Archive pour juin, 2010

buona notte

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San Basilio: « Non accumulatevi tesori sulla terra »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100618

Venerdì della XI settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 6,19-23
Meditazione del giorno
San Basilio (circa 330-379), monaco e vescovo di Cesarea in Cappadocia, dottore della Chiesa
Omelia sulla carità : PG 31, 266 – 267; 275

« Non accumulatevi tesori sulla terra »

        Perché tormentarti e fare tanti sforzi per mettere la tua ricchezza al riparo dietro la malta e i mattoni ? « Un buon nome val più di grandi ricchezze » (Pr 22 ,1). Ami il denaro per la considerazione che esso ti procura. Pensa quanto più grande sarà la tua fama se ti si può chiamare il padre, il protettore di migliaia di figli, piuttosto che tenere nelle tue borse migliaia di monete d’oro. Che tu lo voglia o no, dovrai ben lasciare qui il tuo denaro, un giorno. Invece, la gloria di tutto il bene che avrai fatto, la porterai con te fino davanti al sovrano Maestro, quando tutto un popolo, accalcandosi per difenderti presso il giudice comune, ti chiamerà per nomi che diranno che l’hai nutrito, che l’hai assistito, che sei stato buono.

        Quanto dovresti essere grato, felice e fiero dell’onore che ti viene fatto. Non sarai tu a dover importunare gli altri alla loro porta. Saranno loro ad accalcarsi alla tua. Però a questo punto, si rabbuia il tuo viso, diventi inabbordabile, fuggi gli incontri per paura di dovere lasciare un pò di quello che tieni così gelosamente. Non sai dire altro che : « non ho niente, non vi darò niente, perché sono povero ». Povero lo sei, in realtà, e povero di ogni bene : povero di amore, povero di bontà, povero di fiducia in Dio, povero di speranza eterna.

Pentecoste

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http://www.stbasilscathedral.org/History_of_the_Orthodox_Church/

Publié dans:immagini sacre |on 17 juin, 2010 |Pas de commentaires »

S. Giuseppe, S. Paolo, Paolo VI e il Vescovo dell’Eucaristia

dal sito:

http://www.madredelleucaristia.it/ita/art39it.htm

MOVIMENTO IMPEGNO E TESTIMONIANZA
« MADRE DELL’EUCARISTIA »

S. Giuseppe, S. Paolo, Paolo VI e il Vescovo dell’Eucaristia
Veglia per la festa del sacerdozio del 13 marzo 2004

Nessuno può amare pienamente Dio e i fratelli se non è attaccato a Gesù Eucaristia. Chiunque rinnega se stesso e prende la sua croce assomiglia sempre di più a Cristo e vola ad altezze spirituali inimmaginabili. Il Vescovo ordinato da Dio ama profondamente l’Eucaristia e ne ha fatto la ragione principale del suo ministero sacerdotale. Chi vive in grazia e si nutre alla Fonte della vita ha le stesse qualità del Cristo e percorre lo stesso cammino, ostacolato alcune volte dalle cattiverie degli uomini che non comprendono i disegni di Dio. L’intensa vita spirituale e le virtù del nostro Vescovo sono presenti in tre grandi santi che hanno posto al centro della loro vita l’Eucaristia, difendendola e proteggendola dai nemici di Dio. È sorprendente vedere la somiglianza, i punti di contatto e lo stesso amore per Dio e il prossimo che accomunano il nostro Vescovo a S. Giuseppe, a san Paolo e a Papa Paolo VI.
Mons. Claudio Gatti ama profondamente questi tre grandi uomini perché, prima di lui, hanno protetto e amato il tesoro più prezioso: l’Eucaristia.

IL RAPPORTO CON L’EUCARISTIA

S. Giuseppe – S. Giuseppe è il santo più grande dopo la Madre dell’Eucaristia: Dio lo ha collocato così in alto e gli ha dato il titolo di « Santo Custode dell’Eucaristia », poiché è stato particolarmente premuroso e attento nel custodire e adorare Gesù durante la sua vita terrena. Nella lettera di Dio del 2 marzo 2002 la Madre dell’Eucaristia ci ha rivelato un fatto mai conosciuto in duemila anni di storia della Chiesa: « Quando Gesù è morto, il mio amato sposo era accanto a me, spiritualmente parlando, e mi aiutava con le sue dolci parole come aveva sempre fatto durante la vita ». E il 3 marzo ha continuato: « Ieri, ho iniziato a parlarvi del mio amato sposo Giuseppe e vi ho detto che lui era presente durante la passione, la morte e la risurrezione di Gesù; era accanto a me e mi aiutava e mi sorreggeva ». S. Giuseppe è rimasto sempre vicino a Gesù.

S. Paolo – Lo stesso amore per l’Eucaristia è stato al centro della vita di S. Paolo. Egli affermava che ci deve essere unione tra i servi di Dio, essi devono costruire l’edificio del Signore senza antagonismi. L’edificio si fonda sull’Eucaristia, unico vero fondamento, e Paolo ammoniva i costruttori ad edificarlo correttamente, cioè rimanendo perfettamente fedeli agli insegnamenti di Cristo. Paolo viveva intensamente la celebrazione della S. Messa ed era cosciente di non poter far nulla senza l’aiuto dell’Eucaristia: « Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi » (II Cor 4,7).

Paolo VI – Nella vita di Paolo VI domina l’Eucaristia. Per Papa Montini in Essa « è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa ». Nell’Enciclica « Mysterium Fidei » definisce l’Eucaristia la « Medicina dell’immortalità ».
Paolo VI, durante il suo pontificato, aveva avuto il sentore che qualcosa si stava insinuando nella Chiesa e andava ad intaccare il bene più prezioso di un cristiano: l’Eucaristia. « Il fumo di satana è entrato nel tempio di Dio », disse in un discorso. L’obiettivo dell’Enciclica Mysterum Fidei, infatti, era di smentire in modo fermo e deciso le opinioni di alcuni che mettevano in dubbio la centralità dell’Eucaristia nella Chiesa. Paolo VI sottolinea che nell’Eucaristia, per la transustanziazione, Gesù è realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità sotto le specie del pane e del vino e che la presenza reale perdura anche al di fuori della S. Messa, per cui l’Eucaristia deve essere conservata in modo dignitoso e deve esserle reso il culto dovuto con l’adorazione.
Monsignor Pasquale Macchi, suo segretario particolare, scrive: « Desidero rivelare che mai si privò della celebrazione della S. Messa, neanche nei giorni di malattia, eccetto in occasione dell’intervento chirurgico del 1967. Il Papa seguì anche l’ultima S. Messa della sua vita con intensa devozione e al momento della Comunione egli si protese verso l’Eucaristia « come la cerva anela alle sorgenti delle acque ». Paolo VI abolì il latino dalla liturgia della S. Messa proprio per farla seguire ed amare di più dai fedeli e li esortò a partecipare quotidianamente al sacrificio eucaristico.

Vescovo dell’Eucaristia – Il Vescovo Mons. Gatti ha fatto dell’Eucaristia il centro della propria vita pastorale, riuscendo a raggiungere alte vette spirituali e a dare tutto se stesso alle anime. Egli parla dell’Eucaristia con un tale trasporto che le sue parole arrivano al cuore di chi le ascolta. Il Vescovo, come dovrebbe fare ogni sacerdote della Chiesa, ha basato la sua vita sulla S. Messa che è la forma più grande di preghiera che ci avvicina al Signore, ed ha cercato di portare un rinnovamento, un maggiore amore e una fede più ardente nei riguardi dell’Eucaristia.
Il Vescovo ha fatto dell’Eucaristia la sua ragione di vita ed ha pagato in prima persona per difenderla dagli attacchi dei nemici di Dio.

L’ANSIA APOSTOLICA E LA PREDICAZIONE

S. Paolo – Per S. Paolo la centralità della predicazione è Cristo. Leggiamo nella seconda lettera ai Corinzi: « Noi, infatti, non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù » (II Cor. 4; 5). L’amore grande che ha avuto S. Paolo verso Gesù, lo ha spinto a predicare il S. Vangelo affrontando persecuzioni, sofferenze e fatiche. L’ansia della predicazione della Parola di Dio traspare dall’incisività delle sue parole. Suo unico desiderio è annunciare Cristo con coerenza e chiarezza e non vuole abbagliare con parole forbite i suoi fedeli per trovarne il plauso o per far emergere la propria persona: « Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai se non predicassi il vangelo! » (I Cor 9,16).
L’efficacia e la forza della predicazione di Paolo, che ha portato alla Chiesa grandi frutti spirituali, derivano dalla sua profonda unione con Cristo, dalla presenza della grazia di Dio che ha sostenuto la sua missione d’evangelizzazione: « Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza » (II Cor 3,5).

Paolo VI – La stessa ansia apostolica è stata sempre presente in Paolo VI. Papa Montini ha avuto il difficile compito di portare avanti tre delle quattro sessioni del Concilio Vaticano II ed è stato costretto a prendere decisioni importanti che ha cercato di imporre, mosso dal suo grande amore per la Chiesa e dalla consapevolezza che qualcosa andava cambiato. Tutto ciò lo ha portato ad essere amato e odiato allo stesso tempo. A tale proposito nell’enciclica Ecclesiam suam si denota la preoccupazione di Paolo VI di far sì che la Chiesa si adatti alle circostanze storiche e sociali in cui svolge la propria missione. Essa deve cercare una forma di dialogo e d’apertura verso la civiltà contemporanea per raggiungere più facilmente il cuore di chi è lontano da Cristo, ma questo non deve tradursi in un’attenuazione o in una diminuzione della Verità; l’apostolato non può arrivare ad un compromesso rispetto ai principi di pensiero propri della professione cristiana. Solo rimanendo sempre fedeli alla dottrina di Cristo si può esercitare l’apostolato con forza e vigore.

Vescovo dell’Eucaristia – Il gran desiderio che ebbero S. Paolo e Paolo VI di annunciare Cristo agli uomini è lo stesso che tutti noi abbiamo riscontrato nel nostro Vescovo. La diffusione della conoscenza e dell’amore verso l’Eucaristia, la predicazione della Parola di Dio sono impegni che Mons. Claudio ha sempre cercato di portare avanti, con la forza e l’autorità che gli competono. È stata sempre sua ferma convinzione che avvicinare i fratelli lontani da Cristo non vuol dire scendere a compromessi, ma spiegare alle anime l’importanza della vita di grazia, una vita che comporta sacrifici ed un notevole impegno.
Troviamo nelle parole del Vescovo la sua grande ansia apostolica: « Quando la Madonna ci comunica che anche in altre parti si fanno gli incontri biblici, io provo una grande gioia perché l’ansia del vero sacerdote è che Cristo sia conosciuto, perché quando è conosciuto, è talmente forte, simpatico e vivo che non si può non amare. Si ama il Cristo che si conosce, non si ama il Cristo che non si conosce. Il sacerdote deve cercare di portare avanti quest’ansia e trasfonderla negli incontri biblici che devono essere desiderati, preparati, alimentati dalla meditazione e dalla preghiera e devono essere accompagnati dalla presenza dell’Eucaristia, che, sola, può renderli vivi e vitali, per questo non si può scindere la Parola di Dio dall’Eucaristia ».
Spesso la Madonna ci ha ripetuto: « Avete conosciuto fino in fondo Gesù Eucaristia, questa conoscenza è frutto dell’amore del vostro Vescovo, il Vescovo dell’Eucaristia, il Vescovo del Vangelo; di ogni rigo del S. Vangelo ne fa un poema » (Lettera di Dio, 1 gennaio 2000).

L’UMILTÀ

S. Giuseppe – S. Giuseppe è un autentico esempio di umiltà. Quando la Sacra Famiglia appare alla nostra sorella Marisa, lei ci racconta che S. Giuseppe si colloca sempre un passo indietro rispetto a Gesù e alla sua sposa, ed è sempre la Madre dell’Eucaristia che lo invita a fare un passo in avanti per mettersi al suo fianco. Giuseppe è stato chiamato da Dio a custodire Gesù durante la vita terrena e a questo compito ha risposto con un amore immenso. Ha vissuto il ruolo di sposo e di padre putativo con maturità e responsabilità, perché si è preparato con profonda umiltà a vivere i compiti che Dio gli ha affidato.
L’amore di S. Giuseppe è stato alimentato dall’umiltà, egli ha raggiunto le più alte vette spirituali perché ha vinto il proprio io, ha dominato l’orgoglio ed è vissuto sereno e fiducioso nel nascondimento. Ha riservato il primo posto a Dio, collocando il prossimo immediatamente dopo e tenendo per sé l’ultimo posto.

S. Paolo – S. Giovanni Battista diceva: « Cristo deve crescere e io diminuire ». S. Paolo ha applicato alla lettera questo insegnamento in tutta la sua vita. L’umiltà è anche sincerità e verità, l’apostolo dichiarava apertamente di essere stato chiamato da Dio e di avere dei doni, ma ammetteva prontamente che questi gli venivano da Dio e non da lui. Infatti, nella prima lettera ai Corinzi S. Paolo scrive: « Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio » (I Cor 2,3-5).

Paolo VI – Fra le molte qualità di Paolo VI c’erano sicuramente l’umiltà e la semplicità. Nel Natale del 1957 donò per la costruzione di nuove chiese ciò che di più caro conservava della sua consacrazione episcopale: una stupenda croce pettorale d’oro massiccio con gemme e un anello pastorale con un grosso brillante, dono della nobiltà romana. All’arcivescovo di Milano, futuro Pontefice, piacevano le cose semplici, abolì tutto ciò che non serviva a dare gloria a Dio, ma solo agli uomini, compresa la sedia gestatoria. Sotto il suo pontificato i paramenti liturgici, infatti, persero i ricchi pizzi e tutto ciò che era ridondante e superfluo, affinché si raggiungesse una religiosa sobrietà. Ai vescovi del Concilio Vaticano II donò un anello episcopale molto semplice e privo di pietre preziose: questo gesto inaugurò un nuovo stile. Nel suo testamento scrisse: « I miei funerali siano pii e semplici. La tomba amerei che fosse nella vera terra, con umile segno che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me ».

Vescovo dell’Eucaristia – Essere umili, come ci ha insegnato il nostro Vescovo, non vuol dire rinnegare le proprie qualità. L’umile è colui che riconosce la grandezza dei doni che riceve dal Signore e li mette al servizio del prossimo. Il Vescovo ha sempre affermato che senza l’aiuto di Dio non sarebbe mai riuscito ad andare avanti nella grande missione, non ha mai confidato in se stesso, ma nella forza che scaturisce dall’Eucaristia. Egli ci ha invitato a ringraziare Dio per gli insegnamenti profondi che ci trasmette, perché è il Signore che lo ispira. Il Vescovo ci ha sempre insegnato che Dio deve trionfare, non gli uomini, per questo ha scelto delle insegne episcopali dignitose, ma semplici, evitando tutto ciò che può servire solo ad alimentare la vanità umana.

LA PUREZZA

S. Giuseppe – Il giglio è un fiore che descrive il candore e la bellezza dell’anima di S. Giuseppe che ha offerto la sua purezza a Dio.
I puri ricordano la condizione definitiva e finale dell’uomo, ad un mondo che si immerge sempre più nei piaceri disordinati della carne: « Sarete come angeli di Dio nel cielo » (Mt 22,30).
La purezza permette all’uomo di vivere con Dio una relazione più intima e di dedicarsi in modo generoso al servizio dei fratelli, distaccandosi dalle inclinazioni negative. S. Giuseppe è stato pronto e felice di offrire a Dio il giglio della sua purezza, lo stesso giglio che poi con Maria ha offerto di nuovo durante gli anni della vita coniugale.

S. Paolo – « Tutto è puro per i puri, ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro » (Tt 1,15). S. Paolo ha sempre esortato i suoi figli spirituali e le comunità a vivere in maniera casta rispettando e amando il proprio corpo. « Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine » (I Ts 4,3). « Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo, ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio e che non appartiene a voi stessi? » (I Cor 6,18-20).

Paolo VI – L’importanza della purezza per Paolo VI emerge chiaramente dall’enciclica, « Sacerdotalis Caelibatus », nella quale parlando del celibato dei sacerdoti, afferma che tale è la condizione che noi tutti avremo in Paradiso: « Il prezioso dono divino della perfetta continenza per il Regno dei Cieli costituisce un segno particolare dei beni celesti, annunzia la presenza sulla Terra degli ultimi tempi della salvezza con l’avvento di un mondo nuovo e anticipa in qualche modo la consumazione del regno, affermandone i valori supremi che un giorno rifulgeranno in tutti i figli di Dio. È perciò una testimonianza della necessaria tensione del popolo di Dio verso l’ultima meta del pellegrinaggio terrestre e incitamento per tutti a levare lo sguardo alle cose superne ».

Vescovo dell’Eucaristia – Per il Vescovo la purezza ha sempre rappresentato uno dei cardini della sua vita di uomo e sacerdote. Spesso ha evidenziato l’importanza di vivere la purezza dell’anima e del corpo per brillare immacolati come astri nel cielo, presentandoci con una veste candida di fronte agli occhi di Dio.

LA CARITÀ E L’AMORE

S. Giuseppe – L’amore di S. Giuseppe nei confronti della sua casta sposa Maria e verso suo Figlio Gesù emerge in ogni sua azione. Ci racconta la Madonna: « Giuseppe era felice di offrire i suoi sacrifici a Dio. Lo amava in modo straordinario. Il mio sposo era pieno di tenerezza e di amore ». La carità di Giuseppe ha raggiunto altezze vertiginose; quando ha lasciato Maria, che era ospite nella casa di Zaccaria ed Elisabetta, per fare ritorno a Nazaret, era lacerato perché sentiva la sofferenza del distacco dalla sua sposa, ma era felice, perché sapeva che la permanenza di Maria era un gesto di carità nei confronti della cugina Elisabetta, anche se nessuno comprese quel gesto. Il grande amore per Dio e la carità provocano invidie, gelosie, incomprensioni e calunnie da parte di chi non è unito al Signore.

S. Paolo – L’inno alla carità riassume il fervente amore che ha caratterizzato tutta la vita di S. Paolo: « Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto crede, tutto spera, tutto sopporta ». (I Cor 13,1-7).

Paolo VI – Leggiamo nella biografia di Paolo VI: « Il desiderio primo era di servire e accontentare ogni persona che si rivolgesse a lui. Ricevendo sacerdoti e laici, la sua attenzione era tutta per loro, come se ciascuno fosse l’unico; così il tempo delle udienze si protraeva ben al di là del mezzogiorno, e spesso la preparazione di discorsi e omelie lo teneva impegnato per ore dopo la mezzanotte ». Tutta la vita di Paolo VI è stata caratterizzata dalla carità. Paolo VI faceva del bene ma non lo faceva sapere agli altri. Il suo segretario particolare ricorda: « L’arcivescovo di Milano ogni venerdì pomeriggio si recava in forma del tutto privata a far visita a infermi o poveri o handicappati: era l’incontro con Gesù nella persona umiliata e sofferente. Nessuno ne era al corrente: con l’autista io lo accompagnavo in poverissime case, talora in veri tuguri o in piccole baracche ».

Vescovo dell’Eucaristia – Il nostro Vescovo non si è mai risparmiato con nessuno e come il grande S. Paolo « si è fatto tutto a tutti per salvare a tutti i costi qualcuno », nonostante alcune volte la stanchezza e la sofferenza pesassero gravemente sul suo fisico molto provato. Egli non ha mai chiuso la porta a chi ha chiesto con sincerità il suo aiuto e si è fatto mangiare dalle anime come un buon pastore. La carità del Vescovo verso i sofferenti e gli ammalati è una perla incastonata nella sua vita di uomo e sacerdote: ha assistito sempre con amore la nostra sorella Marisa e la nonna Iolanda e ama in maniera particolare gli anziani perché sono « le perle di Dio », come li chiama la Madre dell’Eucaristia. I suoi anni di sacerdozio sono stati quarantuno anni di carità e amore verso tutti.

LA FIGURA DEL PADRE

S. Paolo – S. Paolo è stato un autentico padre spirituale per tutti i suoi figli che ha amato ed istruito per condurli alla santità e alla vita eterna: « Ben lo sapete, come fa un padre per i suoi figli, abbiamo esortato, incoraggiato e scongiurato ciascuno di voi a condurre una vita degna di Dio che vi ha chiamati al suo regno e alla sua gloria » (I Ts 2,11-12). Un compito importante di ogni pastore che vuole aiutare le anime a lui affidate è la correzione fraterna, che se fatta con amore e accettata con umiltà porta ad una vera crescita spirituale. « Perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza ». (II Cor 7,10). S. Paolo corregge le sue comunità quando si allontanano dai suoi insegnamenti, con l’autorità e l’amore di un padre. Egli soffre a causa delle mancanze dei suoi figli e teme che non accolgano la correzione e si allontanino dalla sua guida e quindi da Cristo; quando, però, si rende conto che il dolore dei suoi figli è fertile, perché li porta alla conversione, allora il suo cuore esplode di gioia per i frutti spirituali ottenuti e dimentica le sue sofferenze.

Paolo VI – Paolo VI, nell’enciclica « Sacerdotalis Caelibatus », ha evidenziato la figura del pastore come padre per i suoi figli spirituali: « Prima di essere superiori e giudici siate per i vostri sacerdoti maestri, padri, amici e fratelli buoni e misericordiosi, pronti a comprendere, a compatire, ad aiutare. Incoraggiate in tutti i modi i vostri sacerdoti a un’amicizia personale e a un’apertura confidente con voi, che non sopprima ma superi nella carità pastorale il rapporto di obbedienza giuridica, affinché la stessa obbedienza sia più volenterosa, leale e sicura.
Andate in cerca con ansia ed amore della pecorella smarrita per riportarla al caldo dell’ovile e tentate come Cristo, fino all’ultimo di richiamare l’amico infedele ».

Vescovo dell’Eucaristia – Queste parole ci richiamano alla mente quelle che il nostro Vescovo ha usato in uno degli incontri biblici: »Il sacerdote autentico che in se stesso si sforza di riproporre i sentimenti del Cristo è colui che si lascia completamente mangiare dalle anime che gli sono affidate. La responsabilità paterna non deve mai cessare, il vero educatore, colui che è il pastore, il padre della comunità che il Signore gli ha affidato deve, nella sua catechesi, negli incontri biblici, negli incontri privati, far sentire la forza dell’esortazione, dell’incoraggiamento, della spinta e dell’accompagnamento. Il padre accompagna i figli; il vero sacerdote, il vero vescovo accompagna le anime che gli sono affidate, le mette in guardia, fa l’impossibile perché queste non compiano determinati errori o ricadano in errori già commessi, ha l’ansia di impedire alle anime che segue di fare del male ».
Il Vescovo dell’Eucaristia è sempre stato un buon padre verso tutte le anime che gli sono state affidate; non ha esitato mai un attimo a cercare di riportare all’ovile le pecorelle smarrite e a fare la correzione fraterna quando è stato necessario. La sua paternità rifulge e brilla nel suo animo di uomo e sacerdote perché non si dà pace, finché anche uno solo dei suoi figli non è tornato alla casa del Padre.

L’ABBANDONO E LA SOFFERENZA

S. Giuseppe – S. Giuseppe si è abbandonato sempre a Dio anche quando si è sentito lacerato nell’anima e negli affetti e ha vissuto situazioni umanamente incomprensibili o drammatiche: la maternità di Maria, la fuga in Egitto e lo smarrimento di Gesù Bambino.
L’abbandono di S. Giuseppe a Dio è stato perfetto e convincente ed ha sempre tenuto presente le parole di Isaia: « Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri » (Is 55,8-9). Abbandonarsi a Dio provoca una profonda lacerazione interiore alleviata però dalla consapevolezza di fare la Sua volontà. Abbandonarsi a Dio significa dirgli « Sì » con il cuore e la volontà, anche se è forte la tentazione di dire « No ».

S. Paolo – Cristo, dopo essere asceso al Cielo, ha ordinato vescovo Paolo. L’apostolo ha accettato la missione alla quale il Signore l’ha chiamato e per fare la volontà di Dio si è trovato in situazioni difficili. Egli, infatti, ha dovuto affrontare l’ostilità di coloro che non si aprivano all’annuncio evangelico e cercavano di osteggiarlo nella sua predicazione. S. Paolo ha rivendicato con forza la propria qualifica di apostolo e a volte ha sentito prepotenti la depressione e lo scoraggiamento, ma si è sempre abbandonato a Dio, fino a donare la propria vita, purché i disegni divini si realizzassero. Consapevole della sua debolezza umana, ha ricevuto forza e vigore dalla grazia del Signore: « Mi vanterò quindi delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte ». (II Cor 12,10)

Vescovo dell’Eucaristia – Il nostro Vescovo, come S. Paolo, ha ricevuto l’ordinazione episcopale direttamente dal Signore: Dio ha detto: « Ti ordino vescovo » (Lettera di Dio, 27 giugno 1999) e ha posto il suo sigillo su questa ordinazione con il miracolo eucaristico dell’11 giugno 2000. Il Vescovo non è stato libero di accettare o rifiutare la pienezza del sacerdozio, ma si è abbandonato completamente ai disegni di Dio. Egli ha gioito per l’immenso dono ricevuto, ma ha anche tremato, prevedendo ulteriori calunnie ed ostilità che avrebbe dovuto affrontare. Ha scelto di seguire Dio con decisione e coraggio, ha abbracciato la croce e ha accettato il difficile compito di portare avanti la sua dura missione insieme con Marisa.
« Tutto posso in Colui che mi dà forza » questo hanno ripetuto insieme il Vescovo dell’Eucaristia e la vittima d’amore, senza perdere mai fiducia nella potenza di Dio.

LE LETTERE DI DIO: GLI INCORAGGIAMENTI AL VESCOVO DELL’EUCARISTIA

S. Giuseppe: « Mio caro vescovo, sono il tuo Giuseppe. Sono stato incaricato di dirti che dai tanta gioia a Dio Padre, a Dio Figlio, a Dio Spirito Santo con l’amore e con la tua sofferenza. A volte è difficile far comprendere alle persone ciò che dici, ma loro sanno che Gesù parla attraverso te. Mi dà gioia sapere che mi ami; io ti aiuto dall’alto del Cielo così come posso. Anch’io, come te, mi sono sentito l’ultimo, ma Dio mi ha collocato in alto, dopo Gesù e Maria ». (Lettera di Dio, 10 marzo 2002)

Madonna: « Ogni incontro biblico è grande; quello di giovedì scorso è stato grandissimo, bellissimo. Ciò che avete ascoltato non proveniva solo da Paolo, ma anche da Claudio, dal vostro vescovo. Paolo e Claudio. Di ogni parola della Sacra Scrittura ne ha fatto un poema. Il vescovo cerca di fare penetrare nel vostro cuore ciò che dice. Paolo è grande, ma anche il vostro Vescovo è grande ». (Lettera di Dio, 24 febbraio 2002)

Paolo VI: « Io sono il grande Paolo VI e amo S.E. Mons. Claudio Gatti per le parole che ha detto nei miei riguardi. Molti mi hanno calunniato, ma da quando il mio e vostro vescovo ha parlato di me: come sono, quanto ho sofferto e quanto bene ho fatto, oggi parlano bene di me e mi chiamano il Papa gigante. No, sono piccolo, ma sono vicino alla Madre dell’Eucaristia. Grazie, Eccellenza, per la parole dette, non lasciarti andare: tu non sai quante persone vicine mi hanno calunniato e diffamato ed ero Papa. Non abbandonare, sii forte e porta avanti questa missione. Nessun santo e nessun uomo della Terra ha sofferto come te, non lasciarti andare, non abbandonare, fa’ come dicono Gesù e la Madre dell’Eucaristia. Se ti lasci andare, tua sorella crolla e chi ti vuole bene crolla. Sono il Papa che ami tanto e ti aiuto e prego per te. Non c’è bisogno di essere dichiarati santi dalla Chiesa, per Dio e per la Madre dell’Eucaristia sono santo. (Lettera di Dio, 6 agosto 2003)

CONCLUSIONE

Gli insegnamenti del nostro Vescovo ordinato da Dio sono in perfetta sintonia con quelli di S. Paolo e di Paolo VI, egli si è sempre ispirato a loro e allo stile di vita del grande S. Giuseppe.
La figura di S. Giuseppe e quella del grande Papa Paolo VI sono state riscoperte oggi nella Chiesa grazie alle lettere di Dio e alle catechesi del nostro Vescovo.
Il Vescovo Claudio Gatti, nei suoi quarantuno anni di sacerdozio, ha sempre obbedito a Dio ed ha continuato a portare avanti il compito affidatogli dal Signore. La missione del Vescovo e della veggente ha dato molti buoni frutti, ma l’ultimo tratto di strada che deve essere ancora percorso è il più duro e difficile.
A noi, come comunità, viene chiesto molto, perché molto ci è stato dato. Impariamo innanzitutto ad amare dopodiché viene la preghiera, ma soprattutto, come ha detto il nostro Vescovo in un incontro biblico, dobbiamo diventare una santa comunità se vogliamo partecipare attivamente alla missione.
Coraggio, Eccellenza, per noi sei il Vescovo Ordinato da Dio, Vescovo dell’Eucaristia, il Vescovo dell’Amore.

Publié dans:EUCARESTIA (SULL) |on 17 juin, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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Zebus (Bos primigenius )

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Publié dans:immagini sacre |on 17 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Cardinale Joseph Ratzinger: « Voi dunque pregate così: ‘Padre nostro…’ »

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Giovedì della XI settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 6,7-15
Meditazione del giorno
Cardinale Joseph Ratzinger [Papa Benedetto XVI]
Der Gott Jesu Christi (Il Dio di Gesù Cristo)

« Voi dunque pregate così: ‘Padre nostro…’ »

        Senza Gesù, non sappiamo ciò che è veramente un «Padre». Nella sua preghiera questo è divenuto chiaro, e questa preghiera gli appartiene intrinsecamente. Un Gesù che non sarebbe perpetuamente immerso nel Padre, o che non sarebbe in una permanente comunicazione intima con lui, sarebbe un essere totalmente differente dal Gesù della Bibbia  e dal vero Gesù della storia. La sua vita parte dal nucleo della preghiera; a partire da essa egli ha compreso Dio, il mondo e gli uomini…

        Sorge allora una nuova domanda: è, questa comunicazione… anche essenziale al Padre che Gesù invoca, in modo che anche lui sarebbe differente se non fosse invocato sotto questo nome? Oppure questa preghiera lo sfiora senza penetrare in lui? E questa é la risposta: appartiene al Padre di dire «Figlio», come appartiene a Gesù di dire «Padre». Senza questa invocazione neanche il Padre sarebbe veramente ciò che è. Gesù non è in contatto con lui solamente dall’esterno, ma fa proprio parte dell’essere divino di Dio, in quanto Figlio. Anche prima che il mondo fosse creato, Dio è già l’Amore del Padre e del Figlio. Ed egli può diventare nostro Padre e la misura di ogni paternità, perché è lui, in sé stesso, Padre fin dall’eternità. Nella preghiera di Gesù dunque, l’interiorità stessa di Dio diviene visibile; vediamo come è Dio. La fede nel Dio Trino non è altro che la spiegazione di ciò che succede nella preghiera di Gesù. In questa preghiera, la Trinità appare in piena luce…

        Essere  cristiano significa allora partecipare alla preghiera di Gesù, entrare nel suo modello di vita, cioè nel suo modello di preghiera. Essere cristiano significa dire con lui «Padre» e diventare così figli, figli di Dio – Dio – nell’intimità dello Spirito che ci fa essere ciò che siamo, e in questo modo, ci aggrega all’unità di Dio. Essere cristiano significa guardare il mondo a partire da questo nucleo, e allora diventare liberi, pieni si speranza, decisi e fiduciosi.

San Davide Re

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Publié dans:immagini sacre |on 16 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Le lacrime di Dostoevskij e la consolazione dello starec Amvrosij di Optina

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/arte/dostoevskamvros.htm

DOSTOEVSKIJ E LO STAREC AMVROSIJ TI OPTINA

Le lacrime di Dostoevskij e la consolazione dello starec Amvrosij di Optina 

Era il giugno del 1878 quando Fedor Michajlovic Dostoevskij, in compagnia del filosofo V. Solov’ev, si recò in pellegrinaggio al monastero di Optina Pustyn’. Il celebre autore Russo stava vivendo un momento molto difficile, il 16 maggio di quell’anno gli era morto improvvisamente, dopo un attacco di convulsioni febbrili, il figlioletto Alesha di tre anni.

Scrive la moglie Anna G. Dostoevskaja: «Fedor Michajlovic ebbe un profondo dolore per quella morte: egli amava Alesa in modo particolare, di un amore quasi morboso, come se avesse il presentimento che dovesse perderlo presto. E il bambino era morto di epilessia, malattia ereditata dal padre. Esteriormente tranquillo, egli sopportava con coraggio quel colpo del destino, ma io temevo che esso sarebbe stato fatale alla sua salute, così incostante. Per distrarlo dai pensieri troppo tristi, pregai Solov’ev, che in quei giorni di dolore veniva da noi molto spesso, di persuaderlo ad andare con lui a Optina Pustyn’, dove egli si proponeva di passare l’estate. Solov’ev mi promise che l’avrebbe fatto e cominciò a pregare Fedor M. di andare con lui. Io pure lo pregai di accompagnare Solov’ev e decidemmo che, verso la metà di giugno, Fedor M. sarebbe partito da Mosca insieme con l’amico. Solo non l’avrei mai lasciato partire». Da quanto riferisce la moglie è da supporre che Dostoevskij si recò a Optina in primo luogo per ottenere conforto spirituale per la dolorosa perdita del figlio. Sia lui che la moglie erano completamente abbandonati al dolore e le parole di consolazione dette dallo starec Amvrosij a Dostoevskij furono molto probabilmente quelle messe in bocca allo starec Zosima nel II libro de I fratelli Karamazov dove il romanziere descrive le donne credenti, e in modo particolare una madre che esprime allo starec il suo dolore per la morte del suo bambino di età e di nome uguale al figlio di Dostoevskij.

Dice la moglie A. G. Dostoevskaja: «La morte del nostro piccolo mi aveva abbattuta: mi abbandonai totalmente al dolore, piansi, piansi, ed ero così disperata che nessuno mi riconosceva. La mia vivacità abituale sparì e la mia energia fece posto all’apatia. Ero indifferente a tutto e a tutti, non mi interessavano più né la casa né gli affari e trascuravo anche i bambini… Molti dei dubbi, pensieri e anche parole mie di quel tempo si trovano ne I fratelli Karamazov nel capitolo “Le donne credenti” in cui una madre che ha perduto il suo bambino sfoga col padre Zosima il suo dolore…». Nei suoi ricordi Anna Grigor’evna racconta degli incontri avuti da Dostoevskij con lo starec Amvrosij: «Nell’eremo, Fedor M. vide tre volte il celebre e venerato padre Amvrosij; una volta in mezzo alla folla e due volte solo; i suoi discorsi gli fecero una profonda impressione. Quando disse al padre della disgrazia accadutaci e che io ero ancora così straziata, il padre gli domandò se io fossi credente e, avuta una risposta affermativa, lo pregò di portarmi la sua benedizione. Le stesse parole dice padre Zosima, ne I fratelli Karamazov, alla madre addolorata»[1].

Da “Le donne credenti”, II libro de I fratelli Karamazov

Molte delle donne che si affollavano attorno a lui versavano lacrime di gioia e di commozione, sotto l’impressione del momento; altre cercavano di spingersi avanti anche solo per baciargli il lembo della veste, altre ancora si lamentavano. Egli le benediceva tutte e ad alcune rivolgeva qualche parola…

– Eccone una che viene da lontano! – disse lo starec, indicando una donna non ancora vecchia ma molto magra e smunta, dal viso più che abbronzato addirittura quasi nero. La donna stava in ginocchio e guardava lo starec con gli occhi fissi. C’era in quello sguardo un’espressione esaltata.

– Da lontano, bàtjuska, da lontano, trecento versty da qui… Da lontano, bàtjuska, da lontano… – cantilenava la donna, dondolando pian piano la testa da una parte all’altra e appoggiando una guancia sulla palma della mano. Parlava come se si lamentasse. C’è nel popolo un dolore silenzioso e paziente, esso si ritrae in sé e tace. Ma esiste anche un dolore lacerante; esso erompe una volta in lacrime disperate e da quell’istante si sfoga in lamenti. Specialmente nelle donne. Ma non è meno penoso del dolore silenzioso. I lamenti danno sollievo, sì, ma corrodono e lacerano il cuore ancora di più. Un tale dolore non vuole neanche conforto, si nutre della consapevolezza della propria indistruttibilità. I lamenti non esprimono altro che il bisogno di irritare continuamente la ferita.

– Sei della città? – proseguì lo starec, guardando fissamente la donna.

– Della città, padre, della città; veramente siamo gente di campagna, ma viviamo in città. Sono venuta, padre, per vederti. Abbiamo sentito parlare di te, bàtjuska, ne abbiamo sentito parlare. Ho seppellito un bambino piccoletto, poi sono andata a pregar Dio. In tre monasteri sono stata e mi hanno detto: «Nastàsjuska, va’ anche laggiù», ossia qui da voi, angelo santo. Sono venuta, ieri sono stata alla liturgia notturna, ed ecco che oggi sono qui da voi.

– Perché piangi?

– Piango il mio figlioletto, bàtjuska; aveva quasi tre anni; ancora due mesi e avrebbe avuto tre anni. È per il mio bimbetto, padre, che mi tormento. Era l’ultimo figliuolo che ci era rimasto: quattro ne abbiamo avuti, io e Nikìtuska, ma in casa nostra, padre benamato, i bimbi non campano. I tre primi li ho sotterrati io, ma non li ho pianti troppo, ma quest’ultimo l’ho sotterrato e non lo posso dimenticare. È proprio come se fosse qui davanti a me, e non si allontana. Mi ha disseccato l’anima. Guardo i suoi pannolini, la camiciuola, le scarpette e singhiozzo. Tiro fuori tutto ciò che è rimasto di lui, guardo ogni cosa, e piango. Dico a Nikìtuska, mio marito: «Padrone mio, lasciami andare in pellegrinaggio». Lui è vetturino, non siamo poveri, padre, non siamo poveri: lavoriamo per conto nostro, e sono nostri cavalli e carrozza. Ma a che ci serve ora la roba? Si sarà messo a bere il mio Nikìtuska, senza di me; di certo è così; anche prima, non appena mi voltavo, lui subito si disanimava. Ma adesso non penso neppure più a lui. Già da tre mesi sono lontana da casa. Ho dimenticato, ho dimenticato tutto e non voglio più ricordare nulla; e poi che cosa farei adesso con lui? L’ho finita con lui, l’ho finita, l’ho finita con tutti. E non vorrei neppure più rivedere la mia casa, né la mia roba, non vorrei vedere più nulla!

– Senti, madre – proferì lo starec –, un grande santo dei tempi antichi vide una volta in un tempio una mamma che piangeva come te; anche lei piangeva il suo figlioletto, l’unico che aveva e che il Signore aveva chiamato a sé. «Non sai» le disse quel santo «come questi bambinelli se ne stanno tutti fieri davanti al trono di Dio? Nel regno dei cieli non c’è nessuno più fiero di loro. Tu, o Signore, dicono a Dio, ci hai donato la luce; noi l’abbiamo appena veduta e Tu ce l’hai ripresa. E pregano e chiedono con tanta baldanza che il Signore concede subito loro il grado di angeli. Perciò, disse quel santo, gioisci anche tu, donna, e non piangere perché il tuo piccolo è ora vicino al Signore nella schiera dei Suoi angeli». Ecco cosa disse in tempi antichi quel santo alla donna piangente. Ed egli era un grande santo e non poteva non dirle il vero. Perciò sappi anche tu, o madre, che il tuo bambinello è oggi presso il trono del Signore e gioisce, si rallegra, e prega Dio per te. Non piangere quindi neppur tu, ma gioisci.

La donna lo ascoltava con la guancia appoggiata alla mano e con gli occhi bassi. Sospirò profondamente.

– Anche Nikìtuska, per consolarmi, mi parlava proprio come te. «Non sei ragionevole» mi diceva. «Perché piangi? Il nostro bambinello è vicino al Signore Iddio e canta insieme con gli altri angeli». Mi dice così, ma piange anche lui; lo vedo che piange come me. «Lo so, Nikìtuska», dico io, «dove potrebbe essere se non accanto al Signore Iddio?… ma qui con noi ora non c’è più, Nikìtuska, non è più seduto qui vicino a noi come prima…». Se lo vedessi solo una volta, se potessi rivederlo una volta ancora! Non mi avvicinerei, non gli direi neppure una parola, mi nasconderei in un angolo pur di vederlo un attimo, pur di sentirlo giocare nel cortile e poi venire, come una volta, gridando con la sua vocetta: «Mammina, dove sei?» Potessi solo una volta, una volta sola sentirlo camminare nella stanza con i suoi piedini che facevano toc toc!… Mi ricordo che quasi sempre correva da me gridando e ridendo! Potessi solo sentire i suoi piedini, sentirli, riconoscerli! Ma lui non c’è più, bàtjuska, non c’è più e non lo sentirò mai più! Ecco qui la sua cinturina, ma lui non c’è più e io non potrò mai più né vederlo né sentirlo!

Essa cavò dal seno la piccola cintura di passamano del suo bimbetto e, al solo vederla, fu scossa dai singhiozzi e si coprì il volto con le dita attraverso le quali colarono rivi di lacrime.

– Questa – disse lo starec – questa è l’antica «Rachele che piange i suoi figli e non può consolarsi perché essi non sono più»; tale è la sorte assegnata sulla terra a voi madri. E tu non consolarti, non occorre che tu ti consoli, piangi pure; ma, ogni volta che piangi, ricordati che il tuo bambino è uno degli angeli di Dio, che di là ti guarda e ti vede, gioisce delle tue lacrime e le indica al Signore Iddio. E ancora a lungo durerà questo tuo sublime pianto di madre, ma alla fine si trasformerà in una quieta gioia, e le tue amare lacrime non saranno più che lacrime di dolce tenerezza e di purificazione del cuore che laveranno la tua anima dal peccato. Io pregherò per la pace del tuo bambino: come si chiamava?

– Alekséj, bàtjuska.

– È un bel nome. In ricordo di Alekséj «uomo di Dio?».

– Di lui, bàtjuska, di lui, di Alekséj «uomo di Dio».

– Quale grande santo! Pregherò, madre, pregherò e nella mia preghiera ricorderò la tua afflizione e pregherò anche per la salute di tuo marito. Però tu commetti peccato ad abbandonarlo. Torna da tuo marito e abbi cura di lui. Di lassù il tuo piccolo vedrà che hai abbandonato il suo papà e piangerà per voi; perché vuoi turbare la sua beatitudine? Lui è vivo, vivo, giacché l’anima vive in eterno; non è nella casa, ma è invisibile accanto a voi. Ma come potrà venire nella sua casa, se tu dici che hai preso a odiarla, la tua casa? Da chi dunque andrà, se non troverà insieme il babbo e la mamma? Adesso tu lo sogni e ti tormenti, ma allora egli ti manderà dei sogni tranquilli. Va’ da tuo marito, madre, va’ oggi stesso.

– Andrò, caro, seguirò i tuoi consigli. Mi hai sconvolto il cuore. Nikìtuska, Nikìtuska mio, tu mi aspetti, caro, mi aspetti…

[1] Cfr. AA.VV., Il santo starec Amvrosij del monastero russo di Optina, Abbazia di Praglia, 1993, 64-67.

Publié dans:meditazioni, Ortodossia |on 16 juin, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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http://www.floralimages.co.uk/index2.htm

San Giovanni della Croce : « Prega il Padre tuo nel segreto »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php

Mercoledì della XI settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 6,1-6#Mt 6,16-18
Meditazione del giorno
San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa
Cantico spirituale B,1, 8-9

« Prega il Padre tuo nel segreto »

        Cosa cerchi fuori di te, se dentro di te hai la tua ricchezza, il tuo piacere, la tua soddisfazione, la tua pienezza e il tuo regno, cioè il tuo Amato, che la tua anima cerca e desidera ? … Ricorda solo una cosa, che cioè, anche se è dentro di te, rimane nascosto…

        Ma tu insisti : « Se è in me colui che la mia anima ama, perché non lo trovo e non lo sento ? » Il motivo è che egli è nascosto e tu non ti nascondi come lui per trovarlo e sentirlo. Chi vuole trovare una cosa nascosta, infatti, deve addentrarsi altrettanto nascostamente fino al nascondiglio dove si trova questa cosa e, trovatala, anch’egli si ritrova nascosto come quella cosa. Il tuo Sposo amato è il tesoro nascosto nel campo della tua anima, per il quale l’accorto mercante diede tutti i suoi averi (Mt 13, 44) ; per poterlo trovare, sarà opportuno che abbandoni tutti i tuoi beni e, allontanandoti da tutte le creature, ti nasconda nel rifugio interiore del tuo spirito.

        Poi, chiusa la porta dietro di te, cioè distolta la volontà da tutte le cose, « preghi il Padre tuo nel segreto ». Solo così, nascosta con lui, lo sentirai in segreto, lo amerai e ne godrai in segreto e in segreto con lui ti diletterai, più di quanto la lingua possa esprimere e i sensi comprendere.

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