Archive pour septembre, 2010

Gesù provava emozioni?

dal sito:

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=123970

Gesù provava emozioni?

Anche se i vangeli mostrano una certa ritrosia nel mostrare il suo mondo affettivo, Gesù nel suo annuncio rivela palesemente i suoi sentimenti e li suscita fortemente nei suoi interlocutori. Una delle principali cause dei tanti episodi di violenza che coinvolgono il mondo giovanile e più in generale della situazione di crisi in cui si trovano i giovani, e non solo loro, è il cosiddetto « analfabetismo emotivo »…

Anche se i vangeli mostrano una certa ritrosia nel mostrare il suo mondo affettivo, Gesù nel suo annuncio rivela palesemente i suoi sentimenti e li suscita fortemente nei suoi interlocutori.
Una delle principali cause dei tanti episodi di violenza che coinvolgono il mondo giovanile e più in generale della situazione di crisi in cui si trovano i giovani, e non solo loro, è il cosiddetto « analfabetismo emotivo » (cf. Sett. n. 25/08, p. 14).
Qual è il contributo che il cristianesimo può dare alla battaglia educativa così urgente per le sorti delle nuove generazioni e della società intera? Molto, se si considera che il cristianesimo, detto in poche battute, è una questione di cuore: è l’incontro vivificante con la persona di Gesù.
Non possiamo però nasconderci che un certa ritrosia o diffidenza verso il mondo degli affetti serpeggia anche nella proposta educativa cristiana. La radice è di natura teologica. Se osserviamo, ad esempio, l’immane sforzo teso alla ricostruzione della storicità di Gesù, entrata nella cosiddetta terza fase della ricerca, notiamo come ancora con una certa fatica ci si accosta « scientificamente » al mondo affettivo di Gesù. Eppure è di questo che si tratta se – come dice magistralmente la lettera ai Filippesi – i cristiani sono coloro che devono avere gli stessi «sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).

I « sentimenti » di Gesù
 

Per troppo tempo, questo tema è stato relegato solo alla pietà popolare o alla devozione, che molto spesso lo ha egregiamente difeso e diffuso. Più difficile è un approccio che introduca stabilmente questo tema all’interno della riflessione esegetica e teologica « alta », ovvero in quella su cui poi si formano tutti coloro, religiosi o laici, che ne dovranno parlare nelle catechesi o nei percorsi educativi.
In felice controtendenza, troviamo lo studio di Americo Miranda, ricercatore in storia del cristianesimo presso l’università di Bologna, che con il suo libro dal titolo I sentimenti di Gesù ha riproposto la necessità di uno studio preciso, e « scientificamente » fondato, del mondo affettivo del Figlio di Dio. Le difficoltà dell’impresa sono ben presenti al ricercatore bolognese che è nel contempo persuaso che, attraverso questa indagine su Gesù, si possa descrivere qualcosa dei « sentimenti di Dio » (p. 12).
La prima difficoltà contro cui ci si imbatte è la ritrosia con cui i vangeli descrivono il mondo affettivo di Gesù, che è presente ed emerge – anche se non in modo completo – in diversi e importanti contesti. È questo l’oggetto preciso dello studio di Miranda, impostato sulla «distinzione, chiaramente suggerita dai vangeli, tra sentimenti condivisi da Gesù con gli altri uomini o con i discepoli e quelli propri della sua divinità» (p. 15). Si può allora scoprire che Gesù condivide con gli uomini i sentimenti più comuni che vanno dal desiderio alla sollecitudine, così come la gamma dei sentimenti relativi al dolore, al turbamento, al pianto, ma anche alla gioia, allo stupore assieme all’ira e allo sdegno. Tra quelli che Gesù condivide con i discepoli, spicca la sollecitudine per ogni uomo, mentre tipico di Gesù, come del Padre, è l’attribuzione evangelica della compassione.
Lo studio dei contesti in cui questi termini ricorrono evidenzia che essi compaiono quasi esclusivamente nei passi narrativi, mentre sono assenti nei dialoghi o nei monologhi esplicativi. Particolarmente intensi sono i contesti in cui Gesù interagisce con i suoi discepoli poiché «ai suoi, il Cristo presenta alcuni aspetti del suo animo come parte della Rivelazione» (p. 18). Tra i vari evangelisti, il più ricco nel riferire il mondo affettivo di Gesù è Marco, mentre Luca privilegia la manifestazione sensibile dell’umanità di Gesù, così come Matteo accentua i sentimenti della divinità. Più reticente è invece Giovanni, che pure si è dimostrato molto attento alle descrizione dei moti dell’animo umano.

Episodi esemplificativi

Vediamo ora più direttamente alcuni esempi. Tra i sentimenti che descrivono l’umanità di Gesù, un posto di rilevo è occupato dal « desiderio », che troviamo espresso nel contesto che fa da cornice alla sua imminente passione: «Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22,14-16). Con queste parole Gesù rivela una costante del suo agire, tutta informata dal desiderio: non è mosso da un superiore dovere a cui si adatta per libera volontà ma senza intima convinzione; al contrario, il suo agire e la sua disponibilità alla morte sono frutto di un desiderio. Ciò manifesta il profondo coinvolgimento di Gesù nelle relazioni, è indice «di un rapporto continuo e a lungo meditato nei confronti dei discepoli, con cui si è istituita una relazione irrevocabile. Il sentimento di Gesù investe tramite loro, in una prospettiva sovratemporale, tutti i credenti» (p. 30).
Fa parte di questo atteggiamento l’insegnamento costante che Gesù rivolge ai suoi discepoli, per cercare di spiegare loro il senso di questo suo morire, che inevitabilmente li manderà in crisi. In tutti i sinottici le cosiddette predizioni dell’imminente passione occupano un posto centrale (Mc 8,31; Mt 16,21; Lc 9,22). Gesù è ben consapevole dell’impatto emotivo che tale annuncio scatena nel cuore di coloro che hanno abbandonato tutto per seguirlo. È in gioco, infatti, il suo modo di essere il « messia », l’interpretazione di tutta la sua missione. La categoria entro cui questa morte viene compresa è quella del « dovere », e di una certa ineluttabilità degli eventi predetti. Ancora una volta, però, con questo non si vuol indicare il compiersi di un destino inesorabile, quanto piuttosto il «passaggio obbligato per una nuova creazione di Dio in mezzo agli uomini» (p. 33).
La consapevolezza del suo agire non lo esime dal provare tutto il ventaglio di sentimenti che l’avvicinarsi della morte suscita: dal turbamento (Gv 12,23-28a) all’angoscia (Mc 14,32-34). Commentando questi passi, Miranda mette in luce un elemento particolarmente interessante: da un lato, Gesù viene innegabilmente dipinto come un uomo triste e angosciato (Mt 26,36-38), come evidenza il ritmo della narrazione, che non si sofferma tanto sulla sua intimità psicologica, quanto piuttosto sulle somatizzazioni della sua condizione (il sudore), dall’altro, però, questa sofferenza non viene presentata come una lotta di Gesù con se stesso, quanto piuttosto come occasione di pieno affidamento alla volontà del Padre.
L’insistenza sulla condizione affettiva di Gesù ce lo rende particolarmente vicino, tutto il contrario dell’imperturbabilità che veniva attribuita dalla filosofia ellenistica al sapiente di fronte alla morte.
Ciò che i vangeli ci fanno vedere è un Gesù dilaniato dalla paura, ma che nello stesso tempo si rifugia nella preghiera e nell’affidamento al Padre, divenendo così, pur nel suo « antieroismo »«un modello di condotta valido per ogni credente» (p. 88).
Questi passi ci fanno capire come l’analisi di Miranda provochi all’arricchimento della cristologia da integrare con l’analisi del vissuto affettivo di Gesù.

Le emozioni di Gesù

Altrettanto interessante è la ricostruzione di quella che potremmo chiamare una sorta di « dialettica affettiva », che molti brani evangelici ci descrivono.
I sentimenti, infatti, sono generati dalle relazioni. Gesù, ad esempio, resta ammirato di fronte alla fede del centurione (Lc 7,6b- 9), così come si scandalizza per l’incredulità dei suoi interlocutori (Mc 6,6).
Tale reazione coinvolge, però, direttamente anche i suoi interlocutori. Lo si vede emblematicamente nell’episodio del giovane ricco (Mc 10,20-22). In questo incontro, Gesù manifesta tutto l’amore gratuito che ha nei confronti di ogni uomo. Nella concretezza di un singolo episodio si viene a manifestare un tratto costante dell’agire e del sentire di Gesù: «l’atto del « fissare » il giovane, che assume un rilievo eccezionale nel testo evangelico, vale ad individuare il sentimento di Gesù in modo definitivo» (p. 62). A questo si oppone il rifiuto del giovane che se ne andò « afflitto », perché aveva molti beni. Alla gratuità dell’atteggiamento di Gesù fa riscontro la tristezza generata dal rifiuto, così come al ritrovamento della pecora smarrita, dopo le fatiche della ricerca, fa seguito l’invito alla gioia (Lc 15,4-7) «presentata qui come sentimento condiviso tra quanti hanno parte alla salvezza» perché «tutt’uno con la gioia del ritrovamento è il desiderio di metterla in comune con gli altri» (p. 74).
Lo stesso Gesù non ha imbarazzo nel comunicare le proprie reazioni alle azioni altrui: è il motivo per cui si indigna nei confronti dei discepoli che vogliono allontanare i bambini (Mc 10,13-16), fino allo sdegno e all’ira per la mancata condivisione dei sentimenti di Dio come si vede nella parabola dei due debitori (Mt 18,31-34) e in quella dell’invito al banchetto (Lc 14,21).
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, tuttavia sono sufficienti per farci comprendere due importanti ricadute dello studio di Miranda. In primo luogo, la necessità di una sorta di riabilitazione del mondo affettivo, per delineare tratti fondamentali della Rivelazione che avviene attraverso la storia di Gesù. Riletta dal punto di visto affettivo, essa ci fa vedere come, nella condivisione dei sentimenti che coprono l’insieme delle risonanze affettive umane, Gesù manifesta la sua vicinanza, ma anche la sua ulteriorità. La reticenza dei vangeli a descrivere il mondo affettivo di Gesù evidenza allora, per contrasto, l’importanza dei verba affectuum, la cui presenza «non è orientata a sottolinearne la componente puramente umana» (p. 119). Ciò fa sì che una «visione di tipo flebilmente intimistico dei sentimenti di Gesù risulterebbe quanto mai inopportuna» (ivi).
A ciò può auspicabilmente far seguito anche una maggiore riconsiderazione per le dinamiche affettive nell’evangelizzazione. Gli esempi riportati illustrano, infatti, come l’annuncio della parola o dei gesti di Gesù suscitino delle reazioni che sono, in prima battuta e non solo superficialmente, affettive. Sia l’accoglienza che il rifiuto si dipanano all’interno di una « dialettica affettiva » che, se ignorata, impedisce la recezione effettiva del messaggio. Troppo spesso, infatti, in nome della paura della sensibilità, giudicata frettolosamente come irrazionale e inaffidabile, ci si affida alla sola dimensione razionale della presentazione del messaggio, dimenticando che affetti e ragione non procedono separatamente, ma sono intimamente legati.
 
Fonte: La Settimana n° 31/2008
 
(Teologo Borèl) Settembre 2008 – autore: Marco Tibaldi

Publié dans:meditazioni |on 29 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Les 3 Archanges avec Tobie – Botticini (ritengo che siano da sinistra: Michele, Raffaele, Gabriele; sito in francese da vedere)

Les 3 Archanges avec Tobie - Botticini (ritengo che siano da sinistra: Michele, Raffaele, Gabriele; sito in francese da vedere) dans immagini sacre tobias

http://forumdeprieres.forumsactifs.com/st-michel-archange-et-les-anges-f11/les-archanges-t416.htm

Publié dans:immagini sacre |on 28 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Papa Bendetto: Omelia per Ordinazione episcopale e festa dei Santi Arcangeli

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2007/documents/hf_ben-xvi_hom_20070929_episc-ordinations_it.html

CAPPELLA PAPALE PER L’ORDINAZIONE EPISCOPALE DI SEI ECC.MI PRESULI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato, 29 settembre 2007

Ordinazione episcopale e festa dei santi arcangeli

Cari fratelli e sorelle,

siamo raccolti intorno all’altare del Signore per una circostanza solenne e lieta ad un tempo: l’Ordinazione episcopale di sei nuovi Vescovi, chiamati a svolgere mansioni diverse a servizio dell’unica Chiesa di Cristo. Essi sono Mons. Mieczyslaw Mokrzycki, Mons. Francesco Brugnaro, Mons. Gianfranco Ravasi, Mons. Tommaso Caputo, Mons. Sergio Pagano, Mons. Vincenzo Di Mauro. A tutti rivolgo il mio saluto cordiale con un fraterno abbraccio. Un saluto particolare va a Mons. Mokrzycki che, insieme a all’attuale Cardinale Stanislaw Dziwisz, per molti anni ha servito come segretario il Santo Padre Giovanni Paolo II e poi, dopo la mia elezione a Successore di Pietro, ha fatto anche a me da segretario con grande umiltà, competenza e dedizione. Con lui saluto l’amico di Papa Giovanni Paolo II, il Cardinale Marian Jaworski, a cui Mons. Mokrzycki recherà il proprio aiuto come Coadiutore. Saluto inoltre i Vescovi latini dell’Ucraina, che sono qui a Roma per la loro visita « ad limina Apostolorum ». Il mio pensiero va anche ai Vescovi greco-cattolici, alcuni dei quali ho incontrato lunedì scorso, e la Chiesa ortodossa dell’Ucraina. A tutti auguro le benedizioni del Cielo per le loro fatiche miranti a mantenere operante nella loro Terra e a trasmettere alle future generazioni la forza risanatrice e corroborante del Vangelo di Cristo.

Celebriamo questa Ordinazione episcopale nella festa dei tre Arcangeli che nella Scrittura sono menzionati per nome: Michele, Gabriele e Raffaele. Questo ci richiama alla mente che nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati « angeli » della loro Chiesa, esprimendo in questo modo un’intima corrispondenza tra il ministero del Vescovo e la missione dell’Angelo. A partire dal compito dell’Angelo si può comprendere il servizio del Vescovo. Ma che cosa è un Angelo? La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa ci lasciano scorgere due aspetti. Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola « El », che significa « Dio ». Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio. Se la Chiesa antica chiama i Vescovi « angeli » della loro Chiesa, intende dire proprio questo: i Vescovi stessi devono essere uomini di Dio, devono vivere orientati verso Dio. « Multum orat pro populo » – « Prega molto per il popolo », dice il Breviario della Chiesa a proposito dei santi Vescovi. Il Vescovo deve essere un orante, uno che intercede per gli uomini presso Dio. Più lo fa, più comprende anche le persone che gli sono affidate e può diventare per loro un angelo – un messaggero di Dio, che le aiuta a trovare la loro vera natura, se stesse, e a vivere l’idea che Dio ha di loro.

Tutto ciò diventa ancora più chiaro se ora guardiamo le figure dei tre Arcangeli la cui festa la Chiesa celebra oggi. C’è innanzitutto Michele. Lo incontriamo nella Sacra Scrittura soprattutto nel Libro di Daniele, nella Lettera dell’Apostolo san Giuda Taddeo e nell’Apocalisse. Di questo Arcangelo si rendono evidenti in questi testi due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del « serpente antico », come dice Giovanni. È il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. Ma il drago non accusa solo Dio. L’Apocalisse lo chiama anche « l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte » (12, 10). Chi accantona Dio, non rende grande l’uomo, ma gli toglie la sua dignità. Allora l’uomo diventa un prodotto mal riuscito dell’evoluzione. Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. È compito del Vescovo, in quanto uomo di Dio, di far spazio a Dio nel mondo contro le negazioni e di difendere così la grandezza dell’uomo. E che cosa si potrebbe dire e pensare di più grande sull’uomo del fatto che Dio stesso si è fatto uomo? L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del Popolo di Dio (cfr Dn 10, 21; 12, 1). Cari amici, siate veramente « angeli custodi » delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il Popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore.

Incontriamo l’Arcangelo Gabriele soprattutto nel prezioso racconto dell’annuncio a Maria dell’incarnazione di Dio, come ce lo riferisce san Luca (1, 26 – 38). Gabriele è il messaggero dell’incarnazione di Dio. Egli bussa alla porta di Maria e, per suo tramite, Dio stesso chiede a Maria il suo « sì » alla proposta di diventare la Madre del Redentore: di dare la sua carne umana al Verbo eterno di Dio, al Figlio di Dio. Ripetutamente il Signore bussa alle porte del cuore umano. Nell’Apocalisse dice all’ »angelo » della Chiesa di Laodicea e, attraverso di lui, agli uomini di tutti i tempi: « Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » (3, 20). Il Signore sta alla porta – alla porta del mondo e alla porta di ogni singolo cuore. Egli bussa per essere fatto entrare: l’incarnazione di Dio, il suo farsi carne deve continuare sino alla fine dei tempi. Tutti devono essere riuniti in Cristo in un solo corpo: questo ci dicono i grandi inni su Cristo nella Lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi. Cristo bussa. Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete anche assumere la funzione di Gabriele: portare la chiamata di Cristo agli uomini.

San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione. Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere « l’angelo » risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso. In secondo luogo, il Libro di Tobia parla della guarigione degli occhi ciechi. Sappiamo tutti quanto oggi siamo minacciati dalla cecità per Dio. Quanto grande è il pericolo che, di fronte a tutto ciò che sulle cose materiali sappiamo e con esse siamo in grado di fare, diventiamo ciechi per la luce di Dio. Guarire questa cecità mediante il messaggio della fede e la testimonianza dell’amore, è il servizio di Raffaele affidato giorno per giorno al sacerdote e in modo speciale al Vescovo. Così, spontaneamente siamo portati a pensare anche al sacramento della Riconciliazione, al sacramento della Penitenza che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di guarigione. La vera ferita dell’anima, infatti, il motivo di tutte le altre nostre ferite, è il peccato. E solo se esiste un perdono in virtù della potenza di Dio, in virtù della potenza dell’amore di Cristo, possiamo essere guariti, possiamo essere redenti.

« Rimanete nel mio amore », ci dice oggi il Signore nel Vangelo (Gv 15, 9). Nell’ora dell’Ordinazione episcopale lo dice in modo particolare a voi, cari amici. Rimanete nel suo amore! Rimanete in quell’amicizia con Lui piena di amore che Egli in quest’ora vi dona di nuovo! Allora la vostra vita porterà frutto – un frutto che rimane (Gv 15, 16). Affinché questo vi sia donato, preghiamo tutti in quest’ora per voi, cari fratelli. Amen. 

MICHELE GABRIELE, RAFFAELE

(stralcio) dal sito:

http://www.zammerumaskil.com/liturgia/feste-e-solennita/santi-arcangeli-michele-gabriele-e-raffaele.html

MICHELE GABRIELE, RAFFAELE

Commento

« Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo… « 

La festa di oggi sta a ricordarci la realtà spirituale che sostiene tutte le cose. E’ dunque una festa di Luce che richiama strettamente il dono dello Spirito Santo di Scienza. E’ una festa che celebra l’illuminazione cristiana.
Il compito degli Angeli e ancor più degli Arcangeli è sostanzialmente questo: illuminarci e condurci nella via di Dio.
La loro realtà discreta e incessante continua quel mistero di sovrabbondante misericordia che sgorga dal Cristo. La realtà e la missione di queste creature è proprio quella di farci vedere la realtà come essa è e cioè segnata dalla potenza del sacrificio redentore del Cristo.

Gli Arcangeli e gli Angeli svolgono spiritualmente, un po come Giovanni Battista ha fatto nella carne, la preparazione e la testimonianza di Cristo.
Parlano al nostro intimo. Ci suscitano intuizioni, ravvivano i sette doni dello Spirito, ed in particolare, come già detto, quello di Scienza:
ci aiutano a vedere ogni cosa con gli occhi di Dio.

Con la loro discrezione  e la loro funzione cristocentrica ci fanno capire come quanto essi siano distanti non solo dall’azione di satana e dei suoi accoliti decaduti ma anche da una forma di « angelologia » edulcorata e talvolta melensa che appanna o talvolta nega il ruolo di Cristo fondamentale nella creazione e nella Redenzione. Gli angeli e gli arcangeli infatti sono ben distanti da ogni forma di gnosi ma anzi aiutano a vedere Cristo e il Suo mistero in sintonia totale con la Chiesa voluta da Gesù.

Gli angeli infatti guardano a Cristo e ne sono beati e colmi di gioia. A questa beatitudine e a questa gioia spingono le nostre vite dal profondo se coltiviamo la loro amicizia e il loro aiuto.
Mentre satana nega (per quanto può) la realtà cristocentrica e l’amore sovrabbondante dell’incarnazione
gli angeli e gli arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele, a modo proprio, la sottolineano e la proclamano con forza.

Pertanto i nostri amici carissimi vanno invocati costantemente non solo per la nostra guida ma anche per sostenere i sacerdoti, i vescovi e il Santo Padre e tutto il magistero della Chiesa.
C’è infatti un legame strettissimo tra l’azione degli angeli e degli Arcangeli e il magistero della Chiesa, il legame della Verità e della Carità, che chiama le cose per nome e sconfigge ogni sotterfugio ideologico e gnostico.

Pertanto coltiviamo l’amicizia con il nostro angelo custode e con i santi Arcangeli. Chiediamo come a degli amici. Ci aiutino a vedere e amare Gesù e ad amare la Chiesa radicalmente.
Fuggiamo l’eresia, fuggiamo ogni forma di angelologia che non viene da Dio e che, con l’apparenza seduttiva del « nemico di Dio e dell’uomo », si fonda sul « misticismo gnostico » piuttosto che sulla realtà e la solidità dell’incarnazione.
Invochiamo gli Arcangeli ogni giorno per il bene della Chiesa, del Santo Padre, dei Vescovi e dei sacerdoti.
Chiediamo luci continue e umiltà costante per amare come gli « angeli » che il Signore dona alla Sua Chiesa nei suoi santi.

E anche noi, per quanto possibile, in situazioni opportune e inopportune comportiamoci in maniera « illuminata », docili allo Spirito e al discernimento dei pastori; fuggiamo il male della superbia che si insinua soprattutto nei pensieri e nelle cose spirituali e in una cattiva interpretazione ed un cattivo uso del bene della coscienza.
« Riflettiamo » con la nostra persona, come specchi, se possibile,
quanto Cristo è buono e bello e quanto il Padre incessantemente ci ama.

Paul

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San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Omelie sui vangeli, 34, 8-9

« Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, pronti alla voce della sua parola » (Sal 102,20)

È da sapere che il termine “angelo” denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi, sono chiamati arcangeli. Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l’arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.

Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele che significa “Chi è come Dio”, perché si possa comprendere dall’azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L’antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio dicendo: “Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14, 13) alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all’estremo supplizio. Orbene, egli viene presentato in atto di combattere con l’arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: “Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il Drago. Il Drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero, e furono precipitati sulla terra” (Ap 12, 7).

A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato “Fortezza di Dio”; egli viene ad annunziare colui che si degno di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Doveva dunque essere annunziato da “Fortezza di Dio” colui che veniva quale “Signore degli eserciti e forte guerriero” (Sal 23, 8). Raffaele significa “Medicina di Dio”. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità (Tb 11, 17). Fu giusto dunque che venisse chiamato “Medicina di Dio” colui che venne inviato a operare guarigioni

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno potentilla_reptans_104c

Potentilla reptans – rosacee

http://www.floralimages.co.uk/index_1.htm

Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 28 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 28 settembre: Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme.

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8163.html

Omelia (03-10-2006) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme.

Come vivere questa Parola?
L’avverbio « decisamente » ci colpisce, nella determinazione che esprime una decisione libera, una scelta precisa. Gesù ben conosce quello che l’aspetta ma va incontro alla sua passione e morte liberamente. Questo atteggiamento va contro la nostra logica umana. Potremmo perfino sentire un po’ di ripugnanza o non accettazione di questo modo di agire di Gesù e non sentirci disposti ad imitarlo. Qualunque sia la nostra scelta, la sofferenza arriva nella vita di ciascuno. Se decidiamo di seguire Gesù portando liberamente il nostro dolore che diventa croce del Signore, la sofferenza diventa accettabile e perfino redentiva per cui collaboriamo alla salvezza dei fratelli e sorelle. Diversamente sarà una sofferenza amara e sterile.
E’ proprio Gesù che dà significato ad ogni realtà della nostra vita. Gesù ci ha detto che il seme deve morire per fruttificare, che dobbiamo perdere la vita per ritrovarla, che dobbiamo prendere l’ultimo posto se vogliamo essere davvero uomini e donne libere in profondità. Facendo come Gesù ha fatto, saremo pieni della sua stessa vita e gioia! Questo non è un modo opprimente e masochisticho di vivere, anzi è liberante perché ci spalanca all’amore aprendoci orizzonti vasti e belli. Fa di noi persone che sono pienamente vive!

Oggi, nella mia pausa contemplativa, rifletterò su questa « risolutezza » di Gesù di abbracciare la totalità della vita, anche la sofferenza e la morte per amore. Chiederò il coraggio di fare altrettanto.

Gesù, non cessi mai di meravigliarmi e ogni giorno imparo di più guardando te. Aiutami a vivere la mia vita seguendo la tua via con amore e gioia.

La voce di un Autore spirituale
In Gesù c’è una profonda consapevolezza dell’indicibile dolore da sopportare, ma anche determinazione di compiere la volontà di Dio. Sopra ogni altra cosa, c’è amore: un amore senza limiti, profondo, immenso… un amore che raggiunge tutti gli esseri umani qualunque sia il luogo in cui sono, furono o saranno.
Henri Nouwen 

Job and His Wife

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http://www.artbible.net/1T/job_c_relationships_trial/index_2.htm

Publié dans:immagini sacre |on 27 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Dal « Commento sul Libro di Giobbe » di S. Gregorio Magno : La forza dell’accettazione

un breve commento al Libro di Giobbe, il motivo è che la prima lettura della messa di questa settimana – escluso mercoledì – è tratta da questo libro, leggendolo mi sembra di averlo già postato, me lo ricordo…dal sito:

http://www.viedellospirito.it/web/index.php?option=com_content&task=view&id=395&Itemid=118

Dal « Commento sul Libro di Giobbe » di S. Gregorio Magno    
 
La forza dell’accettazione 

Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell’errore.
Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all’arte veramente insuperabile della fortezza.
All’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione.
Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male.
A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri.
Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine.
Consideriamo quanta fatica sia sopportare al medesimo tempo le avversità all’esterno e difendersi allo interno contro le proprie debolezze.
L’apostolo Paolo all’esterno sopporta battaglie, perché è lacerato dalle battiture, è legato da catene; all’interno tollera la paura, perché teme che la sua sofferenza rechi danno non a sé, ma ai discepoli.
Perciò  Paolo scrive loro: “nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi  infatti sapete che a questo siamo destinati” (1^ Ts.3,3).
Nella propria sofferenza temeva la caduta degli altri, e cioè che i discepoli, venendo a conoscenza che egli veniva percosso per la fede, ricusassero di professarsi fedeli.
O sentimento di immensa carità!
Sprezza ciò che egli stesso soffre, e si preoccupa che nei discepoli non si formino concezioni sbagliate.
Sdegna in sé le ferite del corpo, e cura negli altri le ferite del cuore.
I grandi infatti hanno questo di particolare che, trovandosi nel dolore della propria tribolazione, non cessano di occuparsi dell’utilità altrui; e, mentre soffrono in se stessi sopportando le proprie tribolazioni, provvedono agli altri, consigliando quanto loro abbisogna.
Sono come dei medici eroici, colpiti da malattia: sopportano le ferite del proprio male e provvedono gli altri di cure e di medicine per la guarigione.

Publié dans:Bibbia - Antico Testamento, Papi |on 27 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 27 septembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia 27 settembre 2010: Come bambini per entrare nel Regno

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16277.html

Omelia (28-09-2009) 
Monaci Benedettini Silvestrini

Come bambini per entrare nel Regno

Erano e sono frequenti gli interrogativi che i discepoli ponevano a Gesù. “Chi è il più grande” li sintetizza tutti. La voglia di primeggiare scaturisce da una perenne competizione che, più o meno consapevolmente e in misura ed intensità diversa, tutti viviamo nei confronti di chi vive insieme con noi e condivide la nostra stessa esperienza. La risposta di Gesù è disarmante e sconvolgente rispetto alla mentalità corrente ed istintiva dell’uomo. Egli afferma che per diventare grandi davvero e capaci di entrare ne suo Regno, occorre ritornare, in una autentica ed interiore conversione, allo spirito puro e semplice dei bambini. Essere piccoli significa godere della beatitudine che lo stesso Gesù proclama: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. E’ evidente che un simile atteggiamento dell’animo umano non è spontaneo o frutto solo di un buon carattere, ma sgorga solo dalla fede e dall’umiltà del cuore; è propria di chi si fida di Dio e a Lui si abbandona “come un bimbo svezzato in braccia a sua madre”, come dice il salmista. L’esempio di Cristo dovrebbe avvincerci: Egli anche nello stremo della morte si affida al Padre: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”. Tendere a questa virtù cristiana significa garantirsi una speciale protezione divina poiché Egli “esalta gli umili ed abbassa i superbi”. 

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