Archive pour le 24 avril, 2010

Joh-10,01-Good_shepherd_Bon_Berger

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Dai Sermoni di S. Antonio: Il buon Pastore: preghiamo per le vocazioni sacerdotali

dal sito:

http://antoniodipadova.blogspot.com/2010/04/il-buon-pastore-preghiamo-per-le.html

domenica 25 aprile 2010

Dai Sermoni di S. Antonio

Il buon Pastore: preghiamo per le vocazioni sacerdotali

L’odierna domenica è un invito a pregare per le vocazioni al sacerdozio, alla vita pastorale, sull’esempio di Cristo, buon pastore che dà la vita per le pecore. Un ricordo particolare per i tanti buoni pastori e per quelli meno buoni o pessimi, perchè il Signore li converta e li renda pastori secondo il suo cuore.

Alla luce dei fatti tristi e scandalosi che hanno colpito la Chiesa in questo periodo, addirittura tra le file dei pastori in campo, i vescovi, leggiamo le parole di ammonimento di Sant’Antonio, che invita i pastori a riformare la propria vita, e consiglia alle pecorelle maltrattate di rifugiarsi presso Pietro (il Papa) a cui, prima di tutti, Cristo ha consegnato il gregge:

Dai Sermoni di S. Antonio:

«Pasci i miei agnelli» (Gv 21,15-16). Fa’ attenzione al fatto che per ben tre volte è detto: «pasci», e neppure una volta «tosa» o «mungi». Se ami me per me stesso, e non te per te stesso, «pasci i miei agnelli» in quanto miei, non come fossero tuoi. Ricerca in essi la mia gloria e non la tua, il mio interesse e non il tuo, perché l’amore verso Dio si prova con l’amore verso il prossimo. Guai a colui che non pasce neppure una volta e poi invece tosa e munge tre o quattro volte. A costui «il re di Sodoma», cioè il diavolo, «dice: Dammi le anime, tutto il resto prendilo per te» (Gn 14,21), tieni cioè per te la lana e il latte, la pelle e le carni, le decime e le primizie. A un tale pastore, anzi lupo, che pasce se stesso, il Signore minaccia: «Guai al pastore, simulacro di pastore, che abbandona il gregge: una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro; tutto il suo braccio si inaridirà e il suo occhio destro resterà accecato» (Zc 11,17).
              Il pastore che abbandona il gregge affidatogli, è nella chiesa un simulacro di pastore, come Dagon, posto presso l’Arca del Signore (cf. 1Re 5,2); era un idolo, un simulacro: aveva cioè l’apparenza di un dio, ma non la realtà. Perché dunque occupa quel posto? Costui è veramente un idolo, un dio falso, perché ha gli occhi rivolti alle vanità del mondo, e non vede le miserie dei poveri; ha gli orecchi attenti alle adulazioni dei suoi ruffiani e non sente i lamenti e le grida dei poveri; tiene le narici sulle boccettine dei profumi, come una donna, ma non sente il profumo del cielo e il fetore della geenna; adopera le mani per accumulare ricchezze e non per accarezzare le cicatrici delle ferite di Cristo; usa i piedi per correre a rinforzare le sue difese e riscuotere i tributi, e non per andare a predicare la parola del Signore; e nella sua gola non c’è il canto di lode né la voce della confessione. Quale rapporto ci può essere tra la chiesa di Cristo e questo idolo marcio? «Cos’ha a che fare la paglia con il grano?» (Ger 23,28). «Quale intesa ci può mai essere tra Cristo e Beliar?» (2Cor 6,15).
            Tutto il braccio di quest’idolo s’inaridirà per opera della spada del giudizio divino, perché non possa più fare il bene. E il suo occhio destro, cioè la conoscenza della verità, si oscurerà, perché non possa più distinguere la via della giustizia né per sé, né per gli altri. E questi due castighi, provocati dai loro peccati, si abbattono oggi su quei pastori della chiesa che sono privi del valore delle opere buone e non hanno la conoscenza della verità. E allora, ahimè, il lupo, cioè il diavolo, disperde il gregge (cf. Gv 10,12), e il predone, cioè l’eretico, lo rapisce.
          Invece il Buon Pastore, che ha dato la vita per il suo gregge (cf. Gv 10,15), di esso sempre sollecito, avendolo comprato a sì caro prezzo, lo affida a Pietro dicendo: «Pasci i miei agnelli». Pascili con la parola della sacra predicazione, con l’aiuto della preghiera fervorosa e con l’esempio della santa vita ». (SS. Pietr. e Paol., §4)

Dalle « Omelie sui Vangeli » di san Gregorio il Grande, Papa: Cristo, il buon pastore

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010504_gregorio-papa_it.html

Dalle « Omelie sui Vangeli » di san Gregorio il Grande, Papa (Hom. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130.

Cristo, il buon pastore

« Io sono il buon pastore. E conosco le mie pecore, cioè le amo, e le mie pecore conoscono me. Come se dicesse chiaramente: Coloro che amano, seguono. Infatti colui che non ama la verità, non ha conosciuto ancora nulla.

Poiché, fratelli carissimi, siete a conoscenza del pericolo che noi corriamo, ponderate bene, nelle parole del Signore, anche il vostro pericolo. Vedete se siete sue pecorelle, vedete se lo conoscete, vedete se conoscete la luce della verità. Inoltre conoscete, io affermo, non per mezzo della fede, bensì per mezzo dell’amore. Conoscete, dico, non con il credere, ma con l’agire. Infatti quegli stesso che afferma questo, l’evangelista Giovanni, attesta dicendo: Chi dice di conoscere Dio, ma non osserva i suoi comandamenti, e bugiardo.

Perciò anche in questo medesimo passo il Signore subito aggiunge: Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le mie pecore. Come se dicesse in modo esplicito: Da questo risulta che io conosco il Padre, e sono conosciuto dal Padre, risulta che do la mia vita per le mie pecore; cioè, io dimostro in che misura amo il Padre con quell’amore con il quale muoio per le pecore. E senza dubbio di queste pecore dice nuovamente: Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco, e mi seguono, e io do loro la vita eterna. Di esse poco più sopra dice: Chi entrerà per me sarà salvo, ed entrerà e uscirà e troverà pascolo. Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall’azione del credere alla contemplazione e troverà pascolo nel ristoro eterno.

Le sue pecore perciò troveranno pascolo, perché chiunque lo segue con cuore semplice, viene nutrito per mezzo di pascoli che sono verdeggianti in eterno. Qual è poi il pascolo di queste pecore se non le intime gioie dei paradiso verdeggiante? Infatti il pascolo di coloro che sono eletti è la presenza del volto di Dio, e guardandolo, senza che esso venga mai meno, la mente si sazia in eterno del cibo della vita. Cerchiamo quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, in cui possiamo gioire nella solenne festosità di cittadini tanto grandi. Facciamo in modo di essere attirati dalla stessa festosità di coloro che sono felici. Accendiamo dunque il nostro animo, fratelli, la fede venga riscaldata da ciò in cui ha creduto, i nostri desideri si accendano per i beni celesti, e in questo modo amare significa già incamminarsi.

Nessuna contrarietà ci ritragga dalla gioia dell’intima festosità, perché, se qualcuno desidera andare in un luogo stabilito, il desiderio di arrivarvi non venga affievolito da alcuna asperità del cammino. Nessuno stato di prosperità ci alletti con le sue lusinghe, perché è certo un viaggiatore sciocco colui che si dimentica di andare nel luogo in cui aveva intenzione di arrivare, perché, durante il viaggio, si ferma a guardare i bei prati. »  

Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso delle gioie eterne: perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto Cristo, suo pastore glorioso, che vive e regna nei secoli dei secoli.Amen.

« a cura del Dipartimento di Teologia Spirituale
della Pontificia Università della Santa Croce »

Cantalamessa: Omelia per la IV domenica di Pasqua, anno C

dal sito:

http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=52

IV Domenica di Pasqua
C – 2007-04-29

Io sono il Buon Pastore 
 
Atti 13, 14. 43-52;
Apocalisse 7, 9.14b-17;
Giovanni 10, 27-30.

In tutti e tre i cicli liturgici, la IV Domenica di Pasqua presenta un brano del Vangelo di Giovanni sul buon pastore. Dopo averci condotto, Domenica scorsa, tra i pescatori, il Vangelo ci conduce tra i pastori. Due categorie di uguale importanza nei vangeli. Dall’una deriva il titolo di « pescatori di uomini », dall’altra quello di « pastori di anime », dato agli apostoli.

La maggior parte della Giudea era un altipiano dal suolo aspro e sassoso, più adatto alla pastorizia che all’agricoltura. L’erba era scarsa e il gregge doveva spostarsi continuamente; non c’erano muri di protezione e questo richiedeva la costante presenza del pastore in mezzo al gregge. Un viaggiatore del secolo scorso ci ha lasciato un ritratto del pastore nella Palestina di allora: « Quando lo vedi su un alto pascolo, insonne, lo sguardo che scruta in lontananza, esposto alle intemperie, appoggiato al suo bastone, sempre attento ai movimenti del gregge, capisci perché il pastore ha acquistato tale importanza nella storia d’Israele che essi hanno dato questo titolo ai loro re e Cristo lo ha assunto come emblema di sacrificio di sé ».

Nell’antico Testamento Dio stesso viene rappresentato come pastore del suo popolo. « Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla  » (Sal 23,1). « Egli è il nostro Dio e noi il popolo che egli pasce » (Sal 95,7). Il futuro Messia è anch’esso descritto con l’immagine del pastore: « Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri » (Is 40,11). Questa immagine ideale di pastore trova la sua piena realizzazione in Cristo. Egli è il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita; si impietosisce del popolo perché lo vede « come pecore senza pastore » (Mt 9,36); chiama i suoi discepoli « il piccolo gregge » (Lc 12, 32). Pietro chiama Gesù « il pastore delle nostre anime » (1 Pt 2, 25) e la Lettera agli Ebrei « il grande pastore delle pecore » (Eb 13,20).

Di Gesù buon pastore il brano evangelico di questa Domenica mette in risalto alcune caratteristiche. La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: « Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono ». In certi paesi d’Europa, gli ovini sono allevati principalmente per le carni; in Israele erano allevati soprattutto per la lana e il latte. Esse perciò rimanevano per anni e anni in compagnia del pastore che finiva per conoscere il carattere di ognuna e chiamarla con qualche affettuoso nomignolo.

È chiaro ciò che Gesù vuole dire con queste immagini. Egli conosce i suoi discepoli (e, in quanto Dio, tutti gli uomini), li conosce « per nome » che per la Bibbia vuol dire nella loro più intima essenza. Egli li ama con un amore personale che raggiunge ciascuno come se fosse il solo ad esistere davanti a lui. Cristo non sa contare che fino a uno: e quell’uno è ognuno di noi.

Un’altra cosa ci dice del buon pastore il brano odierno di Vangelo. Egli dà la vita alle pecore e per le pecore e nessuno potrà rapirgliele. L’incubo dei pastori d’Israele erano le bestie selvagge – lupi e iene – e i briganti. In luoghi così isolati essi costituivano una minaccia costante. Era il momento in cui veniva fuori la differenza tra il vero pastore -quello che pasce le pecore di famiglia, che ha la vocazione di pastore- e il salariato che si mette a servizio di qualche pastore unicamente per la paga che ne riceve, ma non ama, e spesso anzi odia le pecore. Di fronte al pericolo, il mercenario fugge e lascia le pecore in balia del lupo o del brigante; il vero pastore affronta coraggiosamente il pericolo per salvare il gregge. Questo spiega perché la liturgia ci propone il Vangelo del buon pastore nel tempo pasquale: la Pasqua è stata il momento in cui Cristo ha dimostrato di essere il buon pastore che da la vita per le sue pecore.  

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno rock-hyrax-05a26052

Rock Hyrax
(Procavia capensis)

http://www.naturephoto-cz.com/rock-hyrax:procavia-capensis-photo-2638.html

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San Girolamo: « Le parole che vi ho dette sono spirito e vita »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100424

Sabato della III settimana di Pasqua : Jn 6,60-69
Meditazione del giorno
San Girolamo (347-420), sacerdote, traduttore della Bibbia, dottore della Chiesa
Lettera 53 a Paolino

« Le parole che vi ho dette sono spirito e vita »

        Leggiamo le Sante Scritture : secondo me, il Vangelo è il corpo di Gesù, le Sante Scritture sono la sua dottrina. Certamente, la parola « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue » trova tutta la sua attuazione nel mistero eucaristico ; ma il vero corpo di Cristo e il suo vero sangue sono anche la parola delle Scritture, la dottrina divina. Quando ci avviciniamo ai santi misteri, se un frammento viene a cadere per terra, siamo inquieti. Quando ascoltiamo la parola di Dio, se pensiamo a qualcos’altro mentre essa entra nei nostri orecchi, quanta responsabilità ne abbiamo !

        La carne del Signore essendo vero cibo e il suo sangue vera bevanda, il nostro unico bene è mangiare la sua carne e bere il suo sangue, non soltanto nel mistero eucaristico, ma anche nella lettura della Scrittura.

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