B. MAGGIONI : DIO PARLA DELLA VITA
dal sito:
B. MAGGIONI
DIO PARLA DELLA VITA
Sono convinto che Dio parli della vita in diversi modi. Nel mio discorso, però, mi soffermo sulla Parola di Dio « scritta », Antico e Nuovo Testamento. Mi interessa soprattutto una domanda: qual è la radice che nel discorso biblico costituisce il fondamento ultimo che dà senso e dignità alla vita di ogni uomo? Non soltanto senso e dignità alla vita riuscita e promettente, ma anche alla vita « ferita »? Come si sa, il cammino biblico può apparire frammentario, lungo, persino tortuoso. La verità non sta nella somma si tutti i particolari che emergono, ma nella logica che guida l’intero cammino, che rimane ferma anche nel variare delle situazioni, che via via si chiarisce e trova il suo compimento nell’evento di Gesù Cristo.
La prospettiva scelta- indubbiamente limitata e tuttavia essenziale- mi libera da alcune preoccupazioni, come l’analisi dei singoli testi, delle situazioni storiche in cui si collocano, della loro genesi. Nulla di questo, non faccio esegesi, ma teologia biblica. Mi interessa la sintesi.
LE COORDINATE
Ritengo utile iniziare la conversazione elencando alcune coordinate che costituiscono la griglia entro la quale il discorso biblico si è svolto, sia pure non sempre con la stessa chiarezza. Sono notissime e basta elencarle.
Fin dall’inizio la Bibbia è convinta che la vita sia molto di più della semplice esistenza. Paradossalmente il vangelo dirà che per avere la vita occorre anche saper perdere l’esistenza (Mc 8, 34)! La Bibbia è poi particolarmente colpita da quelle manifestazioni della vita che possiamo descrivere come movimento e vivacità. La vita è qualcosa che cresce e si sviluppa, dic4e pienezza e intensità. Per questo il vocabolo ebraico è al plurale, appunto per sottolineare la pienezza e la intensità. La Bibbia è convinta che occorre allargare la vita, non solo allungarla. In proposito si può leggere Prov. 3, 16-18.
La concezione biblica della vita si costruisce entro una concezione unitaria dell’uomo. Nessun dualismo, né fra spirito e corpo, né fra individuo e società. Per la Bibbia non è possibile alcun dualismo, perché vede sempre l’uomo nella sua inscindibile unità.
Il tratto biblico più tipico e più ricco è certamente il legame tra Dio e la vita. Dio è il Vivente, e la vita è il dono più prezioso che sgorga dal suo amore gratuito e fedele. In mille modi si sottolinea che la vita è dono, e come tale da vivere in gratitudine e letizia. La parola vita è sempre unita ai verbi che indicano l’azione salvifica di Dio: donare, redimere, custodire, disporre, fare. Il racconto di Genesi 2 narra che « Il Signore modellò l’uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e così l’uomo divenne un essere vivente. Il racconto sacerdotale (Genesi 1) narra invece che il sesto giorno Dio disse: « Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza » (Genesi 1, 26); e per assicurare all’uomo la sua benedizione.
Non soltanto la creazione dell’umanità nel suo insieme, ma anche l’apparire di ogni singola persona e di ogni singola vita viene ricondotta dalla Bibbia all’attività creatrice e operosa di Dio. Per la Bibbia l’uomo non comprende a fondo se stesso se non ha questa consapevolezza: egli trae la propria origine da una decisione nella quale egli non ha preso parte. All’origine di ogni uomo c’è la gratuità dell’amore di Dio, la libertà di un gesto di amore.
In proposito si possono leggere testi bellissimi, come il salmo 139 e Giobbe 10, 8-12. E’ in questa gratuità originaria che sta la ragione vera che dà senso e dignità a ogni uomo vivente. E in questa gratuità è racchiusa la « promessa » della fedeltà di Dio all’uomo, a ogni singolo uomo, una fedeltà che non può venir meno iin nessuna circostanza.
Nella concezione dell’uomo immagine di Dio sono contenute alcune affermazioni di grande rilievo. La prima è che la vita discende da Dio ed è suo dono, sua immagine e sua impronta. Dio è l’unico padrone della vita, e perciò questa è una realtà intoccabile, sottratta al potere di qualsiasi uomo. Benedicendo Noé alla fine del diluvio, Dio disse: « Della vita dell’uomo domanderò conto alla mano dell’uomo, alla mano d’ogni suo fratello… perché quale immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo (Gen 9, 6-6) ».
Una seconda affermazione è che l’uomo si colloca al vertice della creazione. L’uomo è qualcosa di unico. E’ certo imparentato con la creazione ed è solidale con tutte le creature, ma in lui c’è un di più: appunto l’essere immagine di Dio. E questo vale per qualsiasi uomo, al di là di ogni possibile differenza (si veda il salmo 8). Immagine di Dio non è qualcosa che si aggiunge alla creaturalità, ma esprime piuttosto il significato profondo di tale creatura di Dio. E si riferisce all’uomo nella sua totalità, non a una parte di essa o a una sua qualità.
Una terza affermazione è che la vita è da vivere nell’obbedienza. Immagine dicerelazione, realtà riflessa, obbedienza appunto. Dono di Dio, la vita si sviluppa rimanendo in comunione con la sua sorgente, si mortifica allontanandosene. Più semplicemente, molti passi biblici legano la promessa della vita all’osservanza dei comandamenti: per esempio Deut. 31, 15-16. In altri termini meno immediatamente religiosi, diremmo che lo sviluppo della vita è legato a una corretta impostazione della vita stessa. Con grande acutezza i profeti hanno sempre tentato di strappare Israele da progetti autonomi, e di distoglierlo da sicurezze troppo umane, ferme, fosero pure religiose. Bisogna invece abbandonarsi fiduciosamente nelle mani di Dio: « Cercate me e vivrete », dice il profeta Amos (5, 4ss). Per vivere pienamente occorre il coraggio di abbandonarsi in avanti, alla vita che ci viene incontro. E per questo non soltanto nella prospettiva di un mondo futuro (un dato che nell’Antico Testamento è nebuloso) ma anche nello svolgersi della vita mondana.
Ma dove scorge- di fatto- l’uomo biblico la sua grandezza e la sua consistenza? Con grande chiarezza risponde a questa domanda cruciale il salmo 8, che si presenta come il frutto maturo di una lunga meditazione sulla creazione e sul rapporto Dio e uomo. Il salmista trova la grandezza e la solidità dell’uomo nel fatto che Dio si ricorda di lui. Non nella bellezza dell’uomo, o nella forza, o nell’intelligenza. E’ l’amore di Dio che dà dignità all’uomo. L’esperienza più profonda dell’uomo biblico è lo stupore di essere ricordato da Dio.
L’ultima coordinata a cui voglio accennare, tanto importante da costituire in qualche modo la spina dorsale dei discorso (e perciò già ripetutamente accennata), è il rapporto di fiducia fra l’uomo e Dio: una fiducia nella sua promessa tanto solida che le molte smentite la purificano, ma non la fanno crollare. Nelle pagine bibliche, anche nelle più angosciate, quelle che sembrano esprimere l’abbandono di Dio, la fiducia nella sua fedeltà resta sempre, magari sotterranea. Questa fiducia è persino presente nel racconto di Abramo che obbedisce a Dio sino ad essere disponibile al sacrificio del figlio.
Certamente non mancano nel percorso biblico comportamenti divergenti da quanto sin qui detto: violenza contro il nemico, sterminio di città straniere, uccisioni, anche qualche episodio di suicidio. Questi comportamenti non compromettono, però, il discorso essenziale. Dicono invece la difficoltà della sua maturazione e la fatica di superare le molte remore culturali. In ogni caso, non è alla luce di questi comportamenti che va inteso il discorso centrale, ma viceversa.
TIPOLOGIE
Dopo le coordinate (alle quali ho forse dato uno spazio eccessivo) è utile riguardare il percorso anticotestamentario attraverso le varie situazioni che l’uomo biblico ha incontrato. Ne elenco alcune brevemente:
- l’uomo che vive una vita riuscita che giunge al suo termine naturale;
- la vita interrotta che si conclude con una morte prematura, a volte violenta;
- una vita colpita: la sofferenza innocente (Giobbe);
- una vita insoddisfacente e tuttavia umanamente riuscita, priva di senso in se stessa, quasi una promessa delusa (Qohelet);
- il martirio.
Certamente queste varie situazioni suscitano modi differenti di affidarsi alla vita. Ma la cosa interessante -e per noi essenziale- è che l’uomo biblico, in tutte le situazioni, ha sempre cercato rifugio nella fedeltà di Dio.
L’EVENTO DI GESÙ CRISTO E LA VITA
Il Nuovo Testamento non pone al centro della sua rivelazione l’uomo, ma come Dio guarda l’uomo: il suo amore per l’uomo, la sua alleanza con l’uomo, il suo condividere l’esistenza dell’uomo. Ovviamente questa rivelazione -che riguarda anzitutto Dio- getta una luce impensabile, nuova, sull’uomo. Elenco alcuni aspetti che direttamente ci possono interessare.
Il Figlio di Dio si è fatto « carne » (1, 14), si legge nel prologo di Giovanni. Carne non è certo la condizione di peccato, ma neppure semplicemente la natura umana: è la natura umana nella sua caducità, nella sua storicità, nella sua corporeità e nella sua mondanità. Il Figlio di Dio ha assunto la vita dell’uomo nella sua piena realtà. E così viene posto di nuovo il fondamento della dignità della vita dell’uomo nella sua totalità. Dopo l’incarnazione dei Figlio di Dio al cristiano è preclusa ogni fuga lontano dal mondo. Neppure il peccato può servire come alibi per la denigrazione della vita dell’uomo nel mondo.
Per il Nuovo Testamento non ci sono due esistenze parallele (spirituale e materiale), tanto meno un’esistenza spirituale imprigionata nel corpo e da esso impedita, e neppure due esistenze concepite semplicemente come un prima e un poi, ma un’esistenza unitaria, quella che già ora si vive, destinata però a sfociare nell’eternità e nella piena comunione con Dio. S. Giovanni, con la sua ripetuta espressione di vita eterna -da intendere come partecipazione già ora della vita divina, qualitativamente tale da vincere la morte- indica che la ragione (o il senso) della vita non è solo da cercare al di fuori di essa, nel suo destino futuro, ma è già dentro di essa: certo un senso ricevuto, ma già presente.
Se poi osserviamo le precise modalità storiche dell’esistenza vissuta dal Figlio di Dio, allora comprendiamo anche che Egli ha assunto il volto dell’uomo deriso, del sofferente, del perseguitato, del nemico, persino dell’uomo considerato peccatore e malfattore. Tutto questo mostra che nessun uomo, chiunque sia e qualsiasi cosa abbia fatto, può essere privato della sua dignità di amato da Dio. Proprio perché radicata nel gratuito amore di Dio, la dignità dell’uomo è inalienabile e incondizionata.
Gesù esige, poi, esplicitamente il massimo rispetto per l’uomo e considera come diretti a se stesso tanto l’amore quanto l’offesa (Mt 25, 21 ss). Un Dio pensato come lontano può permettere di manipolare l’uomo, ma un Dio che si fa uomo non lo permette.
Il Nuovo Testamento apre la vita dell’uomo su orizzonti vastissimi, sconfinanti nello stesso mistero di Dio, il mistero trinitario. E’ sempre il gratuito amore di Dio che apre all’uomo questi ulteriori impensati orizzonti. E così la vita è tutta segnata dalla gratuità: dono gratuito nel suo primo sorgere e dono gratuito nella sua elevazione. In qualche modo anche nell’Antico Testamento si pensava la vita -nel suo nocciolo più profondo- come comunione con Dio. Ma ora si parla di partecipazione alla stessa vita divina. E tutto questo è molto importante per comprendere la vita. Se si limita lo sguardo al solo tempo presente, o anche se si chiude lo sguardo dentro lo spessore naturale dell’uomo, trovare un senso alla vita resta obiettivamente più difficile. Bisogna alzare lo sguardo verso Dio, della cui vita l’uomo partecipa.
E siccome la vita di Dio è un dialogo di comunione e di amore (Trinità), ne consegue che anche la vita dell’uomo -inserita nel dialogo trinitario- si manifesta e si sviluppa nell’amore e nella comunione. Ha ragione S. Giovanni di scrivere nella sua lettera (3, 14): « Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, poiché amiamo i fratelli ». Vita è la novità dell’amore di Dio che in Cristo afferra la persona in tutta la sua interezza, rinnovandola, aprendola verso una impensata dignità.
LA CROCE/RISURREZIONE DI GESÙ
Ma per capire la vita bisogna capire la Croce e, ovviamente, la risurrezione. Senza la Croce mancherebbe la chiave per comprendere le contraddizioni dell’esistenza, troppe cose dell’uomo resterebbero senza senso. La Croce non sopprime le realtà negative della vita, ma ne suggerisce una diversa lettura.
Accettando la via della Croce, Gesù ha condiviso della vita dell’uomo il peso e la tentazione, il fallimento e la sofferenza, lo sconcerto di fronte a una vita interrotta, l’abbandono. Così la Croce di Gesù è il luogo in cui il mistero dell’esistenza si rispecchia, in un certo senso si ingigantisce, e poi si risolve. Morendo in Croce, Gesù si è veramente posto al centro del mistero dell’uomo e di Dio, là dove la vita sembra smentita e Dio contraddire la sua promessa. Ma la Croce/risurrezione trasforma tutte le contraddizioni in rivelazione. Le tre grandi alienazioni dell’uomo, che sembrano sconfiggere la vita privandola di senso e dignità (il peccato, la sofferenza e la morte) trovano una diversa comprensione: il peccato è perdonato, la morte è vinta dalla risurrezione, la sofferenza si tramuta in solidarietà e riscatto. Così il vangelo è persuaso che per trovare un senso positivo della vita, non solo nonostante le sue alienazioni, ma addirittura dentro le sue alienazioni, è necessario confrontarsi con la Croce di Gesù.
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