione e coraggio per quanti credono alla parola di Gesù. Egli ha parlato in questo modo davanti a una folla talmente numerosa che gli ascoltatori « si calpestavano a vicenda ». Era arrivato al cuore del suo insegnamento che è la rivelazione della tenerezza infinita del Padre: del suo volere tutti salvi. Però era partito da un atto di verità tutt’altro che indolore: quello di ‘scoprire’ sul volto dei suoi ascoltatori la maschera e buttarla all’aria senza inutili riguardi. « Guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia », aveva detto. E non è difficile immaginare la reazione di molti che lì, in mezzo alla folla, si sono sentiti pungere nel vivo della loro inautenticità.
Questa volta e tutte le altre volte che prese a fustigare le bugie esistenziali del voler sembrare quel che non si è, Gesù ha in certo senso fabbricato, pezzo per pezzo, la sua condanna a morte. Senza ritrarsene mai! Eppure quanta luce anche solo in questa semplice pericope di oggi.
Il Signore ci mette sull’avviso: la tentazione di correre dietro ciò che ‘scintilla’ e non è, ecco il pericolo mortale della nostra pace. Perché è questo falso scintillio che c’impedisce di accogliere nel profondo, l’unica verità che conta: sapersi amati.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiedo al Signore di liberarmi da ogni smania di ‘apparire’ per imparare a ‘essere’ semplicemente quello che sono: una creatura infinitamente amata, a cui l’Amore del Padre Celeste tiene a tal punto che sono dentro la rete della sua Provvidenza e niente mai (se io non lo voglio con deliberata volontà malvagia), niente assolutamente può farmi del male: né oggi né mai!

Signore, perfino i passeri del cielo tu guardi con tenero interesse. Fammi vivere la certezza che tanto più guardi a me; ma – ti prego – fammi ‘vero’, semplice, leale, sincero in Te!

La voce di una mistica del XX° secolo
Vorrei, Signore, perdermi nel tuo seno, come una goccia d’acqua in un immenso mare; distruggi in me ciò che non è divino, perché la mia anima, libera, nel tuo essere si slanci. 

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