“Che cos’è il canone biblico”: L’origine del concetto di «canone»

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 “Che cos’è il canone biblico”

 L’origine del concetto di «canone»

   Per comprendere il concetto di «canone» (= «metro di misura») bisogna risalire all’idea del «libro sacro», che non è esclusiva della religione ebraico-cristiana. In diverse culture ed epoche storiche si trova l’idea secondo cui la norma della fede sia rivelata nella scrittura di alcuni libri sacri tramandati nella vita della comunità. Sono stati censiti almeno diciotto «canoni» di libri sacri attestati in diversi sistemi religiosi. Circa i libri sacri, sono noti per l’Induismo il Veda, per il Buddhismo il Tripitaka, per lo Shintoismo il Kojiki, il Nihongi e l’Engishiki, per l’islamismo il Corano, ecc. Il fenomeno che contrassegna l’origine del «libro sacro» nel suo complesso è accompagnato da alcune caratteristiche abbastanza condivise. Ne segnaliamo tre principali:
- La prima è data dall’esclusività del «libro sacro», che è ritenuto portatore di una rivelazione celeste con un messaggio «salvifico» da parte della divinità. Generalmente nello sviluppo dell’esperienza religiosa si tende a fissare l’esatta estensione del «libro sacro» in un «canone» (elenco ordinato di testi), il più possibile preciso e definitivo
- Una seconda caratteristica è data dall’uso liturgico dei testi sacri e dalla tendenza a venerare e ritualizzare l’atteggiamento cultuale nei riguardi del libro sacro.
- Una terza caratteristica è costituita dalla funzione normativa attribuita al libro sacro e dal conseguente approccio esegetico ed ermeneutico al contenuto del testo, che viene proposto ed interpretato nel corso del tempo, con una conseguente «storia degli effetti» rintracciabile nell’ambiente comunitario. Una simile evoluzione del concetto di «canone» ha caratterizzato anche il fenomeno religioso dell’ebraismo e successivamente del cristianesimo.

P  Criteri di canonicità e ispirazione divina delle Scritture

   Di fronte alla Bibbia sorge in tanti credenti la domanda: «Come e perché si è arrivati a stabilire l’elenco dei libri nella Bibbia»? Questa domanda richiede una risposta più complessa ed ampia, che riguarda l’idea della formazione del canone lungo la storia e segnatamente la nascita e lo sviluppo di ciascun libro. Il canone non è un semplice «elenco» che riporta un gruppo di «testi sacri» (corpus normativo), ma indica un «processo storico e teologico» avvenuto nel corso di un complesso sviluppo della tradizione spirituale e culturale (cf. Dei Verbum, 8), attraverso la quale i testi antichi sono giunti fino a noi integri e sono stati inseriti nell’elenco ufficiale proposto alla venerazione di tutti i credenti, in quanto sono creduti «ispirati» da Dio stesso. Tre sono i criteri principali che hanno indotto la Chiesa primitiva ad accogliere un libro sacro nel canone e a ritenerlo ispirato: a) l’origine (approvazione) apostolica; b) l’uso liturgico; c) la conformità del suo contenuto alla regola della fede.
   Si evidenzia come il tema teologico del canone si collega strettamente con il tema dell’«ispirazione» divina della Scrittura. Per tale ragione secondo il principio teologico della «canonicità», nell’elenco biblico consegnatoci dalla tradizione antica, sono presenti unicamente i libri ispirati e non esistono altri libri ispirati al di fuori del canone ufficiale della Bibbia.

P La tradizione delle Scritture di Israele

   Nel progressivo formarsi della letteratura biblica (ogni libro è caratterizzato da una sua storia redazionale), dobbiamo supporre che la comunità israelitica ebbe coscienza di possedere dei testi che riportano la Parola di Dio e, di conseguenza, costituiscono la fonte genuina della regola della fede e della vita del popolo ebraico. La ricerca è prevalentemente basata sulle fonti bibliche, dal cui contenuto emergono indicazioni e testimonianze relative a personaggi, cicli narrativi e legislativi e libri della Sacra Scrittura. Tuttavia il processo di definizione «canonica» dei singoli libri è complesso e di non facile ricostruzione. Le problematiche sono collegate soprattutto alla determinazione esatta del numero dei libri, che non è uniformemente attestata nelle diverse comunità ebraiche. Le differenze emergono specificamente nel confronto tra il mondo palestinese (che seguiva la versione della Bibbia ebraica) e la diaspora «alessandrina» (la comunità ebraica che viveva in Alessandria d’Egitto), nel cui alveo prende vita la traduzione greca della Settanta (LXX). Pertanto all’inizio dell’epoca cristiana sembrano sussistere due elenchi canonici, di cui l’elenco palestinese è più breve di sette libri rispetto a quello alessandrino. Questa differenza permane nel computo dei libri canonici, fino alla fine del I secolo d.C., quando un sinodo rabbinico riunito ad Jamnia stabilisce la lista definitiva dei libri ritenuti sacri presso gli ebrei.
   Stando alle notizie che desumiamo dalle testimonianze bibliche, la coscienza esplicita di un «canone delle Scritture» in Israele viene attestata in un periodo abbastanza recente, precisamente nel II secolo a. C. Infatti la tripartizione della Scrittura di Israele si trova per la prima volta nel prologo del Siracide (che è datato intorno al 130 a. C.), nel quale si menzionano tre collezioni: «la legge (torah), i profeti (nebiîm) e gli altri scritti (ketûbim)» (cf. Sir 1,1.7-9.25). La Legge, ovvero i primi cinque libri della Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) costituiva già da tempo un’entità ben definita, da quando aveva ricevuto la sua forma definitiva, probabilmente nel periodo diEsdra (cf. Esd7,1.25-27; Ne 8). Anche la collezione dei Profeti si può ritenere abbastanza omogenea. Essa comprende i «profeti anteriori»: Giosuè, Giudici 1-2Samuele (un solo libro) e 1-2Re (un solo libro) e i «profeti posteriori», a loro volta distinti in «profeti maggiori»: Isaia, Geremia ed Ezechiele e «profeti minori»: Osea, Gioele, Amos Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia (chiamati i «dodici profeti» e raccolti in un solo libro).
   Più complessa è la determinazione della terza collezione degli «altri scritti», che raccoglie opere sapienziali come Giobbe, Qoelet, Salmi, Proverbi, Cantico dei Cantici e libri di diversa natura quali Esdra e Neemia (un solo libro), 1 e 2Cronache (un solo libro), Daniele, Ester, Tobia, Giuditta, Rut, Lamentazioni, 1 e 2 Maccabei. Le dispute sorte all’interno delle differenti anime del giudaismo del tempo e la disfatta del 70 d. C. hanno reso ancora più problematica la determinazione del processo canonico presso la comunità ebraica. Gli autori ricorrono alle testimonianza dello storico Giuseppe Flavio (37-100 d. C.) che nell’opera Contro Apione (del 95 d. C.) parla di «22 libri considerati come divini», confermando la fluidità di questa terza collezione di scritti canonici. Pochi anni più tardi di Giuseppe Flavio, nell’apocrifo del IV Esdra si fa menzione di 24 libri pubblicamente accettati dai Giudei. Nello sviluppo della tradizione giudaica dei decenni successivi, il canone delle Scritture di Israele ha mantenuto la tradizione «dell’elenco ristretto» di origine palestinese, che annovera trentanove libri ispirati, escludendo sette libri della versione alessandrina della Settanta (Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Baruc, Siracide e Sapienza).

P  La formazione del canone cristiano

   Fin dall’inizio la Chiesa apostolica ha accolto la tripartizione delle Scritture di Israele. Nei 27 libri neotestamentari si trovano circa 350 citazioni esplicite dell’Antico Testamento, di cui 300 citazioni corrispondono alla versione greca della Settanta, che costituì la fonte principale a cui attinsero gli autori cristiani. Tuttavia il problema dell’identificazione del canone delle Scritture di Israele e la fluttuazione dell’elenco dei libri canonici emerge nelle differenti posizioni dei Padri apostolici e nell’ampio dibattito successivo, così come è testimoniato dai concili di Laodicea (360 d.C.), di Ippona (393 d.C.) e di Cartagine (397 d.C.).
   Anche la nascita e lo sviluppo del canone dei libri cristiani ha subito una complessa evoluzione e la sua determinazione finale si attesta intorno alla metà del II secolo d. C. Già negli scritti neotestamentari (cf. 2Pt 3,16; 1Tm 5,18) si trovano cenni a testi canonici, senza però riportare elenchi espliciti. Dobbiamo ritenere che le comunità locali possedevano alcuni scritti cristiani, soprattutto le lettere di Paolo e i quattro Vangeli. Questi scritti rappresentavano ancora una raccolta incompleta fino alla metà del II sec. d.C. Lo sviluppo organizzativo della Chiesa nell’ambiente imperiale e il sorgere delle prime eresie diede un notevole impulso alla formalizzazione di un canone neotestamentario. Verso la fine del II sec. compaiono opere come il Diatessaron di Taziano (180 d.C.) e iniziano i primi elenchi dei libri cristiani (il «frammento muratori ano»). Nel 200 d.C. Tertulliano per primo utilizza l’espressione «Nuovo Testamento» per definire la tradizione degli scritti cristiani rispetto alle Scritture d’Israele.
   Il consolidamento dell’elenco canonico neotestamentario avviene lungo i primi cinque secoli del cristianesimo. I 27 libri del Nuovo Testamento sono costituiti dai quattro vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), dagli Atti degli Apostoli, dall’epistolario paolino (Romani, 1-2Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1-2Tessalonicesi, 1-2Timoteo, Tito, Filemone); dalla lettera agli Ebrei e dalle lettere di Giacomo, 1-2Pietro, 1-2-3Giovanni e Giuda. L’ultimo libro è l’Apocalisse. 
   Il carattere definitivo del canone della Bibbia cristiana è confermato da un’ampia tradizione teologica e magisteriale attestata lungo i secoli. Il dibattito seguito dalla Riforma protestante nel XVI sec. portò alla definizione solenne del Concilio Tridentino (1546) che stabilisce per la Chiesa cattolica l’elenco definitivo di 73 libri, da accogliere come «sacri e canonici, interi con tutte le loro parti» (cf. EB 60).

Giuseppe  De Virgilio

Publié dans : biblica |le 20 août, 2010 |Pas de Commentaires »

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