Martiri : Non temere quello che avrai da soffrire… Sii fedele fino alla morte e Io ti darò la corona della vita. (2 Timoteo 1:8 – Apocalisse 2:10)
per ricordare Mons. Luigi Padovese, da Il cammino cristiano:
http://camcris.altervista.org/testmartiri.html
Martiri
Non temere quello che avrai da soffrire… Sii fedele fino alla morte e Io ti darò la corona della vita. (2 Timoteo 1:8 – Apocalisse 2:10)
Quando l’imperatore Licinio perseguitava i cristiani d’Armenia, quaranta soldati d’una legione si dichiararono cristiani; per questo motivo furono condannati a passare la notte, nudi, sulla superficie d’uno stagno gelato. Una casa era stata preparata sul bordo dello stagno con del fuoco e del cibo per accogliere ogni soldato che avesse abbandonato la sua fede.
Il vento freddo del Caucaso spazzava la campagna, e sullo stagno quaranta prigionieri pregavano. Alcuni camminavano per combattere il freddo, altri, coricati, aspettavano la morte. Una preghiera, come un mormorio, si alzava verso Dio: « Signore, quaranta soldati lottano per te. Permetti che quaranta soldati ricevano la corona della vita ».
A un certo punto uno di loro, non riuscendo più a resistere, si diresse verso la casa. Il centurione che sorvegliava gli uomini rimasti, sconvolto dalla loro testimonianza, credette al Signore Gesù che essi invocavano. Lasciò entrare nella casa il legionario che aveva ceduto alla tortura e poi, dopo aver coraggiosamente dichiarato la sua fede in Cristo, andò a prendere il suo posto sullo stagno gelato.
Il freddo continuò la sua opera. Si udiva appena la preghiera dei martiri e poco dopo quaranta uomini entrarono nel riposo. Un giorno essi, insieme a quanti come loro hanno mostrato fino alla fine il loro amore per Cristo, riceveranno la corona della vita dal Signore per la loro fedele testimonianza.
« Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati.
Non temete quelli che uccidono il corpo ma, oltre a questo, non possono far di più. »
(Luca 12:4 – 2 Timoteo 3:12)
Perpetua aveva 22 anni. Sua madre era cristiana e suo padre pagano. Abitava a Cartagine, in Tunisia, nel 2° secolo d.C. Aveva un bambino di alcuni mesi quando, per ordine dell’imperatore Severo, fu arrestata perché era cristiana.
Appena lo seppe, il suo anziano padre che l’amava molto venne a supplicarla di rinunciare alla sua fede. Perpetua rifiutò. Tentarono di farla cedere concedendole qualche favore: le diminuirono le torture e le portarono il suo bambino. Alla vigilia del processo suo padre tornò a trovarla: « Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi. Non espormi al dolore e alla vergogna di vederti morire in un’arena ». Si gettò ai suoi piedi e pianse.
Al momento dell’interrogatorio, mentre la sala d’udienza era al completo, il padre dell’accusata corse portando in braccio il suo bambino. La supplicò di rinunciare alla sua fede. Persino il giudice le disse: « Abbi pietà di tuo madre e di tuo figlio! Offri sacrifici all’imperatore ».
« Non posso ».
« Sei cristiana? ».
« Sì, lo sono ».
Perpetua fu condannata ad essere gettata in pasto alle belve del circo, un giorno in cui l’imperatore avrebbe dato una festa. E quel giorno non tardò. Fu condotta al supplizio con altri martiri. Prima di morire, si abbracciarono. Se ne andavano presso Gesù.
« Poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni… corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù. »
(Ebr. 1:1,2)
« Andare in galera » oggi è un’espressione banale. Ma chi erano quelli che venivano mandati alle galere sotto il regno di Luigi XIV in Francia? Erano dei prigionieri comuni, certo, ma anche persone innocenti definite « eretici ». Erano cristiani. Fra il 1685 e il 1752, sono state contate 7370 condanne di cristiani che preferifano morire piuttosto che rinnegare il Signore. Marchiati a fuoco con tre leggere infamanti (GAL), designati con il numero di matricola della prigione, incatenati al collo con un assassino o un rapinatore, aspettavano di partire per le galere reali. Là remavano fino alla morte, costretti alla cadenza imposta a colpi di frusta dalle guardie della ciurma.
Quando erano ancora in prigione cantavano. Sulla lunga strada fino a Marsiglia, cantavano. Sul male si elevava il canto dei Salmi. Come i primi cristiani, e come l’apostolo Paolo e Sila, che nella prigionia « cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano » (Atti 16:25). Persino nella sofferenza essi manifestavano la gioia di essere testimoni del solo grande Dio, proclamavano la loro speranza e la loro fiducia.
Chi erano i vincitori, i veri uomini liberi? Quei galeotti o i loro carnefici? Erano quelli che potevano dire: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità?… In tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati » (Rom. 8:35,37)
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