Archive pour le 21 mai, 2010

ACTS 02 PENTECOST AND PREACHING…PENTECOTE ET PREDICATION

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PADRE CANTALAMESSA (OMELIA – ANNO 2007 C)

dal sito:

http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=75

PADRE CANTALAMESSA (ANNO 2007 C)
 
Domenica di Pentecoste
C – 2007-05-27

Mandi il tuo Spirito, sono creati 
 
Atti 1,1-11;
Romani 8,8-17;
Giovanni 14,15-16.23b-26.

La sera di Pasqua, Gesù nel cenacolo « alitò su di loro [i suoi discepoli] e disse: Ricevete lo Spirito Santo » [Gv 20,19-23 Ndr]). Questo alitare di Cristo richiama il gesto di Dio che, nella creazione, « soffiò sull’uomo, plasmato con polvere del suolo, un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente » (cfr. Gn 2, 7). Con quel gesto Gesù viene dunque a dire che lo Spirito Santo è il soffio divino che dà vita alla nuova creazione, come diede vita alla prima creazione. Il Salmo responsoriale sottolinea questo tema: « Mandi il tuo Spirito e sono creati, e rinnovi la faccia della terra » [Sal 103,1-34. Ndr].

Proclamare che lo Spirito Santo è creatore significa dire che la sua sfera d’azione non è ristretta alla sola Chiesa, ma si estende a tutta la creazione. Nessun tempo e nessun luogo è privo della sua attiva presenza. Egli agisce nella Bibbia e fuori di essa; agisce prima di Cristo, al tempo di Cristo e dopo Cristo, anche se mai separatamente da lui. « Ogni verità, da chiunque venga detta -ha scritto san Tommaso d’Aquino-, viene dallo Spirito Santo ». Certo, l’azione dello Spirito di Cristo fuori della Chiesa non è la stessa che dentro la Chiesa e nei sacramenti. Là egli agisce per potenza, qui per presenza, di persona.

La cosa più importante, a proposito della potenza creatrice dello Spirito Santo, non è però comprenderla o spiegarne le implicazioni, ma è farne l’esperienza. E che significa fare l’esperienza dello Spirito come creatore? Per scoprirlo partiamo dal racconto della creazione. « In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito del Signore aleggiava sulle acque » (Gn 1, 1-2). Ne deduciamo che l’universo esisteva già al momento in cui interviene lo Spirito, ma era ancora informe e tenebrosa, caos. È in seguito alla sua azione che il creato assume contorni precisi; la luce si separa dalle tenebre, la terraferma dal mare e tutto prende una forma definita.

Lo Spirito Santo è dunque colui che fa passare il creato dal caos al cosmo, che fa di esso qualcosa di bello, di ordinato, pulito (cosmo viene dalla stessa radice di cosmetico e vuol dire bello!), ne fa un « mondo », secondo il duplice significato di questa parola. La scienza ci insegna oggi che questo processo è durato miliardi di anni, ma quello che la Bibbia vuole dirci, con il suo linguaggio semplice e immaginifico, è che la lenta evoluzione verso la vita e l’ordine attuale del mondo non è avvenuta a caso, obbedendo a ciechi impulsi della materia, ma per un progetto posto in esso, fin dall’inizio, dal creatore.

L’azione creatrice di Dio non è limitata all’istante iniziale; egli è sempre in atto di creare. Applicato allo Spirito Santo, questo significa che egli è sempre colui che fa passare dal caos al cosmo, cioè dal disordine all’ordine, dalla confusione all’armonia, dalla deformità alla bellezza, dalla vecchiaia alla giovinezza. Questo a tutti i livelli: nel macrocosmo come nel microcosmo, cioè nell’universo intero come in ogni singolo uomo.

Dobbiamo credere che, nonostante le apparenze, lo Spirito Santo è all’opera nel mondo e lo fa progredire. Quante scoperte nuove, non solo nel campo fisico, ma anche in quello morale e sociale! Un testo del Vaticano II dice che lo Spirito Santo è all’opera nell’evoluzione dell’ordine sociale del mondo » (Gaudium et spes 26). Non è solo il male che cresce, ma anche il bene, con la differenza che il male si elide, finisce con se stesso, il bene invece si accumula, rimane. Certo, c’è ancora tanto caos intorno a noi: caos morale, politico, sociale. Il mondo ha ancora tanto bisogno dello Spirito di Dio, per questo non ci dobbiamo stancare di invocarlo con le parole del Salmo: « Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra! ».  

Papa Bendetto XVI, Solennità di Pentecoste 2006,

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2006/documents/hf_ben-xvi_hom_20060604_pentecoste_it.html

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE 2006

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica Vaticana
Domenica, 4 giugno 2006

Cari fratelli e sorelle!

Il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo scese con potenza sugli Apostoli; ebbe così inizio la missione della Chiesa nel mondo. Gesù stesso aveva preparato gli Undici a questa missione apparendo loro più volte dopo la sua risurrezione (cfr At 1,3). Prima dell’ascensione al Cielo, ordinò di « non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre » (cfr At 1,4-5); chiese cioè che restassero insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14).

Restare insieme fu la condizione posta da Gesù per accogliere il dono dello Spirito Santo; presupposto della loro concordia fu una prolungata preghiera. Troviamo in tal modo delineata una formidabile lezione per ogni comunità cristiana. Si pensa talora che l’efficacia missionaria dipenda principalmente da un’attenta programmazione e dalla successiva intelligente messa in opera mediante un impegno concreto. Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione, ma prima di qualsiasi nostra risposta è necessaria la sua iniziativa: è il suo Spirito il vero protagonista della Chiesa. Le radici del nostro essere e del nostro agire stanno nel silenzio sapiente e provvido di Dio.

Le immagini che usa san Luca per indicare l’irrompere dello Spirito Santo – il vento e il fuoco – ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza (cfr Es 19,3ss). La festa del Sinai, che Israele celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua, era la festa del Patto. Parlando di lingue di fuoco (cfr At 2,3), san Luca vuole rappresentare la Pentecoste come un nuovo Sinai, come la festa del nuovo Patto, in cui l’Alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra. La Chiesa è cattolica e missionaria fin dal suo nascere. L’universalità della salvezza viene significativamente evidenziata dall’elenco delle numerose etnie a cui appartengono coloro che ascoltano il primo annuncio degli Apostoli (cfr At 2,9-11).

Il Popolo di Dio, che aveva trovato al Sinai la sua prima configurazione, viene quest’oggi ampliato fino a non conoscere più alcuna frontiera né di razza, né di cultura, né di spazio né di tempo. A differenza di quanto era avvenuto con la torre di Babele (cfr Gn 11,1-9), quando gli uomini, intenzionati a costruire con le loro mani una via verso il cielo, avevano finito per distruggere la loro stessa capacità di comprendersi reciprocamente, nella Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione. L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore.

Ma come entrare nel mistero dello Spirito Santo, come comprendere il segreto dell’Amore? La pagina evangelica ci conduce oggi nel Cenacolo dove, terminata l’ultima Cena, un senso di smarrimento rende tristi gli Apostoli. La ragione è che le parole di Gesù suscitano interrogativi inquietanti: Egli parla dell’odio del mondo verso di Lui e verso i suoi, parla di una sua misteriosa dipartita e ci sono molte altre cose ancora da dire, ma per il momento gli Apostoli non sono in grado di portarne il peso (cfr Gv 16,12). Per confortarli spiega il significato del suo distacco: se ne andrà, ma tornerà; nel frattempo non li abbandonerà, non li lascerà orfani. Manderà il Consolatore, lo Spirito del Padre, e sarà lo Spirito a far conoscere che l’opera di Cristo è opera di amore: amore di Lui che si è offerto, amore del Padre che lo ha dato.

Questo è il mistero della Pentecoste: lo Spirito Santo illumina lo spirito umano e, rivelando Cristo crocifisso e risorto, indica la via per diventare più simili a Lui, essere cioè « espressione e strumento dell’amore che da Lui promana » (Deus caritas est, 33). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa quest’oggi prega: « Veni Sancte Spiritus! – Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore! ». Amen.

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“Quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor 12,10),

dal sito:

http://www.zenit.org/article-19781?l=italian

“Quando sono debole è allora che sono forte”

Suor Elena Bosetti riflette sul paradosso paolino

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).- In tutta la storia, con particolare rilevanza nei periodi di decadenza, è possibile scorgere una corrente culturale che esalta la perfezione materiale, la forza muscolare, la durezza del cuore.
Per questo suona del tutto paradossale l’affermazione di San Paolo riportata nella lettera ai Corinzi (2Cor 12,10), secondo cui “quando sono debole è allora che sono forte”.
Si tratta di un paradosso che è insito anche nella vicenda di Gesù Cristo, il Figlio di Dio che accetta di farsi uccidere sulla Croce da quegli uomini che è venuto a salvare.
Per cercare di comprendere il significato profondo di questo paradosso, ZENIT ha intervistato suor Elena Bosetti, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università Gregoriana, che sul tema ha scritto un saggio pubblicato sulla Rivista dell’Istituto Internazionale di teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum” (n.25 anno IX, Primo quadrimestre 2009).
Nella lettera ai Corinzi San Paolo ha scritto “quando sono debole è allora che sono forte”. Che cosa intende dire?
Bosetti: Anzitutto mi sembra che Paolo faccia riferimento a una sua esperienza concreta, esistenziale. Evoca una situazione di debolezza fisica o psicologica, quale una infermità o uno stato d’animo provato, depresso. Egli non si vergogna di ricordare ai Corinti la situazione di debolezza, umanamente parlando sfavorevole, che ha caratterizzato la sua opera di evangelizzazione in mezzo a loro. Ma riflettendo su tale situazione egli vi coglie qualcosa di sorprendente: l’energia del Risorto. L’Apostolo ritiene di essere “forte” nella sua debolezza in quanto coinvolto nella dinamica vittoriosa del Crocifisso risorto.
La debolezza che diviene occasione fortezza d’animo non è del tutto estranea all’esperienza umana. Ci sono numerose testimonianze di uomini e donne (anche non credenti) per le quali situazioni disperate e di deriva umana sono diventate momento di grande cambiamento, hanno ricuperato grandi valori che avevano smarrito. In altre parole, attraverso la “debolezza” queste persone sono diventate più uomini e più donne. Nel leggere queste storie il credente non si sconcerta, ma vi legge la mano della Provvidenza.
L’assunto di San Paolo è paradossale, sembra contrario alla logica umana. Che cosa ha sperimentato San Paolo per giungere a tale considerazione?
Bosetti: In effetti Paolo ama il paradosso. Non per fare l’originale ma per quella sua capacità acuta di cogliere le polarità che attraversano la storia e la vicenda umana dentro cui si iscrive l’azione salvifica di Dio che agisce in modo illogico secondo la sapienza del mondo. Il mondo infatti elogia la forza e la potenza, mentre Dio per salvare il mondo ha imboccato e percorso fino in fondo la via della debolezza e della kenosis, ovvero del volontario abbassamento e svuotamento di sé. Non ci ha “usati” per farsi più grande e bello. Al contrario, si è lasciato “ferire” dalla nostra miseria e tristezza e se ne è fatto carico, oltre ogni buon senso, fino all’infamia della croce.

Che tipo di Dio è quello di cui parla San Paolo?

Bosetti: È il Dio dei paradossi! In realtà tutta la storia biblica concorda nel rivelare un Dio che sembra divertirsi a capovolgere le “sorti” (o situazioni) come racconta il libro di Ester e come canta la vergine Maria nel suo Magnificat: “i potenti li ha deposti dai troni, ha innalzato gli umili…” (Luca 1,52). Dio stesso nel suo appassionato amore per l’umanità si avventura nel paradosso più sconcertante che è quello dell’Incarnazione. Nella lettera ai Filippesi Paolo presenta un Dio che si abbassa e si svuota di ogni pretesa divina per farsi in tutto simile all’uomo, anzi si abbassa fino alla terrificante morte di croce per amore della sua creatura.
San Paolo parla del Dio che ha sperimentato personalmente come amore: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Galati 2,20); del Dio che l’ha reso forte nell’amore, niente e nessuno «potrà mai separarci dal’amore di Dio che in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 8, 39). In questo sta la fortezza di San Paolo che gli permette di uscire da ogni debolezza.

E qual è l’idea di salute e di salvezza dell’apostolo delle genti?

Bosetti: Paolo ha una visione organica e complessiva della salute. Se il piede sta male tutto il corpo soffre. Così la Chiesa, che per Paolo è il corpo di Cristo. Non si tratta quindi di salvare semplicemente la propria anima. È in gioco la salute di tutto il corpo ecclesiale e dell’intera famiglia umana. Anzi occorre avere sensibilità anche per il gemito della creazione, la quale nutre anch’essa il desiderio di essere liberata e di entrare nella salvezza definitiva, nella libertà dei figli di Dio (cf. Romani 8).
Nel corso della storia umana e nel mondo moderno la figura del debole e malato viene mal tollerata. Perchè nella religione cristiana Dio ha scelto ciò che è debole?
Bosetti: Si direbbe per un moto di amore misericordioso e straordinariamente divino. Dio rivela se stesso in coloro che si fidano di lui e gli lasciano spazio di azione. Per la Bibbia sono i poveri e i piccoli, coloro che non strumentalizzano Dio per i propri interessi o progetti di grandezza, ma che al contrario si fidano di Lui in ogni situazione.
La figura del debole e del malato è mal tollerata dove domina la cultura efficientista, utilitarista… Il dolore e la sofferenza bloccano la persona se non ne vede alcun senso, rimane solo la debolezza che schiaccia. Perché la fortezza abbia il sopravvento sulla debolezza, occorre passare e fare propria l’esperienza di San Paolo. Dio ha scelto (e sceglie) ciò che è debole, perché questa è la logica dell’amore, e Dio è specializzato in amore.

E qual è la dimensione antropologica e civile che distingue l’umano nell’aiuto ai deboli?

Bosetti: è la distinzione che passa tra la filantropia e l’amore carità. La filantropia è un sentimento nobile che porta l’individuo o gruppi umani (società filantropiche ) verso i bisognosi per renderli felici. L’amore-carità unisce l’amore di Dio con l’amore del prossimo, anzi si fa prossimo al bisognoso, imita il Buon Samaritano che è Gesù stesso. Ovviamente non c’è contrapposizione, ma la filantropia ha bisogno di immettersi nella forza dell’amore-carità.

Che Dio è quello che manifesta nella debolezza la potenza salvifica del suo amore?

Bosetti: È un Dio umile, che vince dal di dentro le pretese dell’orgoglio satanico condividendo la fatica e il dolore degli umani. È un Dio che non salva se stesso scendendo dalla croce, ma che apre le porte del paradiso al malfattore che si rivolge a lui nell’agonia del suo patibolo.
È un Dio che salva sacrificando se stesso, non gli altri; è il Dio che vince con l’amore: l’unica potenza che trasforma l’umanità se viene accolta pienamente nella Chiesa e nella società.

Publié dans:San Paolo |on 21 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Indian Balsam – Himalayan Balsam (buona notte)

Indian Balsam - Himalayan Balsam (buona notte) dans immagini buon...notte, giorno impatiens_glandulifera_11cc

http://www.floralimages.co.uk/index2.htm

Beato Giovanni XXIII: « Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro ?… mi vuoi bene?… mi vuoi bene ?»

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100521

Venerdì della VII settimana di Pasqua : Jn 21,15-19
Meditazione del giorno
Beato Giovanni XXIII (1881-1963), papa
Giornale dell’anima, cap. 1958-1963

« Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro ?… mi vuoi bene?… mi vuoi bene ?»

        Il successore di Pietro sa che nella sua persona e nella sua attività, la grazia e la legge dell’amore sostengono, vivificano e ornano tutto; e, di fronte al mondo intero, la santa Chiesa trova il suo appoggio nello scambio di amore fra Gesù e lui, Simon Pietro figlio di Giovanni, come su di un sostegno invisibile e visibile: Gesù invisibile agli occhi della carne e il papa, Vicario di Cristo, visibile agli occhi del mondo intero. Considerato questo mistero di amore fra Gesù e il suo Vicario, quale onore e quale dolcezza per me, ma nello stesso tempo, quale motivo di confusione per la piccolezza, per il nulla che sono io.

        La mia vita deve essere tutta amore per Gesù, e nello stesso tempo totale effusione di bontà e di sacrificio per ogni anima e per il mondo intero. In questo episodio… il passaggio è diretto alla legge del sacrificio. Gesù stesso lo annuncia a Pietro: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi».

        Per la grazia del Signore, non sono ancora entrato in questa «vecchiaia», ma avendo compiuto ormai ottant’anni, sto sulla soglia. Devo tenermi pronto per quella ultima tappa della mia vita dove mi aspettano i limiti e i sacrifici, fino al sacrificio della vita corporale e all’apertura della vita eterna. O Gesù, eccomi pronto a tendere le mani, le mie mani già tremanti e deboli, e a lasciare che un’altro mi aiuti a vestirmi e mi sostenga per la strada. Signore, a Pietro hai aggiunto: «e ti porterà dove tu non vuoi». O, dopo tante grazie di cui ho beneficiato durante la mia lunga vita, non c’è più nulla che io non voglia. Mi hai aperto, tu, la strada, o Gesù; «Io ti seguirò dovunque andrai» (Mt 8,19).

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