Archive pour septembre, 2010

Gianfranco Ravasi – Quattro scritti su Gesù

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Gianfranco Ravasi – Quattro scritti su Gesù

GESU’ DI EMMAUS

Nel 1623 un grande musicista tedesco, Heinrich Schùtz, compose uno stupendo oratorio intitolato « Storia della risurrezione » (op. 3). Alla partitura egli aggiunse un post-scriptum di poche ma intense righe: «Signore Gesù Cristo, tu mi hai concesso di cantare la tua risurrezione su questa terra. Nel giorno del tuo giudizio, Signore, richiamami dalla mia tomba e, in cielo, il mio canto, mescolato a quello dei serafini, ti renderà grazie in eterno!». La narrazione evangelica della Pasqua di Cristo, pur nella sua estrema sobrietà, ha una potenza di speranza da aver mosso tanti cuori, in particolare quelli di coloro che hanno voluto riproporre la loro fede attraverso la bellezza dell’arte. Si pensi solo all’indimenticabile cascata di alleluia del Messia di Hàndel (1742).
Ci fermiamo ora su una delle pagine più affascinanti del Vangelo di Luca: i discepoli di Emmaus (24,13-35).
La cornice cronologica è proprio quella del giorno di Pasqua. Due discepoli stanno camminando sulla strada che da Gerusalemme conduce a un non meglio identificabile villaggio di Emmaus. Il Cristo della gloria pasquale non è riconoscibile coi sensi soltanto: è necessaria una via superiore di conoscenza. Due sono le tappe di questo processo di fede: prima l’ascolto delle Scritture spiegate da Cristo in chiave cristiana; poi lo “spezzare il pane” che, nel linguaggio neotestamentario, allude all’eucaristia. In questi termini abbiamo già ciò che ogni domenica facciamo all’interno delle chiese, ascoltando la Parola di Dio e accostandoci alla mensa del Signore.
Nell’ascolto della Parola «il cuore arde nel petto»; allo spezzare del pane «gli occhi si aprono e lo riconoscono». Ma c’è anche quell’indimenticabile implorazione finale: «Rimani con noi perché si fa sera e il giorno sta ormai declinando!». Lasciamo la parola al grande scrittore francese, Francois Mauriac (1885-1970), e alla sua Vita di Gesù (1936): «A chi di noi, dunque, la casa di Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l’avevano preso il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli. Era la sera. Ecco una porta aperta, l’oscurità d’una sala ove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! Rimani con noi, perché il giorno declina…! Il giorno declina, la vita finisce. L’infanzia sembra più lontana che il principio del mondo, e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l’ultimo mormorio degli alberi morti nel parco irriconoscibile…».
Cristo, presenza ineludibile, è «con noi sino alla fine del mondo» (Matteo 28,20). Il celebre scrittore Kafka all’amico Gustav Janouch che lo interrogava su Cristo aveva risposto: «Questo è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitare».

I VOLTI DEL CRISTO

Agli inizi della tradizione artistica cristiana si fu incerti sul raffigurare Cristo con un aspetto brutto – per renderlo vicino agli ultimi e ai sofferenti – o con un profilo affascinante, per far risplendere la perfezione della sua umanità. I Vangeli non ci dicono nulla sulla sua fisionomia esteriore. Molto, invece, sappiamo dei suoi atti e delle sue parole ed è questa la vera bellezza che ha catturato l’umanità. In questa luce si devono leggere le parole che il grande scrittore russo Fiodor Dostoevskij scriveva alla nipote Sonia in una lettera del gennaio 1868: «Tutti gli scrittori che hanno pensato di raffigurare un uomo positivamente bello si sono sempre dati per vinti. Poiché si tratta di un compito sconfinato. Il bello, infatti, è l’ideale. Al mondo c’è una persona sola positivamente bella: Cristo. L’apparizione di questa persona sconfinatamente, infinitamente bella è già un miracolo infinito». E nei Demoni, ancor più provocatorio, il romanziere russo farà di Gesù anche il segno della verità assoluta: «Se mai si dimostrasse matematicamente che la verità è fuori di Cristo, io starei dalla parte di Cristo!».
Certo è che sempre sono state vere le parole lapidarie pronunziate dal vecchio Simeone mentre stringeva tra le sue braccia Gesù neonato: «Egli è segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Luca 2,34-35). Così il filosofo anticristiano tedesco Friedrich W.Nietzsche, che aveva considerato Cristo l’unico cristiano della storia, finito però in croce, nella sua opera Così parlò Zarathustra (1883-85) reagirà in questa maniera: «È morto troppo presto: avrebbe ritrattato lui stesso la sua dottrina, se fosse giunto alla mia età». Eppure anche Nietzsche non poteva prescindere da quella figura di «ebreo pieno di lacrime e di malinconia», come lo definiva al punto tale da intitolare un suo libro L’Anticristo!
È la stessa confessione che farà in piena rivoluzione sovietica (1918) un conterraneo di Dostoevskij, il poeta Alexander Biok (1880-1921) che, al termine dell’opera I Dodici, confessava: «Quando l’ebbi finita, mi meravigliai io stesso: perché mai Cristo? Davvero Cristo? Ma più il mio esame era attento, più distintamente vedevo Cristo. Annotai allora sul diario: Purtroppo Cristo! Purtroppo proprio Cristo!». Una figura imprescindibile, quindi, e “inevitabile” come lo sono le 64.327 parole greche di quei quattro libretti, i Vangeli.
A proposito delle parole di Gesù, della loro bellezza e forza è suggestivo quello che scrisse un altro scrittore ateo, il francese André Gide (1869-1951), che ebbe un rapporto tormentato con Cristo. Confessava nella sua opera Numquid et tu? (1922): «Penso che non si tratti di credere alle parole del Cristo perché il Cristo è figlio di Dio, quanto di comprendere che egli è figlio di Dio perché la sua parola è divina e infinitamente più alta di tutto ciò che l’arte e lasaggezza degli uomini possono proporci. Signore, non perché mi sia stato detto che tu eri il figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana, e da questo io riconosco che sei il figlio di Dio».
 
L’ « AGONIA » DI GESU’

Ci stiamo avvicinando al vertice della Quaresima: i giorni ci conducono a quell’evento capitale della fede cristiana che èla morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Quella vicenda è giunta a noi attraverso le pagine altissime dei Vangeli che sono divenute anche una sorgente di arte e di bellezza. Lo stesso dolore è trasfigurato, la morte è glorificata, il silenzio di Dio diventa parola misteriosa. Noi ora ci fermeremo su una scena preliminare, quella che si consuma sotto gli ulivi del Getsemani: alcime analisi scientifiche hanno rivelato nei loro ceppi una datazione di 2.500 anni. Gesù sotto lo stormire di quelle fronde aveva a lungo pregato in solitudine, rivelando in quell’appello rivolto al Padre celeste tutta la realtà della sua umanità: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice…». Luca, l’evangelista che era stato medico, aveva segnalato anche quella terribile “diapedesi” della pelle di Cristo, giunta persino a trasudare sangue.
L’intensità di questa “agonia” di Gesù potrebbe essere riproposta anche attraverso la forza dell’arte che l’ha voluta spesso raffigurare. Pensiamo solo alI’emoziònante tela di Andrea Mantegna(1460), conservata al museo di Tours, con la pesante materialità dei discepoli assonnati in primo piano e col Cristo sospeso su una rupe, solitario in tesa orazione. «Gesù sarà in agonia sino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento», scriveva Pascal, il celebre filosofo francese nei suoi Pensieri (n. 736). Un tema che percorrerà anche un notissimo romanzo – divenuto anche un film bellissimo di Bresson- dello scrittore francese Bernanos, il Diario di un curato di campagna (1936), il cui protagonista è definito «prigioniero della santa Agonia».
Un altro francese, il poeta Alfred de Vigny, nel 1839 aveva proposto nel Monte degli Ulivi quelle ore notturne vissute da Gesù e le aveva trasformate nei simbolo dell’angoscia di ogni persona, quando attorno ad essa si addensa il silenzio di un Dio apparentemente «muto, cieco, sordo al grido delle sue creature». Un’esperienza drammatica per il Figlio di Dio fatto uomo, come ricordava un altro poeta francese, Gérard de Nerval, nel suo sonetto Il Cristo degli Ulivi (1854): «Dio manca all’altare del mio sacrificio… Dio non c’è! Dio non è più! Ma essi continuano a dormire…».
Ma vorremmo invitare chi conosce bene la musica a meditare su quella scena ascoltando l’unico oratorio scritto da Beethoven, Cristo al monte degli Ulivi op. 85 (1802-1803), che io ebbi la fortuna di ascoltare eseguito sullo sfondo del monte degli Ulivi nel 1995, per la celebrazione del terzo millennio di Gerusalemme. Tre sono i protagonisti: Gesù (tenore), Pietro (basso) e un serafino (soprano). Emozionante è l’aria del serafino che dialoga col coro e con Gesù per consolarlo (è un recitativo). Ma le ultime parole di Cristo sulla croce, secondo Luca, saranno una preghiera di fiducia e non di desolazione: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).

CRISTO SAMARITANO
 
Lo scrittore Luigi Santucci (19 18-1999) in un suo racconto intitolato Samaritano apocrifo ricorda che questo personaggio evangelico — che abbiamo iniziato a presentare la scorsa settimana, attingendo alla parabola di Luca 10,25-37 — è divenuto nei secoli cristiani una specie di icona posta nei «vestiboli dei lazzaretti e dei luoghi pii». Ma qua! è il vero senso della parabola di Gesù, una delle più celebri e più belle del Vangelo? La risposta è da cercare in un abile contrasto tra due domande presenti nella cornice del racconto. In essa un dottore della legge chiede a Cristo: «Chi è mai il mio prossimo?». L’ebraismo Ilsolveva questo interrogativo “oggettivo” sulla base di una serie di cerchi concentrici che si allargavano ai parenti e agli Ebrei. Gesù, in finale di parabola, rilancia la domanda allo scriba ma con un mutamento significativo: «Chi ha agito come prossimo?». Come è evidente, c’è un ribaltamento: invece di interessarsi “oggettivamente” a definire il vero o falso prossimo, Gesù invita a comportarsi “soggettivamente” da prossimo nei confronti di tutti coloro che sono nella necessità.
In questa luce il Samaritano — a differenza del levita e del sacerdote ebreo che «passano òltre dall’altra parte» della strada su cui giace lo sventurato, mezzo morto — autenticamente è prossimo del sofferente, senza interrogarsi su chi è questo prossimo da aiutare. È per questo che una tradizione posteriore ha visto nel ritratto del buon Samaritano un’immagine di Cristo stesso. E, infatti, interessante notare che sulle mura di un edificio crociato diroccato, chiamato liberamente “il khan (caravanserraglio) del buon Samaritano” posto proprio sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico, un anonimo pellegrino medievale ha inciso in latino questo graffito: «Se persino sacerdoti o leviti passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il buon Samaritano che avrà sempre compassione di te e nell’ora della tua morte ti porterà alla locanda eterna».
Questa pagina evangelica di forte tensione drammatica ma anche di grande fragranza spirituale e lettera-~ ria illustra in modo esemplare il messaggio cristiano dell’amore che pervade tante parole di Gesù, a partire dall’appello del Discorso della Montagna: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5,43-44). Per giungere fino al testamento dell’ultima sera di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: Amatevi gli uni gli altri; come io vi ho amati, così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti vi riconosceranno come miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13,34-35). Anche nell’apocrifo Vangelo di Tommaso Gesù ripete: «Ama il tuo fratello come l’anima tua. Proteggilo come la pupilla dei tuoi occhi».

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buona notte

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Ghana

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Omelia 23 settembre 2010: Commento Luca 9,7-9

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Omelia (24-09-2009) 
a cura dei Carmelitani

Commento Luca 9,7-9

1) Preghiera

O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
meritiamo di entrare nella vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 9,7-9
In quel tempo, il tetrarca Erode sentì parlare di tutto ciò che accadeva e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: « Giovanni è risuscitato dai morti », altri: « È apparso Elia », e altri ancora: « È risorto uno degli antichi profeti ».
Ma Erode diceva: « Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose? ». E cercava di vederlo.

3) Riflessione

- Il vangelo di oggi presenta la reazione di Erode alla predicazione di Gesù. Erode non sa come porsi davanti a Gesù. Aveva ucciso Giovanni Battista ed ora vuole vedere Gesù da vicino. L’orizzonte sembra minacciato.
- Luca 9,7-8: Chi è Gesù? Il testo inizia con l’esposizione delle opinioni della gente e di Erode su Gesù. Alcuni associavano Gesù a Giovanni Battista e a Elia. Altri lo identificavano con un Profeta, cioè con una persona che parla a nome di Dio, che ha il coraggio di denunciare le ingiustizie dei poderosi e che sa animare la speranza dei piccoli. E’ il profeta annunciato nell’Antico Testamento come un nuovo Mosè (Dt 18,15). Sono le stesse opinioni che Gesù stesso raccoglie dai discepoli quando domanda: « Chi sono io secondo la gente? » (Lc 9,18). Le persone cercavano di capire Gesù partendo da cose che loro conoscevano, pensavano e speravano. Cercavano di inquadrarlo nei criteri familiari dell’Antico Testamento con le sue profezie e speranza, e nella Tradizione degli Antichi con le loro leggi. Ma erano criteri insufficienti. Gesù non vi entrava, lui era più grande!
- Luca 9,9: Erode vuole vedere Gesù. Ma Erode diceva « Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose? » E cercava di vederlo. Erode, uomo superstizioso e senza scrupoli, riconosce di essere lui l’assassino di Giovanni Battista. Ora vuole vedere Gesù. In questo modo Luca suggerisce che le minacce incominciano a spuntare sull’orizzonte della predicazione di Gesù. Erode non ha avuto paura di uccidere Giovanni. Non avrà paura di uccidere Gesù. D’altro canto, Gesù, non ha paura di Erode. Quando gli dissero che Erode cercava di prenderlo per ucciderlo, gli mandò a dire: « Andate a dire a quella volpe: ecco io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; ed il terzo giorno avrò finito » (Lc 13,32). Erode non ha potere su Gesù. Quando nell’ora della passione, Pilato manda Gesù ad essere giudicato da Erode, Gesù non risponde nulla (Lc 23,9). Erode non merita risposta.
- Da padre a figlio. A volte si confondono i tre Erodi che vissero in quell’epoca, poi i tre appaiono nel Nuovo Testamento con lo stesso nome:
a) Erode, chiamato il Grande, governò su tutta la Palestina dal 37 a. Cristo. Lui appare alla nascita di Gesù (Mt 2,1). Uccise i neonati di Betlemme (Mt 2,16).
b) Erode, chiamato Antipas, governò sulla Galilea dal 4 al 39 dopo Cristo. Appare nella morte di Gesù (Lc 23,7). Uccise Giovanni Battista (Mc 6,14-29).
c) Erode, chiamato Agrippa, governò su tutta la Palestina dal 41 al 44 dopo Cristo. Appare negli Atti degli Apostoli (At 12,1.20) e uccise l’apostolo Giacomo (At 12,2).
Quando Gesù aveva più o meno quattro anni, il re Erode morì. Era lui che aveva fatto uccidere i neonati di Betlemme (Mt 2,16). Il suo territorio fu diviso tra i figli, Archelao, ricevette il governo sulla Giudea. Era meno intelligente di suo padre, ma più violento. Quando assunse il potere, furono massacrate circa 3000 persone sulla pizza del Tempio! Il vangelo di Matteo dice che Maria e Giuseppe, quando seppero che questo Archelao aveva assunto il governo della Giudea, ebbero paura di ritornare per quel cammino e si ritirarono a Nazaret, in Galilea (Mt 2,22), governata da un altro figlio di Erode, chiamato Erode Antipa (Lc 3,1). Questo Antipa durò oltre 40 anni. Durante i trenta e tre anni di Gesù non ci furono cambiamenti nel governo della Galilea.
Erode il Grande, il padre di Erode Antipa, aveva costruito la città di Cesarea Marittima, inaugurata nell’anno 15 prima di Cristo. Era il nuovo porto di sbocco dei prodotti della regione. Doveva competere con il grande porto di Tiro nel Nord e, così, aiutare a svolgere il commercio nella Samaria e nella Galilea. Per questo, fin dai tempi di Erode il Grande, la produzione agricola in Galilea iniziava ad orientarsi non più a partire dai bisogni delle famiglie, come succedeva prima, ma partendo dalle esigenze del mercato. Questo processo di mutazione nell’economia continuò durante tutto il governo di Erode Antipa, oltre quarant’anni, e trovò in lui un organizzatore efficiente. Tutti questi governatori erano ‘servi del potere’. Infatti chi comandava in Palestina, dal 63 prima di Cristo, era Roma, l’Impero.

4) Per un confronto personale

- E’ bene chiedersi sempre: Chi è Gesù per me?
- Erode vuole vedere Gesù. Era una curiosità superstiziosa e morbosa. Altri vogliono vedere Gesù perché cercano un senso per la loro vita. Ed io che motivazione ho che mi spinge a vedere ed incontrare Gesù?

5) Preghiera finale

Saziaci al mattino con la tua grazia:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio:
rafforza per noi l’opera delle nostre mani. (Sal 89) 

La première Pâque juive – Bellini: preparation pour Pessah

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http://www.artbible.net/1T/Exo1201_Passover_source/index.htm

Publié dans:immagini sacre |on 22 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Gianfranco Ravasi – Quattro scritti su Maria

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Gianfranco Ravasi – Quattro scritti su Maria

LA DONNA E IL DRAGO

Il 15 agosto, nella celebrazione eucaristica dell’Assunzione di Maria al cielo, si legge una delle pagine più celebri dell’Apocalisse, il capitolo 12 che comincia così: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle…». L’intero capitolo è dominato anche da un altro “segno”, quello dell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna e alle teste sette diademi», ed è tutto intarsiato di allusioni a testi biblici. Avremo occasione di ritornare altre volte sull’Apocalisse, un libro di grande fascino ma vittima di molti equivoci nella sua corretta interpretazione.
Ora fissiamo il nostro sguardo su quella tavola pittorica quale sembra essere la raffigurazione della donna ammantata della luce del sole come lo è Dio nel Salmo 104,2. Una tavola letteraria che è diventata infinite volte dipinto nella storia dell’arte. Di fronte all’immagine mirabile della donna fasciata di luce, sospesa sulla luna, coronata da una costellazione di dodici astri, allusione alle tribù d’Israele e agli apostoli, potremmo domandarci come si fa nel Cantico dei Cantici davanti a una figura simile: «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole?» (6,10). Numerose sono le risposte date nei secoli dai lettori dell’Apocalisse.
La più comune in ambito cristiano tradizionale è quella che identifica nella donna Maria che genera il Cristo. Il primo a proporla fu sant’Epifanio, vescovo di Salamina nell’isola di Cipro, ma nato nei pressi di Gaza in Palestina attorno al 315. Petrarca inizia così una sua famosa canzone alla Vergine: «Vergine bella, che di so! vestita, / coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sì che ‘n te sua luce ascose…». E Savonarola in un sonetto a Maria cantava:
«Salve, Regina, virgo gloriosa, ne la cui fronte e! Sol soa luce prende…». E così via in centinaia e centinaia di testimonianze della letteratura cristiana, dell’arte, della liturgia e della pietà popolare d’Occidente e d’Oriente, fino appunto alla liturgia dell’Assunzione.
In realtà il pensiero di Giovanni — che, tra l’altro, più avanti ci presenterà due altre donne, simboli di altrettante città, la Prostituta Babilonia e la Sposa Gerusalemme — è probabilmente orientato in altra direzione. Alcuni ipotizzano che si tratti di una personificazione di Gerusalemme o della Sapienza divina oppure di Eva, la prima madre, dalla quale deriva l’intera umanità a cui è promessa la salvezza (vedi Genesi 3,15). Ma è più corretto pensare che in questa donna, per l’autore dell’Apocalisse, si intreccino due figure: da un lato, l’Israele fedele, sposa di Dio (Osea 2; Isaia 54), dalla quale proviene Gesù Messia; d’altro lato, la Chiesa che lotta per mantenersi fedele a Dio che la libera del Male: al suo interno Cristo nasce continuamente attraverso la parola evangelica e l’eucaristia. È appunto per questo che essa è raffigurata come incinta e pronta a generare un figlio contro il quale si scatenerà la violenza del drago color rosso sangue.

IL MONDO ASPETTA LA VISITA DI MARIA

Dalla Gerusalemme ebraica moderna una strada conduce a un sobborgo immerso in un panorama dolce e fresco.
Il suo nome è Am Karim, che significa “sorgente della vigna”.
Da una fonte un viottolo ci porta a un santuario francescano, eretto nel 1939 su vestigia di edifici precedenti bizantini e crociati.
Il nome di questo santuario evoca un episodio evangelico, la Visitazione della Vergine Maria a Elisabetta (Luca 1,39-45).
Eravamo già stati in pellegrinaggio ideale a questo luogo quando abbiamo presentato una pagina bella dei Vangeli, il Magnflcat che risuona, proprio in occasione di quella visita, sulle labbra di Maria. Siamo ritornati qui a parlare ora di altre parole “belle”: è la “benedizione” che Elisabetta pronunzia vedendo apparire davanti a sé la parente di Galilea, Maria. Incinta di Giovanni Battista, essa proclama: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (1,42).
Ebbene, come tutti sanno, queste parole sono state intrecciate con quelle pronunziate dall’angelo Gabriele nell’annunciazione di Maria, un episodio narrato anch’esso da Luca: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (1,28). L’intreccio ha dato origine al nucleo fondamentale della più celebre preghiera mariana, l’Ave Maria. Abbiamo voluto evocarla dopo aver puntato nelle scorse settimane la nostra attenzione alla preghiera cristiana per eccellenza, il Padre nostro. L.a seconda parte
dell’Ave Marta — che in questo mese dedicato dalla devozione popolare al Rosario ha un significato particolare — è invece attribuita al papa Celestino I, che in occasione del Concilio di Efeso (431) difese la divina maternità di Maria contro Nestorio.
La preghiera fu definitivamente fissata nella forma che noi oggi usiamo nel XVI secolo da san Pio V, e da allora ebbe infinite trascrizioni musicali: Tomas da Victoria, Schubert, Gounod, Bruckner, Liszt (ne compose sei!), Verdi (tre, delle quali la più celebre è intonata da Desdemona nell’ultimo atto dell’Otello), Kodaly, il cantante francese Georges Brassens, Claude Ballif (Chapelet, cioè “rosario”) e così via elencando. Anche un poeta ateo come Louis Aragon nella sua opera Museo Grévin faceva ripetere l’Ave Maria ai prigionieri di Auschwitz. E tutta la storia di Maria, da quell’inizio sorprendente nella sua modesta casa di Nazaret, è stata trascritta in modo “laico” e per molti versi “scandaloso” dal film Je vous salue Maria dijean-Luc Godard (1985).
Noi, invece, sostiamo davanti alla scena dell’Annunciazione, immortalata dal Beato Angelico nell’affresco del convento di S. Marco a Firenze, con le parole di san Bernardo: «L’angelo aspetta la tua risposta, Maria! Stiamo aspettando anche noi, Signora, questo tuo dono, che è dono di Dio. Rispondi presto, o Vergine! Pronunzia, Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano!».

RALLEGRATI, MARIA!

Aveva un volto bellissimo, un profilo ideale per interpretare il fra Cristoforo dei Promessi sposi: ho conosciuto a Gerusalemme padre Bellarmino Bagatti, francescano e archeologo.
Fu lui a isolare all’interno di una modesta casa di Nazaret del I-Il secolo un graffito che recava le lettere greche XE MAPIA, cioè « Ave Maria, Rallegrati Maria, le parole che l’angelo Gabriele rivolge alla futura madre di Gesù nel racconto dell’annunciazione secondo Luca (1,26-38).
Modellata sui racconti biblici degli annunzi di nascita di personaggi importanti come Sansone o il re-Emmanuele (Isaia 7,10-17), questa pagina evangelica dolce e intensa ha al centro una vera e propria professione di fede cristologica: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce, Io chiamerai Gesù. Sarà grande e sarà chiamato figlio dell’Altissimo.
Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine…
Lo Spirito Santo scenderà su di te, la potenza dell’Altissimo stenderà su te la sua ombra; colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (1,32-35).
Noi tutti abbiamo in mente la scena dell’annunciazione con i colori teneri ed estatici del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze. Nell’ultimo dei suoi Canti spirituali il grande poeta tedesco Novalis (1772-1801)
confessava però una sensazione che era di tutti:
«In mille immagini, Maria, ti vedo / amabilmente ritratta. / Ma nessuna di esse può fissarti / come ti vede la mia anima».
È per questo che si sono moltiplicate non solo le Annunciazioni pittoriche, ma anche quelle letterarie (ad esempio, L’annuncio a Maria di Paul Claudel, 1912) e musicali (L’Angelo a Maria di Mussorgskij e Cajkovskij, 1887).
Il saluto dell’angelo ha generato l’Ave Maria, la preghiera mariana più popolare, ininterrottamente ripetuta nella forma che fu codificata definitivamente, così come oggi è recitata, da papa Pio V nel ’500, preghiera musicata infinite volte.
Una preghiera deformata in quella terribile e disperata ripresa dello scrittore americano Hemingway: «Ave, Nulla, pieno di nulla, il nulla sia con te!». Ma alla sostanza teologica che sta nel cuore di questa invocazione
sono state dedicate tante riflessioni.
Ne scegliamo due molto lontane tra loro, eppure entrambe suggestive.
San Bernardo nel XII secolo si rivolgeva così a Maria: «L’angelo aspetta la tua risposta, o Maria! Stiamo aspettando anche noi, Signora, questo tuo dono, che è dono di Dio. Sta nelle tue mani il prezzo del nostro riscatto.
Rispondi presto, o Vergine! Pronunzia, o Signora, la parola che terra e inferi e persino il cielo aspettano!».
L’altra testimonianza è del filosofo tedesco Johann G. Fichte che nel 1786 esclamava:
«Ci sembra poco che fra tutti i milioni di donne della terra soltanto Maria fosse l’unica eletta che doveva partorire l’Uomo-Dio Gesù?
Ci sembra poco l’esser madre di Colui grazie al quale l’uomo sarebbe divenuto un’immagine della divinità e l’erede di tutte le sue beatitudini?».

ANNA LA STERILE CONCEPISCE MARIA

Nell’antico santuario di Silo la folla si sta accalcando per una festa, forse quella autunnale delle Capanne, la solennità della vendemmia. Il sacerdote-capo, Eli, controlla che tutto si svolga con compostezza. All’improvviso nota una donna che, in disparte, prega muovendo le labbra ma senza emettere voce, come è prescritto per la preghiera pubblica. La sua reazione è dura: egli sospetta che la festa dell’uva abbia avuto qualche conseguenza e apostrofa la donna con asprezza. Le dice: « Fino a quando rimarrai ubriaca? Liberati dal vino che hai bevuto! ».
Ma quella donna, profondamente infelice, gli replica: « No, io sono solo una donna affranta e non ho bevuto vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogandomi davanti al Signore! ». Protagonista di questo piccolo dramma, che si svolge nell’XI secolo a.C., è Anna, un nome che in ebraico evoca il chinarsi amoroso e « grazioso » di Dio sulla sua creatura.
A prima vista questo nome sembra essere smentito dalla storia di chi lo porta: Anna è la moglie sterile di Elkana, un uomo delle montagne centrali della Terrasanta. In Oriente la donna sterile era considerata un ramo secco e inutile ed èper questo che il dolore di Anna è così intenso, anche se suo marito non le fa pesare questa sua situazione.
Abbiamo introdotto Anna nella nostra galleria di personaggi biblici perché la liturgia di questa domenica è dominata proprio dal tema della preghiera. E Anna è una sorta di simbolo dell’orante, tant’è vero che a lei dobbiamo anche uno splendido cantico che è citato nel capitolo 2 del secondo Libro di Samuele. Sì, perché alla fine Dio si chinerà su questa sua fedele e le donerà la grazia di un figlio, compiendo in tal modo il significato del nome « Anna ». L’inno di ringraziamento intonato dalla donna è, in realtà, un salmo autonomo di taglio regale-messianico (in finale si esalta il re e il Messia).
Tuttavia ben s’adatta alla situazione di Anna il cui grembo sterile, simile a una tomba, è fatto germogliare di vita: « La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita. il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire » (versetti 5-6).
Ma c’è di più. Questo cantico è stato definito il Magnifìcat dell’Antico Testamento non solo per il suo avvio che lo
rende simile al ben noto inno di Maria (il mio cuore esulta nel Signore… »), ma anche perché la madre di Gesù modellerà la sua preghiera di lode proprio su questo canto antico. Si legga, perciò, subito dopo il salmo di Anna, il Magnifìcat di Maria (Luca 1,45-55).
Forse è anche per questo che la tradizione cristiana ha attribuito alla madre di Maria il nome di Anna (che festeggeremo il prossimo 26 luglio). Il figlio della prima Anna sarà il grande profeta e sacerdote Samuele e il nome « Anna » sarà portato dalla moglie di Tobia e da una vedova di 84 anni che nel tempio di Gerusalemme accoglierà il neonato Gesù (Luca 2,36-38).
Diverrà anche un nome maschile perché in pratica Anna è in ebraico il diminutivo di « Giovanni » e « Anania ». Così, si chiamerà Anna il sommo sacerdote coinvolto nel processo di Gesù, anche se non più in carica (Giovanni 18,12-24).

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI, Maria Vergine |on 22 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI TRACCIA UN BILANCIO DEL SUO VIAGGIO NEL REGNO UNITO

dal sito:

http://www.zenit.org/article-23809?l=italian

BENEDETTO XVI TRACCIA UN BILANCIO DEL SUO VIAGGIO NEL REGNO UNITO

ROMA, mercoledì, 22 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l’Udienza generale tenutasi in piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul suo recente viaggio apostolico nel Regno Unito.

* * *
Cari fratelli e sorelle!
Oggi vorrei soffermarmi a parlare del viaggio apostolico nel Regno Unito, che Dio mi ha concesso di compiere nei giorni scorsi. E’ stata una visita ufficiale e, in pari tempo, un pellegrinaggio nel cuore della storia e dell’oggi di un popolo ricco di cultura e di fede, qual è quello britannico. Si è trattato di un evento storico, che ha segnato una nuova importante fase nella lunga e complessa vicenda delle relazioni tra quelle popolazioni e la Santa Sede. Scopo principale della visita era quello di proclamare beato il Cardinale John Henry Newman, uno dei più grandi inglesi dei tempi recenti, insigne teologo e uomo di Chiesa. In effetti, la cerimonia di beatificazione ha rappresentato il momento preminente del viaggio apostolico, il cui tema era ispirato al motto dello stemma cardinalizio del beato Newman: « Il cuore parla al cuore ». E nelle quattro intense e bellissime giornate trascorse in quella nobile terra ho avuto la grande gioia di parlare al cuore degli abitanti del Regno Unito, ed essi hanno parlato al mio, specialmente con la loro presenza e con la testimonianza della loro fede. Ho potuto infatti constatare quanto l’eredità cristiana sia ancora forte e tuttora attiva in ogni strato della vita sociale. Il cuore dei britannici e la loro esistenza sono aperti alla realtà di Dio e vi sono numerose espressioni di religiosità che questa mia visita ha posto ancora più in evidenza.
Sin dal primo giorno della mia permanenza nel Regno Unito, e durante tutto il periodo del mio soggiorno, ovunque ho ricevuto una calorosa accoglienza da parte delle Autorità, degli esponenti delle varie realtà sociali, dei rappresentanti delle diverse Confessioni religiose e specialmente della gente comune. Penso in modo particolare ai fedeli della Comunità cattolica e ai suoi Pastori, che, pur essendo minoranza nel Paese, sono largamente apprezzati e considerati, impegnati nell’annuncio gioioso di Gesù Cristo, facendo splendere il Signore e facendosi sua voce specialmente tra gli ultimi. A tutti rinnovo l’espressione della mia profonda gratitudine, per l’entusiasmo dimostrato e per l’encomiabile solerzia con cui si sono adoperati per la riuscita di questa mia visita, il cui ricordo conserverò per sempre nel mio cuore.
Il primo appuntamento è stato a Edimburgo con Sua Maestà la Regina Elisabetta II, che, unitamente al suo Consorte, il Duca di Edimburgo, mi ha accolto con grande cortesia a nome di tutto il popolo britannico. Si è trattato di un incontro molto cordiale, caratterizzato dalla condivisione di alcune profonde preoccupazioni per il benessere dei popoli del mondo e per il ruolo dei valori cristiani nella società. Nella storica capitale della Scozia ho potuto ammirare le bellezze artistiche, testimonianza di una ricca tradizione e di profonde radici cristiane. A questo ho fatto riferimento nel discorso a Sua Maestà e alle Autorità presenti, ricordando che il messaggio cristiano è diventato parte integrante della lingua, del pensiero e della cultura dei popoli di quelle Isole. Ho parlato anche del ruolo che la Gran Bretagna ha svolto e svolge nel panorama internazionale, menzionando l’importanza dei passi compiuti per una pacificazione giusta e duratura nell’Irlanda del Nord.
L’atmosfera di festa e gioia creata dai ragazzi e dai bambini ha allietato la tappa di Edimburgo. Trasferitomi poi a Glasgow, città impreziosita da incantevoli parchi, ho presieduto la prima Santa Messa del viaggio proprio nel Bellahouston Park. E’ stato un momento di intensa spiritualità, molto importante per i cattolici del Paese, anche in considerazione del fatto che in quel giorno ricorreva la festa liturgica di san Ninian, primo evangelizzatore della Scozia. A quell’assemblea liturgica riunita in attenta e partecipe preghiera, resa ancor più solenne da melodie tradizionali e canti coinvolgenti, ho ricordato l’importanza dell’evangelizzazione della cultura, specialmente nella nostra epoca in cui un pervasivo relativismo minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo.
Nella seconda giornata ho iniziato la visita a Londra. Qui, ho incontrato dapprima il mondo dell’educazione cattolica, che riveste un ruolo rilevante nel sistema di istruzione di quel Paese. In un autentico clima di famiglia ho parlato agli educatori, ricordando l’importanza della fede nella formazione di cittadini maturi e responsabili. Ai numerosi adolescenti e giovani, che mi hanno accolto con simpatia ed entusiasmo, ho proposto di non perseguire obiettivi limitati, accontentandosi di scelte comode, ma di puntare a qualcosa di più grande, vale a dire la ricerca della vera felicità, che si trova soltanto in Dio. Nel successivo appuntamento con i responsabili delle altre religioni maggiormente rappresentate nel Regno Unito, ho richiamato l’ineludibile necessità di un dialogo sincero, che ha bisogno del rispetto del principio di reciprocità perché sia pienamente fruttuoso. Al tempo stesso, ho evidenziato la ricerca del sacro come terreno comune a tutte le religioni sul quale rinsaldare amicizia, fiducia e collaborazione.
La visita fraterna all’Arcivescovo di Canterbury è stata l’occasione per ribadire il comune impegno di testimoniare il messaggio cristiano che lega Cattolici e Anglicani. E’ seguito uno dei momenti più significativi del viaggio apostolico: l’incontro nel grande salone del Parlamento britannico con personalità istituzionali, politiche, diplomatiche, accademiche, religiose, esponenti del mondo culturale e imprenditoriale. In quel luogo così prestigioso ho sottolineato che la religione, per i legislatori, non deve rappresentare un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al cammino storico e al dibattito pubblico della nazione, in particolare nel richiamare l’importanza essenziale del fondamento etico per le scelte nei vari settori della vita sociale.
In quel medesimo clima solenne, mi sono poi recato nell’Abbazia di Westminster: per la prima volta un Successore di Pietro è entrato nel luogo di culto simbolo delle antichissime radici cristiane del Paese. La recita della preghiera dei Vespri, insieme alle diverse comunità cristiane del Regno Unito, ha rappresentato un momento importante nei rapporti tra la Comunità cattolica e la Comunione anglicana. Quando insieme abbiamo venerato la tomba di sant’Edoardo il confessore, mentre il coro cantava: « Congregavit nos in unum Christi amor », abbiamo tutti lodato Dio, che ci conduce sulla via della piena unità.
Nella mattinata di sabato, l’appuntamento con il Primo Ministro ha aperto la serie di incontri con i maggiori esponenti del mondo politico britannico. E’ seguita la celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Westminster, dedicata al Preziosissimo Sangue di Nostro Signore. E’ stato uno straordinario momento di fede e di preghiera – che ha anche evidenziato la ricca e preziosa tradizione di musica liturgica « romana » e « inglese » – a cui hanno preso parte le diverse componenti ecclesiali, spiritualmente unite alle schiere di credenti della lunga storia cristiana di quella terra. Grande è la mia gioia per aver incontrato un gran numero di giovani che partecipavano alla Santa Messa dall’esterno della Cattedrale. Con la loro presenza carica di entusiasmo ed insieme attenta e trepida, essi hanno dimostrato di voler essere i protagonisti di una nuova stagione di coraggiosa testimonianza, di fattiva solidarietà, di generoso impegno a servizio del Vangelo.
Nella Nunziatura Apostolica ho incontrato alcune vittime di abusi da parte di esponenti del Clero e dei religiosi. E’ stato un momento intenso di commozione e di preghiera. Poco dopo, ho incontrato anche un gruppo di professionisti e volontari responsabili della protezione dei ragazzi e dei giovani negli ambienti ecclesiali, un aspetto particolarmente importante e presente nell’impegno pastorale della Chiesa. Li ho ringraziati e incoraggiati a continuare il loro lavoro, che si inserisce nella lunga tradizione della Chiesa di cura per il rispetto, l’educazione e la formazione delle nuove generazioni. Sempre a Londra ho visitato poi la casa di riposo per anziani gestita dalle Piccole Sorelle dei Poveri con il prezioso apporto di numerose infermiere e volontari. Questa struttura di accoglienza è segno della grande considerazione che la Chiesa ha sempre avuto per l’anziano, come pure espressione dell’impegno dei cattolici britannici nel rispetto della vita senza tenere conto dell’età o delle condizioni.
Come dicevo, il culmine della mia visita nel Regno Unito è stata la beatificazione del Cardinale John Henry Newman, illustre figlio dell’Inghilterra. Essa è stata preceduta e preparata da una speciale veglia di preghiera svoltasi sabato sera a Londra, in Hyde Park, in un’atmosfera di profondo raccoglimento. Alla moltitudine di fedeli, specialmente giovani, ho voluto riproporre la luminosa figura del Cardinale Newman, intellettuale e credente, il cui messaggio spirituale si può sintetizzare nella testimonianza che la via della coscienza non è chiusura nel proprio « io », ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita. Il rito di beatificazione ha avuto luogo a Birmingham, nel corso della solenne Celebrazione eucaristica domenicale, alla presenza di una vasta folla proveniente dall’intera Gran Bretagna e dall’Irlanda, con rappresentanze di molti altri Paesi. Questo toccante evento ha portato ancor più alla ribalta uno studioso di grande levatura, un insigne scrittore e poeta, un sapiente uomo di Dio, il cui pensiero ha illuminato molte coscienze e ancora oggi esercita un fascino straordinario. A lui, in particolare, si ispirino i credenti e le comunità ecclesiali del Regno Unito, perché anche ai nostri giorni quella nobile terra continui a produrre frutti abbondanti di vita evangelica.
L’incontro con la Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles e con quella della Scozia, ha concluso una giornata di grande festa e di intensa comunione di cuori per la Comunità cattolica in Gran Bretagna.
Cari fratelli e sorelle, in questa mia Visita nel Regno Unito, come sempre ho voluto sostenere in primo luogo la Comunità cattolica, incoraggiandola a lavorare strenuamente per difendere le immutabili verità morali che, riprese, illuminate e confermate dal Vangelo, stanno alla base di una società veramente umana, giusta e libera. Ho inteso anche parlare al cuore tutti gli abitanti del Regno Unito, nessuno escluso, della realtà vera dell’uomo, dei suoi bisogni più profondi, del suo destino ultimo. Nel rivolgermi ai cittadini di quel Paese, crocevia della cultura e dell’economia mondiale, ho tenuto presente l’intero Occidente, dialogando con le ragioni di questa civiltà e comunicando l’intramontabile novità del Vangelo, di cui essa è impregnata. Questo viaggio apostolico ha confermato in me una profonda convinzione: le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col « genio » e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale.
Il beato John Henry Newman, la cui figura e cui scritti conservano ancora una formidabile attualità, merita di essere conosciuto da tutti. Egli sostenga i propositi e gli sforzi dei cristiani per « diffondere ovunque il profumo di Cristo, affinché tutta la loro vita sia soltanto un’irradiazione della sua », come scriveva sapientemente nel suo libro Irradiare Cristo.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al corso di Diritto Canonico promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, che sono venuti ad esprimere al Successore di Pietro sentimenti di affetto e di profonda comunione ecclesiale. Sono lieto di accogliere i religiosi Legionari di Cristo, giunti a Roma per iniziare gli studi filosofici e teologici; cari amici, nel rivolgervi i migliori auguri per il vostro impegno di studio, vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera. Saluto il gruppo della Banca di Credito cooperativo, di Gatteo di Romagna, incoraggiando a testimoniare costantemente i valori umani e cristiani necessari per costruire una società realmente giusta e solidale.
Con speciale affetto il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, ed agli sposi novelli. L’amicizia con Gesù, cari giovani, sia per voi fonte di gioia e motivo per compiere scelte impegnative. Questa amicizia, cari malati, vi rechi conforto nei momenti difficili ed infonda serenità al corpo ed allo spirito. Cari sposi, alla luce dell’amicizia con Gesù, impegnatevi a corrispondere alla vostra vocazione nell’amore reciproco, nell’apertura alla vita e nella testimonianza cristiana.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]
In questa settimana si svolge a Vienna la riunione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Il tema della fase attuale di studio è il ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa universale, con particolare riferimento al primo millennio della storia cristiana. L’obbedienza alla volontà  del Signore Gesù, e la considerazione delle grandi sfide che oggi si presentano al cristianesimo, ci obbligano ad impegnarci seriamente nella causa del ristabilimento della piena comunione tra le Chiese. Esorto tutti a pregare intensamente per i lavori della Commissione e per un continuo sviluppo e consolidamento della pace e concordia tra i battezzati, affinché possiamo dare al mondo una testimonianza evangelica sempre più autentica.

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 22 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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Brachycomes

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Omelia per il 22 settembre 2010: Gesù convocò i dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie.

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19362.html

Omelia (22-09-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Gesù convocò i dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie.

Come vivere questa Parola?
Gesù aveva già chiamato gli apostoli a seguirlo uno per uno ( 6,13). Nel Vangelo di oggi egli si stringe più fortemente intorno a sé, i dodici, condividendo con loro la propria missione di annunciare il regno di Dio e di guarire le malattie con la sua stessa forza e potere.
Questi dodici apostoli sono la comunità di Gesù, la ecclesia. Essi sono convocati da Gesù e a loro volta convocano nel suo nome, sono convocati a continuare la sua missione che termina nell’Eucaristia, raffigurata nel pasto nel deserto (9,10-17). La forza e la potenza che Gesù conferisce loro, è lo Spirito di Dio; così sono in grado di opporsi al maligno e curare qualsiasi malattia dell’uomo.
Gesù ordina loro: « Non prendete nulla per il viaggio ». Non hanno bisogno di preoccuparsi di niente perché hanno già ricevuto tutto da Gesù; ricevendo il suo Spirito, sono rivestiti di lui.

Oggi, nel mio rientro al cuore, rifletterò sulla povertà come condizione per seguire Gesù: povertà che è il vuoto necessario per accogliere l’azione di Dio, per essere salvato da Lui e riempito della sua vita.
Col sacerdote che all’offertorio versa un po’ di acqua con il vino, anch’io prego: « l’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana. Amen! »

Un teologo-mistico dei nostri giorni
Dio stesso è divenuto il nutrimento dell’uomo e con questo nutrimento l’uomo vince finalmente la morte. La morte non può avere in suo dominio colui che possiede in sé la vita stessa di Dio; con l’Eucaristia si anticipa così la vita stessa del cielo. Nel Cristo si fa presente la realtà definitivo del mondo: Egli è il mondo nuovo di Dio. Col sacramento eucaristico, l’uomo entra in questo mondo per vivere in Cristo già ora la vita eterna.
Divo Barsotti 

San Matteo

San Matteo dans immagini sacre el-greco-san-matteo-evangelista-apostolo

El Greco (1541, Candia – 1614, Toledo), “San Matteo Evangelista Apostolo”, 1610-14, Olio su tela, 97 x 77 cm, Museo de El Greco, Toledo

http://gospelart.wordpress.com/2009/02/18/gesu-e-gli-apostoli-secondo-el-greco/

Publié dans:immagini sacre |on 21 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Giovanni Paolo II : La Provvidenza divina e il destino dell’uomo: il mistero della predestinazione in Cristo, 28

dal sito:

http://www.disf.org/Documentazione/05-1-860528-CatMer_ita.asp

Giovanni Paolo II,

La Provvidenza divina e il destino dell’uomo: il mistero della predestinazione in Cristo, 28

 Maggio 1986

[come tema metto un passo del testo: Nella predestinazione è contenuta dunque l'eterna vocazione dell'uomo alla partecipazione alla natura stessa di Dio. E vocazione alla santità, mediante la grazia dell'adozione a figli («per essere santi e immacolati al suo cospetto») (Ef 1,3-6).]

1. Dimensione soteriologica ed escatologica della Provvidenza. 2. «Predestinandoci ad essere noi figli adottivi». 3. La scelta di Dio «nel» Figlio suo Gesù Cristo. 4. La finalità ultima della creazione. 5. «Ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto». 6. In Cristo si compie la finalità del mondo e dell’uomo. 7. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati». 8. Il mondo creato in vista del Regno. 9. «Per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe».

1. La domanda sul proprio destino è molto viva nel cuore dell’uomo. E una domanda grande, difficile, eppure decisiva: «Che sarà di me domani?». C’è il rischio che cattive risposte conducano a forme di fatalismo, di disperazione, o anche di orgogliosa e cieca sicurezza. «Stolto, questa notte morrai», ammonisce Dio (Lc 12,20). Ma proprio qui si manifesta l’inesauribile grazia della Provvidenza divina. E Gesù che apporta una luce essenziale. Egli infatti, parlando della Provvidenza divina nel Discorso della Montagna, termina con la seguente esortazione: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Nell’ultima catechesi abbiamo riflettuto sul profondo rapporto che esiste tra la Provvidenza di Dio e la libertà dell’uomo. E proprio all’uomo, prima di tutto all’uomo, creato a immagine di Dio, che sono indirizzate le parole sul regno di Dio e sulla necessità di cercarlo prima di ogni cosa.

Questo legame tra la Provvidenza e il mistero del regno di Dio, che deve realizzarsi nel mondo creato, orienta il nostro pensiero sulla verità del destino dell’uomo: la sua predestinazione in Cristo. La predestinazione dell’uomo e del mondo in Cristo, Figlio eterno del Padre, conferisce a tutta la dottrina sulla Provvidenza divina una decisa caratteristica soteriologica ed escatologica. Lo stesso divin Maestro lo indica nel suo colloquio con Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

2. Queste parole di Gesù costituiscono il nucleo della dottrina sulla predestinazione, che troviamo nell’insegnamento degli apostoli e specialmente nelle lettere di san Paolo. Leggiamo nella lettera agli Efesini: «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo… in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia» (Ef 1,3-6).

Queste luminose affermazioni spiegano, in modo autentico e autorevole, in che cosa consiste ciò che in linguaggio cristiano chiamiamo «Predestinazione» (latino: «praedestinatio»). E infatti importante liberare questo termine dai significati erronei o anche impropri e non essenziali, entrati nell’uso comune: predestinazione come sinonimo del «cieco fato» («fatum») o dell’«ira» capricciosa di qualche divinità invidiosa. Nella rivelazione divina la parola «predestinazione», significa l’eterna scelta di Dio, una scelta paterna, intelligente e positiva, una scelta d’amore.

3. Questa scelta, con la decisione in cui si traduce, cioè il piano creativo e redentivo, appartiene alla vita intima della santissima Trinità: è operata eternamente dal Padre insieme col Figlio nello Spirito Santo. E un’elezione che, secondo san Paolo, precede la creazione del mondo («prima della creazione del mondo»); e dell’uomo nel mondo. L’uomo, ancor prima di essere creato, viene «scelto» da Dio. Questa scelta avviene nel Figlio eterno («in lui»), cioè nel Verbo dell’eterna Mente. L’uomo viene dunque eletto nel Figlio alla partecipazione della sua stessa figliolanza per divina adozione. In questo consiste l’essenza stessa del mistero della predestinazione, che manifesta l’eterno amore del Padre («nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo»). Nella predestinazione è contenuta dunque l’eterna vocazione dell’uomo alla partecipazione alla natura stessa di Dio. E vocazione alla santità, mediante la grazia dell’adozione a figli («per essere santi e immacolati al suo cospetto») (Ef 1,3-6).

4. In questo senso la predestinazione precede «la fondazione del mondo», cioè la creazione, giacché questa si realizza nella prospettiva della predestinazione dell’uomo. Applicando alla vita divina le analogie temporali del linguaggio umano, possiamo dire che Dio vuole «prima» comunicarsi nella sua divinità all’uomo chiamato ad essere nel mondo creato sua immagine e somiglianza; «prima» lo elegge, nel Figlio eterno e consostanziale, a partecipare alla sua figliolanza (mediante la grazia), e solo «dopo» («a sua volta») vuole la creazione, vuole il mondo, al quale l’uomo appartiene. In questo modo il mistero della predestinazione entra in un certo senso «organicamente» in tutto il piano della divina Provvidenza. La rivelazione di questo disegno dischiude davanti a noi la prospettiva del regno di Dio e ci conduce al cuore stesso di questo regno, dove scopriamo la finalità ultima della creazione.

5. Leggiamo infatti nella lettera ai Colossesi: «Ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1,12-14). Il regno di Dio è, nel piano eterno di Dio Uno e Trino, il regno del «Figlio diletto», in particolare perché per opera sua si è compiuta «la redenzione» e «la remissione dei peccati». Le parole dell’apostolo alludono anche al «peccato» dell’uomo. La predestinazione, cioè l’adozione a figli dell’eterno Figlio, si opera quindi non solo in relazione alla creazione del mondo e dell’uomo nel mondo, ma in relazione alla redenzione, compiuta dal Figlio, Gesù Cristo. La redenzione diventa l’espressione della Provvidenza, cioè del governo premuroso che Dio Padre esercita in particolare nei riguardi delle creature, dotate di libertà.

6. Nella lettera ai Colossesi troviamo che la verità della «predestinazione» in Cristo è strettamente congiunta con la verità della «creazione in Cristo». «Egli – scrive l’apostolo – è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose…» (Col 1,15-16). Così dunque il mondo, creato in Cristo, eterno Figlio, fin dall’inizio porta in sé, come primo dono della Provvidenza, la chiamata, anzi il pegno della predestinazione in Cristo, a cui si unisce, quale compimento della salvezza escatologica definitiva, e prima di tutto dell’uomo, finalità del mondo. «Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza» (Col 1,19). Il compimento della finalità del mondo, e in particolare dell’uomo, avviene proprio ad opera di questa pienezza che è in Cristo. Cristo è la pienezza. In lui si compie in un certo senso quella finalità del mondo, secondo la quale la Provvidenza divina custodisce e governa le cose del mondo e in particolare l’uomo nel mondo, la sua vita, la sua storia.

7. Comprendiamo così un altro aspetto fondamentale della divina Provvidenza: la sua finalità salvifica. Dio infatti «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). In questa prospettiva è doveroso allargare una certa concezione naturalistica di Provvidenza, limitata al buon governo della natura fisica o anche del comportamento morale naturale. In realtà, la Provvidenza divina si esprime nel conseguimento delle finalità che corrispondono al piano eterno della salvezza. In questo processo, grazie alla «pienezza» di Cristo, in lui e per mezzo di lui viene anche vinto il peccato, che si oppone essenzialmente alla finalità salvifica del mondo, al compimento definitivo che il mondo e l’uomo trovano in Dio. Parlando della pienezza, che ha preso dimora in Cristo, l’apostolo proclama: «Piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20).

8. Sullo sfondo di queste riflessioni, attinte dalle lettere di san Paolo, diventa meglio comprensibile l’esortazione di Cristo a proposito della Provvidenza del Padre celeste che abbraccia ogni cosa (cf. Mt 6,23-34 e anche Lc 12,22-31), quando dice: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Con quel «prima» Gesù intende indicare ciò che Dio stesso vuole «prima»: ciò che è la sua prima intenzione nella creazione del mondo, e insieme il fine ultimo del mondo stesso: «il regno di Dio e la sua giustizia» (la giustizia di Dio). Il mondo intero è stato creato in vista di questo regno, affinché si realizzi nell’uomo e nella sua storia. Affinché per mezzo di questo «regno» e di questa «giustizia» si adempia quell’eterna predestinazione che il mondo e l’uomo hanno in Cristo.

9. A questa visione paolina della predestinazione corrisponde quanto scrive san Pietro: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non ci corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi» (1Pt 1,3-5). Veramente «sia benedetto Dio», che ci rivela come la sua Provvidenza sia il suo instancabile, premuroso intervento per la nostra salvezza. Essa è infaticabilmente all’opera fino a quando giungeranno «gli ultimi tempi», quando «la predestinazione in Cristo» degli inizi si realizzerà definitivamente «mediante la risurrezione in Gesù Cristo», che è «l’alfa e l’omega» del nostro umano destino (Ap 1,8).

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 21 septembre, 2010 |Pas de commentaires »
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