FESTA DI TUTTI I SANTI

dal sito:
http://www.diocesivolterra.it/Pagine/omelie.asp
S.E. Mons. ALBERTO SILVANI
VOLTERRA BASILICA CATT. OGNISSANTI MERCOLEDÌ 1° novembre 2007 (ANNO C)
Noi fin d’ora siamo figli di Dio (1Gv 3,2)
Ap 7,2-4.9-14: Vidi una moltitudine immensa, di ogni nazione.
Sal 23: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
1Gv 3,1-3: Vedremo Dio cosi come egli è.
Mt 5,1-12: Rallegratevi ed esultate, grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Carissimi fratelli e sorelle,
La liturgia di oggi ci presenta come in un grande affresco la nostra realtà futura: una moltitudine immensa, di ogni razza lingua, popolo e nazione, tutti in piedi attorno al trono dell’Agnello per cantare le sue lodi. Un posto privilegiato è riservato ai martiri, a coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. In questa moltitudine immensa noi possiamo vedere anche i nostri cari defunti che sono morti nel segno della fede. Ma quella che sarà la realtà futura è già iniziata e anticipata qui su questa terra. Ci ha detto l’apostolo: noi fin d’ora siamo figli di Dio, anche se non è ancora rivelato in pieno quello che saremo. Però fin d’ora siamo figli di Dio (1Gv 3,2). E per arrivare alla completezza di questa filiazione con Dio dobbiamo seguire la via delle beatitudini tracciata nel Vangelo. La festa di oggi dunque è la festa della santità della Chiesa, completamente realizzata nei nostri fratelli che già sono giunti a destinazione, già iniziata in noi che fin d’ora siamo figli di Dio e possiamo rivolgerci a lui chiamandolo Padre. “Verso la patria comune noi pellegrini sulla terra affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi nostri fratelli che ci hai dato come amici e modelli di vita” (Liturgia Eucaristica).
La Chiesa è stata scelta dal mondo e santificata dallo Spirito Santo di Dio (1Pt 1,1.2); quindi essa vive nella sfera divina ed è santa anch’essa, è il sacerdozio regale, il popolo santo (1Pt 2,9). Sottratta al mondo, chiamata e trasferita nell’ambito di Dio, la chiesa partecipa della santità di Dio ed è essa stessa santa (At 9,32; Rm 1,7; Ef 1,15; Ap 5,8; …). Infatti Cristo, il Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato ‘il solo santo’, amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla, l’ha unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo per la gloria di Dio (Ef 5,25-27). Tutti nella Chiesa sono chiamati alla santità. Vige per lei l’antica prescrizione del Levitico: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 19,2).
La Santità non consiste nell’andare a farsi lapidare dai Turchi o nel baciare un lebbroso sulla bocca (P. CLAUDEL, L’Annoce à Marie, prologo), ma nel fare la volontà di Dio senza indugi, sia che si resti al nostro posto, sia che si salga più in alto. La santità è la gioia. Dire di qualcuno che è santo significa semplicemente dire che, attraverso la sua vita, si è rivelato un meraviglioso conduttore di gioia, come di un metallo si dice che è buon conduttore quando lascia passare il calore senza dispersione, come di una madre si dice che è una buona madre quando si lascia divorare dalla fatica per i figli. In ogni tempo come in ogni razza, la grazia riesce a creare sempre nuovi santi, che possono essere provvisoriamente intaccati , ma che nonostante gli attacchi resistono, perché sono aiutati dalla grazia.
Lo Spirito Santo scrive nel cuore e nella vita di ogni battezzato un progetto d’amore e di grazia, che solo può dare senso pieno all’esistenza, e aprire la via alla libertà dei figli di Dio. Lo Spirito Santo non solo aiuta a mettersi in sincerità davanti ai grandi interrogativi del proprio cuore (da dove vengo, dove vado, chi sono, qual è il fine della vita, come impegnare il mio tempo), ma ci abilita all’offerta del proprio personale e insostituibile contributo al progresso dell’umanità sulla via delle giustizia e della verità, ed apre la strada a risposte coraggiose nella vita consacrata. La scoperta che ciascun uomo e donna ha il suo posto nel cuore di Dio e nella storia dell’umanità costituisce il punto di partenza per una nuova cultura vocazionale.
La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: esiste infatti perché creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato (GS 19). La paralisi della paura di fronte alle difficoltà è sempre dietro l’angolo. Questo forse è il maggiore ostacolo alla vocazione in tanti giovani che istintivamente sarebbero disposti a rispondere sì a una chiamata esigente ma entusiasmante: quella di essere Diaconi o Presbiteri nella Chiesa. Eppure il considerare la vita come vocazione favorisce la libertà interiore, stimola nel soggetto la voglia di futuro, lo porta a rifiutare una concezione dell’esistenza passiva, noiosa, banale. La vita assume così il valore di dono ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato. Scriveva il beato Pier Giorgio Frassati: “Vivere senza fede, senza grandi ideali da difendere, senza sostenere la verità lottando con coraggio, non è vivere, ma far finta di vivere. Noi non dobbiamo far finta di vivere, ma vivere”. Questo dunque l’augurio che ci scambiamo: la vocazione alla santità si concretizzi in una vita donata a Dio e ai fratelli.
dal sito:
http://www.cmroma.it/cat_vin/Omelie.php?itemid=503
FESTA DI TUTTI I SANTI
Let. Ia Apoc. 7, 2 – 14
IIa 1a Gv 3, 1 – 3
Vang. Mt. 5, 1 – 12a
(sabato 01 novembre 2008)
Introduzione
La Solennità di tutti i Santi, che oggi celebriamo, ci fa pensare ai modelli più alti della Santità Cristiana.
E ciò è per noi un richiamo alla vocazione alla Santità, che tutti abbiamo ricevuto nel Battesimo: tutti infatti siamo chiamati a ricopiare in noi il volto e i sentimenti di Gesù Cristo.
Mentre perciò ci uniamo alla schiera immensa di Coloro che dinanzi al Trono di Dio benedicono il suo nome, consapevoli che il maggior ostacolo alla Santità è il peccato, domandiamo perdono al Signore dei nostri peccati.
OMELIA
La Solennità di tutti i Santi ci ricorda che dobbiamo sempre essere alla ricerca di Dio, l’unico che la Sacra Scrittura dice « Santo ».
La Parola proclamata ci porta prima di tutto a guardare il Cielo, dove sono giunti i fratelli che, precedendoci nel segno della Fede, hanno realizzato il progetto di amore di Dio e si sono incontrati definitivamente con Lui.
In secondo luogo ci invita a considerare la nostra altissima dignità di Figli di Dio e in fine a seguire la via evangelica delle Beatitudini Evangeliche per essere Discepoli di Gesù Cristo .
Prima però di soffermarci a riflettere su questi punti è necessario sfatare una falsa idea di Santità, che considera i Santi come esseri eccezionali, fuori dagli schemi del comune vivere umano con la conclusione: loro i Santi sono fortunati perché sono stati così; noi invece siamo dei poveracci, che non abbiamo la stessa fortuna.
No, dobbiamo invece considerare questa Solennità una Festa di Famiglia, che ci deve far sentire la realtà sublime dell’unica Santità, a cui tutti siamo chiamati.
Dice il Concilio nella Lumen Gentium: « I Discepoli di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù, Signore, nel Battesimo della Fede sono stati fatti veramente Figli di Dio e compartecipi della natura divina e perciò realmente Santi. Essi, quindi, devono con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta ».
Ma cerchiamo di approfondire il messaggio delle Letture/
l’Apocalisse ci parla di una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua.
Una moltitudine immensa, e tuttavia non una folla anonima senza un volto preciso.
Nessuno è anonimo per Colui che chiama ciascuno per nome e ci ha redento con il suo sangue e ci santifica con il suo Spirito.
La moltitudine immensa , che la visione dell’Apocalisse descrive, proviene da ogni nazione, popolo e lingua. Tutti gridano: » La salvezza appartiene al nostro Dio ».
E la salvezza costituisce la loro felicità, la loro autentica realizzazione. Essi sono beati perché sono totalmente e perfettamente salvati dall’Agnello che è Gesù Cristo.
Nella Liturgia i Santi più noti della Storia della Chiesa vengono onorati durante l’anno singolarmente, ma oggi la Chiesa intende onorare in modo particolare tutti quelli che soltanto Dio conosce.
Ecco allora che viene spontanea la domanda: chi sono i Santi? Sono coloro che Dio ha chiamato e che hanno risposto con tutta la loro vita alla chiamata divina; sono coloro che Dio ha segnato con il suo sigillo, lo Spirito Santo, « che è garanzia della futura eredità; di quella piena liberazione che Dio ci darà perché possiamo lodare la sua grandezza ». (Ef. 1, 14)
I Santi sono coloro che sono passati attraverso ogni genere di prova e si sono purificati con il sangue dell’Agnello. I Santi sono dunque il frutto della redenzione operata da Cristo con il suo sangue. essi sono le spighe mature pronte per essere mietute; essi sono i grappoli maturi pronti per essere vendemmiati.
La festa di tutti Santi è dunque come la festa della mietitura e della vendemmia.
Mietitura e vendemmia che corrispondono all’ardente preghiera che Gesù ha rivolto al Padre prima di offrirsi in sacrificio per noi: « Padre voglio che dove sono io, siano anche quelli che Tu mi hai dato ».
I Santi sono quindi coloro che Gesù ha attirato a sé quando è stato innalzato sulla Croce; essi sono i Figli di Dio, che erano dispersi e che Gesù ha ricomposto in unità mediante il suo sacrificio.
La festa di oggi infatti esprime bene questa dimensione universale e comunitaria: universale perché raccoglie una moltitudine immensa di ogni nazione, razza popolo e lingua; comunitaria perché nessuno si salva separato dagli altri, ma come membro del Corpo Mistico di Cristo.
E’ il Cristo totale Capo e Corpo, che viene glorificato nella Festa di tutti i Santi.
L’ardente voto di Gesù è stato esaudito ed Egli può dire: « Io sono glorificato in essi ».
Questa gloria di Cristo che risplende nei suoi Santi è fondata sul fatto che essi hanno accolto le sue parole; quelle parole che il Padre ha dato al Figlio e questi a sua volta ha dato loro.
Sono le Beatitudini, la sintesi del messaggio evangelico; esse sono come una forza liberante ed elevante; non sono norme imposte dall’esterno, ma un dinamismo interiore e una esperienza di vita nuova ed eterna, secondo l’affermazione stessa di Gesù: « Le parole che vi ho detto danno la vita perché provengono dallo Spirito di Dio » (Gv. 6, 63 ).
Il Messaggio con cui Gesù inaugura il Regno di Dio è rivolto a tutti gli uomini senza distinzione di tempo e di luogo, di età o di condizione.
Tutti sono chiamati al Regno e quindi alla santità.
Ma solo chi accoglie la Parola di Cristo e decide di seguirlo diventa discepolo insieme con gli altri che come lui hanno accolto la stessa parola e si sono messi a seguirlo.
Ecco chi sono i Santi : sono coloro che hanno preso sul serio le Beatitudini e si sono impegnati a viverle, seguendo Cristo povero e umiliato, affamato e assetato di giustizia, misericordioso e pacificatore, condividendone la sorte, sicuri di essere eredi insieme con Lui.
Ecco quindi il punto di verifica che ci propone oggi la Chiesa: Siamo disposti a sottoporre la nostra vita al vaglio delle Beatitudini, per capire se siamo o no sulla via del Regno che è la via della Santità alla quale tutti siamo chiamati?
Forse ci manca il coraggio perché non crediamo abbastanza all’amore con cui siamo amati!
Eppure il Signore vuole che noi siamo davvero membra vive del suo Corpo ,tralci consapevoli di essere uniti a Lui che è la vera vite.
La santità diventa allora storia quotidiana delle nostre scelte, delle nostre decisioni ed è molto bello pensare che Dio Padre ama in noi il Cristo suo Figlio, che vive in noi; è molto bello pensare che Dio Padre guarda in noi il volto di Cristo e ci tiene nel suo cuore.
Per questo possiamo essere santi e abbiamo il nostro posto, come assicura Gesù, già pronto nel suo Regno.
La Santità è anche speranza e tensione al Regno di Dio e perciò diventa impegno generoso, capacità di distacco e di donazione umile e servizievole, che porta l’anima a quel rapporto profondo con Dio, che riempie il cuore di semplicità, di fiducia e di vera novità di vita.
Conclusione:
La conclusione di queste riflessioni ci è suggerita dalla lettera di Giovanni, che ci dice che già ora siamo realmente partecipi della vita divina, siamo Figli di Dio per il Battesimo.
La santità quindi non è solo una realtà futura, ma è già un bene presente in noi.
La tensione tipicamente cristiana è tra » un siamo Figli » e un « saremo simili a Lui »; tra un « già » e un « non ancora ».
Ma S. Giovanni pone l’accento soprattutto sul « già », su quello che Gesù Cristo ha già compiuto per noi e su quello che siamo diventati per mezzo di Lui.
Preghiamo perciò perché il Signore, per intercessione dei Santi e di Maria Santissima, Regina dei santi, ci dia la coscienza della nostra vocazione alla Santità e la grazia di realizzarla con costanza attraverso una vita piena di opere sante. Amen!
dal sito:
http://www.adonaj.net/old/parabole/gesu_zaccheo.htm
GESU’ E ZACCHEO
Incontro e salvificio di un peccatore
Luca 19,1-10
Entrato in Gerico, Gesù attraversava la città. Ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, che era sovrintendente degli esattori del fisco e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non ci riusciva a causa della folla perché era piccolo di statura. Corse dunque avanti e per poterlo vedere salì sopra un sicomoro, perché doveva passare di là.
Quando Gesù arrivò sul posto, alzò lo sguardo, e gli disse: Zaccheo, presto, vieni giù perché oggi debbo fermarmi a casa tua. Egli discese in fretta e lo accolse con gioia in casa. E tutti, vedendo ciò, incominciarono a mormorare dicendo: E’ andato ad alloggiare in casa di un peccatore. Ma Zaccheo, fattosi avanti, disse al Signore: Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo. Disse allora Gesù a lui: Oggi in questa casa è entrata la salvezza, perché anche lui è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
Non ci fa meraviglia che il tema della misericordia ritorni con tanta frequenza nella Liturgia perché Dio è misericordia infinita, inesauribile e perché noi uomini siamo massimamente bisognosi di misericordia. Dio che ci ha creati in un atto d’amore, ci ricrea giorno per giorno in un incessante atto di misericordia col quale ripara la nostra debolezza, perdona le nostre colpe, ci redime dal male.
« Hai compassione di tutti, perché puoi tutto, dimentichi i peccati degli uomini perché si convertano. Poiché tu ami tutte le cose esistenti, non disprezzi nulla di quanto hai creato » (Sp.11,23-24).
Prima di entrare in Gerico, Gesù aveva incontrato un cieco che si protendeva in mezzo alla folla e gridava verso di lui invocando il dono della vista. La conversione di Zaccheo a Gerico è l’ultimo episodio del viaggio di Gesù a Gerusalemme. Dobbiamo sapere che Gerico era la sosta obbligata per i pellegrini che provenivano dal nord attraversando la Perea. Vale a dire una cittadina di frontiera e di collegamento per il commercio con i paesi sud-orientali.
E’ in questa realtà che prosperavano i funzionari della dogana e del dazio. Zaccheo è appunto un esattore capo e di conseguenza ricco. Le due qualifiche, funzionario del fisco e ricco, fanno di Zaccheo un caso disperato. Non solo egli appartiene alla categoria dei peccatori, ma è anche ricco. E sappiamo dall’episodio del notabile ricco che è impossibile che un ricco si salvi (Lc.18,24-25). Tuttavia nell’incontro con Gesù capita l’imprevedibile. Pare quasi che San Luca si sia divertito un poco e con una certa simpatia l’espediente cui ricorre Zaccheo per vedere Gesù. E’ curiosità quella che lo spinge o interesse indefinito?
Qui dobbiamo fare subito una prima breve riflessione. San Luca non fa la psicologia della conversione, ma descrive le grandi tappe del cammino salvifico secondo un modello ideale. Ecco Zaccheo, piccolo di statura, che sfida la calca della folla e si arrampica su un albero (sicomoro) desideroso anche lui di vedere: vuol conoscere il Maestro di cui ha sentito parlare e forse anche descrivere la bontà proprio verso i pubblicani. Era una cosa inaudita, infatti, che un maestro di Israele si occupasse di questi uomini sfuggiti e odiati da tutti per la loro professione di impiegati dell’impero romano e ritenuti nemici del popolo. Zaccheo è il loro capo e quindi più malvisto degli altri; e poiché è ben conosciuto non può passare inosservato. Ma lui non si preoccupa della gente né teme di esporsi al ridicolo, alle beffe, vince ogni complesso di dignità e di prestigio; gli preme soltanto di vedere il Signore e attende il suo passaggio spiando dall’alto dell’albero.
« Or quando giunse sul luogo, Gesù guardò in alto e gli disse: « Zaccheo, scendi in fretta perché oggi devo fermarmi a casa tua ». Gesù sa molto bene chi è Zaccheo: un pubblicano arricchito con soldi estorti al popolo; tuttavia non lo disprezza e neppure lo rimprovera, anzi si rivolge a lui con un simpatico gesto di amicizia: vuole andare a casa sua. A questo punto s’innesca la seconda parte della scena nella quale Gesù prende l’iniziativa. Gesù entra di prepotenza nella vita di quest’uomo, solidarizzando con lui senza mezze misure, sfidando le critiche dei benpensanti.
Da parte sua Zaccheo non avrebbe mai sognato una simile proposta, scende in fretta dall’albero e lo accoglie pieno di gioia. Ovviamente, la gente mormora scandalizzata; lui lascia dire; ha cose ben più importanti da trattare col Maestro che ormai gli ha toccato il cuore. Davanti a Gesù Zaccheo decide un cambiamento radicale. Conversione per un ricco significa dire nuovo modo di usare i beni e nuovi rapporti di giustizia sociale. « Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri; e se ho commesso frodi ai danni di qualcuno restituisco il quadruplo ».
E’ il segno di una conversione coraggiosa, piena, totale; è bastata la presenza e la bontà misericordiosa del Signore per illuminare la coscienza di un uomo senza scrupoli, impelagato nei soldi, avvezzo ai guadagni ingiusti.Ma da parte di Zaccheo c’è stata una buona disponibilità che lo ha aperto alla grazia: il desiderio sincero di vedere, di incontrare Gesù. Ed ora si sente dire: « Oggi la salvezza è giunta in questa casa…; il Figlio dell’uomo è venuto infatti a cercare e salvare quello che era perduto ».
Al pubblicano considerato dai farisei un peccatore irrimediabilmente perduto, è stata offerta la salvezza ed egli l’ha accettata aprendo la sua casa e il suo cuore al Salvatore. La medesima offerta Gesù Cristo non cessa di farla anche oggi ad ogni uomo: « Ecco, sto alla porta e picchio. Se uno sente la mia voce e apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui e lui con me » (Ap.3,20). Dio, nella sua infinita misericordia, non si accontenta di convertire gli uomini e di perdonarli, ma offre ad ognuno la sua amicizia, invitando ognuno alla comunione con lui.
Cari fratelli e sorelle, se anche noi non saliamo sopra un sicomoro, non significa sottrarsi al rischio che questo momento di grazia, questa possibilità, passi inutilmente accanto a noi? Dobbiamo correre avanti, appostarci per rendere possibile l’incontro. Lui rispetta moltissimo la nostra libertà: se non vede il nostro desiderio di incontrarlo passa oltre: ne soffrirebbe troppo ma passerebbe oltre, lasciandoci così come siamo.
Dobbiamo fare di tutto per identificare il nostro sicomoro: la natura? Il silenzio? Un amico? Una chiesa? La comunità? La preghiera? I sacramenti? Un prete? Una suora? O quant’altro ancora…Con una certezza però, che il nostro atto di volontà è la via per l’incontro che cambia l’esistenza tutta.
Amen, alleluia, amen!
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/20190.html
Omelia (31-10-2010)
mons. Gianfranco Poma
E’ andato ad alloggiare nella casa di un peccatore
Anche nella domenica XXXI del tempo ordinario leggiamo una pagina splendida e molto nota del Vangelo di Luca: è l’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc.19,1-10). Nella parte del cap.18 omessa dalla lettura liturgica, Luca descrive l’incontro di un altro uomo, un capo, con Gesù. Alla richiesta di Gesù: « Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni, segui me », quello risponde allontanandosi, triste, perché era molto ricco. Allora Gesù, commenta Luca, « avendo visto che era diventato triste, disse: Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio ». A questo punto, continua Luca, « coloro che avevano sentito, dissero: E chi può essere salvato? E Gesù allora disse loro: Ciò che impossibile per gli uomini, è possibile per Dio ». (Lc.18,18-27)
La pagina che oggi leggiamo pone al centro precisamente un uomo ricco, e mostra l’azione di Dio che rende possibile l’impossibile, facendo gustare la gioia della salvezza a chi con le proprie forze aveva raggiunto la ricchezza ma non la felicità.
Gesù è giunto a Gerico, l’ultima tappa del viaggio verso Gerusalemme: qui Gesù si ferma e Luca crea una specie di pausa narrativa nella quale riassume tutti i temi già affrontati durante il viaggio, mettendo in scena diversi personaggi che incontrando Gesù, trovano risposta alla loro implorazione. Così, Luca servendosi dell’unità geografica, tiene insieme una complessa unità tematica. Gerico è la città che si trova a trecento metri sotto il livello del mare: occorre salire per arrivare a Gerusalemme; è la città che Dio ha donato a Giosuè che entrava nella terra promessa e che non era riuscito a conquistare con le sue forze. Gerico diventa il simbolo del passaggio dalla povertà alla situazione nuova di una umanità realizzata, non per opera delle forze dell’uomo, ma per dono di Dio. E questo è appunto il tema che Luca illustra nella sosta di Gesù a Gerico: la vera ricchezza dell’uomo è la vita pienamente realizzata, quella che il linguaggio biblico chiama la salvezza, che l’uomo non può raggiungere con le sole sue forze ma che Dio gli dona gratuitamente quando la implora dal profondo del suo cuore. Zaccheo ha vissuto questa esperienza, e il Vangelo la propone a noi perché nella Liturgia anche noi la viviamo.
Gesù è entrato e sta percorrendo la città di Gerico: Gesù è la presenza di Dio che è disceso nel profondo dell’umanità e ne percorre tutta l’esperienza. Questo brano è di una densità inesauribile: Luca tratteggia un quadro con pennellate decise ed essenziali, tocca al lettore o all’ascoltatore liturgico, tocca a ciascuno di noi farlo vivere, sentirlo con la nostra sensibilità, e storia personale. Gesù è il Dio presente: suscita una fede che libera l’uomo dal male che lo opprime, capovolge le situazioni della vita dell’uomo, ma chi è questo Gesù? « Ed ecco, un signore di nome chiamato Zaccheo: e questo era capo dei pubblicani e questo era ricco ». Luca insiste nella descrizione di Zaccheo: doveva essere ben noto a Gerico, è uomo di potere ed è uomo ricco. Poteva essere soddisfatto di quello che era e di quello che aveva: la sua vita sarebbe stata chiusa, finita, morta. Ma Zaccheo è ancora vivo: « cercava di vedere Gesù ». I verbi all’imperfetto usati qui da Luca non si limitano a descrivere un fatto, ma piuttosto una situazione che dura, una passione che accompagna l’uomo. Nel profondo dell’uomo potente e ricco rimane una domanda, una implorazione che non può essere eliminata se l’uomo è sincero con se stesso: cercava Gesù, cercava di vedere Gesù, « chi è ». « Chi è Gesù »: quest’uomo che è entrato nella storia per rendere visibile l’invisibile. « Cercava di vedere Gesù, chi è »: la frase di Luca è proprio così. Esprime la curiosità di Zaccheo, ma esprime anche molto di più: l’insopprimibile tensione dell’uomo verso il mistero che Gesù immette nella storia. « E non poteva per la folla, perché era piccolo di statura ». Anche questa frase può essere letta in molti modi: certo nel senso immediato, narrativo, ma si può pensare anche che Zaccheo, uomo potente e ricco, abbia il suo nome da difendere: il prestigio di cui gode di fronte alla folla gli impedisce di lasciar uscire dal profondo del suo cuore il bisogno di Dio che lo inquieta: anche Zaccheo è un piccolo uomo. E ancora una volta Zaccheo dimostra di essere un uomo vivo: non ha paura della sua piccolezza, non fa calcoli sulla sua figura di fronte alla folla, semplicemente decide: « correndo avanti, salì su un sicomoro per vedere Gesù, che stava per passare ». Vedere Gesù in quell’attimo nel quale egli stava passando nella sua vita, non perdere Gesù: Zaccheo ha percepito in quell’attimo che Gesù è il senso pieno della sua vita. Adesso entra Gesù nella sua vita: ma chi è questo Gesù che sta lì sotto e lo chiama, mentre lui, per vederlo si è innalzato? « Zaccheo, in fretta, scendi: oggi infatti nella tua casa bisogna che io rimanga »: anche questa frase, richiede un impegno personale particolare, se ne vogliamo capire la densità del contenuto. Zaccheo è invitato a « discendere », ad abbandonare la sua autostima, il potere, la ricchezza: solo discendendo potrà accogliere Gesù che gli rivela il senso della sua missione. Gesù è la presenza di Dio, la vita, l’amore che vuole rimanere con lui, riempire la sua vita, il suo tempo, i suoi spazi (« oggi » e « la tua casa »). E Zaccheo ascolta la parola di Gesù: « in fretta discese », la sua vita ha cambiato direzione (« è disceso »); non è più chiuso nella sua solitudine triste: « lo accolse rallegrandosi » (è la gioia dell’esperienza messianica, la gioia del sentirsi amato da Colui che è entrato nella sua vita e del sentirsi aperto all’amore degli altri). Anche l’osservazione che Luca fa a questo momento è molto importante: « Vedendo, tutti mormoravano dicendo: Presso un uomo peccatore è entrato a dimorare! » La reazione che normalmente è quella degli scribi e dei farisei, qui è di « tutti », anche i discepoli, la folla, gli avversari mormorano: Luca vuole provocarci, anche noi, anche la sua Chiesa, siamo coinvolti con questi « tutti »! Siamo di fronte alla sconvolgente, scandalizzante novità del Vangelo: Gesù scardina le categorie religiose fondamentali che separano radicalmente la santità dal peccato, il sacro dal profano, Dio dagli uomini peccatori. Gesù rivela il volto di un Dio la cui santità agisce in favore dell’uomo, non separa, non allontana, ma entra nella quotidianità della sua vita, la ama, la salva. E’ bastato che Zaccheo aprisse il suo cuore, la sua porta: Gesù è entrato, gli ha dato la gioia e lui ha cominciato a donare gioia agli altri. E ha dato gioia anche a Gesù che a sua volta ha dato gioia a Dio, al Dio dell’Alleanza che amando Zaccheo ha introdotto un peccatore nella famiglia di Abramo, il padre di tutti gli uomini che hanno solo bisogno di essere amati per amarsi tra loro .
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/5483.html
Omelia (29-10-2005)
Eremo San Biagio
Dalla Parola del giorno
Quando sei invitato, va a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato, ti dica: Amico, passa più avanti.
Come vivere questa Parola?
Una scena vivace. Gesù entra, di sabato, nella casa di un personaggio di gran conto: un capo dei farisei. La gente è lì con gli occhi puntati sul Maestro. Lui, a sua volta, osserva gli invitati che, come arrivano, con disinvolta prontezza, si assicurano i primi posti al convito. E Lui a dire: «Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto». La ragione che adduce è a misura della sensibilità comune. Fa attenzione! Perché se viene una persona più ragguardevole di te, ti capiterà lo smacco di sentirti invitato da quella persona e dal padrone di casa a cedergli il posto. E chi non pensa: che figuraccia? Ma a Gesù preme, al solito, far « saltare » le false brame dell’uomo, mettere a nudo l’errore fondamentale che è sempre quello di « gonfiarsi » dentro il proprio « ego », a scapito del vero « sé » profondo. A Gesù interessa ripetere qui quello che ha già detto altrove. « Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato ». La « funzionalità » dello scegliere l’ultimo posto è tutta qui. L’ultimo posto è umiltà. E l’umiltà non è quel viscido, ipocrita atteggiamento di dire male di sé ma pensando di essere migliore degli altri. Questa è solo paura del giudizio altrui, Paura di conoscersi e di amarsi come si è, e un dispettoso confrontarsi con gli altri. Beato il giorno in cui capisco che l’ultimo posto è il luogo della mia pace! Sto bene lì, perché lì si è messo Dio stesso. « Non disdegnò di svuotarsi della natura divina per assumere la natura del servo ». « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore ».
Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiedo allo Spirito Santo il coraggio di essere « vero » interiormente. Che cosa desidero più di tutto? In che cosa sto « giocando » la mia vita? È l’ »apparire » o l’ »essere » quel che conta per me?
Signore, liberami dal desiderio di mettermi all’occhiello la bella figura e il consenso altrui. Dammi il tuo amore perché io giochi tutto me stesso solo per amore.
La voce di uno dei più noti evangelisti del XIX secolo
Dio ha due troni. Uno nel più alto dei cieli, l’altro nel più umile dei cuori.
Dwight L. Moody