Archive pour le 17 mai, 2010

Van Gogh, 1890, La Chiesa di Auvers

Van Gogh, 1890, La Chiesa di Auvers dans immagini sacre 1890,%20La%20Chiesa%20di%20Auvers
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Pasqua (Card. C. M. Martini, La Pasqua dei deboli più forte della morte, 2007)

dal sito:

http://www.qumran2.net/ritagli/ritaglio.pax?id=6150

Pasqua

(Card. C. M. Martini, La Pasqua dei deboli più forte della morte, 2007)

Mentre il Natale evoca istintivamente l’immagine di chi si slancia con gioia (e anche pieno di salute) nella vita, la Pasqua è collegata con rappresentazioni più complesse. È una vita passata attraverso la sofferenza e la morte, una esistenza ridonata a chi l’aveva perduta. Perciò se il Natale suscita un po’ in tutte le latitudini, anche presso i non cristiani e i non credenti, un’atmosfera di letizia e quasi di spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero più nascosto e difficile. Ma la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell’oscuro e del difficile.

Mi appare significativo il fatto che Gesù nel suo ministero pubblico si sia interessato soprattutto dei malati e che Paolo nel suo discorso di addio alla comunità di Efeso ricordi il dovere di «soccorrere i deboli». Per questo vorrei che questa Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello “star bene” come principio assoluto. Vorrei che il senso di sollievo, di liberazione e di speranza che vibra nella Pasqua ebraica dalle sue origini ai nostri giorni entrasse in tutti i cuori.

In questa Pasqua vorrei poter dire a me stesso con fede le parole di Paolo nella seconda lettera ai Corinti: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne». (2Corinti 4,16-18). È così che siamo invitati a guardare anche ai dolori del mondo di oggi: come a «gemiti della creazione», come a «doglie del parto» (Romani, 8,22) che stanno generando un mondo più bello e definitivo, anche se non riusciamo bene a immaginarlo. Tutto questo richiede una grande tensione di speranza.

Più difficile è però per me l’esprimere che cosa può dire la Pasqua a chi non partecipa della mia fede ed è curvo sotto i pesi della vita. Ma qui mi vengono in aiuto persone che ho incontrato e in cui ho sentito come una scaturigine misteriosa dentro, che li aiuta a guardare in faccia la sofferenza e la morte anche senza potersi dare ragione di ciò che seguirà. Vedo così che c’è dentro tutti noi qualcosa di quello che san Paolo chiama «speranza contro ogni speranza» (ivi, 4,17), cioè una volontà e un coraggio di andare avanti malgrado tutto, anche se non si è capito il senso di quanto è avvenuto. È così che molti uomini e donne hanno dato prova di una capacità di ripresa che ha del miracoloso. Si pensi a tutto quanto è stato fatto con indomita energia dopo lo tsunami del 26 dicembre di due anni fa o dopo l’inondazione di New Orleans. Si pensi alle energie di ricostruzione sorte come dal nulla dopo la tempesta delle guerre.

È così che la risurrezione entra nell’esperienza quotidiana di tutti i sofferenti, in particolare dei malati e degli anziani, dando loro modo di produrre ancora frutti abbondanti a dispetto delle forze che vengono meno e della debolezza che li assale. La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte ed è così che tutti ci auguriamo di coglierla”. In questa Pasqua vorrei poter dire a me stesso con fede le parole di Paolo nella seconda lettera ai Corinti: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne». (2Corinti 4,16-18). È così che siamo invitati a guardare anche ai dolori del mondo di oggi: come a «gemiti della creazione», come a «doglie del parto» (Romani, 8,22) che stanno generando un mondo più bello e definitivo, anche se non riusciamo bene a immaginarlo. Tutto questo richiede una grande tensione di speranza.

Più difficile è però per me l’esprimere che cosa può dire la Pasqua a chi non partecipa della mia fede ed è curvo sotto i pesi della vita. Ma qui mi vengono in aiuto persone che ho incontrato e in cui ho sentito come una scaturigine misteriosa dentro, che li aiuta a guardare in faccia la sofferenza e la morte anche senza potersi dare ragione di ciò che seguirà. Vedo così che c’è dentro tutti noi qualcosa di quello che san Paolo chiama «speranza contro ogni speranza» (ivi, 4,17), cioè una volontà e un coraggio di andare avanti malgrado tutto, anche se non si è capito il senso di quanto è avvenuto. È così che molti uomini e donne hanno dato prova di una capacità di ripresa che ha del miracoloso. Si pensi a tutto quanto è stato fatto con indomita energia dopo lo tsunami del 26 dicembre di due anni fa o dopo l’inondazione di New Orleans. Si pensi alle energie di ricostruzione sorte come dal nulla dopo la tempesta delle guerre.

È così che la risurrezione entra nell’esperienza quotidiana di tutti i sofferenti, in particolare dei malati e degli anziani, dando loro modo di produrre ancora frutti abbondanti a dispetto delle forze che vengono meno e della debolezza che li assale. La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte ed è così che tutti ci auguriamo di coglierla.

di Sandro Magister: Chiesa perseguitata? Sì, dai peccati dei suoi figli

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it:80/articolo/1343307

Chiesa perseguitata? Sì, dai peccati dei suoi figli

È questa la « terrificante » attualità del messaggio di Fatima, secondo Benedetto XVI. Ma l’ultima parola nella storia è la bontà di Dio. Da accogliere con penitenza e spirito di conversione

di Sandro Magister

ROMA, 14 maggio 2010 – Curiosamente, le parole più folgoranti del suo viaggio di quattro giorni in Portogallo, con al centro la visita a Fatima, Benedetto XVI le ha pronunciate prima di atterrare a Lisbona, quando ancora era in volo, la mattina di martedì 11 aprile.

E le ha pronunciate rispondendo ai giornalisti sull’aereo, apparentemente improvvisando.

In realtà erano parole ben meditate. Le domande gli erano state presentate in anticipo dal direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. E il papa ne aveva scelte tre, di cui la terza riguardava il « segreto » di Fatima e lo scandalo della pedofilia.

Ecco questa terza domanda con la risposta del papa, nella trascrizione diffusa dagli uffici vaticani, tipica del linguaggio parlato:

*

D. – Veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le apparizioni di Fatima? E quando lei presentò il testo del terzo segreto nella sala stampa vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei papi. È possibile, secondo lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?

R. – Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia.

Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete.

Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del papa, che possiamo in prima istanza riferire a papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del papa, ma il papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano.

Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione.

Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia.

*

Queste parole di Benedetto XVI hanno doppiamente stupito gli osservatori.

Anzitutto per la lettura che papa Joseph Ratzinger ha dato del cosiddetto « segreto » di Fatima. Una lettura non confinata al passato, come nelle interpretazioni correnti di parte ecclesiastica, ma aperta al presente e al futuro. « Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa », ha ripetuto ai fedeli davanti al santuario.

E poi e più ancora per l’affermazione che « la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa ». Anche qui contraddicendo i giudizi espressi da molti ecclesiastici, secondo i quali la Chiesa soffre primariamente per gli attacchi che le vengono portati dall’esterno.

Ma in entrambi i casi Ratzinger non ha fatto che confermare ed esplicitare giudizi da lui già formulati in precedenti occasioni.

Basti ricordare, ad esempio, questo passo dell’omelia da lui pronunciata – anch’essa a braccio – nella messa celebrata lo scorso 15 aprile con i membri della pontificia commissione biblica:

« C’è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia. È una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato. È una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina ».

E il 19 marzo, nella lettera ai cattolici dell’Irlanda, aveva scritto cose analoghe. Ad esempio che gli scandali della pedofilia tra il clero « hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione ». E che solo un cammino di penitenza, da parte dell’intera Chiesa di quel paese, poteva aprire alla purificazione e alla conversione: in una parola, alla grazia.

*

Ma c’è di più. Ancora nella lettera ai cattolici dell’Irlanda Benedetto XVI aveva scritto che lo scandalo dell’abuso sessuale dei ragazzi ad opera di preti « ha contribuito in misura tutt’altro che piccola all’indebolimento della fede ».

Nella visione di papa Benedetto, lo spegnimento della fede è il massimo pericolo non solo per il mondo di oggi ma anche per la Chiesa.

Tant’è vero che a questo pericolo egli associa quella che chiama la « priorità » della sua missione di pontefice.

L’ha scritto con chiarezza cristallina nella memorabile lettera da lui indirizzata ai vescovi di tutto il mondo il 10 marzo del 2009:

« Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

E l’ha ridetto con parole identiche sulla spianata del santuario di Fatima, la sera del 12 maggio di quest’anno, nel benedire le fiaccole prima della recita del rosario:

“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

Parlando ai vescovi del Portogallo, nel pomeriggio di giovedì 13 maggio, Benedetto XVI ha riproposto questa priorità a tutti i cattolici di quel paese: « Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché ‘la parola di Dio non è incatenata!’ (2 Timoteo 2, 9) ».

Ma li ha anche avvertiti che per testimoniare la fede cristiana non bastano semplici discorsi o richiami morali. È necessaria la santità della vita.

La stessa santità che da molto tempo, incessantemente, questo papa va chiedendo anzitutto ai sacerdoti. Specie in quell’Anno Sacerdotale di sua invenzione, che sta per concludersi il mese prossimo, al cui centro egli ha posto come modello un umile prete di campagna dell’Ottocento, il santo Curato d’Ars.

Perché « proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede ». Da quei piccoli che sono stati anche i tre pastorelli di Fatima.

Publié dans:Sandro Magister |on 17 mai, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno yellow-necked-francolin--xxxfrancolinus_leucoscepus

Yellow-necked Francolin

http://www.naturephoto-cz.com/birds/fowl-like-birds.html

San Paolino di Nola : « Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia. Io ho vinto il mondo. »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100517

Lunedì della VII settimana di Pasqua : Jn 16,29-33
Meditazione del giorno
San Paolino di Nola (355-431), vescovo
Lettera 38, 3-4 : PL 61, 359-360.

« Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia. Io ho vinto il mondo. »

        Fin dall’origine del mondo, il Cristo soffre in tutti i suoi. Egli è «il principio e la fine» (Ap 1, 8) ; nascosto nella Legge, rivelato nel Vangelo, Egli è il Signore sempre mirabile, che soffre e trionfa « nei suoi santi » (Sal 67, 36). In Abele, è stato assassinato da suo fratello ; in Noè, è stato ridicolizzato da suo figlio ;  in Abramo, ha conosciuto l’esilio ; in Isacco, è stato offerto in sacrificio ; in Giacobbe, è stato ridotto a servo ; in Giuseppe, è stato venduto ; in Mosè, è stato abbandonato e respinto ; nei profeti, è stato lapidato e lacerato ; negli apostoli, è stato perseguitato per terra e per mare ; nei tanti suoi martiri, è stato torturato e assassinato. E’ lui che, ancora adesso, sopporta le nostre debolezze e le nostre malattie, essendo uomo, lui stesso, esposto per noi ad ogni sorta di mali e capace di assumere la debolezza che saremmo assolutamente incapaci de assumere senza di lui. E’ lui, sì, è lui che sopporta in noi e per noi, il peso del mondo, per liberarcene. Ecco come « la potenza si manifesta pienamente nella debolezza » (2 Cor 12,9). E’ lui che in te sopporta il disprezzo, ed è lui che in te, viene odiato da questo mondo.

        Rendiamo grazie al Signore che, pur chiamato in giudizio, ottiene la vittoria (Rm 3, 4). Secondo questa parola della Scrittura, è lui che trionfa in noi quando, assumendo la condizione di servo, acquista per i suoi servi la grazia della libertà

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