Archive pour avril, 2010

JOSEPH RATZINGER: SETTIMANA SANTA

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/rahner_ratzinger_s_santa4.htm

JOSEPH RATZINGER

SETTIMANA SANTA

Queriniana 
Giovedì santo. Ora santa al Gethsemani
1. La presenza di Gesù e della sua vita
2. La presenza dell’agonia di Gesù al Gethsemani
3. La presenza dell’agonia di Gesù in noi

 Venerdì santo
Prima meditazione
Seconda meditazione
Preghiera
 
Venerdì santo. Le sette parole
Preghiera di preparazione
prima parola: Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno
seconda parola: In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso
terza parola: Donna, ecco tuo Figlio – Figlio, ecco tua madre
quarta parola: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
quinta parola: Ho sete!
sesta parola: È compiuto
settima parola: Padre, nelle tue mani raccomando l’anima mia
 Sabato santo

INDICE

Prima meditazione

Seconda meditazione

Terza meditazione

Preghiera
 

JOSEPH RATZINGER

SABATO SANTO

Prima meditazione

Con sempre maggior insistenza si sente parlare nel nostro tempo della morte di Dio. Per la prima volta, in Jean Paul, si tratta solo di un sogno da incubo: Gesù morto annuncia ai morti, dal tetto del mondo, che nel suo viaggio nell’al di là non ha trovato nulla, né cielo, né Dio misericordioso, ma solo il nulla infinito, il silenzio del vuoto spalancato. Si tratta ancora di un sogno orribile che viene messo da parte, gemendo nel risveglio, come un sogno appunto, anche se non si riuscirà mai a cancellare l’angoscia subìta, che stava sempre in agguato, cupa, nel fondo dell’anima.

Un secolo dopo, in Nietzsche, è una serietà mortale che si esprime in un gridò stridulo di terrore: «Dio è morto! Dio rimane morto! E noi lo abbiamo ucciso!». Cinquant’anni dopo, se ne parla con distacco accademico e ci si prepara ad una ‘teologia dopo la morte di Dio, ci si guarda intorno per vedere come poter continuare e si incoraggiano gli uomini a prepararsi a prendere il posto di Dio. Il mistero terribile del sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato quindi nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel credo con le parole: «disceso agli inferi», disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po’ titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione. Sabato santo: giorno della sepoltura. di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo ad essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, per cui si preparano pieni di vergogna ed angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro? Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso: ci siamo propriamente accorti che questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e che noi spesso nelle nostre via crucis abbiamo fatto risonare qualcosa di simile senza svolgere la realtà straordinaria di quanto dicevamo? Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo in una forma di pietà senza contenuto e perduta nel giro delle frasi devozionali o delle preziosità archeologiche; noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui, giacché cosa avrebbe potuto rendere più problematico in questo mondo Dio se non la problematicità della fede e dell’amore dei credenti?

L’oscurità divina di questo giorno, di questo secolo che diventa in misura sempre maggiore un Sabato santo, parla alla nostra coscienza. Anche noi abbiamo a che fare con essa. Ma nonostante tutto essa ha in sé qualcosa di consolante. La morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Ed ancora una cosa: solo attraverso il fallimento del Sabato santo, solo attraverso il silenzio di morte di questo giorno, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù e di ciò che il suo messaggio stava a significare in realtà.

Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. L’immagine che si etano formata di Dio, nella quale avevano tentato di costringerlo, doveva essere distrutta perché essi attraverso le macerie della casa diroccata potessero vedere il cielo, lui stesso, che rimane sempre infinitamente più grande. Noi abbiamo bisogno del buio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui.

C’è una scena nel vangelo che anticipa in maniera straordinaria il silenzio del Sabato santo e appare quindi ancora una volta come il ritratto del nostro momento storico. Cristo dorme in una barca che, sbattuta dalla tempesta, sta per affondare. Il profeta Elia aveva una volta irriso i preti di Baal, che inutilmente invocavano a gran voce il loro dio perché volesse far discendere il fuoco sul sacrificio, esortandoli a gridare più forte, caso mai il loro dio stesse a dormire. Ma Dio non dorme realmente? Lo scherno del profeta non tocca alla fin fine anche i credenti. del Dio di Israele che viaggiano con lui in una barca che sta per affondare? Dio sta a dormire mentre le sue cose stanno per affondare, non è questa la esperienza della nostra vita? La chiesa, la fede, non assomigliano ad una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente? I discepoli gridano nella disperazione estrema e scuotono il Signore per svegliarlo, ma egli si mostra meravigliato e rimprovera la loro poca fede. Ma è diversamente per noi? Quando la tempesta sarà passata ci accorgeremo di quanta stoltezza fosse carica la nostra poca fede. E tuttavia o Signore non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi e gridarti: Svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo, lascia cadere un raggio di Pasqua, anche sui nostri giorni, accompagnati a noi quando ci avviamo disperati verso Emmaus perché il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza. Tu che hai guidato in maniera nascosta le vie di Israele. per essere alla fine uomo con gli uomini, non ci lasciare nel buio, non permettere che la tua parola si perda nel gran sciupio di parole di questi tempi. Signore dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo. Amen.

Seconda meditazione

Il nascondimento di Dio in questo mondo costituisce il vero mistero del Sabato santo, mistero accennato già nelle parole enigmatiche secondo cui Gesù è disceso all’inferno. Nello stesso tempo l’esperienza del nostro tempo ci ha offerto un approccio completamente nuovo al Sabato santo, giacché il nascondimento di Dio nel mondo che gli appartiene e che dovrebbe con mille lingue annunciare il suo nome, l’esperienza della impotenza di Dio che è tuttavia l’onnipotente – questa è l’esperienza e la miseria del nostro tempo.

Ma anche se il Sabato santo ci si è avvicinato profondamente, anche se noi comprendiamo il Dio del Sabato santo più della manifestazione potente di Dio in mezzo ai tuoni e i lampi, di cui parla il Vecchio Testamento, rimane tuttavia insoluta la questione di sapere cosa si intende veramente quando si dice in maniera misteriosa che Gesù ‘è disceso all’inferno’. Diciamolo con tutta chiarezza: nessuno è in grado di spiegarlo. Né diventa più chiaro dicendo che qui inferno è una cattiva traduzione della parola ebraica sheol, che sta ad indicare semplicemente tutto il regno dei morti, per cui la formula vorrebbe originariamente dire soltanto che Gesù è disceso nella profondità della morte, è realmente morto ed ha partecipato all’abisso del nostro destino di morte. Infatti sorge allora la domanda: cos’è realmente la morte è cosa accade effettivamente quando si scende nelle profondità della morte? Dobbiamo qui porre attenzione al fatto che la morte non è più la stessa cosa dopo che Cristo l’ha subìta, dopo che egli l’ha accettata e penetrata, così come la vita, l’essere umano, non sono più la stessa cosa dopo che in Cristo la natura umana poté venire a contatto, e- di fatto venne, con l’essere proprio di Dio. Prima la morte era soltanto morte, separazione dal paese dei viventi e, anche se con diversa profondità, qualcosa come ‘inferno’, rovescio dell’esistere, buio impenetrabile. Adesso però la morte è anche vita e quando noi oltrepassiamo la glaciale solitudine della soglia della morte, ci incontriamo sempre nuovamente con colui che è la vita, che è voluto divenire il compagno della nostra solitudine ultima e che, nella solitudine mortale della sua angoscia nell’orto degli ulivi e del suo grido sulla croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? », è divenuto partecipe delle nostre solitudini. Se un bambino si dovesse avventurare solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non ci sarebbe alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un nome, ma nel buio sperimenta t’insicurezza, l’essere-fuori-di-sé, il carattere sinistro dell’esistenza in sé. Solo una parola umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. Si dà un’angoscia quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere cacciata via mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. Quest’angoscia infatti non ha. un oggetto a cui si possa dare un nome, ma solo l’estraneità della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere più raggiunta dalla parola trasformatrice dell’amore, allora noi parliamo di .inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente così- ottimistico, sono dell’avviso che ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso all’ultima e vera profondità dell’altro e che quindi nel fondo ultimò di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l’inferno. Jean-Paul Sartre ha espresso questo poeticamente. in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo della sua dottrina sull’uomo. Una cosa è certa: si dà una notte nel cui abbandono buio non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l’angoscia di questo mondo è in ultima analisi l’angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a quello con cui si indicava l’inferno: sheol. La morte infatti è solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall’amore, che è talmente profonda che l’amore non può più accedere ,ad essa, è l’inferno.

«Disceso all’inferno» – questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile ed, inaccostabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. L’inferno è stato vinto dal momento in cui l’amore è penetrato in esso e la terra « di nessuno della solitudine è stata abitata da lui. Nella sua profondità. l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e può amare. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita: ai tuoi fedeli o Signore la vita non è tolta, ma trasformata, – prega la chiesa nella liturgia funebre.

Nessuno può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: «disceso all’inferno». Ma se qualche volta ci è dato di avvicinarci all’ora della nostra solitudine ultima, potremo comprendere qualcosa della grande chiarezza di questo mistero buio. Nella certezza sperante che in quell’ora di estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso presagire qualcosa di quello che avverrà. Ed in mezzo alla nostra protesta contro il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi proprio da questo buio.

Terza meditazione

Nel breviario romano la liturgia del triduo sacro è strutturata con una cura particolare; la chiesa . nella ~ma preghiera vuole per cosi dire trasferirei nella realtà della passione del Signore e, al di là delle parole, nel centro spirituale di ciò che è accaduto. Se si volesse tentare di contrassegnare in poche battute la liturgia orante del Sabato santo, allora bisognerebbe soprattutto parlare dell’effetto di pace profonda che traspira da essa. Cristo è penetrato nel nascondimento (Verborgenheit), ma nello stesso tempo, proprio nel cuore del buio impenetrabile, egli è penetrato nella sicurezza (Geborgenheit), anzi egli è diventato la sicurezza ultima. Ormai è diventata vera la parola ardita del salmista: ed anche se mi volessi nascondere nell’inferno, anche là sei tu. E quanto più si percorre questa liturgia, tanto più si scorgono brillate in essa; come una’aurora del mattino, le prime luci della Pasqua. Se il Venerdì santo ci pone davanti agli occhi la figura sfigurata del trafitto, la liturgia del Sabato santo si rifà piuttosto alla immagine della croce cara alla chiesa antica: alla croce circondata dà raggi luminosi, segno, nello stesso tempo della morte e della risurrezione.

Il Sabato santo ci rimanda così ad un aspetto della pietà cristiana che forse. è stato smarrito nel corso dei tempi. Quando noi nella preghiera pensiamo alla croce, vediamo per lo più in essa un segno della passione storica del Signore sul Golgotha. Le origini della devozione alla croce sono però diverse: i cristiani pregavano rivolti ad Oriente per esprimere la loro speranza che Cristo, il sole vero, sarebbe sorto sulla storia, per esprimere quindi la loro fede nel ritorno del Signore. La croce è in un primo tempo legata strettamente con questo orientamento della preghiera, essa viene rappresentata per così dire come una insegna che il re inalbererà nella sua venuta; nell’immagine della croce la punta avanzata del corteo è già arrivata in mezzo a coloro che pregano.

Per il cristianesimo antico la croce è quindi soprattutto segno della speranza. Essa non implica tanto un riferimento al Signore passato, quanto al Signore che sta per venire. Certo era impossibile sottrarsi alla necessità intrinseca che, con il passare del tempo, lo sguardo si rivolgesse anche all’evento passato: contro ogni fuga nello spirituale, contro ogni misconoscimento dell’incarnazione di Dio, occorreva che fosse difesa la prodigalità costernante dell’amore di Dio che, per amore della misera creatura umana è diventato egli stesso un uomo, e quale uomo! Occorreva difendere la santa stoltezza dell’amore di Dio che non ha scelto di pronunciare una parola di potenza, ma di percorrere la via dell’impotenza per mettere alla gogna il nostro sogno di potenza e vincerlo dall’interno.

Ma così non abbiamo dimenticato un po’ troppo la connessione tra: croce e speranza, l’unità tra l’Oriente e la direzione della croce, tra passato e futuro esistente nel cristianesimo? Lo spirito della speranza che alita sulle preghiere del Sabato santo dovrebbe nuovamente penetrare tutto il nostro essere cristiano. Il cristianesimo non è soltanto una religione del passato, ma, in misura non minore, del futuro; la sua fede è ,nello stesso tempo speranza, giacché Cristo non è soltanto il morto ed il risorto ma anche colui che sta per venire.

O Signore, illumina le nostre anime con questo mistero della speranza perché riconosciamo la luce che è irraggiata dalla tua croce, concedici che come cristiani procediamo protesi al futuro, incontro al giorno della tua venuta.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte tu hai fatto che sorgesse una luce; nell’abisso della solitudine più profonda abita ormai per sempre la protezione potente del tuo amore; in mezzo al tuo nascondimento possiamo ormai cantare l’alleluia dei salvati. Concedici l’umile semplicità della fede, che non si lascia fuorviare quando tu ci chiami nelle ore del buio, dell’abbandono, quando tutto sembra: apparire problematico; concedici in questo tempo nel quale attorno a te si combatte una lotta mortale, luce sufficiente per non perderti; luce sufficiente perché noi possiamo darne a quanti ne hanno ancora più bisogno. Fai brillare il mistero della tua gioia pasquale, come aurora del mattino, nei nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al Sabato santo della storia. Concedici che attraverso i giorni luminosi ed oscuri di questo tempo possiamo sempre con animo lieto trovarci io cammino verso la tua gloria futura.

Amen.

Passiflora o « fiore della passione »…

Passiflora o

Alla Passiflora per la sua particolare forma viene attribuita una mistica e complessa rappresentazione. Infatti questo fiore, chiamato volgarmente « fiore della Passione », racchiude nella sua corolla tutti gli elementi simbolici che ricordano il sacrificio di Cristo: un cerchio di filamenti purpurei rappresenta la corona di spine, i tre stili raffigurano i chiodi, lo stame il martello, i petali ricordano gli Apostoli, i viticci della pianta, poi raffigurano la frusta della flagellazione.

http://www.leserre.it/?ida=5359

San Germano di Costantinopoli : Il trono della croce

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100402

Venerdì Santo « In Passione Domini » : Jn 18,1-40#Jn 19,1-42
Meditazione del giorno
San Germano di Costantinopoli (? – 733), vescovo
In Domini corporis supulturam ; PG 98, 251-260

Il trono della croce

        « Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse » (Is 9, 1), la luce della redenzione. Visto il Tiranno ferito a morte, questo popolo torna dalle tenebre alla luce ; passa dalla morte alla vita.

        Il legno della croce porta colui che ha fatto l’universo. Subendo la morte per la mia vita, colui che porta l’universo è appeso al legno come un morto ; colui che dona la vita ai morti rende l’ultimo respiro sul legno. Non si vergogna della croce, la che, come un trofeo, attesta la sua vittoria totale. Siede da giusto giudice sul trono della croce. La corona di spine che porta sulla fronte conferma la sua vittoria. « Abbiate fiducia ; io, portando il peccato del mondo,  ho vinto il mondo e il principe di questo mondo. » (Gv 16, 33 ; 1, 29).

        Che la tua croce sia un trionfo, le pietre stesse lo gridano, queste pietre del calvario dove, secondo un’antica tradizione dei padri, fu sepolto Adamo, nostro primo padre. « Adamo, dove sei ? » (Gn 3, 9) grida di nuovo Cristo sulla croce. « Sono venuto a cercarti e, per poterti trovare, ho steso le mani sulla croce. Con le mani stese, mi rivolgo al Padre per rendere grazie per averti trovato, poi rivolgo le mani anche verso di te per abbracciarti. Non sono venuto per giudicare il tuo peccato, bensì per salvarti per il mio amore per gli uomini (Gv 3, 17) ; non sono venuto per maledirti per la tua disubbidienza, bensì per benedirti con la mia ubbidienza. Ti coprirò con le mie penne, sotto le mie ali troverai rifugio, la mia fedeltà ti coprirà dello scudo della croce e non temerai i terrori della notte (Sal 90, 1-5) perché conoscerai il giorno che non tramonta (Sap 7, 10). Cercherò la tua vita nascosta nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79). Non mi darò riposo finché, umiliato e sceso fino agli inferi per cercarti, non ti abbia ricondotto in cielo.

The Eucharist and the Cross

The Eucharist and the Cross dans immagini sacre Mass%20St%20Greg%20British%20Libr_2-thumb

http://vultus.stblogs.org/author/father-mark/2008/03/

Publié dans:immagini sacre |on 1 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Venerdì Santo, commento alle letture: Is 52, 13 – 53, 12; Sal.30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 -19, 42. « tutto è compiuto »

dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/commento/2010-04-02.html

Venerdì Santo

COMMENTO
 LETTURE: Is 52, 13 – 53, 12; Sal.30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 -19, 42.

Tutto è compiuto…

 Il racconto della Passione di Gesù Cristo, costituisce, anche da punto di vista cronologico, il primo nucleo della predicazione apostolica, il punto fondamentale della proclamazione della fede della chiesa. Nella liturgia di oggi, la proclamazione della passione assume una importanza centrale: il valore della parola, come segno sacramentale della presenza attuale del Cristo, prende grande evidenza e polarizza a sé tutta la celebrazione di oggi. Sulla croce il Cristo realizza la suprema manifestazione del nome di Dio: Agapè. Il poema descrive la sofferenza Salvatrice e gloriosa del servo di Jahvè. Il suo dolore è un mistero. Quel dolore però rivela non il suo proprio peccato – egli è innocente – ma il peccato del popolo. Il servo accetta questa piano di Dio, consapevole che lo condurrà alla morte e ad una sepoltura. Cristo è il servo di Jahvè, è lui che si consegna alla morte per il popolo. La risurrezione costituisce la sua esaltazione.

La chiesa oggi non celebra l’Eucaristia, ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l’atroce passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo della Croce. E’ così che potremmo trarne la più logica ed impegnativa conclusione: noi, responsabili in prima persona di quella morte, con i nostri peccati, re e Dio immerso nell’amore! L’adorazione che poi segue nell’altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiesa spoglie e disadorne ci aiutano ulteriormente a comprendere da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall’altra l’attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza ed è il mattino di Pasqua.

Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati tutti gli uomini. Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.

Silenti nell’attesa.
La chiesa oggi ci conduce ai piedi della croce. Assume e realizza il mandato di predicare al mondo Cristo, e Cristo crocifisso. L’umanità intera è invitata a prostrarsi, ad adorare il mistero, a comprendere, per quanto ci è dato dalla fede, l’immensità del dono e tutta la gravità del male. Siamo invitati a vedere con umana e divina sapienza la croce di Cristo, ma anche le nostre croci: oggi il confronto è urgente se non vogliamo restare schiacciati dai nostri pesi. Abbiamo bisogno di illuminare di luce divina le vicende più tristi della nostra umana esistenza. Sorbire la luce della croce significa dare un senso, scoprire le finalità arcane e rivelate della sofferenza che ci accompagna, significa andare oltre le umane considerazioni che sappiamo fare con la nostra limitata intelligenza sul dolore, sul dolore dell’innocente, sulle vittime dei giudizi e dei pregiudizi umani. Dobbiamo confrontare e sovrapporre le nostre croci a quelle di Cristo per scoprire che anche il dolore, la passione, la stessa morte può diventare fonte di vita e germe di immortalità e di risurrezione. Quella croce piantata sul monte è conficcata anche nella nostra carne, nel nostro cuore; prima di essere di Cristo è nostra quella croce, ma ora è diventata l’albero fecondo della vita. Privi di questa luce e di questo salutare confronto s’intristisce il nostro mondo, bruciano le foreste e si rimboschiscono di croci; il dolore riassume tutta la sua cruda ed assurda realtà, i crocifissi restano perennemente appesi a quelle croci, i crociati senza speranza restano chiusi nella morsa della morte, il mondo diventa un triste cimitero. Adorare la croce di Cristo vuol dire allora far rinascere la speranza, convincersi che il peso maggiore è già stato assunto volontariamente dal nostro redentore, vuol dire che le croci non hanno più il potere di schiacciarci e di configgerci e gli stessi sepolcri sono aperti per lasciarci liberi di tornare a Dio.

Giovedì Santo, commento alla letture: Es 12, 1-8. 11-14; Sal.115; 1 Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15.

dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/commento/2010-04-01.html

Giovedì Santo

COMMENTO
 LETTURE: Es 12, 1-8. 11-14; Sal.115; 1 Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15.

Eucaristia e Sacerdozio.

 È un giorno solenne e santo quello che celebriamo oggi. Diventiamo i commensali di Dio, ci viene dato come bevanda e come cibo il suo sangue e la sua carne. È il sangue e la carne dell’uomo Dio, prima martirizzato nella crudeltà di una orribile passione, poi racchiusa in un calice e in piccole ostie per assumerli come germe di vita nuova. Così siamo rigenerati nel corpo e nello spirito, diventiamo nuove creature, riscopriamo la nostra fratellanza, diventiamo uno in Cristo, diventiamo templi sacri, in cui inibita la divinità. Non più schiavi ma liberi, con una somiglianza soprannaturale con il nostro creatore e signore. La sfida che satana lanciò sin dal princìpio ai nostri progenitori «sarete come Dio», ora trova il suo vero compimento. Accadde in un’ultima cena, mentre si celebrava la nuova Pasqua. Gesù è prostrato come uno schiavo dinanzi ai suoi, vuole loro lavare i piedi. Vuole dare loro una lezione di umiltà, vuole dire loro che l’amore vero esige l’immolazione volontaria per gli altri, vuole spegnere ogni benché minima ombra di potere, vuole dire agli apostoli e ai futuri ministri dell’Eucaristia che per ripetere validamente quell’eterno sacrificio, devono mettere a disposizione di tutti la propria vita, diventare vittime con la Vittima. Solo così quel sacrificio potrà diventare un memoriale, potrà ripetersi nei secoli sugli altari del mondo per sfamare gli affamati di ogni tempo e dissetare le brame dei viventi. «Fate questo in memoria di me» non significa soltanto ricevere una dignità e un mandato, significa soprattutto assimilarsi a Cristo, assumerne le sembianze, ripeterne i suoi gesti e le sue parole, offrirsi ogni giorno come vittima, essere il cibo di tutti, lasciarsi dilaniare nella carne e nello spirito, essere sacerdoti del Dio altissimo, capaci di generare Cristo con un limpido amore alla Madre sua e nostra. Così eucaristia e sacerdozio si fondono nel mistero, si realizzano e si perpetuano nella storia. Così il Vivente entra nel mondo, si dona, si lascia divorare, s’immola, guarisce, risana, redime e salva.
Oggi è le festa dei sacerdoti, oggi più che mai contempliamo l’amore di Dio, la grande missione che ci ha affidato, la potenza che egli ha voluto conferire alle nostre parole, ma ci troviamo anche prostrati nella consapevolezza dei limiti e delle debolezze, che ci accompagnano anche quando saliamo tremanti sui pulpiti e sugli altari. È lì che guardandoci allo specchio ci convinciamo che i primi affamati siamo noi, è lì che verrebbe la voglia di scendere e di smettere le nostre messe, ma è ancora lì che troviamo i motivi veri di una interiore e totale purificazione: ci purifica lo sguardo misericordioso di Dio e quello altrettanto benevolo dei fratelli; così ci troviamo accomunati a sperimentare il nostro sacerdozio: «il mio e vostro sacrificio».

Grandi eventi si compiono in questo giorno: la chiesa (fedeli e presbiteri) si riunisce in mattinata nelle cattedrali con il proprio Vescovo per fare concreta e viva esperienza di unità, memore della preghiera di Cristo che intensamente la chiede al Padre per la sua Chiesa. La stessa unità viene celebrata nel memoriale eucaristico e nell’istituzione del Sacerdozio. La benedizione degli oli santi, che serviranno per l’amministrazione dei sacramenti, avviene nella stessa celebrazione a testimoniare la premura della Chiesa per i propri fedeli, che si estende per tutto il tempo della vita terrena e diventano veicoli di grazia e segni efficaci di salvezza. E’ un giorno veramente santo questo Giovedì: per i sacerdoti è il giorno in cui possono percepire, più che mai, la grandezza del dono ricevuto, che li assimila a Cristo stesso e li rende strumenti di salvezza e dispensatori dei beni di Dio; per i fedeli è il nuovo patto indissolubile ed eterno, sancito da Cristo che, per restare sempre con noi vivo, si rende presente nell’Eucaristia e diventa cibo e bevanda di vita; per tutti può essere un giorno in cui la presenza di Dio e il suo amore per l’uomo si rende nel mondo più percettibile e più intenso.

Il Mistero di Dio che ci parla

dal sito:

http://www.zenit.org/article-14697?l=italian

Il Mistero di Dio che ci parla

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 14 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato il 12 giugno scorso da monsignor Nikola Eterovic, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, nel presentare nelal Sala Stampa della Santa Sede l’Instrumentum Laboris della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si terrà in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008 sul tema: « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ».

* * *

I) Introduzione

« In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio » (Gv 1, 1). Questa è la prima citazione biblica dell’Instrumentum laboris, presa dal Prologo del Vangelo di San Giovanni. Essa permette di volgere uno sguardo al mistero eterno di Dio Uno e Trino che nella pienezza dei tempi ha voluto rivelare agli uomini la sua vita nascosta da secoli e da generazioni (cf. Col 1, 26). Nella sua bontà infinità, Dio Padre non ha solamente parlato tramite la creazione, effettuata per mezzo del Figlio diletto (cf. Col 1, 16). Egli ha voluto parlare ai padri anche per mezzo dei profeti (Eb 1, 1) che sono stati ispirati dallo Spirito Santo. Negli ultimi tempi, poi, Dio Padre ha parlato a tutti per mezzo del suo Figlio « che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo » (Eb 1, 2). Il Verbo fatto carne venne ad abitare in mezzo ai suoi (cf. Gv 1, 14). Incarnandosi, il Verbo eterno entrò nel tempo e nello spazio, categorie proprie della condizione umana. Infatti, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, Gesù Cristo è diventato in tutto simile agli uomini eccetto nel peccato (cf. Eb 4, 15). Ha pertanto dovuto esprimersi in modo umano, tramite gesti e parole che sono narrati nel Nuovo Testamento, soprattutto nei Vangeli. Ma anche le Scritture dell’Antico Testamento (la Torah, i profeti e gli scritti sapienziali) gli rendono testimonianza (cf. Gv 5, 39). Il Signore Gesù, che ha parole di vita eterna (cf. Gv 6, 68), insegna ciò che ha imparato dal Padre che lo ha inviato al mondo (cf. Gv 14, 24). « Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura » (Gv 3, 34). Nella persona di Gesù Cristo le parole e i gesti si intrecciano e completano nel rivelare il mistero di salvezza compiuto dal Verbo fatto carne, dalla Parola d’amore vissuta sino alla fine (cf. Gv 13, 1), fino al sacrificio della croce, quando il Figlio obbediente consegnò il suo spirito a Dio Padre (cf. Lc 23, 46). Quando non poté più parlare, continuò a rivelare l’abisso dell’amore di Dio per gli uomini versando il suo sangue per molti, in remissione dei peccati (cf. Mt 26, 28). Dal suo fianco trapassato con la lancia, « uscì sangue e acqua » (Gv 119, 34), simboli del Battesimo e dell’Eucaristia, sacramenti che segnano l’inizio e il culmine della vita cristiana. La rivelazione del Signore Gesù ha raggiunto l’apice nel mistero pasquale: nella passione, nella morte e nella resurrezione. Egli, glorificato ed asceso alla destra di Dio Padre, è presente in vari modi in mezzo ai suoi fino alla fine del mondo. Secondo la sua volontà, il Signore risorto continua ad esser presente nella Chiesa soprattutto per mezzo del Pane della Parola e dell’Eucaristia.

Tale grande mistero di salvezza è affidato alla Chiesa come il tesoro più prezioso da celebrare e da vivere, come pure da annunciare fino alla fine dei tempi. Pertanto, è del tutto logico che l’Instrumentum laboris si concluda con il mandato del Signore Gesù risorto, secondo la versione dell’Evangelista Marco: « Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura » (Mc 16,15). Tra questi due poli, il riferimento al Verbo eterno e il mandato missionario della Chiesa, si situa la ricca riflessione del Documento di lavoro della prossima assise sinodale sulla Parola di Dio, sulla sua importanza capitale sia per la vita della Chiesa sia per la sua missione nel mondo contemporaneo.

II) Procedura sinodale

L’Instrumentum laboris, che oggi viene presentato, rappresenta una tappa importante nella preparazione dell’Assemblea sinodale che avrà luogo nella Città del Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008. Si tratta di un processo lungo ed esigente, risultato della collaborazione dei Vescovi del mondo intero, membri dell’unico collegio episcopale con a Capo il Vescovo di Roma, il Santo Padre Benedetto XVI.

Infatti, l’iter della preparazione sinodale ha avuto l’avvio con la pubblicazione, avvenuta il 6 ottobre 2006, del tema della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Precedentemente, per incarico del Romano Pontefice, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi aveva fatto una consultazione presso l’episcopato cattolico chiedendo di indicare gli argomenti più attuali per l’intera Chiesa che secondo loro avrebbero potuto essere affidati alla discussione sinodale. La Parola di Dio, tema segnalato da vari punti di vista, è stata la proposta preferita dai Vescovi che Sua Santità Benedetto XVI ha benevolmente accolto. Valendosi della collaborazione del Consiglio Ordinario, e coadiuvata da alcuni esperti, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha in seguito preparato i Lineamenta, Documento che ha per scopo di facilitare la riflessione sull’argomento prescelto per l’approfondimento dell’Assemblea sinodale. I Lineamenta, pubblicati il 27 aprile 2007, in 8 lingue (latino, francese, inglese, italiano, polacco, portoghese, spagnolo e tedesco), contenevano anche delle domande assai puntuali con le quali si intendeva promuovere l’approfondimento a livello capillare sul tema sinodale. Il Documento è stato inviato, come di consueto, ai 13 Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, alle 113 Conferenze Episcopali, ai 25 Dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali. Tali organismi dovevano favorire la riflessione a livello delle strutture locali (metropolie, diocesi, parrocchie, movimenti, associazioni, gruppi di fedeli, ecc.), sintetizzare i loro contributi e far pervenire le risposte alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi entro il mese di novembre 2007. Il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale ha studiato l’abbondante materiale pervenuto che è stato sintetizzato nel presente Documento. Esso, in qualche modo, riflette la percezione a livello della Chiesa universale della portata del tema della prossima Assemblea sinodale. Al riguardo, occorre segnalare un grande interesse per l’argomento, dimostrato anche dal fatto che i Lineamenta sono stati tradotti in lingua cinese ed araba. L’Instrumentum laboris permette di constatare i grandi frutti del rinnovamento biblico che hanno avuto notevoli influssi nel campo liturgico, catechetico, esegetico, teologico e spirituale in seguito alla promulgazione della Costituzione dogmatica Dei Verbum del 18 novembre 1965, 43 anni fa. Negli anni successivi, inoltre, sono stati pubblicati importanti Documenti sul tema, tra cui occorre menzionare Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio, come pure due Documenti della Pontificia Commissione Biblica: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa e Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana.

III) Scopo dell’Assemblea sinodale

Nella parte introduttiva dell’Instrumentum laboris si indicano, tra l’altro, le attese comuni che provengono dalle risposte delle Chiese particolari, come pure la finalità del Sinodo. La riflessione sinodale dovrebbe favorire la conoscenza e l’amore della Parola di Dio che è viva, efficace e penetrante (cf. Eb 4, 12), allo scopo di riscoprire la bontà infinita di Dio che si rivela all’uomo come ad amico, si intrattiene con lui e lo invita alla comunione con sé (cf. DV 2). Inoltre, per mezzo della Parola di Dio si auspica di rafforzare la comunione ecclesiale, fomentare la vocazione universale alla salvezza, rinvigorire la missione ai vicini ed ai lontani, rinnovare la fantasia della carità cercando di contribuire a trovare soluzioni ai tanti problemi dell’uomo contemporaneo che ha fame sia del pane sia di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cf. Mt 4, 4). Più concretamente, lo scopo del Sinodo, secondo l’Instrumentum laboris, è soprattutto d’indole pastorale e missionaria. Ovviamente ogni riflessione ecclesiale deve essere ben fondata su aspetti dottrinali. Pertanto, è importante fare un essenziale riferimento teorico, cercando di chiarire maggiormente gli aspetti fondamentali della verità sulla Rivelazione: sulla Parola di Dio, sulla Tradizione, sulla Bibbia, sul Magistero, che motivano e garantiscono un valido ed efficace cammino di fede. Su tale base solida si fondano, poi, ragioni di natura pastorale: stimolare l’amore profondo per la Sacra Scrittura affinché i fedeli abbiano largo accesso ad essa (cf. DV 22); praticare maggiormente la Lectio divina, debitamente adattata alle varie circostanze. In tale contesto appare vitale riscoprire il nesso tra la Parola di Dio e la liturgia che ha il punto culminante nella celebrazione della Santa Messa. Al riguardo, è indicativo che nell’Instrumentum laboris siano spesso riportate le Incidenze pastorali, suggerite dai Vescovi, Pastori del gregge che è stato affidato alle loro cure. Per far vedere quanto bisogna fare in tale campo, è sufficiente ricordare che la Bibbia è tradotta in 2.454 lingue, mentre nel mondo vi sono fino a 6.700 lingue, di cui 3.000 sono considerate come principali. La Bibbia è il libro più tradotto e diffuso nel mondo ma, purtroppo, non è molto letto. Secondo le recenti indagini del Gfk-Eurisko, solamente il 38 % degli italiani praticanti avrebbe letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi. La percentuale scende al 27 % se si prende in considerazione la popolazione italiana adulta. La maggioranza dell’oltre 50 % considera la Sacra Scrittura difficile da intendere, in Italia e in altri Paesi consultati. Ovviamente, la gente ha bisogno di essere introdotta e guidata ad una intelligenza ecclesiale della Bibbia.

Il Sinodo si propone di ripresentare l’unità tra il pane della Parola e dell’Eucaristia, tra la liturgia della Parola e dell’Eucaristia, che sono così unite tra di loro da formare un’unica mensa del Pane di vita (cf. DV 21). Il motivo liturgico appare essenziale, sorgente della vita cristiana orientata alla carità e alla missione. Infatti, la Parola di Dio è all’origine di una chiamata. Indirizzata a molti, per la grazia dello Spirito Santo, essa crea comunione, ispira iniziative di carità operosa in favore dei poveri e dei bisognosi di beni materiali e spirituali e, per il suo proprio dinamismo, apre i cuori alla missione affinché ciò che il cristiano ha ricevuto gratuitamente lo condivida con gli altri. Pertanto, la prossima Assemblea sinodale avrà due importanti punti di riferimento. Il primo è il precedente Sinodo sull’Eucaristia e il secondo è l’Anno Paolino che incomincerà il 29 giugno, 4 mesi prima della celebrazione sinodale. Il ricordo di San Paolo, Apostolo delle genti, non mancherà di suscitare un rinnovato slancio missionario della Chiesa a beneficio dell’umanità intera. Il centro di tale dinamismo rimane la celebrazione dell’Eucaristia domenicale, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Dopo la riflessione sulla liturgia dell’Eucaristia è logico approfondire la liturgia della Parola, parte integrante della Santa Messa, memoriale, sacrificio e convito delle nozze dell’Agnello immolato per la salvezza degli uomini. Del resto, l’Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Caritatis ha dedicato i Numeri 43-46 alla Liturgia della Parola. Tale tema sarà, dunque, ripreso e approfondito ulteriormente.

IV) Struttura dell’Instrumentum laboris

L’Instrumentum laboris è diviso in tre parti, riprendendo quasi letteralmente il tema dell’Assemblea sinodale: 1) Il Mistero di Dio che ci parla; 2) La Parola di Dio nella vita della Chiesa; 3) La Parola di Dio nella missione della Chiesa. Ovviamente, vi è una parte introduttiva, con indicazioni preliminari utili, e la conclusione in cui sono riportate le idee portanti del Documento.

1) La prima parte, Il Mistero di Do che ci parla, è divisa in tre capitoli. Nel primo si cerca di spiegare il contenuto del termine Parola di Dio che assume notevole ampiezza nella Rivelazione divina. Il Documento elenca 7 significati che sono diversi ma complementari. Pertanto, la Parola di Dio è come un canto armonioso a più voci. Tutte conducono a Gesù Cristo, Verbo incarnato, espressione piena e perfetta della Parola di Dio. Per la volontà di Dio Uno e Trino, la Parola di Dio è affidata alla Chiesa che pertanto diventa, in un certo modo, sacramento della Parola di Dio.

Il secondo capitolo è dedicato al tema dell’ispirazione e della verità della Sacra Scrittura, come pure del suo rapporto con la Parola di Dio. È lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri e che garantisce l’unità della Scrittura, composta da 73 libri, 46 dell’Antico e 27 del Nuovo Testamento. Lo Spirito Santo, però, richiede la collaborazione dell’uomo che è pure vero autore della Scrittura. Grazie allo Spirito Santo la Parola di Dio diventa realtà liturgica e profetica. Prima di essere Libro, la Sacra Scrittura è annuncio (kerygma), la testimonianza dello Spirito Santo sulla presenza di Cristo nella sua Chiesa.

La Bibbia stessa attesta la non coincidenza tra Scrittura e Parola di Dio che eccede il Libro e raggiunge l’uomo anche tramite la Chiesa, Tradizione vivente. La Sacra Scrittura è, però, attestazione della relazione tra Dio e l’uomo, la illumina e orienta in maniera certa. Si impone, dunque, la riflessione sul rapporto tra Tradizione, Scrittura e Magistero per una retta interpretazione ecclesiale della Sacra Scrittura.

Il terzo capitolo ribadisce l’atteggiamento che dovrebbe avere il credente di fronte alla Parola di Dio. Esso è caratterizzato dall’ascolto: a Dio che parla è dovuta l’obbedienza della fede e un abbandono libero di se stessi (cf. DV 5). Ciò accade a livello personale e comunitario, nella comunione della Chiesa. La Parola di Dio pertanto trasforma la vita di coloro che la ascoltano e cercano di metterla in pratica. L’esempio eccellente di tale attitudine è Maria, Madre di Gesù, Vergine dell’ascolto. Tra le figure di uditori della Parola di Dio che poi sono diventati grandi evangelizzatori, l’Instrumentum laboris ricorda per l’Antico Testamento: Abramo, Mosè, i profeti, e per il Nuovo Testamento: i santi Pietro e Paolo, gli altri apostoli, gli evangelisti.

2) La seconda parte, La Parola di Dio nella vita della Chiesa, è divisa in due capitoli. Il primo constata che la Parola di Dio vivifica la Chiesa che nasce e vive della Parola di Dio. Essa sostiene la Chiesa lungo il suo pellegrinaggio terrestre verso la patria celeste. Nella potenza dello Spirito Santo la Parola di Dio permea e anima tutta la vita della Chiesa.

Il secondo capitolo, poi, descrive la Parola di Dio nei molteplici servizi della Chiesa. Il Ministero della Parola, che si esprime in vari modi, ha come luogo privilegiato le celebrazioni liturgiche. Ciò vale in maniera del tutto particolare per l’Eucaristia ove accade l’unico incontro dei fedeli con Dio che continua a parlare alla sua Chiesa, radunata ogni domenica, giorno del Signore, e nelle feste di precetto. Occorre pertanto curare bene la liturgia della Parola, le letture, l’omelia, la preghiera dei fedeli, parti essenziali della Santa Messa. Anche nella celebrazione di altri Sacramenti dovrebbe essere più valorizzata la Parola di Dio. Il Documento, poi, ripresenta l’attualità della Lectio Divina a livello comunitario e personale. Si sottolinea l’importanza dello studio della teologia e, in particolare, dell’esegesi, secondo il senso della Chiesa e cioè interpretando la Scrittura nel contesto della viva Tradizione della Chiesa, valorizzando l’eredità dei Padri e restando in attento ascolto delle indicazioni del Magistero. In tale modo gli specialisti della Scrittura forniscono un prezioso aiuto ai pastori in contatto diretto con i fedeli. La riscoperta della Parola di Dio deve portare ad una sempre migliore diaconia, servizio della carità, che è nota essenziale della Chiesa voluta da Gesù Cristo.

3) La terza parte, La Parola di Dio nella missione della Chiesa, è articolata in tre capitoli. Nel primo si ribadisce la missione della Chiesa nel proclamare la Parola di Dio in vista della costruzione del Regno di Dio. Tale missione si compie tramite l’evangelizzazione e la catechesi. Il cuore di entrambe è la Parola di Dio.

Nel secondo capitolo si indica come realizzare la vocazione comune dei fedeli a ricevere e a donare la Parola Dio. Essa, infatti, deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo. Ovviamente vi è diversità di compiti e di responsabilità in tale missione ecclesiale. Si precisa, in modo particolare, che ai Vescovi compete la responsabilità nell’istruire i fedeli sul retto uso della Sacra Scrittura. In tale importante compito essi sono coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. Le persone consacrate hanno un ruolo speciale nel proporre al Popolo di Dio la ricchezza della Bibbia. I fedeli laici, poi, sono chiamati a conoscere il tesoro della Scrittura e a far risplendere la novità del Vangelo nella loro vita di ogni giorno, in famiglia e in società.

Il terzo capitolo è dedicato ai rapporti ecumenici ed interreligiosi, senza dimenticare i nessi della Bibbia con coloro che si dichiarano lontani dalla Chiesa o addirittura non credenti. Si tratta del dialogo che di norma accompagna la missione.

La Sacra Scrittura è un importante vincolo di unità con gli altri cristiani, membri delle Chiese e comunità cristiane. Oltre il sacramento del battesimo, la venerazione delle Scritture unisce tutti coloro che credono in Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, il cui mistero è rivelato anche nella Bibbia.

Un rapporto del tutto speciale unisce i cristiani con gli Ebrei, con i quali condividono buona parte delle Scritture, denominata dai cristiani Antico Testamento. Del resto, per comprendere in modo adeguato la persona stessa di Gesù Cristo, è necessario riconoscerlo come figlio del popolo Ebraico, in quanto Gesù è ebreo e lo è per sempre (cf. Istrumentum laboris [IL] 54).

Si fanno importanti considerazioni nei riguardi di fedeli appartenenti alle religioni tradizionali e a quelle che hanno le loro scritture sante (l’induismo, il buddismo, il giainismo, il taoismo) e, in modo particolare, all’islam. Anche se il cristianesimo è piuttosto la religione della persona di Gesù Cristo e non del Libro, il fatto che possiede la Sacra Scrittura rappresenta un punto importanti nel dialogo interreligioso.

Si mette, poi, in risalto l’importanza della Bibbia per la cultura di numerosi popoli, soprattutto del cosiddetto Occidente per cui tale Libro rappresenta il « grande codice », fondamento comune per la ricerca di un autentico umanesimo a cui, come afferma il Santo Padre Benedetto XVI, il cristianesimo ha da offrire « la più potente forza di rinnovamento e di elevazione, cioè l’Amore di Dio che si fa amore umano » (IL 58).

V) Contributo del Santo Padre Benedetto XVI

Alla fine di questa breve presentazione dell’Instrumentum laboris, è doveroso ricordare il grande contributo del Santo Padre Benedetto XVI, come risulta da numerose citazioni nel Documento. Vi sono varie ragioni per l’abbondante presenza del pensiero del Romano Pontefice. Egli è Vescovo di Roma, Capo del corpus episcoporum, ed è normale che i membri del medesimo collegio episcopale siano attenti ai sui pronunciamenti, caratterizzati dal carisma petrino. Egli è, poi, Presidente del Sinodo dei Vescovi e, dunque, segue da vicino le tappe della preparazione dell’Assemblea sinodale, fornendo preziose indicazioni, come in occasione degli incontri con il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Essendo l’intelligenza della Scrittura nella Chiesa di importanza vitale, il Santo Padre ne ha parlato numerose volte, arricchendo la riflessione teologica e spirituale su tale tema. L’argomento è stato, poi, oggetto di suoi numerosi studi, dal tuttora valido commento alla Costituzione dogmatica Dei Verbum, scritto da giovane teologo che aveva partecipato alle discussioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, fino al libro Gesù di Nazaret, citato nell’Istrumentum laboris. Di altri interventi del Romano Pontefice sull’argomento, mi permetto di ricordare il discorso La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, pronunciato in occasione del 40° della promulgazione della Dei Vebrum, come pure l’Angelus del 6 novembre 2005, sullo stesso argomento (cf. IL 8).

Per concludere, mi riferisco a due significative affermazioni del Santo Padre Benedetto XVI. La prima ben descrive l’attitudine con cui i padri sinodali si apprestano ad approfondire il tema dell’Assemblea sinodale: « La Chiesa non trae la sua vita da se stessa, ma dal Vangelo ed è a partire dal Vangelo che essa non cessa di orientarsi nel suo pellegrinaggio ». Pertanto, occorre scrutare la Parola di Dio per sapere come rispondere alle sfide ecclesiali e sociali dell’uomo concreto, cittadino del complesso mondo contemporaneo.

La seconda frase contiene l’auspicio ad un autentico rinnovamento della Chiesa, fondato su una ermeneutica della continuità con la grande Tradizione ecclesiale: « La Chiesa deve sempre rinnovarsi e ringiovanire e la Parola di Dio, che non invecchia mai né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. È infatti la Parola di Dio che, per il tramite dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13) ». Pertanto, non sorprende che dalla frequentazione della Parola di Dio, in particolare tramite la Lectio divina, accompagnata dalla preghiera, il Santo Padre auspica per la Chiesa una « nuova primavera spirituale » (IL 12).

Affidandoci all’intercessione della Beata Vergine Maria e di tanti santi che hanno raggiunto l’ideale di vita eroica dell’amore verso Dio e verso il prossimo, nutrendosi della Parola di Dio, formuliamo voti che il proposito del Santo Padre possa realizzarsi anche tramite il Sinodo dei Vescovi per il bene della Chiesa e dell’umanità intera.

Publié dans:feste - Pasqua, meditazioni |on 1 avril, 2010 |Pas de commentaires »

buon giovedì santo

buon giovedì santo dans immagini buon...notte, giorno lavanda

http://andreasarubbi.wordpress.com/category/don-tonino-bello/

Santa Caterina da Siena: « Prese il calice…e disse loro ‘Questo è il mio sangue… versato per molti, in remissione dei peccati’ » (Mt 26,28)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100401

Giovedì Santo, Messa vespertina « In Cena Domini » : Jn 13,1-15
Meditazione del giorno
Santa Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana, dottore della Chiesa
Il Dialogo, 134

« Prese il calice…e disse loro ‘Questo è il mio sangue… versato per molti, in remissione dei peccati’ » (Mt 26,28)

        O Amore inestimabile ! Rivelandomi i tuoi segreti, mi hai dato il rimedio dolce e amaro che mi guarisce dalla mia infermità, e mi distoglie dalla mia ignoranza e dalla mia negligenza. Esso ravviva il mio zelo e mi riempie di un desiderio ardente di ricorrere a te. Mi hai mostrato la tua bontà, e gli oltraggi che ricevi da tutti gli uomini, anche dai tuoi ministri. Tu, bontà infinita, mi fai spargere lacrime su me stessa, che sono una povera peccatrice, e su questi morti che vivono così miseramente… Ti chiedo dunque con insistenza : fa’ misericordia al mondo e alla tua santa Chiesa !

        O povera me, quanto dolorosa è la mia anima, a causa del male che ho fatto. Non tardare più, Signore, a fare misericordia al mondo, acconsenti a compiere il desiderio dei tuoi servi … Vogliono il sangue in cui hai lavato l’iniquità e cancellato la macchia del peccato di Adamo. Questo sangue è nostro, poiché in esso ci hai immersi ; non vuoi e non puoi rifiutarlo a chi te lo chiede in verità. Per cui dona il frutto di questo sangue alle tue creature… Per mezzo di questo sangue ti supplichiamo di far misericordia al mondo.

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