Archive pour le 26 juin, 2010

Una foto ingiallita dell’immediato primo dopoguerra descrive una salita a Gerusalemme

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http://pierostefani.myblog.it/archive/2007/01/07/salire-a-gerusalemme-01-04-07.html

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Omelia (27-06-2010) : Ti seguirò dovunque tu vada

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18784.html

Omelia (27-06-2010) 
mons. Antonio Riboldi

Ti seguirò dovunque tu vada

Sono giorni, questi, che per me sono ‘memoria’ della storia della mia vita al seguito di Gesù che, da ragazzo mi ha rivolto, come è nel Vangelo di oggi, la parola, per me allora misteriosa, poi divenuta vita donata: ‘Tu sèguimi’.
Era il 28 giugno 1951 e venni ordinato sacerdote nella cattedrale di Novara con altri 30 giovani. Tanti! Era così serio il passo che facevo, da non riuscire neppure ad averne forse piena consapevolezza. Sapevo che la mia vita avrebbe assunto un significato di cui era difficile anche solo prevedere dove mi avrebbe portato o come si sarebbe svolta.
Ero impressionato da quanto stava accadendo in me con l’imposizione delle mani del vescovo sulla mia testa, mentre invocava lo Spirito Santo; dall’unzione delle mani, che allora venivano visibilmente legate da papà – che per la commozione non ebbe il coraggio di farlo e invitò mio fratello a sostituirlo – e dall’abbraccio del vescovo che mi aveva ordinato sacerdote. Momenti in cui risuonarono nella mia mente le parole che Gesù, da ragazzo, mi aveva rivolto: ‘ Tu, sèguimi’.
Lo avevo seguito presso i Padri Rosminiani, che avevano curato con discernimento spirituale la vocazione e, soprattutto, ci avevano dato una forma ione e preparazione seria… ma non potevo ‘sapere’ che cosa avrebbe voluto dire, nella concretezza dell’esistenza, per me, ‘essere prete secondo Dio’. Una sola cosa era richiesta: l’abbandono e la fiducia in Chi mi aveva scelto.
Ci pensò l’obbedienza a indicarmi il dove e il quando avrei dovuto seguire Gesù nella guida del Suo gregge: nel Belice, per 20 anni.
Ancora di più rimasi confuso quando il Santo Padre, Paolo VI, che mi aveva seguito con amore nel mio apostolato nel Belice terremotato, mi chiamò a essere vescovo della Chiesa e, ancora una volta, mi affidò una porzione del popolo di Dio, che è in Acerra.
Ambedue le chiamate non apparivano facili, ma quando si è chiamati da Dio e Lo si segue, contano poco le capacità: conta la piena disponibilità al servizio integrale di chi ci è affidato, senza mai risparmiarsi, mettendo in conto anche la possibilità di perdere la vita, come nel terremoto del 1968 o nell’impegno di lottare contro il male della criminalità organizzata, come accadde da vescovo.
Mi confortava – e posso confermarlo oggi con commozione – che non ero io a decidere di andare da qualche parte o a voler assumere incarichi, ma semplicemente ‘seguivò Chi mi precedeva, mi sosteneva ed operava di fatto, ossia Gesù.
Perché questo è il vero segreto di chi accetta di seguire Gesù, in qualunque circostanza o ministero: sa che non è solo e ha solo un impegno, cioè la fedeltà verso Chi l’ha chiamato e il desiderio e la volontà di offrire tutto l’amore di cui è capace a Dio e alle persone che gli sono affidate… il resto lo fa Lui!
Quando ripenso ai giorni della mia vita, a cominciare da quel 28 giugno 1951, non posso che ammirare quanto Gesù ha compiuto e dichiarare la mia povertà, grande povertà, con un’immensa gratitudine nel cuore.
Davvero Gesù quando chiama non ci lascia mai soli con il compito che ci ha affidato e solo Lui può di fatto realizzare; come ha detto Madre Teresa di Calcutta: ‘sono una matita tra le mani di Dio con cui scrive la Sua storia’.
La strada è Lui ha tracciarla, a noi tocca solo seguire i Suoi passi: è quello che continuo a fare anche mediante internet, cercando di essere al vostro servizio.
Più che la mia fede o intelligenza so che è Lui a scrivere parole di vita in voi.
Io a Gesù ho solo da chiedere perdono se non sempre L’ho lasciato compiere tutto il bene, dando spazio alle mie debolezze, chiedendoGli la grazia di essere sempre più totalmente Suo.
Chiedo a voi tutti, carissimi, una preghiera di ringraziamento per questi miei anni di servizio al seguito di Gesù e che mi perdoni ciò che avrei potuto fare e non ho fatto o non faccio… anche se oggi mi è più difficile rispondere alle tante domande di essere tra voi, perché gli anni fanno sentire la fatica. Grazie di cuore e pregate per me, che sia fino alla fine uomo di Dio, dono che Lui fa all’umanità.
Il Vangelo di oggi racconta la storia di inviti fatti da Gesù a seguirLo, a cui vengono anteposte prima questioni private da risolvere e poi il rifiuto a ‘lasciare tutto’.
Un ‘tutto’ che può capitare anche a chi non è chiamato a vocazioni speciali, come la mia, ma la cui vita è comunque già una risposta a quel disegno o vocazione personale – come può essere il matrimonio – che tutti riceviamo.
Cosi scrive Luca:
« Mentre stavano completandosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti i suoi messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per Lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto a Gerusalemme. Quando videro ciò i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: ‘Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?: Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: ‘Signore, ti seguirò dovunque vada. Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo ».
Evidentemente il Maestro aveva colto nella domanda – e visto nel cuore – una quasi certezza di fare fortuna, ma chissà quale, seguendo Gesù. Ed è lo stesso per chi, anche oggi, vuole essere ministro nella Chiesa, e quindi chiamato, ma a volte mette in primo piano ‘un tornaconto’ personale, che non ha proprio senso in chi dona la vita a Gesù per servire i fratelli.
L’unico ‘tornaconto’ di un sacerdote è di saper ‘farsi servò come il Suo Maestro.
Inconcepibile anche solo pensare che essere prete possa essere un modo per ‘fare fortuna’ nel servizio. La grande lode che la gente riserva ai sacerdoti è proprio di donare sempre, senza pensare a se stessi. Diceva il beato Rosmini: ‘La povertà è il muro di sostegno della Chiesa’. Del resto se essere ministro ha la sua bellezza è quella di farsi sempre dono ai fratelli ignorando se stesso. La gente si lascia affascinare da un sacerdote o vescovo che sappia donare tutto senza chiedere nulla. Diceva il Santo Curato d’Ars, patrono di tutti i sacerdoti:
‘I vostri beni altro non sono che un deposito che il buon Dio ha messo nelle vostre mani; dopo il vostro necessario, il resto è dovuto ai poveri’.
Continua il Vangelo di Luca, evidenziando quello che è un poco l’atteggiamento di tanti alla Sua chiamata:
« Ad un altro disse: ‘Sèguimi. E costui rispose: ‘Signore concedimi prima di andare a seppellire mio padre. Gesù replicò: ‘Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu va’ e annunzia il Regno di Dio!
Un altro disse: ‘Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congeda da quelli di casa’.
Ma Gesù gli rispose: ‘Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio ». (Le. 9, 51-62)
Può sembrare duro il linguaggio di Gesù davanti a chi chiede ‘piccole proroghe’ prima di seguirLo. Ma quando si è davvero stati scelti e chiamati occorre la prontezza nel seguirLo… tentennare è cercare scuse per dire di no. E la vocazione non ammette mai dei ‘ne esige un sì, meditato, ma pronto. Se ci pensiamo bene è proprio la natura dell’amore che chiede un sì incondizionato e non accetta dubbi o altro, che sono dei nì inaccettabili. E la vocazione è una risposta d’amore all’Amore. Scriveva Paolo VI:
« Vocazione: è un problema di giovani che sappiano affrancarsi dal mondo, dal conformismo, per offrirsi a Cristo con l’ineguagliabile forza della loro intatta freschezza spirituale e diventare ministri e dispensatori dei misteri di Cristo, veri pastori di anime, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore.
Vocazione è una chiamata. È una libertà messa alla prova, forse alla più difficile, ma certo la più bella. È una voce che ha un duplice linguaggio: uno interiore, silenzioso, nel profondo del cuore, ma distinto, e, se autentico, inconfondibile, quello del Signore che parla per via dello Spirito Santo; l’altro esteriore, rassicurante, sempre buono e materno, quello del Pastore.
È una voce che dice: vieni! e che passa, come un vento profetico, sopra le teste degli uomini, anche in questa generazione, la quale piena del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda, ma non è così. La voce, oggi, dalle labbri di Cristo, si fa Nostra: è la voce della Chiesa che chiama. Grida nel deserto? Oh, no.
Fu il Signore stesso ad insegnarci a sperare anche in ordine a questo misterioso problema: ‘Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nel Suo campo’ Mt. 9,28″ (aprile 1969)

Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:
« Ti ringraziamo, Dio, per il dono di Cristo tuo Figlio e nostro Redentore.
Lo Spirito Santo discenda sul Tuo popolo
e faccia sentire il Tuo dolce invito.
Signore del raccolto, concedi alla Tua famiglia,
in ogni parte del mondo, il dono di molte vocazioni, affinché ai bisognosi
sia dato di conoscere la Buona Novella della Redenzione.
E così possa il Tuo Amore crescere tra noi e diffondersi in tutto il creato. » 

XIII Domenica del Tempo Ordinario, 27 giugno 2010: La vita è il mantello di Dio

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22982?l=italian

La vita è il mantello di Dio

XIII Domenica del Tempo Ordinario, 27 giugno 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 25 giugno 2010 (ZENIT.org).- “Partito di lì, Elia trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro ad Elia, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elia disse: “Va’ e torna, poiché sai che cosa ho fatto per te”. Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio” (1Re 19,16b.19-21).

“Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri.(…) Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne” (Gal 5,1.13-18).

“(…) Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore, prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,51-62).

La liturgia di questa XIII Domenica del T. O. ci fa subito incontrare una parola alquanto comune, una parola chiave, un filo conduttore con cui lo Spirito Santo ha ricamato il tessuto dei testi proposti: la parola “mantello” (1Re 19,19). Il suo significato biblico è illustrato dal racconto della vocazione di Eliseo, nella prima Lettura.

La storia di Eliseo, infatti, comincia con un mantello gettato a sorpresa su di lui da parte del profeta Elia, in cammino lungo la strada che costeggia il campo che egli sta arando con ben ventiquattro buoi (il numero esagerato indica che Eliseo è un contadino benestante).

Quello di Elia è un gesto simbolico che sta a significare l’irreversibile chiamata di Dio:“Il mantello è simbolo del carisma profetico; esso è gettato sulle spalle dell’eletto in una specie di investitura divina” (G. Ravasi).

Ha così inizio la nuova vita di Eliseo al servizio del Signore e del profeta Elia.

Salutati parenti ed amici con un banchetto d’addio, Eliseo segue fedelmente Elia fino al giorno della sua misteriosa dipartita da questa vita, quando sarà trasportato in alto da un carro di fuoco. A questo punto, caduto per terra dal carro, ricompare il mantello, che Eliseo raccoglie subito gridando “Padre mio, padre mio..” (2Re 2,11-13). Lo spirito del Maestro prende allora definitivo possesso del discepolo, come da padre a figlio primogenito.

La brusca investitura profetica di Eliseo è così commentata dal card. Martini: “nessuna parola, nessun tentativo di convinzione, ma solo un gesto violento dal significato chiarissimo. Il mantello è simbolo della persona e, in qualche modo, anche dei suoi diritti. Gettare il mantello su qualcuno costituisce un segno di acquisto, di desiderio di alleanza” (C.M.M., “Il Dio vivente, riflessioni sul profeta Elia”, p.118).

Simbolo della persona, il mantello fa pensare anche al dono-chiamata della vita, che ognuno riceve da Dio senza venire interpellato. Ciò non toglie che, come il mantello di Elia, anche la vita sia un dono fatto alla libertà dell’uomo, un dono “gettato” su di lui per essere accolto e custodito come il più prezioso di tutti i doni ed il più necessario ed impegnativo dei compiti, se davvero l’uomo vuole vivere felice e realizzare se stesso nell’amore. E’ quanto suggerisce oggi Paolo: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri.(…) Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5,13).

L’ironia fin troppo realistica di Paolo non suona esagerata, se pensiamo non solo alla nostra situazione sociale e politica, ma anche alle tristissime incomprensioni e divisioni tra coloro che un unico carisma o una comune vocazione (un solo mantello!) ha costituito fratelli ed operai del regno di Dio. Occorre precisare che nel vocabolario dell’Apostolo, “carne” significa genericamente ogni comportamento dettato da un sentire egocentrico e disordinato. Atteggiamento, questo, che non scaturisce da quella vera libertà che è la capacità di amare nella verità al modo di uno stile di accoglienza, di ascolto senza pregiudizi e nel dominio di sè.

Un esempio “carnale” di essere e di agire, lo da’ oggi la reazione istintiva di Giacomo e Giovanni, contrariati dal rifiuto opposto a Gesù dai Samaritani: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54). I due discepoli avevano oggettivamente ragione, ma Gesù “si voltò e li rimproverò” (Lc 9,55).

La ricetta di Paolo per discernere e dominare ogni genere di passione disordinata, è semplice ed efficace: “Vi dico, dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. (…) Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge” (Gal 5,16.18).

“La forza del peccato è la Legge”, scrive altrove Paolo (1Cor 15,56); ed egli per primo sperimenta quanto doloroso sia il peccato di divisione dai suoi fratelli ebrei, tanto zelanti per l’osservanza della Legge da voler uccidere lui che ne va proclamando il compimento in Gesù Cristo.

Ma che significa camminare “secondo lo Spirito”? Vuol dire “al passo” dello Spirito, seguendo umilmente il cammino e gli esempi del Signore per entrare nello spazio immenso della sua dolce e trasformante amicizia. Una chiamata assoluta, tanto affascinante quanto esigente, a giudicare dalle parole di Gesù a colui che chiedeva solo di congedarsi da quelli di casa propria: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio” (Lc 9,60).

Una simile radicalità non è disumana, ma intrinseca e necessaria alla missione profetica. Questa, per altro, gode della legge pedagogica della gradualità, come fa intendere la vicenda stessa di Eliseo con la dinamica misteriosa del mantello, in un primo tempo gettatogli sulle spalle da Elia, ma poi “recuperato” a terra dallo stesso Eliseo nel momento del congedo definitivo da lui, come se in precedenza glielo avesse restituito.

Infatti, “si ha l’impressione, pur se il testo non lo dice, che Eliseo abbia ridato il mantello al grande maestro, per indicare che deve prima imparare, deve prima assimilare i suoi insegnamenti di vita. Di fatto, questo mantello sarà consegnato definitivamente ad Eliseo nel momento del rapimento in cielo di Elia.” (C.M.M., id., p. 120).

E’ quest’ultima spiegazione pedagogica che ci consente di tornare al mantello come simbolo della persona e della vita, per osservare che la pienezza della verità sulla vita umana, da comunicare gradualmente al passo di chi ascolta, è comunque e per tutti solo quella rivelata dalla Parola di Gesù. Ne farà esperienza certa chiunque voglia avvicinarsi a Lui con la fede umile ed audace di quella donna malata, che “udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male” (Mc 5,25-29).

——-

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Intervento della Santa Sede a New York sul crimine transnazionale

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22986?l=italian

Intervento della Santa Sede a New York sul crimine transnazionale

ROMA, venerdì, 25 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento pronunciato il 21 giugno dall’Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, nell’ambito della 64ª sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, durante l’incontro di alto livello sul crimine organizzato transnazionale, ai sensi della risoluzione 64/179 del 18 dicembre 2009, volta a promuovere l’adesione universale alla Convenzione e ai Protocolli e a rafforzare la cooperazione internazionale.

* * *

Presidente,

la mia Delegazione desidera ringraziare lei e i relatori per il loro lavoro  a questo utile dibattito sul crimine organizzato transnazionale.

Una conseguenza del mondo interconnesso è la natura sempre  più interconnessa del crimine. Sebbene l’abilità di comunicare e di commerciare in tutte le parti del mondo abbia promosso  solidarietà e commercio globali, ha anche portato a un’intensificazione del crimine attraverso le frontiere nazionali. Questa dinamica nella natura globalizzata del crimine lancia nuove sfide ai meccanismi legali e giudiziari che tentano di punire i criminali e di proteggere i propri cittadini.

La Dichiarazione di Napoli e la Convenzione di Palermo costituiscono sforzi sostanziali della comunità internazionale per instaurare una cooperazione volta a prevenire l’attività criminale e perseguire i colpevoli.  Queste Convenzioni hanno riconosciuto la sempre più indiscutibile tesi secondo la quale, dal momento che il crimine diviene internazionale, anche la risposta ad esso deve essere internazionale.

Oggi, milioni di persone sono vittima del traffico di esseri umani. Più del 70 per cento di loro, quasi tutte donne e ragazze, è destinato allo sfruttamento sessuale. Questa realtà è tragica e ingiustificabile. Il traffico transnazionale di donne e di bambini per lo sfruttamento sessuale si basa purtroppo sull’equilibrio fra l’«offerta» di vittime nei Paesi dai quali provengono e la «domanda» nei Paesi dove saranno ricevute. Il processo di traffico nasce, dunque, da questa «domanda». Per evidenziare i diritti delle vittime è necessario risolvere il problema di tale «domanda» e, con esso, quello del gravissimo degrado della dignità umana che sempre accompagna la piaga della tratta di esseri umani. Infatti, piuttosto che affrontare concretamente il problema della domanda, vengono varate sempre più leggi che cercano di legittimare questo lavoro disumanizzante. Perfino gli eventi sportivi e sociali mondiali, concepiti per promuovere maggiori rispetto e armonia fra le persone in tutto il mondo, sono diventati invece opportunità di maggiore sfruttamento e tratta di donne e ragazze.

Nello stesso modo, il narcotraffico globale continua a sortire effetti devastanti su individui, famiglie e comunità in tutto il mondo. Nelle aree di produzione, la domanda di sostanze illegali alimenta bande organizzate, cartelli e terroristi. Queste organizzazioni criminali utilizzano i proventi delle attività illegali per diffondere paura e violenza e garantire così il successo della loro ricerca di avidità e potere. Le attività di quegli individui e di quelle organizzazioni devono essere affrontate con urgenza con tutti i mezzi legittimi possibili  per permettere alle comunità di vivere in pace e prosperità invece  che nella paura del crimine e delle ostilità.

Per risolvere questo problema, la comunità internazionale non deve concentrarsi soltanto sulle aree di produzione, ma deve anche affrontare la domanda sempre presente di stupefacenti. Questa domanda, forte soprattutto nel mondo industrializzato, dimostra che per affrontare la produzione di stupefacenti all’estero, bisogna compiere degli sforzi nel proprio Paese. L’uso di stupefacenti non solo affligge la comunità internazionale, ma ha anche effetti dannosi immediati sulla vita fisica, sociale e spirituale degli individui e delle loro famiglie. Quindi, è necessario prestare particolare attenzione a questi individui per trovare modalità per prevenire l’uso di stupefacenti e riabilitare i tossicodipendenti affinché possano contribuire più pienamente al bene comune.

Presidente,

se vogliamo impegnarci in un processo sostenuto per fermare e modificare questi due maggiori settori del crimine internazionale, le popolazioni e le culture dovranno elaborare modalità per trovare un terreno comune che possa sostenere i rapporti umani, ovunque, sulla base di un’umanità comune. Resta la necessità profonda di sostenere la dignità e il valore intrinseci di ogni essere umano, con un’attenzione speciale ai più vulnerabili della società. A questo scopo dovremmo concentrare i nostri sforzi  affrontando e perfino criminalizzando la richiesta devastante di prostituzione, che disumanizza  donne e ragazze e alimenta il traffico illegale nel mondo.

Nello stesso modo, un approccio al narcotraffico, che sia incentrato sulla persona, deve riconoscere la necessità di punire gli utenti finali  di questa attività illegale e anche di riabilitarli. La responsabilità criminale è solo un fattore della soluzione del problema perché la riabilitazione personale, sociale e spirituale è necessaria per i tossicodipendenti e  per  le comunità devastate dalla produzione  e dal traffico di stupefacenti. Inoltre, bisogna continuare a incoraggiare gli sforzi dei governi e della società civile per ripristinare la salute di individui e di comunità perché tutti hanno diritto  a uno sviluppo economico e sociale.

Questo dibattito contribuisce a fare luce sulla necessità di affrontare il crimine internazionale in modo da riconoscere la natura sempre più internazionale del crimine, ma permette anche a questa assemblea di riconoscere  che questa risposta richiede sforzi nazionali  per affrontare le cause individuali e sociali di questa attività. Sebbene sia imperativo punire i criminali per i loro reati che distruggono il bene comune, è anche necessario riconoscere i diritti e la dignità delle vittime e dei criminali per rimediare al danno cagionato dal crimine.  

Publié dans:ONU |on 26 juin, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno foto_calabria_010_pizzo

Regione Calabria – Cattolica di Stilo

http://www.windoweb.it/desktop_foto/foto_calabria_varie.htm

San Giovanni Crisostomo: « Guarì molti malati »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100626

Sabato della XII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 8,5-17
Meditazione del giorno
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul vangelo di Matteo, 27,1

« Guarì molti malati »

        « Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati ». Vedi come la fede della folla si accresce a poco a poco ? Nonostante l’ora avanzata, non hanno voluto lasciare il Signore, hanno pensato che la sera permetteva loro di portargli dei malati. Pensi a tutte le guarigioni che gli evangelisti tralasciano ; non le raccontano tutte una a una, ma in una sola frase, ci fanno vedere un oceano infinito di miracoli. E affinché la grandezza del prodigio non ci porti all’incredulità, affinché non siamo sconcertati al pensiero che tale folla colpita da mali così diversi sia guarita in un istante, il vangelo porta la testimonianza del profeta, tanto straordinaria e sorprendente quanto i fatti stessi : « Perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia : Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie » (Is 53,4). Non dice : « Egli ha distutto », ma : « Egli ha preso » e « si è addossato », dimostrando così, secondo me, che il profeta parla più del peccato che delle malattie del corpo, ciò che è conforme alla parola di Giovanni : « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo » (Gv 1,29).

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