Bruno Forte: Tempo, splendore di Dio
dal sito:
http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_forte1.htm
TEMPO, SPLENDORE DI DIO
Per il cristianesimo i giorni dell’esistenza diventano
luogo della creazione continua
Bruno Forte
Il Sole-24 Ore Domenica 19 Maggio 2002
Che il tempo sia il riflesso privilegiato della Gloria divina sulle creature è convinzione profonda della Bibbia: « È nella dimensione del tempo che l’uomo incontra Dio e diventa cosciente che ogni istante è un atto di creazione, un Inizio, che schiude nuove vie per le realizzazioni ultime. Il tempo è la presenza di Dio nello spazio, ed è nel tempo che noi possiamo sentire l’unità di tutti gli esseri ». Il tempo è la perenne novità del dono che l’Eterno fa alla creatura dell’esistenza, dell’energia e della vita, l’atto della continua creazione, l’eternità che si proietta nello spazio: esso è la partecipazione allo spazio creato del dinamismo dell’amore eterno, l’inserzione dell’esteriorità del mondo nell’interiorità di Dio, l’atto sempre nuovo per il quale ciò che è avvenuto nel primo mattino degli esseri si compie ed è accolto in ogni istante del loro esistere.
È Agostino che ha avuto l’intuizione grandiosa del tempo come dimensione dell’interiorità, in cui si riflette il movimento dell’amore eterno: solo il presente esiste, riflesso fugace dell’eternità, attimo sempre nuovo in cui il futuro trapassa nel passato, l’uno e l’altro trattenuti nel presente nella forma rispettivamente della memoria e dell’attesa. Fra provenienza e avvenire, il tempo è avvento sempre nuovo, istante in cui si riflette l’eternità come origine e come patria della fugacità fragile del divenire delle creature. Se lo spazio rinvia alla kènosi del Dio vivente, perché si offre come l’esterioritàdel creato davanti al Suo amore umile, il tempo rinvia insomma allo splendore della Trinità, perché rivela la nascosta profondità di tutto ciò che esiste come partecipazione al dinamismo di provenienza, di venuta e di avvenire della vita divina. La creazione, proprio perché è creazione del tempo e non nel tempo, non basta a se stessa: essa dimora in Dio, mistero del mondo, ed è chiamata a divenire sempre più la dimora di Dio, fino all’ottavo giorno, la Domenica senza tramonto, in cui Lui sarà tutto in tutti (cf. 1 Cor 15, 28).
Se lo spazio rimanda alla « terra » nella sua autonomia e nella sua pesantezza dinanzi al Creatore, il tempo rimanda allora al « cielo », come origine, grembo e destino del mondo, come dimensione ineliminabile dell’ineriorità e della profondità della vita creata. Terra e cielo sono metafore dell’esteriorità e dell’interiorità del creato, e perciò dello spazio e del tempo nella loro distinzione e nel loro indissolubile rapporto. Ed è per questo che solo il tempo vivifica lo spazio, pervadendolo col « gemito della creazione » che tende a superarne la costitutiva caducità, liberandolo dalla schiavitù della corruzione per la via dell’interiorità aperta al mistero del Creatore, che conduce alla libertà della gloria dei figli di Dio (cf. Rom 8, 18ss). Il problema, allora, non è fuggire le forme dello spazio, ma redimerle dal di dentro vivendo la profondità della vita nel tempo, santificando il tempo con la nostalgia e l’attesa dell’eternità. Non è il tempo quantificato che darà l’anima al mondo, e cioè il mero succedersi cronologico degli istanti legati allo spazio (chronos), ma il tempo qualificato, l’ora della decisione e dell’accoglienza della grazia (kairos), che trasforma l’esteriorità dello spazio in interiorità della vita, l’istante cronologico del tempo « pesante », misurato spazialmente, nel tempo lieve della salvezza, « oggi » dell’eternità: « Ecco ora il momentofavorevole, ecco ora il giorno della salvezza! »(2 Cor 6, 2).
È questo tempo « lieve » della decisione interiore a qualificare il giorno che passa con lo spessore dell’eternità: esso fa uno con l’amore, amore della verità eterna, coscienza di un destino che vince il dolore e la morte. È il tempo come memoria e come attesa, di cui dà testimonianza altissima l’imperativo « non dimenticare », caro alla tradizione ebraica: è il tempo come grazia e come dono, cui solo può corrispondere la grata letizia del cuore. È il tempo dell’uomo interiore: tempo delle emozioni, tempo della passione e del desiderio, dell’amore e della nostalgia, della sofferenza e della tenerezza.
Conoscere questo tempo destinandosi all’altro nella responsabilità liberamente assunta è per la tradizione ebraico-cristiana la forma meno imperfetta per conoscere Dio in questo mondo: anticipo d’eterno, questo gusto del Sabato atteso e promesso o della Domenica senza tramonto pervade l’esperienza di chi vuol farsi ostaggio dell’eternità nell’inesorabile svolgersi del tempo. In questo senso, la vita della fede, vissuta come sete dell’eterno nella fedeltà a ogni istante del tempo, è testimonianza d’un tempo lieve, d’una leggerezza gravida della futura, nascosta bellezza di Dio. È il tempo di chi vive i giorni feriali col cuore della festa, e fa dell’attimo donato anticipo d’eterno. È il tempo della santità, del separarsi per destinarsi all’altro da sé, all’amore più grande che vince la caducità e la morte: non a caso, nell’opra dei sei giorni, l’unica cui è attribuito la qualificazione della santità è il Sabato (cf. Gen 2, 3). Nello spazio del giardino delle origini, la santità è legata al tempo: nello spazio del mondo decaduto sarà perciò ancora il tempo a essere la forma della santità, dove la decisione per l’eterno qualifica l’istante e lo voge dalla caducità della morte alla promessa della vita.

Vous pouvez laisser une réponse.
Laisser un commentaire
Vous devez être connecté pour rédiger un commentaire.