Archive pour le 30 avril, 2010

Tiepolo: Presentazione del Cristo al popolo (Ecce Homo)

Tiepolo: Presentazione del Cristo al popolo (Ecce Homo) dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 30 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Maria e Cristo : una relazione asimetrica (J. Galot)

dal sito:

http://www.mariedenazareth.com/14555.0.html?&L=4

Maria e Cristo : una relazione asimetrica (J. Galot)

Alla pubblicazione di un volume collettivo destinato a sostenere un movimento in favore della proclamazione del dogma della mediazione di Maria, avevamo reagito formulando qualche difficoltà o interrogativo.[1] Ecco, un secondo volume, con lo stesso Curatore ma con collaboratori diversi, uscito sotto lo stesso titolo[2]. Ed ecco la nostra reazione. 

La mediazione di Maria non può essere presentata come parallela a quella di Cristo. L’attività mediatrice di Maria, come Sposa dello Spirito Santo e madre spirituale degli uomini, dev’essere riconosciuta come frutto dell’opera redentrice di Cristo. E questa attività si dispiega sempre in dipendenza della mediazione fondamentale di Cristo.

A proposito di questa dipendenza si pone il problema della relazione di Maria con Cristo nella cooperazione alla Redenzione.  

Nel suo studio su Maria corredentrice nella Sacra Scrittura, S. M. Manelli afferma che la corredenzione « colloca la Beata Vergine Maria non fra Cristo e noi – come avviene nella mediazione delle grazie – ma fra Dio e noi. » In tale prospettiva, Maria « è una con il Cristo Redentore che si trova fra Dio e noi, giustamente come Adamo ed Eva nell’atto di prevaricazione si trovano fra Dio e noi. »[3]  

Ma Maria non è semplicemente unita con Cristo come Eva era unita a Adamo. Il nuovo Adamo è il Figlio di Dio incarnato, che è l’unico redentore ; la nuova Eva gli è associata come Cooperatrice alla Redenzione ma in una dipendenza totale, e così si trova fra Dio e l’umanità in virtù del rapporto del Salvatore con tutti gli uomini.

Maria non ricollega direttamente gli uomini con Dio ; ha soltanto l’accesso a Dio per mezzo del Cristo Redentore, e apre l’accesso alla misericordia divina attraverso la mediazione fondamentale di Cristo.

Le due proprietà della cooperazione di Maria all’opera del suo Figlio « sotto di lui » e « con lui » [Lumen gentium 56, cf. LG 60.62]  sono inseparabili. C’è tra la madre e Gesù l’unione più intima, quella della madre predestinata con colui che ha dato al mondo la vita eterna (LG 56), ma entro una subordinazione totale nei suoi riguardi, perché egli è la fonte unica dei beni della Salvezza. Quando Maria esercita un’azione che tende a unire l’umanità a Dio, è sempre nel quadro dell’opera compiuta da Cristo ; ci fa trovare Dio attraverso Cristo, unico principio della riconciliazione. Quando Maria è collocata fra Dio e noi, è nello stesso tempo collocata anche fra Cristo e noi.

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di Sandro Magister: Passione di Cristo, passione dell’uomo

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1343134

Passione di Cristo, passione dell’uomo

È il motto dell’ostensione della Sindone, in corso a Torino. Ai milioni di pellegrini da tutto il mondo si unisce il 2 maggio anche il papa. In parallelo, una grande mostra sul corpo e il volto di Gesù nell’arte

di Sandro Magister

ROMA, 30 aprile 2010 – Tra due giorni, quinta domenica di Pasqua, Benedetto XVI si recherà a Torino. Dove nel pomeriggio, nella cattedrale, si inginocchierà davanti alla Sindone, il venerato telo con le misteriose impronte di un uomo crocifisso, di un corpo con tutti i segni della passione di Gesù.

Dal 10 aprile, da quando la Sindone è esposta al pubblico – e lo sarà fino al 23 maggio –, stanno accorrendo a vederla un numero interminabile di persone. Anche non cristiani, anche lontani da Dio, attratti comunque da quel mistero che è la persona di Gesù, il suo corpo, il suo volto.

E al desiderio di « vedere » questo mistero va incontro una mostra d’arte studiata proprio per accompagnare l’ostensione della Sindone. La mostra è nella reggia di Venaria, poco a nord di Torino, e ha per titolo: « Gesù. Il corpo, il volto nell’arte ».

Tra le 180 opere esposte vi sono capolavori di autori come Donatello, Mantegna, Bellini, Giorgione, Correggio, Veronese, Tintoretto. C’è anche il meraviglioso Crocifisso ligneo scolpito da Michelangelo per la basilica fiorentina del Santo Spirito.

In molte di queste opere la Sindone appare. Ad esempio nel Cristo risorto di Pieter Paul Rubens riprodotto qui sopra, del 1615, conservato a Firenze a Palazzo Pitti. Un Gesù atletico, col corpo ancora in parte avvolto dal telo, assiso trionfante sul sepolcro vuoto. Come canta la sequenza della messa di Pasqua: « Mors et vita duello conflixere mirando, dux vitae mortuus regnat vivus ». Morte e vita si sono affrontate in prodigioso duello; il Signore della vita era morto, ma ora vivo trionfa.

Qui di seguito, ecco una guida alla visione del corpo e del volto di Gesù, scritta dal curatore della mostra Timothy Verdon, americano, storico dell’arte, sacerdote dell’arcidiocesi di Firenze e direttore dell’ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte.

Il testo è tratto dal capitolo introduttivo del catalogo della mostra e da una conferenza dello stesso Verdon nel duomo di Torino, lo scorso 26 aprile.

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GESÙ. IL CORPO, IL VOLTO NELL’ARTE

di Timothy Verdon

A Torino, dove da secoli si conserva e si venera il grande telo noto come la Sindone, è naturale riflettere sul corpo e sul volto di Gesù. La Sindone sottolinea il convincimento che Gesù sia realmente vissuto e morto, ma invita a credere che egli sia anche risorto. Sarebbe in effetti il segno del suo passaggio alla vita nuova, il lenzuolo abbandonato al momento di risorgere.

La possibilità dell’esistenza di una simile reliquia è specialmente significativa per l’arte, perché conferma la visibilità e quindi la rappresentabilità dell’uomo che si diceva Figlio dell’invisibile Dio d’Israele.

Scriveva nel secolo VIII san Giovanni Damasceno, evocando il divieto biblico di ogni raffigurazione della divinità: « Un tempo non si poteva fare immagine alcuna di un Dio incorporeo e senza contorno fisico. Ma ora Dio è stato visto nella carne e si è mescolato alla vita degli uomini, così che è lecito fare un’immagine di quanto è stato visto di Dio », cioè dell’uomo Gesù. Scrivendo nel contesto della proibizione delle immagini da parte dell’imperatore di Bisanzio, l’iconoclasta Leone III, questo autore – nato cristiano in una Damasco allora sotto controllo musulmano – vedeva un nesso tra il dogma teologico dell’incarnazione e l’uso ecclesiastico di immagini, soprattutto quelle raffiguranti Gesù stesso.

La mostra mette in evidenza la continuità di queste idee nell’era medievale e moderna. Porta l’attenzione sull’uomo Gesù, il cui corpo e volto sarebbero tracciati sul venerabile telo, suggerendo come pittori e scultori di vari periodi l’abbiano visualizzato.

Il cristianesimo ha sempre raffigurato il corpo alla luce della propria idea dell’essere umano. A differenza dei miti pagani, che presentavano gli dei con tutti i difetti degli uomini, la cultura biblica giudeo-cristiana ritiene che l’uomo debba aspirare alla perfezione di Dio, e soprattutto alla sua misericordia. « Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso », ha detto infatti Gesù (Luca 6, 36), e questa misericordia caratteristica dell’essere umano aveva una singolare componente corporea. Già nell’Antico Testamento molte parole del Dio incorporeo lo mostrano sensibile al tremore della pelle del povero. Nello stesso spirito Gesù descrive come, nel giudizio finale, il Figlio dell’uomo premierà quanti avranno avuto cura corporale del prossimo: « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo mi avete vestito » (Matteo 25, 35-36).

Per i credenti in lui, Gesù, Figlio di Dio, è diventato quel povero a cui bisogna rendere il mantello prima di notte: l’affamato, l’assetato, l’escluso, il senza tetto, l’ignudo da coprire. Dice un teologo greco del IV secolo, il vescovo san Macario: « Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l’anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divise il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone ».

Ecco, l’immagine di Dio contemplata nel corpo sofferente di Gesù implica questa dinamica di purificazione e crescita. Implica anche un processo in cui il soggetto umano scopre e comprende se stesso, come suggerisce un padre della Chiesa, Pietro Crisologo, quando immagina Gesù crocifisso che invita i credenti a riconoscere nel suo corpo sacrificato il senso morale della loro vita. « Vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, il vostro sangue, ci dice Gesù. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. Non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica. Sii, o uomo, sacrificio e sacerdote, fa del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo come vittima a Dio. Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte ».

Sono citazioni, queste, utili per capire la concezione di corporeità e di personalità elaborata nei secoli attraverso immagini di Gesù: l’idea del corpo come luogo di una dignità insita nell’essere umano – di una capacità « sacerdotale » di offrirsi – e del volto come specchio di libertà consapevole. Le opere in mostra infatti mettono lo spettatore nelle condizioni di quelle donne e di quegli uomini descritti nel Nuovo Testamento, per cui il corpo e volto di Gesù erano luoghi di sorprendente, anche scandalosa, scoperta.

Quando ad esempio Gesù tornò dal deserto al suo paese, Nazaret, e nella sinagoga lesse ad alta voce i versetti messianici di Isaia, l’evangelista Luca narra che « gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui »  (Luca 4, 16-24). Alle parole d’Isaia, infatti, Gesù aggiunse altre parole, inaspettate e per i presenti certamente incomprensibili: « Oggi – disse – si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi ». Gli occhi dei presenti stavano sopra di lui, fissi sul suo corpo e sul volto, perché la sua affermazione « oggi si è adempiuta questa Scrittura » li obbligava ad associare le antiche promesse di una futura era benedetta con questo giovane uomo seduto in mezzo a loro: con lui come presenza fisica, con il suo corpo, con l’espressione del suo volto. « Non è costui il figlio di Giuseppe? », chiedono subito, incapaci di vedere in Gesù più di quanto credevano di conoscere, così che egli commenta: « Nessun profeta è bene accetto nella sua patria ».

Un’occasione analoga, assai più drammatica, è narrata nel sesto capitolo del Vangelo di Giovanni. Due giorni dopo la sua miracolosa moltiplicazione di pani e pesci per sfamare una folla immensa, Gesù spiega che il vero pane offerto dal Padre all’umanità – il pane disceso dal cielo – era lui stesso. Di nuovo allora i suoi ascoltatori si chiedono: « Costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come può dire: Sono disceso dal cielo?”. Ma egli insiste: « Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita dell’uomo ». E ancora: « Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita, perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui ». L’evangelista Giovanni descrive la negativa reazione a queste parole da parte degli ascoltatori, e come « da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui », e non si fa fatica a capirli, perché Gesù pretendeva che vedessero il suo corpo come alimento, e così pure il suo volto: « Questa infatti è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». Molte opere in mostra prendono luce da questi asserti, anche perché originalmente fatte per altari, dove il corpo e il volto di Gesù raffigurati dall’artista erano visti in prossimità al pane e vino dell’eucaristia, corpo e sangue del Signore.

La mostra invita quindi a riscoprire la particolare intensità con cui i credenti d’altri tempi – i committenti materiali e gli originali fruitori delle opere esposte – guardavano un corpo e un volto ritenuti “vero cibo” e “vera bevanda”; un corpo e un volto che, interiorizzati, li avrebbero trasformati col dono della “vita eterna”. Quest’esperienza, forse pienamente accessibile solo alla fede, può essere immaginata anche da chi non crede; anzi, deve essere immaginata, perché costituisce il normale contesto di comprensione di simili opere d’arte, una componente imprescindibile del loro messaggio.

Imprescindibile è anche la tensione morale che doveva condizionare la lettura originaria di molte delle opere esposte nella mostra. In immagini legate all’eucaristia, infatti, come nella stessa celebrazione della messa, il credente cerca, oltre ciò che vede, qualche cosa di più, e ogni immagine associata al rito si pone come « epifania » ed « apocalisse », come manifestazione e rivelazione di una futura trasformazione. L’arte nel luogo di culto infatti illumina l’attesa dei cristiani, e nei personaggi ed eventi che essa illustra le immagini sacre si offrono come specchi dell’Immagine in cui i fedeli sperano di essere trasformati, Gesù Cristo.

La mostra copre il periodo corrispondente alla fine del Medioevo, al Rinascimento e al Barocco, in cui il corpo e il volto della persona umana tornano ad essere nell’arte occidentale primari portatori di significato. Questi elementi figurativi, perfezionati dai greci cinque secoli prima di Cristo, in un primo periodo erano stati rifiutati dalla nascente cultura cristiana, che al naturalismo pagano preferiva un linguaggio meno ambiguo, col corpo presentato come segno e col volto trasfigurato dalla fede. Tale rifiuto della fisicità e della personalità, che rifletteva anche il severo giudizio cristiano sull’amoralità e sull’individualismo del mondo pagano, fu tra le cause della perdita d’interesse per il corpo e il volto come soggetti d’arte tra il V e l’XI secolo.

Fu la nuova spiritualità incentrata sull’uomo – la spiritualità di stampo francescano del Duecento e del Trecento – a far riscoprire l’arte greco-romana così adatta a descrivere il corpo e le emozioni. Grazie a questo nuovo dialogo con l’antica civiltà pagana, la cristianità europea elaborò anche un diverso rapporto con la storia, in cui valori ritenuti propedeutici alla fede in Gesù verranno considerati componenti di un’unica rivelazione affidata all’essere umano a prescindere dall’origine culturale e religiosa. Contenuto centrale di quest’unica rivelazione è l’umanità stessa, riconoscibile nell’eloquente bellezza e nella vulnerabilità del corpo, nel dolore e nella gioia scritti sul volto; a dimostrare la sua legittimità è la convinzione che lo stesso Figlio di Dio si è fatto uomo.

Le sette aree del percorso espositivo suggeriscono queste idee: il corpo e la persona; Dio prende un corpo; l’uomo Gesù; un corpo dato per amore; il corpo risorto; il corpo mistico; il corpo sacramentale. L’allestimento mira a suggerire il contesto d’uso iniziale della quasi totalità delle opere, il luogo liturgico cattolico, ricollocando i dipinti, le sculture, le oreficerie e i paramenti sacri in spazi che ricordano chiese. La forma delle sale, l’illuminazione e il sottofondo musicale che accompagna la visita sono state pensate in funzione di questo obiettivo, con uno scopo però più scientifico che religioso: quello di riabilitare come dato storico il messaggio teologico ed emotivo inteso dagli artisti e dai committenti delle opere. Alcuni dipinti sono addirittura allestiti sopra altari per evocare il rapporto visivo tra immagine e rito: diverso infatti è l’impatto di una Deposizione o Pietà vista in un museo e quello della stessa opera sopra una mensa eucaristica; nel secondo caso la percezione del corpo di Cristo raffigurato è condizionata dalla fede che lo stesso corpo sia realmente presente, seppur invisibile, nel pane e vino consacrati.

Le molte opere in mostra suggeriscono inoltre qualcosa della densità iconografica tipica delle chiese cattoliche del passato. Tale affollamento di immagini conferiva un carattere visionario a questi luoghi, dove raffigurazioni di Cristo, di Maria e dei santi davano colore e interesse umano ai personaggi e agli eventi di cui parlano le Scritture e la tradizione, offrendo un’immersione così totale che il fedele si percepiva circondato dai personaggi e partecipe degli eventi, membro dell’unica comunione dei santi e parte dell’unica storia della salvezza.

Tuttavia il soggetto dell’esperienza estetica, come dell’esperienza cultuale, rimane l’uomo. È a lui e alla sua corporeità che parlano i colori e le forme. L’arte che fa vedere Cristo – insieme a veri « specchi del suo Vangelo » quale la Sindone – invita a contemplare Cristo che prende forma in noi, speranza di gloria, bellezza di vita eterna. E in lui visto e conosciuto e amato comprenderemo finalmente che il senso della nostra vita anche corporea, della nostra carne, degli affetti, dei ricordi, e del sangue, suo e nostro, di ogni persona umana tradita, sacrificata, uccisa. Il poco sangue della Sindone si rivelerà allora un Mar Rosso attraverso cui Cristo ci conduce alla terra promessa.

Publié dans:Sandro Magister |on 30 avril, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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San Bonaventura: « Io sono la Via, la Verità e la Vita »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100430

Venerdì della IV settimana di Pasqua : Jn 14,1-6
Meditazione del giorno
San Bonaventura (1221-1274), francescano, dottore della Chiesa
Itinerario della mente a Dio, VII, 1-2,4,6

« Io sono la Via, la Verità e la Vita »

        Chi si rivolge a Cristo, con dedizione assoluta, fissando lo sguardo sul crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l’ammirazione, l’esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua, cioè il passaggio ; attraversa con la verga della croce il Mare Rosso, uscendo dall’Egitto per inoltrarsi nel deserto. Qui gusta la manna nascosta, riposa con Cristo nella tomba come morto esteriormente, ma sente, tuttavia, per quanto lo consenta la condizione di pellegrini, ciò che in croce fu detto al buon ladrone, tanto vicino a Cristo con l’amore : « Oggi sarai con me nel paradiso » (Lc 23, 43).

        Ma perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che sospesa l’attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio. È questo un fatto mistico e staordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve (Ap 2, 17)… Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza, il desiderio non l’intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo Sposo non il maestro, Dio non l’uomo.

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