Archive pour le 1 juin, 2010

Saint Sacrement (vitraux)

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San Giustino martire

San Giustino martire dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

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Mimo, funambolo e martire (dall’O.R.)

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/272q04a1.html

DA L’OSSERVATORE ROMANO

(23-24 NOVEMBRE 2009)

Mimo, funambolo e martire

di Fabrizio Bisconti

È piuttosto rigido l’atteggiamento dei Padri della Chiesa nei confronti dei mestieri che ruotano attorno all’orbita artistica, relativamente al pericolo che alcune professioni, pertinenti all’arte e allo spettacolo, possano far incorrere i fedeli nel peccato di idolatria. Se, poi, dalla teoria, talora asseverativa e rigorosa, si passa alla prassi, dobbiamo constatare che alcuni mestieri, tradizionalmente vietati o, comunque, posti in seria discussione dalle fonti canoniche, appaiono tra quelli esercitati dai primi cristiani, come documenta la produzione epigrafica delle catacombe romane.
I divieti e gli inviti a stare in guardia dei Padri della Chiesa si riferiscono specialmente agli spettacoli, a cominciare da Clemente Alessandrino, che considera teatro e stadio come « cattedre di pestilenza (Pedagogus, iii, 76, 3), per continuare con Tertulliano che ritiene ispiratori di idolatria i giochi atletici e violenti, ed inutili il pugilato e la lotta (De spectaculis, 11-18). Gli apologisti condannano, senza attenuanti, il circo e l’anfiteatro, in quanto vedere uccidere un uomo è come ucciderlo, mentre per Cipriano lo spettacolo in genere può e deve essere identificato con l’idolatria (De spectaculis, 4). Ma è la testimonianza di Agostino a dare un’idea più chiara e complessiva della visione cristiana dello spettacolo e del travaglio che tormenta i Padri della Chiesa a questo proposito:  « Sono i catecumeni – egli rimprovera – a scandalizzarsi per il fatto che i medesimi uomini riempiano le chiese nelle feste cristiane e i teatri in quelle pagane » (De catechizandis rudibus, 25, 48).
Nonostante il tono asseverativo di questi richiami alla vigilanza, molti documenti romani ci parlano di « teatranti cristiani e non solo di aurighi, ginnasti e musici, ma anche di mimi e pantomimi che, come è noto, erano particolarmente invisi ai Padri della Chiesa, specialmente quando, durante la controversia ariana, scelsero come temi preferiti di pantomima i misteri cristiani, parodiando il battesimo e il martirio (Agostino, De baptismo, vii, 53).
Eppure non mancano alcuni celebri mimi romani sicuramente cristiani, fra tutti va ricordato Vitale, sepolto a San Sebastiano nel V secolo e rammentato da un interminabile epitaffio metrico, dove si ricorda, tra l’altro, la sua abilità nell’imitazione delle donne. Vitale, come si desume dal testo epigrafico, era talmente bravo che la sua sola presenza suscitava ilarità ed allegria; qualsiasi ora con lui era lieta; il suo unico rimpianto consisteva nel fatto che tutti coloro che aveva imitato in vita morissero con lui. Ancora a San Sebastiano era sepolto un famoso funambolo (catadromarius) e a San Paolo fuori le Mura un pantomimo che, come è noto, comporta una messa in scena più completa, con mimo, danza e recitazione. Altre testimonianze epigrafiche ricordano ancora un danzatore a San Paolo e un musico a San Sebastiano, mentre, per quanto attiene alle donne di spettacolo, resta il ricordo di una suonatrice di lira da San Lorenzo fuori le Mura e di una cantante, moglie di un ciabattino, dal cimitero Maggiore, sulla via Nomentana.
Queste due ultime testimonianze sembrano rispondere a un giudizio molto severo sulle « donne di teatro » considerate di infima condizione sociale e di dubbia reputazione (Giovanni Crisostomo, Contra ludos et theatra, 2). L’atteggiamento ostile su certi mestieri nasce da un’etica del lavoro, in base alla quale alcune attività non risultano consone alla dottrina cristiana. Il lavoro eseguito da un cristiano, secondo tale teoria, non deve essere disonesto, immorale e idolatrico:  per questo non si accettano alcune attività e si consigliano i cristiani di cambiare mestiere, se prima della conversione avessero esercitato una professione poco consona con la nuova vita che si stava per condurre. Tertulliano, a questo riguardo, si sofferma proprio sui mestieri permessi ai cristiani o, meglio, esorta ogni cristiano a evitare tutte quelle professioni che potevano accostarlo al culto degli dei (De idolatria, 12, 4).
Non si accettano, innanzi tutto, coloro che praticano o gestiscono la prostituzione, gli aurighi, i circensi, i gladiatori, i sacerdoti, i custodi dei templi pagani, i maghi, gli ipnotizzatori, gli indovini, gli interpreti dei sogni, i fabbricanti di amuleti, gli scultori e i pittori (Tradizione apostolica, 11, 2-15). Proprio questi ultimi, invece, appaiono nelle catacombe romane e, segnatamente, nelle incisioni figurate sui marmi di chiusura dei loculi:  una evoca la professione di un defunto intento a comporre una lastra di opus sectile e un’altra riproduce la bottega dello scultore di sarcofagi Eutropos e non mancano allusioni a pittori, scultori di clipei e musivi vari.
Come si diceva, la prassi e la teoria non parlano la stessa lingua e i cristiani di Roma impongono leggi e divieti troppo rigidi.
L’unico timore tenuto presente anche dalla base sociale della comunità è quello di incorrere nel peccato d’idolatria, che il severo Tertulliano paragona a un cancro, le cui metastasi minano il corpo sociale e da cui occorre difendersi con antidoti estremi (De idolatria, 12, 4). L’apologista africano, come sempre, si riferisce a episodi che stavano accadendo in quel tempo sulla sua chiesa, episodi che da Roma ci accompagnano verso la realtà cartaginese dell’epoca severiana, ma che fioriscono nell’idea generale della tormentata conversione al cristianesimo nei primi secoli. Tertulliano ricorda, infatti, un episodio estremo, che dà il senso delle infrazioni alle regole della Chiesa:  « I costruttori di idoli vengono ammessi nell’ordine ecclesiastico. Quale crimine! ».

1 giugno: San Giustino Martire

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/23200

San Giustino Martire

1 giugno
 
Flavia Neapolis (attuale Nablus, Palestina), inizio II secolo – Roma, ca. 164

La sua famiglia è di probabile origine latina e vive a Flavia Neapolis, in Samaria. Nato nel paganesimo, Giustino studia a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone. Poi viene attratto dai Profeti di Israele, e per questa via arriva a farsi cristiano, ricevendo il battesimo verso l’anno 130, a Efeso. Ma questo non significa una rottura con il suo passato di studioso dell’ellenismo. Negli anni 131-132 lo troviamo a Roma, annunciatore del Vangelo agli studiosi pagani. Al tempo stesso, Giustino si batte contro i pregiudizi che l’ignoranza alimenta contro i cristiani. Famoso il suo «Dialogo con Trifone». Predicatore e studioso itinerante, Giustino soggiorna in varie città dell’Impero; ma è ancora a Roma che si conclude la sua vita. Qui alcuni cristiani sono stati messi a morte come « atei » (cioè nemici dello Stato e dei suoi culti). Scrive una seconda Apologia, indirizzata al Senato romano, e si scaglia contro il filosofo Crescente. Ma questo sta con il potere, e Giustino finisce in carcere, anche lui come « ateo », per essere decapitato con altri sei compagni di
fede, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. (Avvenire)

Patronato: Filosofi

Etimologia: Giustino = onesto, probo (sign. Intuitivo)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Memoria di san Giustino, martire, che, filosofo, seguì rettamente la vera Sapienza conosciuta nella verità di Cristo: la professò con la sua condotta di vita e quanto professato fece oggetto di insegnamento, lo difese nei suoi scritti e testimoniò con la morte avvenuta a Roma sotto l’imperatore Marco Aurelio Antonino. Infatti, dopo aver presentato all’imperatore la sua Apologia in difesa della religione cristiana, fu consegnato al prefetto Rustico e, dichiaratosi cristiano, fu condannato a morte.
La sua famiglia è di probabile origine latina (il padre si chiama Prisco) e vive a Flavia Neapolis, città fondata in Samaria dai Romani dopo avere schiacciato l’insurrezione nazionale ebraica e aver distrutto il Tempio di Gerusalemme. Nato nel paganesimo, Giustino studia a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone. Poi viene attratto dai Profeti di Israele, e per questa via arriva a farsi cristiano, ricevendo il battesimo verso l’anno 130, a Efeso.
Ma questo non significa una rottura con il suo passato di studioso dell’ellenismo. Anzi: egli sente di avere raggiunto un traguardo, trovando in Cristo la verità che i pensatori greci gli hanno insegnato a ricercare.
Negli anni 131-132 lo troviamo a Roma, annunciatore del Vangelo agli studiosi pagani; un missionario-filosofo, che parla e scrive. Nella prima delle sue due Apologie, egli onora la sapienza antica, collocandola nel piano divino di salvezza che si realizza in Cristo. È l’uomo, insomma, dei primi passi nel dialogo con la cultura greco-romana.
Al tempo stesso, Giustino si batte contro i pregiudizi che l’ignoranza alimenta contro i cristiani, esalta il vigore della loro fede anche nella persecuzione, la loro mitezza e l’amore per il prossimo. Vuole sradicare quella taccia di “nemici dello Stato”, che giustifica avversioni e paure. Il successivo Dialogo con Trifone ha invece la forma letteraria di una sua disputa a Efeso con un rabbino, nel quale Giustino illustra come Gesù ha dato adempimento in vita e in morte alla Legge e agli annunci dei Profeti.
Predicatore e studioso itinerante, Giustino soggiorna in varie città dell’Impero; ma è ancora a Roma che si conclude la sua vita. Qui alcuni cristiani sono stati messi a morte come “atei” (cioè sovversivi, nemici dello Stato e dei suoi culti). Allora lui scrive una seconda Apologia, indirizzata al Senato romano, e si scaglia contro un accanito denunciatore, il filosofo Crescente: sappiano i senatori che costui è un calunniatore, già ampiamente svergognato come tale da lui, Giustino, in pubblici contraddittori. Ma Crescente sta con il potere, e Giustino finisce in carcere, anche lui come “ateo”, per essere decapitato con altri sei compagni di fede, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. Lo attestano gli Acta Sancti Iustini et sociorum, il cui valore storico è riconosciuto unanimemente. Non ci è noto il luogo della sua sepoltura.
Anche la maggior parte dei suoi scritti è andata perduta. Eppure la sua voce ha continuato a parlare. Nel Concilio Vaticano I i vescovi vollero che egli fosse ricordato ogni anno dalla Chiesa universale. E il Concilio Vaticano II ha richiamato il suo insegnamento in due dei suoi testi fondamentali: la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, e la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes.

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Benedetto XVI: la Trinità divina dimora in noi dal Battesimo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22660?l=italian

Benedetto XVI: la Trinità divina dimora in noi dal Battesimo

Discorso introduttivo alla preghiera mariana dell’Angelus

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al « tempo ordinario ». Ciò non vuol dire però che l’impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all’azione della Grazia, per progredire nell’amore verso Dio e il prossimo. L’odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo. La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.

La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: « Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ». Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva: « lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino » (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).

Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l’annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che « quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità » (Gv 16,13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell’Eucaristia. Anche il santo Curato d’Ars lo ricordava ai suoi fedeli: « Chi ha accolto la vostra anima – diceva – al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? … sempre il sacerdote » (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).

Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: « Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo » (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.

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