Archive pour le 25 septembre, 2010

la parabola di Lazzaro e il ricco Epulone : un abisso chiamato indifferenza (titolo preso dal sito)

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Gianfranco Ravasi : La parabola di Lazzaro e del ricco Epulone

dal sito:

http://www.stpauls.it/fc04/0451bis/0451bf59.htm

Il biblista Ravasi

La parabola di Lazzaro e del ricco Epulone

Gesù parla a noi, figli del mondo dello spreco
Nel Libro della Sapienza si elencano le quattro virtù cardinali o morali. Ebbene, contrariamente alla tradizione successiva che collocherà al primo posto la prudenza, qui si propone quest’ordine: «La Sapienza insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (8,7). Certo è che la moderazione o sobrietà, non solo nel consumo dei cibi ma anche nel possesso, nell’egoismo, nell’intemperanza delle passioni, è una virtù preziosa. Il Libro dei Proverbi rappresenta questa vivacissima scenetta: «Per chi i guai, i lamenti, i litigi, i gemiti? A chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi rossi? Per quelli che si perdono dietro al vino e vanno a gustare vino puro. Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende giù piano piano. Finirà col morderti come un serpente e pungerti come una vipera… Ma quando mi sveglierò, ne chiederò dell’altro!» (23,29-32.35). Noi, per illustrare questa virtù, proporremo una parabola di Gesù molto famosa, quella del povero Lazzaro e del ricco gaudente (Luca 16,19-31).

La tradizione popolare ha usato un aggettivo ormai in disuso ma efficace per designare quel ricco, « epulone ». «Un uomo ricco vestiva di porpora e bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante era bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco». Alla fine il giudizio è nel contrappasso: il povero Lazzaro è accolto nella festa del cielo in compagnia di Abramo e di tutti i giusti, mentre il ricco gaudente è nell’inferno e implora anche solo una goccia che cada sulla sua lingua dal dito bagnato d’acqua di Lazzaro. La lezione è chiara ed è attuale soprattutto per il mondo occidentale, che non conosce limite allo spreco e che ormai ha come problema principale quello della dieta e della linea, davanti a un altro mondo che è, al contrario, affamato e assetato. Isaia ribadiva che il vero digiuno è «dividere il pane con l’affamato» (58,7) e la testimonianza di Cristo e della prima comunità cristiana è, al riguardo, emblematica. La temperanza, però, che è soprattutto controllo di sé e delle passioni, non conduce al disprezzo del corpo e del cibo, tant’è vero che Gesù è ritratto spesso dagli evangelisti mentre è a mensa, così da essere bollato come «un mangione e un beone». In realtà la temperanza non è masochismo e cupezza o ascetismo acido e duro; è, invece, sobrietà, dignità, sereno distacco ed equilibrio. Anche san Paolo suggeriva al discepolo Timoteo di non rinunciare a «un po’ di vino a causa dello stomaco e delle frequenti indisposizioni» (1Timoteo 5,23).

Gianfranco Ravasi

Omelia 26 settembre 2010: Il povero Lazzaro e l’innominato festaiolo

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19428.html

Omelia (26-09-2010) 
don Roberto Seregni

Il povero Lazzaro e l’innominato festaiolo

Per la terza domenica di fila, la liturgia ci porta a meditare su una parabola del racconto di Luca. Mi piace continuare a stupirmi della genialità, dell’imprevedibilità con cui Gesù riusciva a toccare il cuore e la mente dei suoi discepoli e dei suoi ascoltatori.
Nel mese di luglio ho avuto la fortuna di condividere una bellissima settimana con un gruppo di adolescenti e giovani della mia comunità. Ogni giornata è stata scandita da una parabola. Devo confessare che è stata un’ esperienza molto importante per me, perché mi ha costretto a rimettermi in gioco, a ritrovare entusiasmo e soprattutto a stare davanti alla Parola con stupore.
A volte ho l’impressione che a noi preti, agli « addetti al lavoro », a chi si sente esperto, manchi proprio lo stupore. Ringrazio il Signore, perché ho avuto la fortuna di (ri)impararlo proprio dai miei ragazzi.
Bene, allora lasciamoci stupire da questa parabola!
I due protagonisti sono descritti abilmente da Luca: il ricco è senza nome, si veste come un vip del suo tempo e gozzoviglia tra un banchetto e un ricevimento; il povero, invece, ha un nome, si chiama Lazzaro – diminutivo di Eleazaro che significa « Dio aiuta » – e sta alla porta del ricco mangione cercando qualche avanzo per sfamarsi.
Vorrei sottolineare che il centro della parabola non sta nel ribaltamento della seconda scena, Gesù non vuole attirare la nostra attenzione sulla punizione che spetta all’innominato festaiolo.
Il ricco non è condannato per le sue ricchezze, ma per la sua totale indifferenza verso il povero Lazzaro. Questo è il centro della parabola.
Il ricco e il povero sono vicini, vicinissimi, ma l’uno nemmeno si accorge dell’altro. Questo, lo ripeto, è il centro. Il ricco non è né cattivo, né violento, né oppressore verso il povero Lazzaro. Semplicemente non lo vede. Terribilmente non si accorge di lui.
Questa indifferenza è l’abisso che separa l’uno dall’altro, valico incolmabile scavato dalla superficialità e dalla supponenza del ricco godereccio.
Quest’ultimo non fa nulla di male: non lo uccide, non lo picchia, non peggiora la sua situazione. Ma proprio su questo, la parabola vuole attirare la nostra attenzione: sul minimalismo che ci abita, sulla supponenza che ci gonfia fino a far sparire le persone che ci stanno vicine, sulla superficialità che ci svuota e ci rende terribilmente miopi, sulle ricchezze che appesantiscono e impediscono il cammino verso l’altro.

Quanto ci dedichiamo alle persone che incrociamo ogni giorno? Quanto tempo regaliamo per ascoltare, accogliere, riconoscere situazioni di bisogno o di necessità che ci circondano? Quanto siamo pronti a rinunciare alla frenesia e alla fretta che ci risucchiano in vortici di superficialità, per regalare del tempo ad un amico? Quanta energia investiamo nel colmare gli abissi che l’indifferenza scava tra cuore e cuore?

Animo, fratelli! Sbarazziamo della miopia e della fretta che ci tengono ostaggi, non permettiamo alle ricchezze di zavorrarci nelle nostre presunzioni e chiediamo a Dio un cuore che sappia amare con passione!
Un missionario mi disse: « Chi ama tanto, vede tanti poveri; chi ama poco vede pochi poveri; chi non ama, non vede nessuno. »

Tra poche settimana uscirà per Ancora un mio piccolo libretto dal titolo « Vangeli in jeans », se digitate in YouTube il titolo potete vedere la presentazione.

Buona settimana
don Roberto

buona notte

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Earth

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Omelia per il 25 settembre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19365.html

Omelia (25-09-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini.

Come vivere questa Parola?
Mentre la folla si meraviglia per le opere prodigiose compiute da Gesù, egli si mette a spiegare ai discepoli che la sua identità come Figlio dell’uomo e la sua missione salvifica, si riveleranno solo attraverso la sofferenza e il rifiuto. E’ una verità dura e Gesù li consiglia: « Mettetevi bene in mente queste parole ». Però non capiscono subito; la passione di Gesù si scontra radicalmente con la loro logica. Comprenderanno meglio solo dopo la risurrezione, con la forza dello Spirito e si addentreranno nel fatto che anche loro dovranno soffrire per la fede in Gesù. Ma per adesso, sperimentano solo paura e non osano neanche interrogarlo di più su questo argomento.

Nella mia pausa contemplativa, con l’aiuto dello Spirito Santo, mediterò sulla passione di Gesù. Dio mi ha amato così tanto, « da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16). Anch’io, devo portare la mia croce: malattia, contraddizioni, relazioni problematiche, limitazioni ecc. con piena fiducia di essere in compagnia di Dio che mi ama immensamente; e tutto acquista significato nella risurrezione di Gesù.

Signore Gesù ti ringrazio per tutto ciò che hai sofferto per me! Aiutami ad entrare di più nel mistero di Dio-Amore, per poter affiancarmi a te anche nelle sofferenze e difficoltà della vita.

Un testimone dei nostri giorni
E’ Dio stesso che ci rivela il moto della nostra vita spirituale. Non è il moto dalla debolezza alla potenza ma il moto in cui abbiamo sempre meno paura, abbassiamo le nostre difese e ci apriamo sempre di più agli altri ed al mondo, anche quando ciò conduce al dolore e alla morte.
Henri Nouwen 

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