Archive pour le 4 mai, 2010

IL presbiterio di una Chiesa Ortodossa

IL presbiterio di una Chiesa Ortodossa dans immagini sacre Vima

metto questa immagine perché sul mio Blog « la pagina di San Paolo » ho postato alcuni articoli sul tema dell’Ortodossia;

http://digilander.libero.it/ortodossia/Vima.jpg

Publié dans:immagini sacre |on 4 mai, 2010 |Pas de commentaires »

La spiritualità ebraica

dal sito:

http://www.nostreradici.it/spiritualita-ebraica.htm

Marco Morselli

Università di Modena e Reggio Emilia

La spiritualità ebraica

«Quanta gente è perplessa riguardo alla comprensione della Torah. Non ne percepiscono le verità segrete. La Torah li invita amorosamente ogni giorno, ma loro non ci badano. È proprio come ho detto prima: la Torah mette avanti una parola misteriosa, rivelandosi in questo modo, e poi subito si ritira. Ma questo essa non lo fa che per quelli che la amano e la studiano».(1)
1. La spiritualità ebraica è vita nella Toràh. Il primo versetto della Torah è «Bereshìt barà Eloqìm et ha-shammàyim we-et ha-àretz». Dunque la Torah inizia con una bet, la seconda lettera dell’alfabeto, che ha valore numerico 2. Alef indica l’assoluta unità divina, il Creatore. Ciò che viene creato è invece sotto il segno della dualità, delle opposizioni.
«All’inizio, in principio creò…» abbiamo poi uno dei due Nomi che nella Bibbia indicano il Santo, benedetto Egli sia. Uno è un plurale, l’altro è una sigla impronunciabile. Uno indica l’attributo della sua Giustizia, l’altro della sua Misericordia.
Questi Nomi, come tutti i nomi, sono intraducibili. Nelle circa 2000 traduzioni della Bibbia esistenti, sono invece stati tradotti, facendo ricorso ai nomi delle diverse divinità locali, di modo che il libro che avrebbe dovuto portare al mondo la conoscenza dell’Unità del molteplice è divenuto il ricettacolo di tutte le divinità.(2)
Dunque, che cosa creò il Signore? Lo sanno tutti: i cieli e la terra. Ma nell’originale ebraico prima di queste parole troviamo la particella et, che indica che ciò che segue è un complemento oggetto. Et è formato da una alef e da una taw, che sono la prima e l’ultima delle lettere dell’alfabeto. Che cosa ha creato allora il Santo innanzi tutto? Egli, che è infinito, ha creto l’inizio e la fine.
Eppure no: la prima cosa creata è stata la luce (come Es 20,11 conferma). Rashì (XI sec., il principale commentatore della Torah) scrive: «Questo testo non dice altro che: Interpretami!». I vv. 1-2-3 sono inseparabili, costituiscono un tutt’uno: Al principio della creazione dei cieli e della terra, la terra era turbamento, vuoto e tenebre, il Signore disse: «Sia la luce!».
Questo è solo un piccolo esempio di esegesi ebraica delle Scritture. È significativo anzi che in ebraico non si parli di Scritture, ma di Miqrà, che vuol dire lettura. La Parola del Signore ha infiniti significati, la sua lettura è infinita.
Occorre inoltre tenere presente che non vi è solo la Torah scritta, vi è anche la Torah orale, che precede e accompagna la Torah scritta. In una situazione di estremo pericolo per l’esistenza stessa del popolo ebraico(3) la Torah orale venne messa per iscritto, e abbiamo così la Mishnàh. I commenti alla Mishnah costituiscono il Talmùd. Abbiamo poi ancora il Midràsh e la Qabbalàh.
Elie Wiesel ha definito il Talmud «un oceano vasto, turbolento eppure confortante, che suggerisce l’infinita dimensione dell’esistenza e l’amore per la vita, oltre che il mistero della morte e dell’istante che la precede».
Il Talmud fa parte della storia degli Ebrei da millenni, se consideriamo la sua storia dalle tradizioni orali alla Mishnah, alla discussione della Mishnah, al Talmud orale, al Talmud manoscritto, poi stampato, poi su Internet. Al suo interno, il qui e l’ora sono intimamente connessi con altri tempi e altri luoghi, i Maestri del I secolo discutono con i Maestri del XX secolo, i Rabbini babilonesi con quelli francesi. Più che un libro, è un approccio all’esistenza, nel quale la ricerca e la discussione collegano le realtà di questo mondo alle realtà del mondo a venire.(4)
Quello che il Talmud è per la Mishnah, il Midrash è per la Torah. Il termine deriva da darash, ricercare. Vi sono moltissimi punti oscuri nella Bibbia, incomprensibili senza il riferimento a una tradizione esegetica che precede, accompagna e segue il testo.(5)
La Qabbalah è la mistica ebraica. La realtà è un’unità in cui il visibile e l’invisibile, la materia e lo spirito si compenetrano. Il progressivo disvelamento della Qabbalah ha valenze escatologiche. Vi sono dei momenti privilegiati del passaggio dei segreti dalla sfera esoterica a quella essoterica.
Nell’anno 1240, corrispondente all’anno 5000 nella datazione ebraica, ha avuto inizio il sesto millennio, e ha fatto la sua comparsa lo Zohar, il principale testo cabbalistico. Altra data importante è il 1840, corrispondente al 5600. Siamo ora nell’anno 5766, in un’epoca in cui la preparazione messianica si intensifica.(6)
2. Per millenni l’ebraismo è stato accusato di essere una religione particolaristica. Rav Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900) è tra coloro che più si sono adoperati per dimostrare l’infondatezza di tale accusa. Come sarebbe mai stato possibile che da tale particolarismo scaturissero due religioni universali (o meglio: aspiranti all’universalità) come il cristianesimo e l’islamismo? Vi è nell’ebraismo una duplice struttura, articolata in mosaismo e noachismo. L’alleanza con Noè non è in nulla inferiore all’alleanza con Mosè. Colui che si convertiva doveva presentarsi davanti a tre rabbini e dichiarare di voler appartenere alla religione noachide. È probabile che la conversione fosse accompagnata dal battesimo, ossia dall’immersione nelle acque del miqweh. Il noachide si impegna a rispettare sette comandamenti: 1) istituzione di tribunali (= ogni società umana ha bisogno di giustizia); 2) divieto di blasfemia; 3) divieto di idolatria; 4) divieto di adulterio; 5) divieto di omicidio; 6) divieto di furto; 7) divieto di mangiare una parte di un animale vivo (= divieto di crudeltà nei confronti degli animali). Rispettando tali comandamenti il noachide entrerà nel mondo a venire, ossia avrà parte alla vita eterna.(7)
La Torah è dunque un libro da fare: 613 mitzwot per gli Ebrei e per chi voglia entrare nell’alleanza di Mosè, 7 mitzwot per chi voglia entrare nell’alleanza di Noè, con la libertà di osservare, volendo, anche un certo numero delle restanti.
Il Santo, benedetto Egli sia, nella sua trascendenza è assolutamente inconoscibile. Di Lui possiamo conoscere ciò che Lui ha voluto rivelarci: la sua volontà. Aderendo alla sua volontà noi ci avviciniamo a Lui. Come Lui è santo, così noi cerchiamo di santificarci, anche nelle minute attività della nostra vita quotidiana.
Ciò che la Torah ci indica, più che una ortodossia, è una ortoprassi. Il primato dell’etica non è un rifiuto della Rivelazione, ma proprio il contenuto della Rivelazione, con il quale la teologia dovrebbe confrontarsi.
3. So per esperienza che non è facile parlare davanti a un uditorio cristiano dell’antiebraismo cristiano, e dunque non lo farò. Posso rinviare ad alcuni testi che consentono di avviare una riflessione su questo aspetto delle relazioni ebraico-cristiane.(8) Posso anche aggiungere che l’importanza dell’argomento è tale che ne dipende la Redenzione. Posso infine cedere la parola a due cristiani.
Il primo è il Cardinale Jean-Marie Lustiger: «Il massacro e la persecuzione d’Israele ad opera dei pagani [cioè dei goyim] – bisognerebbe dire dei pagano-cristiani – sono la prova della loro menzogna o della loro presunta adorazione di Cristo. […] L’atteggiamento concreto dei pagano-cristiani verso il popolo d’Israele è il sintomo della loro reale infedeltà a Cristo o della loro menzogna nella loro pseudo-fedeltà a Cristo. È la confessione involontaria del loro paganesimo e del loro peccato».(9)
Il secondo è il Pastore Martin Cunz: «Auschwitz è la negazione più assoluta dell’uomo, o più precisamente dell’uomo al cospetto di D. come ce lo presenta il popolo ebraico. E la negazione del popolo ebraico è la negazione più assoluta del D. d’Israele. Se i non ebrei battezzati avessero avuto la minima idea del D. d’Israele e il minimo amore per lui, non avrebbero lasciato morire gli ebrei».(10)
4. A partire dal Concilio Vaticano II ha avuto inizio il percorso di teshuvah dei cattolici (e più o meno contemporaneamente dei cristiani di altre confessioni). Possa questo cammino dell’abbandono della teologia della sostituzione e dell’insegnamento del disprezzo proseguire, nella sequela di Rav Yeshua ben Yosef (= Gesù), fino a raggiungere il monte Sion, il luogo in cui viene imbandito il banchetto messianico: «Sul monte Sion il Signore dell’universo preparerà per tutte le nazioni del mondo un banchetto imbandito di ricche vivande e di vini pregiati. All’improvviso farà sparire su questo monte il velo che copriva tutti i popoli» (Is 25,6-7).
_____________________

(1) Zohar, in S. Avisar, Tremila anni di letteratura ebraica, Carucci 1980, vol. I, p. 555. Per una prima introduzione: L. Sestieri, La spiritualità ebraica, Studium 1986; Ead., Gli ebrei nella storia di tre millenni, Carucci 1986.
(2) Su questo si veda: A. Chouraqui, Mosè, Marietti 1996.
(3) Mi riferisco a quelle che i Romani chiamarono la I e la II Guerra Giudaica. Durante la I venne distrutto il Tempio di Gerusalemme e, riferisce Flavio Giuseppe, non vi erano più alberi in Israele perché centinaia di migliaia di Ebrei erano stati crocifissi dalle truppe di occupazione romane. «Secondo i dati forniti indipendentemente da Giuseppe e da Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi. Con ciò sembra possibile che qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata fisicamente» (J. A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia 1984, p. 485). Nel 135 i morti furono 850.000 (Soggin p. 492).
(4) E. Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani 2000; Id., Celebrazione talmudica, Lulav 2002; A. Steinsaltz, Cos’è il Talmud?, Giuntina 2004.
(5) G. Stemberger, Il Midrash, Dehoniane 1992.
(6) A. Safran, Saggezza della Cabbalà, Giuntina 1998; Id., Tradizione esoterica ebraica, Giuntina 1999; A. Steinsaltz, La rosa dai tredici petali, Giuntina 2000; G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi 1993.
(7) E. Benamozegh, Israele e l’umanità, Marietti 1990; A. Pallière, Il Santuario sconosciuto, Marietti 2005.
(8) J. Isaac, Gesù e Israele, Marietti 2001; L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, 5 voll., La Nuova Italia 1974-96 (Sansoni 2004).
(9) J.-M. Lustiger, La Promessa, Marcianum 2005, p. 67.
(10) M. Cunz, Il silenzio ad Auschwitz. Gli interrogativi dopo Auschwitz, in «Sefer», 1990 n. 52, p. 3.

Publié dans:ebraismo |on 4 mai, 2010 |Pas de commentaires »

RAV ELIO TOAFF – VITA

dal sito:

http://calabriajudaica.blogspot.com/2010/05/i-95-anni-di-rav-elio-toaff.html

RAV ELIO TOAFF – VITA

Elio Toaff è nato a Livorno il 30 aprile 1915. Studiò presso il Collegio Rabbinico della sua città natale sotto la guida del padre, Alfredo Toaff, rabbino della città. Frequentò al tempo stesso l’Università di Pisa presso la facoltà di Giurisprudenza, dove poté laurearsi nel 1938 nei tempi stabiliti, in quanto l’introduzione delle famigerate leggi razziali fasciste, precludeva agli ebrei l’ingresso alle università ed espelleva gli studenti fuori corso, ma consentiva di completare gli studi a chi ne fosse giunto al termine. L’anno successivo completò gli studi rabbinici laureandosi in teologia al Collegio rabbinico di Livorno, ottenendo il titolo di rabbino maggiore. Fu nominato rabbino capo di Ancona, dove rimase dal 1941 al 1943.
Dopo l’8 settembre 1943, con la recrudescenza della violenza nazista e le prime deportazioni italiane per i lager, Toaff, sua moglie Lea Iarach e il loro figlio Ariel fuggirono in Versilia, alterando le generalità sui loro documenti, girovagando tra mille insidie. Più volte Toaff scampò alla morte per mano nazista, ricorrendo alla propria inventiva e a tanta fortuna. Entrò nella Resistenza combattendo sui monti e vedendo con i propri occhi le atrocità ai danni di civili inermi.

Dopo la guerra fu rabbino di Venezia, dal 1946 al 1951, insegnando anche lingua e lettere ebraiche presso l’Università di Ca’ Foscari.

Nel 1951 divenne rabbino capo di Roma. Oltre al suo ruolo spirituale, ha ricoperto diverse cariche nella comunità ebraica italiana: presidente della Consulta rabbinica italiana per molti anni, direttore del Collegio rabbinico italiano e dell’istituto superiore di studi ebraici, direttore dell’Annuario di Studi Ebraici. Inoltre è membro dell’Esecutivo della Conferenza dei rabbini europei fin dalla fondazione nel 1957 e dal 1988 è entrato a far parte del Praesidium.
Nel 1987, Toaff pubblicò una sua autobiografia: Perfidi giudei, fratelli maggiori (Mondadori, Milano).
L’8 ottobre 2001 Elio Toaff, all’età di 86 anni, annunciò le proprie dimissioni dalla carica di Rabbino Capo di Roma. Questa decisione venne manifestata da Toaff stesso nella Sinagoga di Roma al termine delle preghiere per il «Oshannà Rabbat». Il motivo era voler lasciare spazio e occasioni ai giovani. Grande fu la commozione tra i fedeli che erano in ascolto. Il successore alla carica venne scelto in Riccardo Di Segni.

Publié dans:CON AFFETTO, ebraismo |on 4 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Toaff il traghettatore (Il Rabbino Elio Toaff)

ho conociuto il Rabbino Elio Toaff, una persona dolce e stupenda, quindi metto questi pensieri con affetto e stima, dal sito:

http://www.zammerumaskil.com/rassegna-stampa-cattolica/speciali/toaff-il-traghettatore.html

Toaff il traghettatore   
   
Scritto da Administrator    
lunedì 03 maggio 2010 

In occasione del novantacinquesimo compleanno di Elio Toaff, rabbino capo di Roma dal 1951 al 2001, viene presentato lunedì 3 maggio a Roma il volume Elio Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia (Torino, Zamorani, 2010, pagine 130, euro 18) dal quale pubblichiamo l’introduzione della curatrice e, sotto, un intervento del nostro direttore. Nell’ambito delle celebrazioni, inoltre, il rabbino emerito ha rilasciato interviste che sono state pubblicate sulle riviste « Pagine Ebraiche », mensile di attualità e cultura dell’Unione delle comunità ebraiche italiane diretto da Guido Vitale, e « Shalom », mensile ebraico di informazione e cultura diretto da Giacomo Kahn. A Toaff è stata per l’occasione intitolata una fondazione, varata nell’ottobre scorso e presieduta da Ermanno Tedeschi, che viene presentata nello stesso appuntamento romano nel corso del quale viene anche proiettata l’anteprima di un filmato realizzato da Emanuele Ascarelli e Mirko Duiella sulla vita di Elio Toaff.

di Anna Foa

Questa raccolta di saggi vuole essere un primo contributo allo studio della figura e del percorso di Rav Elio Toaff, rabbino capo di Roma per cinquant’anni, dal 1951 al 2001, oltre che personaggio di primo piano della vita italiana nella seconda metà del Novecento. Colui, in sostanza, che ha traghettato il mondo ebraico italiano nell’Italia di oggi, dopo gli anni difficili del dopoguerra:  un quarto del rabbinato italiano distrutto dalla Shoah, gli ebrei impegnati in una ricostruzione difficilissima, dopo gli anni della persecuzione delle vite e quelli, quasi altrettanto disastrosi dal punto di vista dell’organizzazione comunitaria e della coesione interna, della discriminazione sancita dalle leggi del 1938.
Elio Toaff si è posto, se non immediatamente certamente dagli anni Settanta in poi, come il protagonista del reingresso totale e pieno degli ebrei nella società e nella cultura italiana. Egli ha saputo, certo non da solo ma sicuramente in un ruolo primario, reinserire il mondo ebraico in due nuovi contesti che si aprivano, quello della costruzione della memoria della Shoah e quello dei nuovi rapporti che si erano determinati, a partire dal concilio Vaticano ii e dalla dichiarazione Nostra aetate, fra ebrei e Chiesa Cattolica. Ha saputo cioè cogliere il nuovo, fin dai suoi primi germi, aderirvi senza timori né paure, spingere un mondo ebraico periferico e numericamente ultramarginale nella società italiana su posizioni sempre più egemoni culturalmente e politicamente. Una spinta innovatrice sempre, evidentemente, mantenuta dentro i binari dell’osservanza della tradizione. « Un preciso orientamento tra modernità e tradizione », come sottolinea in queste pagine Rav Riccardo Di Segni, suo successore alla cattedra rabbinica di Roma. Ma non si trattava, vorrei porvi l’accento qui, né di un’operazione facile né di un’operazione scontata. Il legame tra il compito portato avanti da Toaff nel suo ruolo di rabbino di Roma e quello di italiano impegnato in un’opera di mediazione e di costruzione di nuovi rapporti tra la piccola minoranza ebraica e il mondo esterno di cui è parte integrante:  è la chiave di questa raccolta di contributi. Una chiave volta ad approfondire la funzione di Toaff, proprio in quanto rabbino, nella società e nella cultura italiana. Per questo, il libro è orientato a sottolineare soprattutto il ruolo di Toaff nel rapporto con l’esterno, la sua immagine esterna. Non si tratta di un volume destinato ad approfondire la sua esperienza formativa ebraica e i suoi indirizzi rabbinici, qui solo accennati nel saggio di Di Segni e in quello di Marco Morselli.
 Molta attenzione dedichiamo invece al suo rapporto con il mondo esterno, alla sua paziente e coraggiosa tessitura di rapporti, incontri, alla creazione insomma di quell’immagine di Toaff su cui finora assai poco si è detto e scritto, a parte la formula ormai un po’ abusata di « papa degli ebrei ». Qual è l’immagine che la società italiana in trasformazione, intenta a rivedere i suoi rapporti con il mondo ebraico e a edificare tanta parte della sua identità sulla memoria della Shoah, ha avuto del rabbino capo di Roma, fino alla visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga nel 1986? E quanto ha influito, in quest’immagine, l’apertura di Toaff, il coraggio nell’affrontare il cambiamento, la capacità di tenere insieme i fili di più mondi, di riannodarli, la sua indiscussa capacità diplomatica e politica? Perché, insisto nel ribadire questo punto, non era affatto scontato che il mondo ebraico italiano del dopo Shoah fosse in grado di reggere i cambiamenti esterni, di comprenderli, di farli suoi. E forse, senza l’apporto del rabbino di Roma, questi cambiamenti stessi sarebbero stati assai più lenti e difficili.
Ecco quindi che i contributi di questo volume, affidati a storici e studiosi tanto ebrei che non ebrei, affrontano temi quali il ruolo di Toaff negli anni Trenta e Quaranta, nel rigoroso e documentato saggio di Tommaso Dell’Era; il dopoguerra e i nessi che legano la ricostruzione del mondo ebraico a quella della società italiana, nel bel saggio sulla cultura ebraica italiana del dopoguerra di Gadi Luzzatto Voghera; la stentata memoria della Shoah nella società esterna e le prime reazioni del mondo ebraico intento a contare i suoi caduti, nel saggio di Manuela Consonni e di Miriam Toaff Della Pergola; l’apporto di Elio Toaff al dialogo ebraico-cristiano, nel contributo di Marco Morselli che rievoca i primi passi del dialogo e il ruolo avutovi da Toaff, e in quello di Andrea Riccardi, che analizza il passaggio del mondo cattolico dall’indifferenza alla simpatia verso gli ebrei; e poi la ricezione del concilio Vaticano ii, un tema importante e poco dibattuto, dal momento che gli studi toccano normalmente la ricezione cattolica del cambiamento e non quella ebraica, qui ampiamente trattato da Alberto Melloni; gli intensi e complessi rapporti tra cattolici ed ebrei e il consolidarsi dell’immagine esterna di Toaff, come il « papa degli ebrei », fino alla visita in Sinagoga del 1986, nel contributo storico di Andrea Riccardi, che queste vicende ha vissuto anche da protagonista. Sullo sfondo, l’immagine dell’anziano rabbino che, avvolto nel talet, in via Catalana  saluta Benedetto XVI nella sua recente visita alla Sinagoga di Roma, sempre fiducioso nel dialogo, ancora disponibile a percorrere la strada, lunga e complessa, da lui stesso aperta in anni ormai lontani.
Ancora una parola sul titolo di questo volume. Certo, il ruolo di Elio Toaff è significativo nella seconda parte del Novecento, e solo a partire da allora. Ma, mentre il protagonista di questo lavoro compie novantacinque anni e si affaccia alla soglia del secolo, ci sia permesso di alludere nel titolo alla sua importanza in quella che è stata l’intera storia del secolo, il secolo dei genocidi e della violenza, ma anche il secolo del cambiamento e delle speranze nella costruzione di un mondo migliore. Cambiamenti e speranze che Elio Toaff ben rappresenta.

(©L’Osservatore Romano – 3-4 maggio 2010)

Toaff il traghettatore    
  
Scritto da Administrator    
lunedì 03 maggio 2010 

In occasione del novantacinquesimo compleanno di Elio Toaff, rabbino capo di Roma dal 1951 al 2001, viene presentato lunedì 3 maggio a Roma il volume Elio Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia (Torino, Zamorani, 2010, pagine 130, euro 18) dal quale pubblichiamo l’introduzione della curatrice e, sotto, un intervento del nostro direttore. Nell’ambito delle celebrazioni, inoltre, il rabbino emerito ha rilasciato interviste che sono state pubblicate sulle riviste « Pagine Ebraiche », mensile di attualità e cultura dell’Unione delle comunità ebraiche italiane diretto da Guido Vitale, e « Shalom », mensile ebraico di informazione e cultura diretto da Giacomo Kahn. A Toaff è stata per l’occasione intitolata una fondazione, varata nell’ottobre scorso e presieduta da Ermanno Tedeschi, che viene presentata nello stesso appuntamento romano nel corso del quale viene anche proiettata l’anteprima di un filmato realizzato da Emanuele Ascarelli e Mirko Duiella sulla vita di Elio Toaff.

di Anna Foa

Questa raccolta di saggi vuole essere un primo contributo allo studio della figura e del percorso di Rav Elio Toaff, rabbino capo di Roma per cinquant’anni, dal 1951 al 2001, oltre che personaggio di primo piano della vita italiana nella seconda metà del Novecento. Colui, in sostanza, che ha traghettato il mondo ebraico italiano nell’Italia di oggi, dopo gli anni difficili del dopoguerra:  un quarto del rabbinato italiano distrutto dalla Shoah, gli ebrei impegnati in una ricostruzione difficilissima, dopo gli anni della persecuzione delle vite e quelli, quasi altrettanto disastrosi dal punto di vista dell’organizzazione comunitaria e della coesione interna, della discriminazione sancita dalle leggi del 1938.

Elio Toaff si è posto, se non immediatamente certamente dagli anni Settanta in poi, come il protagonista del reingresso totale e pieno degli ebrei nella società e nella cultura italiana. Egli ha saputo, certo non da solo ma sicuramente in un ruolo primario, reinserire il mondo ebraico in due nuovi contesti che si aprivano, quello della costruzione della memoria della Shoah e quello dei nuovi rapporti che si erano determinati, a partire dal concilio Vaticano ii e dalla dichiarazione Nostra aetate, fra ebrei e Chiesa Cattolica. Ha saputo cioè cogliere il nuovo, fin dai suoi primi germi, aderirvi senza timori né paure, spingere un mondo ebraico periferico e numericamente ultramarginale nella società italiana su posizioni sempre più egemoni culturalmente e politicamente. Una spinta innovatrice sempre, evidentemente, mantenuta dentro i binari dell’osservanza della tradizione. « Un preciso orientamento tra modernità e tradizione », come sottolinea in queste pagine Rav Riccardo Di Segni, suo successore alla cattedra rabbinica di Roma. Ma non si trattava, vorrei porvi l’accento qui, né di un’operazione facile né di un’operazione scontata. Il legame tra il compito portato avanti da Toaff nel suo ruolo di rabbino di Roma e quello di italiano impegnato in un’opera di mediazione e di costruzione di nuovi rapporti tra la piccola minoranza ebraica e il mondo esterno di cui è parte integrante:  è la chiave di questa raccolta di contributi. Una chiave volta ad approfondire la funzione di Toaff, proprio in quanto rabbino, nella società e nella cultura italiana. Per questo, il libro è orientato a sottolineare soprattutto il ruolo di Toaff nel rapporto con l’esterno, la sua immagine esterna. Non si tratta di un volume destinato ad approfondire la sua esperienza formativa ebraica e i suoi indirizzi rabbinici, qui solo accennati nel saggio di Di Segni e in quello di Marco Morselli.
 Molta attenzione dedichiamo invece al suo rapporto con il mondo esterno, alla sua paziente e coraggiosa tessitura di rapporti, incontri, alla creazione insomma di quell’immagine di Toaff su cui finora assai poco si è detto e scritto, a parte la formula ormai un po’ abusata di « papa degli ebrei ». Qual è l’immagine che la società italiana in trasformazione, intenta a rivedere i suoi rapporti con il mondo ebraico e a edificare tanta parte della sua identità sulla memoria della Shoah, ha avuto del rabbino capo di Roma, fino alla visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga nel 1986? E quanto ha influito, in quest’immagine, l’apertura di Toaff, il coraggio nell’affrontare il cambiamento, la capacità di tenere insieme i fili di più mondi, di riannodarli, la sua indiscussa capacità diplomatica e politica? Perché, insisto nel ribadire questo punto, non era affatto scontato che il mondo ebraico italiano del dopo Shoah fosse in grado di reggere i cambiamenti esterni, di comprenderli, di farli suoi. E forse, senza l’apporto del rabbino di Roma, questi cambiamenti stessi sarebbero stati assai più lenti e difficili.
Ecco quindi che i contributi di questo volume, affidati a storici e studiosi tanto ebrei che non ebrei, affrontano temi quali il ruolo di Toaff negli anni Trenta e Quaranta, nel rigoroso e documentato saggio di Tommaso Dell’Era; il dopoguerra e i nessi che legano la ricostruzione del mondo ebraico a quella della società italiana, nel bel saggio sulla cultura ebraica italiana del dopoguerra di Gadi Luzzatto Voghera; la stentata memoria della Shoah nella società esterna e le prime reazioni del mondo ebraico intento a contare i suoi caduti, nel saggio di Manuela Consonni e di Miriam Toaff Della Pergola; l’apporto di Elio Toaff al dialogo ebraico-cristiano, nel contributo di Marco Morselli che rievoca i primi passi del dialogo e il ruolo avutovi da Toaff, e in quello di Andrea Riccardi, che analizza il passaggio del mondo cattolico dall’indifferenza alla simpatia verso gli ebrei; e poi la ricezione del concilio Vaticano ii, un tema importante e poco dibattuto, dal momento che gli studi toccano normalmente la ricezione cattolica del cambiamento e non quella ebraica, qui ampiamente trattato da Alberto Melloni; gli intensi e complessi rapporti tra cattolici ed ebrei e il consolidarsi dell’immagine esterna di Toaff, come il « papa degli ebrei », fino alla visita in Sinagoga del 1986, nel contributo storico di Andrea Riccardi, che queste vicende ha vissuto anche da protagonista. Sullo sfondo, l’immagine dell’anziano rabbino che, avvolto nel talet, in via Catalana  saluta Benedetto XVI nella sua recente visita alla Sinagoga di Roma, sempre fiducioso nel dialogo, ancora disponibile a percorrere la strada, lunga e complessa, da lui stesso aperta in anni ormai lontani.
Ancora una parola sul titolo di questo volume. Certo, il ruolo di Elio Toaff è significativo nella seconda parte del Novecento, e solo a partire da allora. Ma, mentre il protagonista di questo lavoro compie novantacinque anni e si affaccia alla soglia del secolo, ci sia permesso di alludere nel titolo alla sua importanza in quella che è stata l’intera storia del secolo, il secolo dei genocidi e della violenza, ma anche il secolo del cambiamento e delle speranze nella costruzione di un mondo migliore. Cambiamenti e speranze che Elio Toaff ben rappresenta.

(L’Osservatore Romano – 3-4 maggio 2010) 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno slug--polymita-picta

Slug

http://www.naturephoto-cz.com/molluscs.html

L’imitazione di Cristo: «Vi do la mia pace »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100504

Martedì della V settimana di Pasqua : Jn 14,27-31
Meditazione del giorno
L’imitazione di Cristo, trattato spirituale del 15o secolo
Libro 1, cap.11

«Vi do la mia pace »

        Se non ci volessimo impicciare di quello che dicono o di quello che fanno gli altri, e di cose che non ci riguardano, potremmo avere una grande pace interiore. Come, infatti, è possibile che uno mantenga a lungo l’animo tranquillo se si intromette nelle faccende altrui, se va a cercare all’esterno i suoi motivi di interesse, se raramente e superficialmente si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, giacché avranno grande pace. Perché mai alcuni santi furono così perfetti e pieni di spirito contemplativo? Perché si sforzarono di spegnere completamente in sé ogni desiderio terreno, cosicché – liberati e staccati da se stessi – potessero stare totalmente uniti a Dio, con tutto il cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai nostri sfrenati desideri, e troppo preoccupati delle cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere un nostro difetto, anche uno soltanto, e non siamo ardenti nel tendere al nostro continuo miglioramento. E così restiamo inerti e tiepidi.

        Se fossimo, invece, totalmente morti a noi stessi e avessimo una perfetta semplicità interiore, potremmo perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare esperienza, in qualche misura, della contemplazione celeste. Il vero e più grande ostacolo consiste in ciò, che non siamo liberi dalle passioni e dalle brame, e che non ci sforziamo di entrare nella via della perfezione, che fu la via dei santi: anzi, appena incontriamo una difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo troppo presto abbattere e ci volgiamo a consolazioni terrene. Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non abbandonare la battaglia, tosto vedremmo venire a noi dal cielo l’aiuto del Signore. Il quale prontamente sostiene coloro che combattono fiduciosi nella sua grazia… Se tu comprendessi quanta pace daresti a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri, e vivendo una vita dedita al bene, sono certo che saresti più sollecito nel tendere al tuo profitto spirituale.

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