Archive pour juin, 2010

Le sorti dell’uomo tra il primato della Liturgia e il suo crollo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21658?l=italian

Le sorti dell’uomo tra il primato della Liturgia e il suo crollo

di Alessandro Cesareo

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Non è infrequente che oggi si percepisca una certa emarginazione delle questioni attinenti alla liturgia, come argomenti di non urgente pertinenza nel quadro pastorale. Si dice che altri sono i problemi emergenti ed improrogabili. In questo modo, la liturgia finisce per non essere praticamente mai dibattuta nei programmi pastorali.

Inoltre, si nota un certo dilettantismo e una qualche superficialità nel parlare di argomenti liturgici, quasi come se fosse una cosa di debole contenuto e per lo più ridotta a ‘formalità’. Così, si apre la strada ad un’impostazione ‘pastorale’ prevalentemente sociologica e la parrocchia tende a diventare una ‘azienda’, priva della sua dimensione sacramentale e del suo carattere soprannaturale .

Introducendo questo studio, si è ben definito il significato del termine ‘liturgia’ a cui in tutta la trattazione si è inteso far riferimento. E in particolare si è affermato che per ‘liturgia’ si doveva intendere quell’adorazione lieta e quell’obbediente sottomissione che la creatura deve al Creatore, atteggiamento così profondo da essere previo ad ogni specificazione rituale storica propria delle varie espressioni religiose.

Tuttavia, questo sguardo che coglie la natura religiosa profonda dell’essere umano in quanto tale, non deve avvallare una impostazione spiritualistica del problema, divaricando dalla ritualità concreta che si esprime nelle forme storiche e che è connaturale ad ogni manifestazione dello spirito religioso dei popoli e delle culture. Tale prospettiva potrebbe sostenere e giustificare uno spiritualismo irreale, senza l’ancoraggio al rito che lo traduce e lo esprime in forma corporea. Per questa via si arriverebbe a giustificare una vita religiosa senza pratica rituale.

Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo: così Enrico Finotti, presbitero dell’Arcidiocesi di Trento e parroco in Rovereto, presso la Parrocchia di Santa Maria del Carmine, ricostruisce l’interessante percorso compiuto dalla liturgia a partire dall’origine del vocabolo, per poi delineare le cause del suo crollo, laddove quest’ultimo vocabolo è chiaramente da non intendersi immediatamente la caduta di un particolare sistema di riti e di ordinamenti tradizionali, quanto piuttosto ciò che essi contengono ed esprimono, ossia quella dimensione spirituale, che costituisce la loro ‘anima’ e che li giustifica dall’interno, come manifestazioni visibili della libera scelta dell’uomo, che vuole adorare Dio e obbedire alla sua parola, riconoscendolo Creatore, Signore e Padre.

Quando questa ‘liturgia interiore’ viene meno, da subiti i riti diventano vuoti e la loro celebrazione solo formale. Ma, in seguito, gradualmente, si corrompono anche nella loro forma materiale e le parole e i gesti che li costituiscono, non essendo più interiormente alimentati e dottrinalmente controllati, assumono inevitabilmente, anche nella loro espressione rituale, gli errori, le incertezze e i compromessi, propri di quell’idolatria, che ha preso il posto della religione vera e che, ormai, guida le facoltà spirituali dell’uomo depravato.

Vi è, quindi, una Liturgia di contrasto, che è parodia della vera Liturgia e che si pone al servizio del culto blasfemo dell’angelo delle tenebre, che si oppone a Dio. Nel crollo della Liturgia, allora, si verifica normalmente una sorta di sostituzione: la Liturgia si corrompe e cede il posto all’idolatria ; in questo modo, l’autore rivela una notevole capacità interpretativa ed analitica degli inquietanti fenomeni del nostro tempo, dei quali indaga le cause e definisce gli ambiti, muovendosi con disinvoltura in ambiti concettuali complessi e dimostrando altresi di saper leggere a fondo i segni dei tempi.

La sapienza cristiana, abbellita e canonizzata dai modelli della classicità, che Finotti dimostra di conoscere a menadito, è quanto emerge con nitida chiarezza nel punto in cui si parla, nel libro in oggetto, di crollo della Liturgia con Antioco Epifane e di Ellenismo, mentre in precedenza si era parlato della Liturgia del Tempio con Davide e Salomone, ma anche di Crollo della Liturgia e di Esilio Babilonese, mentre il nesso inscindibile tra ritorno degli esiliati e ripresa delle celebrazioni cultuali è l’oggetto precipuo di riflessione del par. IX , cui segue appunto l’approfondimento sull’Ellenismo. Seguono dunque, caratterizzati da uno stile assai incisivo ed efficace, i paragrafi dedicati alla Purificazione del Tempio ed alla sua dedicazione ad opera dei Maccabei, fino ad arrivare all’analisi, dettagliata ed approfondita, delle motivazioni che hanno causato e determinato il Crollo dello spirito della liturgia. La risposta a questa situazione d’incertezza e di sottile confusione tra le regole cultuali viene però prontamente fornita dalla luminosità diffusa del Mistero Pasquale di Cristo nella pienezza del tempo.

E come non parlare della redenzione? O della santificazione? Così, l’autore prosegue nella dimostrazione di come una coerente ed efficace prassi liturgica non possa che essere un intenso riflesso di un procedimento di conversione in atto, per rendere efficace e trasparente il quale si ha bisogno soltanto della Verità, condizione indispensabile in cui è importante venirsi a trovare prima ancora di accostarsi alla ricerca stessa di ciò che è Verità.

In questo senso, ad esempio, risultano più chiari e più significativi i contributi offerti alla causa della Liturgia da Colonne della Liturgia stessa, quali possono essere ritenuti Benedetto e Gregorio Magno, mentre la via maestra del percorso da compiere per arrivare a Dio è quella dell’Adorazione, vissuta, concepita ed illustrata come un consapevole ritorno alla pratica di una Liturgia autentica e vissuta, concreta espressione di un approccio adulto e consapevole alla dimensione della fede vissuta e messa in pratica.

Dodici capitoli, dunque, seguiti da una dossologia finale, e da una serie di riflessioni conclusive, il tutto inserito in una più ampia cornice descrittiva ed esperienziale, contribuiscono a rendere oltremodo vincente questo ultimo lavoro di Enrico Finotti, le cui abilità di scrittore consapevole e maturo erano peraltro già emerse con estrema chiarezza nelle sue precedenti pubblicazioni, tra le quali sarà bene ricordare almeno il seguente: L’anno liturgico. Mistero, grazia e celebrazione – Sussidio per la catechesi e la celebrazione dell’Anno Liturgico (Trento 2001). Un libro, quello qui recensito, che si presenta dunque come un valido strumento didattico per teologi in formazione.

Publié dans:liturgia |on 24 juin, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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transumanza

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OMelia per la solennità di San Giovanni Battista: Dal grembo di mia madre tu mi hai chiamato

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13064.html

Omelia (24-06-2008) 
Monaci Benedettini Silvestrini

Dal grembo di mia madre tu mi hai chiamato

La Chiesa con celebrazione della natività di Giovanni il Battista vuole indicare lo stretto nesso che intercorre fra il Salvatore e il suo Precursore. Nel primo incontro con Gesù ancora nel grembo della madre sua, Giovanni, anch’egli ancora nel grembo di Elisabetta, esulta di gioia. A lui è affidato il compito di preparare gli animi all’incontro con il Salvatore, preparare la sposa da presentare allo sposo, disporre l’animo dei discepoli a seguire il Maestro che deve crescere mentre egli deve diminuire. La su testimonianza è decisa irrevocabile. « Io non sono il Cristo…ma in mezzo a voi c’è una che voi non conoscete ». Verrà il momento in cui lui stesso lo indicherà ai suoi discepoli: Ecco l’Agnello di Dio… La liturgia della parola ci presenta la vocazione del Profeta Isaia che ha i suoi caratteri di somiglianza con quella di Giovanni, chiamato alla sua missione fin dal seno materno. Negli Atti degli apostoli, tracciando la storia del popolo eletto, Paolo si sofferma sugli ultimi tempi, quando Giovanni stesso, predicando il ritorno a Dio mediante la penitenza, rende testimonianza al Messia, indicandolo già nella sua missione e riconoscendo la sua indegnità. Il brano del vangelo di Luca ci fa assistere con senso di stupore a questa nascita miracolosa, al commento meravigliato della gente della Giudea montagnosa, e alla sorpresa quando si tratta di dare il nome al fanciullo, nel momento della circoncisione, ottavo giorno dalla nascita. Elisabetta dice apertamente: Giovanni è il suo nome. Si pensa che si tratti di demenza…Vogliono sentire il parere del padre Zaccaria, ancora nella sua mutevolezza. Egli scrive su una tavoletta: Il suo nome è Giovanni – dono di Dio. Allora si verifica qualche cosa di straordinario. Zaccaria riprende la parola e canta il suo canto di lode, lui che era muto ora canta: « Benedetto il Signore, Dio di Israele… ». Giustamente, la gente dinanzi a queste manifestazioni della potenza dell’Altissimo, si chiede: Che sarà mai questo bambino? Oggi, possiamo rispondere: Sarà la voce che invita a penitenza, sarà il martire che paga con la a vita la fedeltà alla missione affidatagli. La sua nascita, che precede di poco quella del Salvatore, è salutata con sentimenti di gioia da tutta la Chiesa. La sua grandezza è proclamata dal Signore. « Io vi dico: Tra i nati di donna non ce n’è uno più grande di Giovanni! » Ogni illuminato dalla grazia del battesimo dovrebbe sentire come propria la missione di preparare la via del Signore nella sua anima e in quella di quanti incontrerà nella vita. Giovanni ci indica la via: Fedeltà ai doni di Dio e profonda umiltà

Origene: « Il Signore dal seno materno mi ha chiamato » (Is 49,1)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100624

Natività di San Giovanni Battista, solennità : Lc 1,57-66#Lc 1,80-80
Meditazione del giorno
Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Discorsi sul Vangelo di Luca,  4, 4-6 ; SC 87, 133

« Il Signore dal seno materno mi ha chiamato » (Is 49,1)

        La nascita di Giovanni il Battista è piena di miracoli. Un arcangelo aveva annunciato la nascita del nostro Signore e Salvatore Gesù ; così, un arcangelo annuncia la nascita di Giovanni (Lc 1,13) e dice : « Sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua mandre ». Il popolo giudeo non vedeva che il nostro Signore compiva « miracoli e prodigi » e guariva le loro malattie, invece Giovanni esulta di gioia mentre è ancora nel seno materno. Non si può trattenerlo e, appena arrivata la madre di Gesù, il bambino cerca di uscire dal seno di Elisabetta. « Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo » (Lc 1,44). Ancora nel seno di sua madre, Giovanni aveva già ricevuto lo Spirito Santo…

        La Scrittura dice poi che « ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio » (Lc 1,16). Giovanni ne ha ricondotto « molti » ; il Signore, non molti, bensì tutti. Questa infatti è la sua opera : ricondurre tutti gli uomini a Dio Padre…

        Per parte mia, ritengo che il mistero di Giovanni si compie nel mondo fino a oggi. Chiunque è destinato a credere in Cristo Gesù, bisogna che prima lo spirito e la forza di Giovanni vengano nel suo animo per « preparare al Signore un popolo ben disposto » (Lc 1,17) e, nelle asperità del cuore, « spianare i luoghi impervi e raddrizzare i passi tortuosi » (Lc 3,5). Non soltanto in quel tempo le vie furono spianate e i sentieri raddrizzati, ma ancora oggi lo spirito e la forza di Giovanni precedono la venuta del Signore Salvatore. O grandezza del mistero del Signore e del suo disegno sul mondo !

San Giovanni Battista

San Giovanni Battista dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 23 juin, 2010 |Pas de commentaires »

24 giugno – Natività di San Giovanni Battista Profeta e martire

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20300

24 giugno – Natività di San Giovanni Battista Profeta e martire 
 
Ain Karim (Galilea) – † Macheronte? Transgiordania, I secolo

Giovanni Battista è l’unico santo, oltre la Madre del Signore, del quale si celebra con la nascita al cielo anche la nascita secondo la carne. Fu il più grande fra i profeti perché poté additare l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. La sua vocazione profetica fin dal grembo materno è circondata di eventi straordinari, pieni di gioia messianica, che preparano la nascita di Gesù. Giovanni è il Precursore del Cristo con la parole con la vita. Il battesimo di penitenza che accompagna l’annunzio degli ultimi tempi è figura del Battesimo secondo lo Spirito. La data della festa, tre mesi dopo l’annunciazione e sei prima del Natale, risponde alle indicazioni di Luca. (Mess. Rom.)

Patronato: Monaci

Emblema: Agnello, ascia

Martirologio Romano: Solennità della Natività di san Giovanni Battista, precursore del Signore: già nel grembo della madre, ricolma di Spirito Santo, esultò di gioia alla venuta dell’umana salvezza; la sua stessa nascita fu profezia di Cristo Signore; in lui tanta grazia rifulse, che il Signore stesso disse a suo riguardo che nessuno dei nati da donna era più grande di Giovanni Battista.

Giovanni Battista è il santo più raffigurato nell’arte di tutti i secoli; non c’è si può dire, pala d’altare o quadro di gruppo di santi, da soli o intorno al trono della Vergine Maria, che non sia presente questo santo, rivestito di solito con una pelle d’animale e con in mano un bastone terminante a forma di croce.
Senza contare le tante opere pittoriche dei più grandi artisti come Raffaello, Leonardo, ecc. che lo raffigurano bambino, che gioca con il piccolo Gesù, sempre rivestito con la pelle ovina e chiamato affettuosamente “San Giovannino”.
Ciò testimonia il grande interesse, che in tutte le epoche ha suscitato questo austero profeta, così in alto nella stessa considerazione di Cristo, da essere da lui definito “Il più grande tra i nati da donna”.
Egli è l’ultimo profeta dell’Antico Testamento e il primo Apostolo di Gesù, perché gli rese testimonianza ancora in vita. È tale la considerazione che la Chiesa gli riserva, che è l’unico santo dopo Maria ad essere ricordato nella liturgia, oltre che nel giorno della sua morte (29 agosto), anche nel giorno della sua nascita terrena (24 giugno); ma quest’ultima data è la più usata per la sua venerazione, dalle innumerevoli chiese, diocesi, città e paesi di tutto il mondo, che lo tengono come loro santo patrono.
Inoltre fra i nomi maschili, ma anche usato nelle derivazioni femminili (Giovanna, Gianna) è il più diffuso nel mondo, tradotto nelle varie lingue; e tanti altri santi, beati, venerabili della Chiesa, hanno portato originariamente il suo nome; come del resto il quasi contemporaneo s. Giovanni l’Evangelista e apostolo, perché il nome Giovanni, al suo tempo era già conosciuto e nell’ebraico Iehóhanan, significava: “Dio è propizio”.
Nel Vangelo di s. Luca (1, 5) si dice che era nato in una famiglia sacerdotale, suo padre Zaccaria era della classe di Abia e la madre Elisabetta, discendeva da Aronne. Essi erano osservanti di tutte le leggi del Signore, ma non avevano avuto figli, perché Elisabetta era sterile e ormai anziana.
Un giorno, mentre Zaccaria offriva l’incenso nel Tempio, gli comparve l’arcangelo Gabriele che gli disse: “Non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché sarà grande davanti al Signore” e proseguendo nel descrivere le sue virtù, cioè pieno di Spirito Santo, operatore di conversioni in Israele, precursore del Signore con lo spirito e la forza di Elia.
Dopo quella visione, Elisabetta concepì un figlio fra la meraviglia dei parenti e conoscenti; al sesto mese della sua gravidanza, l’arcangelo Gabriele, il ‘messaggero celeste’, fu mandato da Dio a Nazareth ad annunciare a Maria la maternità del Cristo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi anche Elisabetta, tua parente, nella vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile; nulla è impossibile a Dio”.
Maria allora si recò dalla cugina Elisabetta per farle visita e al suo saluto, declamò il bellissimo canto del “Magnificat”, per le meraviglie che Dio stava operando per la salvezza dell’umanità e mentre Elisabetta esultante la benediceva, anche il figlio che portava in grembo, sussultò di gioia.
Quando Giovanni nacque, il padre Zaccaria che all’annuncio di Gabriele era diventato muto per la sua incredulità, riacquistò la voce, la nascita avvenne ad Ain Karim a circa sette km ad Ovest di Gerusalemme, città che vanta questa tradizione risalente al secolo VI, con due santuari dedicati alla Visitazione e alla Natività.
Della sua infanzia e giovinezza non si sa niente, ma quando ebbe un’età conveniente, Giovanni conscio della sua missione, si ritirò a condurre la dura vita dell’asceta nel deserto, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico.
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio (28-29 d.C.), iniziò la sua missione lungo il fiume Giordano, con l’annuncio dell’avvento del regno messianico ormai vicino, esortava alla conversione e predicava la penitenza.
Da tutta la Giudea, da Gerusalemme e da tutta la regione intorno al Giordano, accorreva ad ascoltarlo tanta gente considerandolo un profeta; e Giovanni in segno di purificazione dai peccati e di nascita a nuova vita, immergeva nelle acque del Giordano, coloro che accoglievano la sua parola, cioè dava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, da ciò il nome di Battista che gli fu dato.
Anche i soldati del re Erode Antipa, andavano da lui a chiedergli cosa potevano fare se il loro mestiere era così disgraziato e malvisto dalla popolazione; e lui rispondeva: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno e contentatevi delle vostre paghe” (Lc 3, 13).
Molti cominciarono a pensare che egli fosse il Messia tanto atteso, ma Giovanni assicurava loro di essere solo il Precursore: “Io vi battezzo con acqua per la conversione, ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non sono degno neanche di sciogliere il legaccio dei sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.
E alla delegazione ufficiale, inviatagli dai sommi sacerdoti disse, che egli non era affatto il Messia, il quale era già in mezzo a loro, ma essi non lo conoscevano; aggiungendo “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”.
Anche Gesù si presentò al Giordano per essere battezzato e Giovanni quando se lo vide davanti disse: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!” e a Gesù: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” e Gesù: “Lascia fare per ora, poiché conviene che adempiamo ogni giustizia”.
Allora Giovanni acconsentì e lo battezzò e vide scendere lo Spirito Santo su di Lui come una colomba, mentre una voce diceva: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”. Da quel momento Giovanni confidava ai suoi discepoli “Ora la mia gioia è completa. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 29-30).
La sua missione era compiuta, perché Gesù prese ad iniziare la sua predicazione, aveva formato il gruppo degli apostoli e discepoli ed era seguito da una gran folla; egli aveva predicato proprio per questo, preparare un popolo degno, che accogliesse Gesù e il suo messaggio di Redenzione.
Aveva operato senza indietreggiare davanti a niente, neanche davanti al re d’Israele Erode Antipa († 40 d.C.), che aveva preso con sé la bella Erodiade, moglie divorziata da suo fratello; ciò non era possibile secondo la legge ebraica, la “Torà”, perché il matrimonio era stato regolare e fecondo, tanto è vero che era nata una figlia Salomè.
Per questo motivo un giudeo osservante e rigoroso come Giovanni, sentiva il dovere di protestare verso il re per la sua condotta. Infuriata Erodiade gli portava rancore, ma non era l’unica; perché il Battesimo che Giovanni amministrava, perdonava i peccati, rendendo così inutili i sacrifici espiatori, che in quel tempo si facevano al Tempio, e ciò non era gradito ai sacerdoti giudaici.
Erode fece arrestare e mettere in carcere Giovanni su istigazione di Erodiade, la quale avrebbe voluto che fosse ucciso, ma Erode Antipa temeva Giovanni, considerandolo uomo giusto e santo, preferiva vigilare su di lui e l’ascoltava volentieri, anche se restava molto turbato.
Ma per Erodiade venne il giorno favorevole, quando il re diede un banchetto per festeggiare il suo compleanno, invitando tutta la corte ed i notabili della Galilea. Alla festa partecipò con una conturbante danza anche Salomè, la figlia di Erodiade e quindi nipote di Erode Antipa; la sua esibizione piacque molto al re ed ai commensali, per cui disse alla ragazza: “Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”; Salomé chiese alla madre consiglio ed Erodiade prese la palla al balzo, e le disse di chiedere la testa del Battista.
A tale richiesta fattagli dalla ragazza davanti a tutti, Erode ne rimase rattristato, ma per il giuramento fatto pubblicamente, non volle rifiutare e ordinò alle guardie che gli fosse portata la testa di Giovanni, che era nelle prigioni della reggia.
Il Battista fu decapitato e la sua testa fu portata su un vassoio e data alla ragazza che la diede alla madre. I suoi discepoli saputo del martirio, vennero a recuperare il corpo, deponendolo in un sepolcro; l’uccisione suscitò orrore e accrebbe la fama del Battista.
Molti testi apocrifi, come anche i libri musulmani, fra i quali il Corano, parlano di lui; dai suoi discepoli si staccarono Andrea e Giovanni apostoli per seguire Gesù. Il suo culto come detto all’inizio si diffuse in tutto il mondo conosciuto di allora, sia in Oriente che in Occidente e a partire dalla Palestina si eressero innumerevoli Chiese e Battisteri a lui dedicati.
La festa della Natività di S. Giovanni Battista fin dal tempo di s. Agostino (354-430), era celebrata al 24 giugno, per questa data si usò il criterio, essendo la nascita di Gesù fissata al 25 dicembre, quella di Giovanni doveva essere celebrata sei mesi prima, secondo quanto annunciò l’arcangelo Gabriele a Maria.
Le celebrazioni devozionali, folkloristiche, tradizionali, sono diffuse ovunque, legate alla sua venerazione; come tanti proverbi popolari sono collegati metereologicamente alla data della sua festa.
S. Giovanni Battista, tanto per citarne alcune, è patrono di città come Torino, Firenze, Imperia, Ragusa, ecc. Per quanto riguarda le reliquie c’è tutta una storia che si riassume; dopo essere stato sepolto privo del capo a Sebaste in Samaria, dove sorsero due chiese in suo onore; nel 361-362 ai tempi dell’imperatore Giuliano l’Apostata, il suo sepolcro venne profanato dai pagani che bruciarono il corpo disperdendo le ceneri.
Ma a Genova nella cattedrale di S. Lorenzo, si venerano proprio quelle ceneri (?), portate dall’Oriente nel 1098, al tempo delle Crociate, con tutti i dubbi collegati.
Per la testa che si trovava a Costantinopoli, per alcuni invece ad Emesa, purtroppo come per tante reliquie del periodo delle Crociate, dove si faceva a gara a portare in Occidente reliquie sante e importanti, la testa si sdoppiò, una a Roma nel XII secolo e un’altra ad Amiens nel XIII sec.
A Roma si custodisce senza la mandibola nella chiesa di S. Silvestro in Capite, mentre la cattedrale di S. Lorenzo di Viterbo, custodirebbe il Sacro Mento. Risparmiamo la descrizione di braccia, dita, denti, diffusi in centinaia di chiese europee.
Al di là di queste storture, frutto del desiderio di possedere ad ogni costo una reliquia del grande profeta, ciò testimonia alla fine, la grande devozione e popolarità di quest’uomo, che condensò in sé tanti grandi caratteri identificativi della sua santità, come parente di Gesù, precursore di Cristo, ultimo dei grandi profeti d’Israele, primo testimone-apostolo di Gesù, battezzatore di Cristo, eremita, predicatore e trascinatore di folle, istitutore di un Battesimo di perdono dei peccati, martire per la difesa della legge giudaica, ecc.  

Publié dans:San Giovanni Battista |on 23 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Amare Gesù sopra ogni cosa (dalla Imitazione di Cristo)

dal sito:

http://www.jesuschrist.it/recensioni.asp?categoria=testo&sez=13&arg=64&offset=0#

Amare Gesù sopra ogni cosa (dalla Imitazione di Cristo)  
   
 Dal libro della Imitazione di Cristo (Libro II. cap. VII 1-3; cap. VIII. 1-3)

Amare Gesù sopra ogni cosa
Fortunato chi comprende che cosa sia amare Gesù e per lui disprezzare se stessi. Occorre infatti per il suo amore lasciare ogni altro amore: Gesù vuoi essere amato sopra ogni cosa, e solo.
L’amore della creatura è ingannevole e malsicuro; l’amore di Gesù, invece, è fermo e costante. E perciò chi s’attacca alla creatura, che ha fine, avrà fine con essa; ma chi abbraccia Gesù non potrà più essere scosso per tutta l’eternità. Amalo dunque, e tientelo sempre amico: quando tutti ti abbandoneranno, lui solo non ti abbandonerà; e sarà lui a salvarti dalla rovina.

Le creature sono tali che, volente o no, un giorno dovrai lasciarle tutte. Tieniti attaccato a Gesù, prima in vita e poi in morte, affidandoti a lui interamente, perché lui solo può aiutarti. Il tuo amato è tale, che non ammette affetti estranei: vuole possedere da solo il tuo cuore e farne il suo trono. Gesù verrebbe volentieri ad abitare in te, se tu sapessi liberarti del tutto dalle creature. E tu vedrai sempre che, qualunque cosa tenterai senza lui, appoggiandoti agli uomini, non riuscirai.
Ma dunque, non confidare e non mettere le tue speranze in una canna che si muove a ogni vento: « ogni carne è fieno, e ogni sua gloria, come il fieno, cadrà » (1 Pt 1,24).
Se tu guarderai soltanto alle apparenze esteriori, proverai presto la tua delusione: potrà infatti capitarti di cercare, nei tuoi simili, consolazione o guadagno, e ritrarne, invece, un danno. Ma se in ogni cosa tu cerchi Gesù, non potrai trovare che Gesù, così come, cercando in ogni cosa te stesso, troverai sempre te stesso, con tuo grande scapito.

Quando non cerca Gesù, l’uomo è a se stesso più dannoso che tutto il mondo e tutti i nemici messi insieme. Quando è vicino Gesù, tutto ci appare buono, nulla ci riesce difficile; quando è lontano, tutto è insopportabile. Le consolazioni non bastano, quando Gesù non parla dentro di noi; ma se lui ci dice una sola parola, la nostra consolazione è infinita.
Non si alzò subito, Maria Maddalena, dal luogo in cui stava a piangere, quando Marta le disse: « Il Maestro è qui e ti chiama»? (Gv 11, 28). Oh, felice l’ora in cui Gesù, dalle lacrime, chiama anche noi alla gioia! Quanto siamo aridi e duri di cuore, senza lui! quanto sciocchi e vani siamo, quando desideriamo qualcosa che non è lui! Non è questo un danno maggiore che se perdessimo tutto il mondo? E che cosa il mondo può darci senza Gesù? Essere senza Gesù è un inferno amaro, essere con lui è un dolce paradiso. Nessun nemico mai potrebbe farti alcun male, se tu avessi sempre vicino Gesù. Chi trova Gesù, trova un grande tesoro, anzi il più fra tutti i tesori. E chi perde Gesù, perde più assai di tutto il mondo. Chi vive senza Gesù è il più povero degli esseri umani, mentre chi lo trova può ben dirsi il più ricco.
Grande arte è saper stare con Gesù, e grande accortezza è il saperselo conservare.   

Publié dans:meditazioni |on 23 juin, 2010 |Pas de commentaires »

Il Papa presenta l’esempio di San Giuseppe Cafasso

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22956?l=italian

Il Papa presenta l’esempio di San Giuseppe Cafasso

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 23 giugno 2010 (ZENIT.org).- Nei suoi saluti ai pellegrini al termine dell’Udienza Generale di questo mercoledì, Papa Benedetto XVI ha voluto ricordare la figura di San Giuseppe Cafasso, del quale ricorreva la memoria liturgica.

Cafasso, nato a Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) nel 1811 e morto a Torino nel 1860, è stato canonizzato da Papa Pio XII nel 1947.

A Torino era popolare soprattutto per l’aiuto che offriva ai carcerati. Venne definito « il prete della forca », perché spesso si presentava alle esecuzioni capitali seguendo il condannato fino al patibolo per abbracciarlo e farlo sentire amato. E’ patrono dei carcerati e dei condannati a morte.

Nel 150° anniversario della morte del presbitero, il Pontefice ha voluto proporre la sua figura alle migliaia di fedeli e pellegrini accorse questo mercoledì in Piazza San Pietro.

« L’esempio di questa attraente figura di sacerdote esemplare, cui vorrei dedicare la prossima catechesi del Mercoledì, aiuti voi, cari giovani, a sperimentare personalmente la forza liberatrice dell’amore di Cristo, che rinnova profondamente la vita dell’uomo », ha affermato.

« Sostenga voi, cari malati, ad offrire le vostre sofferenze per la conversione di chi è prigioniero del male ».

Il Papa ha presentato la figura del sacerdote anche agli sposi novelli, auspicando che li incoraggi « ad essere segno della fedeltà di Dio anche con il perdono reciproco, motivato dall’amore ».

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 23 juin, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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Sant’Ignazio d’Antiochia: Dai nostri frutti ci riconosceranno

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100623

Mercoledì della XII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 7,15-20
Meditazione del giorno
Sant’Ignazio d’Antiochia (? – circa 110), vescovo et martire
Lettera agli Efesini, 13-15

Dai nostri frutti ci riconosceranno

        Impegnatevi a riunirvi più di frequente nell’azione di grazie e di gloria verso Dio. Quando vi riunite spesso, le forze di Satana vengono abbattute e il suo flagello si dissolve nella concordia della fede. Niente è più bello della pace nella quale si frustra ogni guerra di potenze celesti e terrestri.

        Nulla di tutto questo vi sfuggirà, se avete perfettamente la fede e la carità in Gesù Cristo, che sono il principio e lo scopo della vita. Il principio è la fede, il fine la carità. L’una e l’altra insieme riunite sono Dio, e tutto il resto segue la grande bontà. Nessuno che professi la fede pecca, nessuno che abbia la carità odia. «L’albero si conosce dal suo frutto». Così coloro che si professano di appartenere a Cristo saranno riconosciuti da quello che operano. Ora l’opera non è di professione di fede, ma che ognuno si trovi nella forza della fede sino all’ultimo.

        È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e «ha detto e ha fatto» (Sal 32,9) e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può avvertire anche il suo silenzio per essere perfetto, per compiere le cose di cui parla o di essere conosciuto per le cose che tace. Nulla sfugge al Signore, anche i nostri segreti gli sono vicino. Tutto facciamo considerando che abita in noi templi suoi ed egli il Dio che è in noi, come è e apparirà al nostro volto amandolo giustamente.

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