21 aprile – Sant’Anselmo

dal sito:
http://www.certosini.info/preghiera/medit/guillerand/guillerand_18.htm
CAPITOLO XVIII
IL LUOGO DELLA PREGHIERA
Bisogna abituarsi a pregare in ogni luogo come in ogni tempo. Il luogo della preghiera è l’anima… e Dio che l’abita. » Quando tu preghi – dice Gesù – entra nella camera intima e ritirata della tua anima, rinchiuditi in essa e parla al tuo Padre, il cui sguardo amante cerca il tuo sguardo » (Cfr. Mt 6,6).
Ecco il vero tempio, il santuario riservato. Lo si porta con sé; si può continuamente o trattenervisi o rientrarvi ben presto dopo qualche uscita. Bisogna farne un luogo appropriato; bisogna ornarlo; il grande ornamento è Dio stesso, che deve ritrovarvi i suoi tratti, cioè le sue perfezioni. Partecipate dalla nostra anima, esse prendono il nome di virtù. L’anima che le porta è bella della bellezza divina; è » perfetta come è perfetto il Padre celeste » (Cfr. Mt 5,48). » Come » non vuol dire » altrettanto « . Questa parola non implica l’uguaglianza, essa esprime la rassomiglianza. Le virtù ci rifanno all’immagine di Dio, all’immagine del divin Figlio che è venuto a praticarle su questa terra per mostrarci i tratti divini.
In questo santuario riservato, nuovo cielo e regno di Dio, devono regnare la solitudine e il silenzio. Dio è solo con Se stesso. Le Persone divine, l’innumerevole corte celeste, non feriscono questa solitudine ma la costituiscono. L’Amore che anima le Persone divine le chiude a tutto ciò che non è Esso stesso: la città è immensa, ma chiusa, e Dio solo l’occupa, Egli è « tutto in tutti » (1Cr 15,28). L’anima che prega deve riprodurre questa solitudine: colmarsi di essa, rigettare tutto il resto. Il colloquio che allora si avvia è » Silenzio « . Parola e silenzio non si oppongono. Ciò che si oppone al silenzio sono le parole, è la molteplicità.
Si confonde il silenzio dell’Essere con il silenzio del nulla. Ma il nulla non sa né parlare né tacere; non sa che agitarsi e mascherare, con dei movimenti superficiali, il vuoto che è in esso. Parole delle labbra alle quali non corrisponde alcun pensiero; atteggiamenti del corpo, mimica del volto che non traducono alcuna realtà… o che, propriamente, mentono: ecco il linguaggio del nulla. Ed è questo che lo moltiplica. Occorrono molte parole per non dire nulla o per dire ciò che non si pensa; all’Essere ne basta una per esprimersi completamente.
E’ verso questa unità che noi tendiamo quando ci siamo rinchiusi in Dio. Egli è divenuto tutto, noi glielo diciamo… e non sappiamo più dire altra cosa. E’ il silenzio dell’anima rientrata in se stessa e posseduta da Colui che essa trova. Era il silenzio delle lunghe notti di Gesù passate su qualche monte nella sua » preghiera di Dio « . Era il silenzio del Getsemani o del Calvario, spezzato da qualche parola rivolta a noi.
Le chiese sono il luogo della preghiera comune. Esse debbono riprodurre i tratti di Dio e quelli delle anime in servizio dei corpi. Ai corpi le chiese debbono offrire delle linee che elevano e vanno a perdersi verso il cielo o nel mistero di una penombra che isoli l’edificio dal mondo e dai suoi rumori … ; esse debbono avere un punto centrale, verso cui tutto tende, dove tutto si concentra, che unifica le nostre potenze e richiama il nostro amore; ed esse debbono manifestare delle bellezze che ci sorpassino, dare una pace che non viene dal creato e che ci trasporti fuori da esso, offrire tutto un insieme sensibile e spirituale in cui si riveli Colui che ha fatto la materia e lo spirito. La Sua presenza deve trasparirvi e il suo amore attirarci. Lo si deve respirare da tutti i pori del proprio essere, come l’atmosfera. Il luogo di culto che non ci dà questa sensazione, o l’anima che entrandovi non la sente, sono al di fuori della loro verità e mentono.
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/26800
Sant’ Anselmo d’Aosta Vescovo e dottore della Chiesa
21 aprile – Memoria Facoltativa
Aosta, 1033 – Canterbury, Inghilterra, 21 aprile 1109
Nasce verso il 1033 ad Aosta da madre piemontese, entrambi nobili e ricchi. Travagliato il rapporto con la famiglia che lo invia da un parente per l’educazione. Sarà solo con i benedettini d’Aosta che Anselmo trova il suo posto: a quindici anni sente il desiderio di farsi monaco. Contrastato dai genitori decide di andarsene: dopo tre anni tra la Borgogna e la Francia centrale, va ad Avranches, in Normandia, dove si trova l’abbazia del Bec con la scuola, fondata nel 1034. Qui conosce il priore Lanfranco di Pavia che ne cura il percorso di studio. Nel 1060 Anselmo entra nel seminario benedettino del Bec, di cui diventerà priore. Qui avvierà la sua attività di ricerca teologica che lo porterà ad essere annoverato tra i maggiori teologi dell’Occidente. Nel 176 pubblica il «Monologion». Nel 1093 diventa arcivescovo di Canterbury. A causa di dissapori con il potere politico è costretto all’esilio a Roma due volte. Muore a Canterbury nel 1109. (Avvenire)
Etimologia: Anselmo = protetto da Dio, Dio gli è elmo, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Anselmo, vescovo e dottore della Chiesa, che, originario di Aosta, fu dapprima monaco nel monastero di Bec nella Normandia in Francia; divenutone abate, insegnò ai suoi confratelli a progredire sulla via della perfezione e a cercare Dio con l’intelletto della fede; promosso poi all’insigne sede di Canterbury in Inghilterra, lottò strenuamente per la libertà della Chiesa, sopportando per questo sofferenze e l’esilio.
Il celeberrimo Sant’Anselmo è una tra le più grandi glorie del Piemonte e della Valle d’Aosta, essendo nato verso il 1033 ad Aosta da madre piemontese. I suoi genitori erano nobili e ricchi: sua madre Ermemberga era una perfetta madre di famiglia, mentre suo padre Gandolfo viveva immerso nei suoi impegni secolari. Anselmo sin dalla sua infanzia sognò di poter raggiungere Dio e nella sua semplicità ipotizzava che risiedesse sulla sommità delle montagne. Già avido di sapere, fu affidato ad un parente per un’accurata educazione, ma non essendo stato compreso dal brutale maestro cadde in una terribile crisi d’ipocondria. Per guarirlo occorsero tutto il tatto e l’amorevolezza della mamma, la quale finalmente lo affidò poi ai benedettini d’Aosta. All’età di quindici anni Anselmo iniziò a sentire il desiderio di farsi monaco, ma il padre non ne volle sapere preferendo farlo erede dei suoi averi. Le attrattive del mondo e le passioni prevalsero allora sul giovane, specialmente dopo la morte della madre. Il padre, che morì poi monaco, lo prese in tale avversione che Anselmo decise di abbandonare la famiglia e la patria in compagnia di un servo.
Dopo tre anni trascorsi tra la Borgogna e la Francia centrale, Anselmo si recò ad Avranches, in Normandia, ove venne a conoscenza dell’abbazia del Bec e della sua scuola, fondata nel 1034. Vi si recò per conoscere il priore, Lanfranco di Pavia, e restare presso di lui, come tanti altri chierici attratti dalla fama del suo sapere. I progressi nello studio furono tanto sorprendenti che lo stesso Lanfranco prese a prediligerlo ed addirittura a farsi coadiuvare da lui nell’insegnamento. In tale contesto Anselmo sentì rinascere in sé il desiderio di vestire l’abito monacale. Avrebbe però altri posti dove poter sfoggiare la sua sapienza senza dover competere con il maestro Lanfranco, ma non trovando valide alternative nel 1060 entrò nel seminario benedettino del Bec. Dopo soli tre anni di regolare osservanza meritò di succedere a Lanfranco nella carica di priore e di direttore della scuola, visto che quest’ultimo era stato destinato a governare l’abbazia di Saint’Etienne-de-Caen. Nonostante il moltiplicarsi delle responsabilità, Anselmo non trascurò di dedicarsi sempre più a Dio ed allo studio, preparandosi così a risolvere le più oscure questioni rimaste sino ad allora insolute. Non bastandogli le ore diurne per approfondire le Scritture ed i Padri della Chiesa, egli soleva trascorrere parte della notte in preghiera e correggendo manoscritti. Ci si può fare un’idea del suo insegnamento leggendo gli opuscoli ed i dialoghi da lui lasciati, alcuni dei quali sono veri e propri piccoli capolavori pedagogici e dogmatici.
Sant’Anselmo fu indubbiamente un grande speculativo, ma anche un grande direttore di anime. La fama del suo monastero si sparse ovunque ed attirò un’élite avida di scienza e di perfezione religiosa. Egli se ne occupava in prima persona con cura speciale. Molte delle sue 447 lettere mostrano l’arte che possedeva per guadagnare i cuori, adattandosi all’età di ciascuno e puntando sull’affabilità dei modi. Alla morte dell’abate Herluin, il 26 agosto 1078 i confratelli all’unanimità designarono Anselmo a succedergli. L’acutezza dell’intelligenza, la straordinaria dolcezza di carattere e la santità della vita gli meritarono un immenso ascendente tanto nel monastero quanto fuori. Intraprese relazioni con il maestro Lanfranco, nominato arcivescovo di Canterbury nel 1070, e collaborò all’organizzazione di alcuni monasteri inglesi: ciò gli permise inoltre di farsi conoscere dalla nobiltà del paese ed apprezzare dalla corte di Londra.
Nel 1076 Anselmo pubblicò il “Monologion” per soddisfare il desiderio dei monaci di meditare sull’essenza divina. Questa sua prima opera si rivelò un capolavoro per la densità e lucidità di pensiero circa l’esistenza di Dio, i suoi attributi e la Trinità. Ad essa seguì il “Proslogion”, più celebre della precedente per l’assai discusso argomento che escogitò a dimostrazione dell’esistenza dell’Essere supremo, in sostituzione dei lunghi e noiosi ragionamenti che aveva esposto nel “Monologion”. “Dio è l’essere di cui non si può pensare il maggiore; il concetto di tale essere è nella nostra mente, ma tale essere deve esistere anche nella realtà, fuori della nostra mente, perché, se esistesse solo nella mente, se ne potrebbe pensare un altro maggiore, uno, cioè, che esistesse non solo nella mente, ma anche nella realtà fuori di essa”.
La fama di Anselmo si diffuse ancora di più in tutta Europa. Era talmente venerato e amato in Inghilterra che il 6 marzo 1093, in seguito alle pressioni dei vescovi, dei signori e di tutto il popolo, fu eletto dal re Guglielmo II il Rosso arcivescovo di Canterbury, sede ormai vacante dalla morte di Lanfranco avvenuta nel 1089. La sua resistenza fu tenace ma inutile ed in riferimento alle difficoltà d’intesa tra il re e il primate affermò con i vescovi ed i nobili che l’accompagnavano: “Voi volete soggiogare insieme un toro non domo e una povera pecora. Il toro trascinerà la pecora tra i rovi e la farà a pezzi senza che sia servita a nulla. La vostra gioia si muterà in tristezza. Vedrete la chiesa di Canterbury ricadere nella vedovanza vivente il suo pastore. Nessuno di voi oserà resistere dopo di me e il re vi calpesterà a piacimento”.
La situazione della Chiesa inglese era effettivamente molto triste in quel periodo a causa della simonia, della decadenza dei costumi e della violazione della libertà religiosa da parte del re. Sant’Anselmo tentò di rimediare a tutto ciò, nella scia della riforma adottata da San Gregorio VII. Non destò quindi meraviglia se, nel 1095, scoppiò tra l’autorità secolare e quella religiosa un aspro conflitto circa il riconoscimento del pontefice Urbano II. Nulla convinse l’arcivescovo a recedere dal suo proposito e, dopo molte difficoltà, nel 1097 poté recarsi a Roma per consultare il papa stesso. Questi lo ricevette con grandi manifestazioni di stima e nel 1098 lo invitò al Concilio di Bari, convocato per ricondurre all’unità della Chiesa gli aderenti allo scisma consumatosi nel 1054 tra Oriente ed Occidente. Nelle questioni discusse Sant’Anselmo apparve come il teologo dei latini, confutando vittoriosamente le obiezioni degli avversari contro la processione dello Spirito Santo da parte di entrambe la altre persone della Santissima Trinità. Nel 1099 prese ancora parte al sinodo di Roma, in cui furono ribaditi i decreti contro la simonia, il concubinato dei chierici e la reinvestitura laica. Partì poi per Lione, ove fu però costretto a trattenersi poiché il re non lo autorizzava a tornare alla sua sede. In Italia aveva completato il suo grande trattato sui “Motivi dell’Incarnazione”, mentre a Lione ne ultimò un altro “Sulla nascita verginale di Cristo e il peccato originale”.
Nel 1110 Enrico Beauclerc successe al fratello Guglielmo sul trono inglese e, desiderando avere l’arcivescovo di Canterbury tra i suoi sostenitori, lo invitò a ritornare. Il nuovo sovrano non aveva però alcuna intenzione di rinunciare a spadroneggiare sulla Chiesa, motivo per cui nel 1103 Anselmo, inflessibile nella difesa dei suoi diritti, dovette una seconda volta andare in esilio a Roma. Dopo lunghe trattative con il nuovo papa Pasquale II, il sovrano rinunciò infine all’investitura dei feudi ecclesiastici, accontentandosi solo dell’omaggio. Nel 1106 il primate poté così ritornare nella sua sede e dedicare all’intenso lavoro pastorale gli ultimi anni della sua vita. Non potendo più camminare, si faceva quotidianamente trasportare in chiesa per assistere alla Messa. Sul letto di morte provò solo il rimpianto di non aver avuto tempo sufficiente per poter chiarire il problema dell’origine dell’anima. Sant’Anselmo morì il 21 aprile 1109 a Canterbury e fu sepolto nella celebre cattedrale. Il pontefice Alessandro III nel 1163 concesse all’arcivescovo Tommaso Becket, di procedere all’“elevazione” del corpo del suo predecessore, atto che a quel tempo corrispondeva a tutti gli effetti ad un’odierna canonizzazione. Sant’Anselmo d’Aosta fu infine annoverato tra i Dottori della Chiesa da Clemente XI l’8 febbraio 1720. Il Martyrologium ROmanum ed il calendario liturgico della Chiesa universale commemorano il santo nell’anniversario della nascita al cielo. Aosta, sua città natale, ha dedicato la strada principale del centro storico alla memoria del suo figlio più celebre.
Autore: Fabio Arduino
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100420
Martedì della III settimana di Pasqua : Jn 6,30-35
Meditazione del giorno
San Giustino (circa 100 -160), filosofo, martire
Prima Apologia, 67.66 ; PG 6, 427-431
«Il pane del cielo, quello vero »
Nel giorno chiamato « del Sole » [la domenica] ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: « Amen ».
Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come Gesù Cristo, il nostro Salvatore incarnatosi, per la parola di Dio, prese carne e sangue per la nostra salvezza, così abbiamo appreso che anche quel nutrimento, consacrato con la preghiera che contiene la parola di Lui stesso e di cui si nutrono il nostro sangue e la nostra carne per trasformazione, è carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: « Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo ». E parimenti, preso il calice e rese grazie disse: « Questo è il mio sangue »; e ne distribuì soltanto a loro (Mt 26,26s; 1 Cor 11,23s)… Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti.