Job and His Wife

un breve commento al Libro di Giobbe, il motivo è che la prima lettura della messa di questa settimana – escluso mercoledì – è tratta da questo libro, leggendolo mi sembra di averlo già postato, me lo ricordo…dal sito:
http://www.viedellospirito.it/web/index.php?option=com_content&task=view&id=395&Itemid=118
Dal « Commento sul Libro di Giobbe » di S. Gregorio Magno
La forza dell’accettazione
Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell’errore.
Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all’arte veramente insuperabile della fortezza.
All’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione.
Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male.
A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri.
Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine.
Consideriamo quanta fatica sia sopportare al medesimo tempo le avversità all’esterno e difendersi allo interno contro le proprie debolezze.
L’apostolo Paolo all’esterno sopporta battaglie, perché è lacerato dalle battiture, è legato da catene; all’interno tollera la paura, perché teme che la sua sofferenza rechi danno non a sé, ma ai discepoli.
Perciò Paolo scrive loro: “nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi infatti sapete che a questo siamo destinati” (1^ Ts.3,3).
Nella propria sofferenza temeva la caduta degli altri, e cioè che i discepoli, venendo a conoscenza che egli veniva percosso per la fede, ricusassero di professarsi fedeli.
O sentimento di immensa carità!
Sprezza ciò che egli stesso soffre, e si preoccupa che nei discepoli non si formino concezioni sbagliate.
Sdegna in sé le ferite del corpo, e cura negli altri le ferite del cuore.
I grandi infatti hanno questo di particolare che, trovandosi nel dolore della propria tribolazione, non cessano di occuparsi dell’utilità altrui; e, mentre soffrono in se stessi sopportando le proprie tribolazioni, provvedono agli altri, consigliando quanto loro abbisogna.
Sono come dei medici eroici, colpiti da malattia: sopportano le ferite del proprio male e provvedono gli altri di cure e di medicine per la guarigione.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16277.html
Omelia (28-09-2009)
Monaci Benedettini Silvestrini
Come bambini per entrare nel Regno
Erano e sono frequenti gli interrogativi che i discepoli ponevano a Gesù. “Chi è il più grande” li sintetizza tutti. La voglia di primeggiare scaturisce da una perenne competizione che, più o meno consapevolmente e in misura ed intensità diversa, tutti viviamo nei confronti di chi vive insieme con noi e condivide la nostra stessa esperienza. La risposta di Gesù è disarmante e sconvolgente rispetto alla mentalità corrente ed istintiva dell’uomo. Egli afferma che per diventare grandi davvero e capaci di entrare ne suo Regno, occorre ritornare, in una autentica ed interiore conversione, allo spirito puro e semplice dei bambini. Essere piccoli significa godere della beatitudine che lo stesso Gesù proclama: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. E’ evidente che un simile atteggiamento dell’animo umano non è spontaneo o frutto solo di un buon carattere, ma sgorga solo dalla fede e dall’umiltà del cuore; è propria di chi si fida di Dio e a Lui si abbandona “come un bimbo svezzato in braccia a sua madre”, come dice il salmista. L’esempio di Cristo dovrebbe avvincerci: Egli anche nello stremo della morte si affida al Padre: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”. Tendere a questa virtù cristiana significa garantirsi una speciale protezione divina poiché Egli “esalta gli umili ed abbassa i superbi”.