Archive pour le 8 avril, 2010

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CARD. CARLO MARIA MARTINI : IL SABATO SANTO DI MARIA…

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano10/preg_martini2.htm

CARD. CARLO MARIA MARTINI

IL SABATO SANTO DI MARIA… 
 

Tu, o Maria,
sei Madre del dolore.
Tu sei colei che non cessa di amare Dio,
nonostante la sua apparente assenza,
e in Lui non si stanca di amare i suoi figli,
custodendoli nel silenzio dell’attesa.
Nel tuo Sabato Santo, o Maria,
sei l’icona della Chiesa dell’amore,
sostenuta dalla fede più forte della morte,
e viva nella carità
che supera ogni abbandono.
O Maria,
ottienici quella consolazione profonda,
che ci permette di amare
anche nella notte della fede e della speranza,
e quando ci sembra di non vedere
neppure più il volto del fratello!
Donaci quell’intima consolazione della vita,
che accetta di pagare volentieri,
in unione col cuore di Cristo,
questo prezzo della salvezza.
Fa’ che il nostro piccolo seme
accetti di morire,
per portare molto frutto!
Amen!

Publié dans:Maria Vergine, preghiere |on 8 avril, 2010 |Pas de commentaires »

Sabato Santo : Silenzio di Dio, silenzio dell’uomo

dal sito:

http://www.smsd.it/pls/smsd/v3_s2ew_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=581

Sabato Santo : Silenzio di Dio, silenzio dell’uomo

Enzo Bianchi

Può apparire paradossale parlare del sabato santo perché per i cristiani è un giorno contrassegnato dal silenzio, un giorno che potrebbe apparire “tempo morto”, svuotato di senso. Anche i vangeli tacciono su questo “grande sabato”: il racconto della passione di Gesù si arresta alla sera del venerdì, all’apparire delle prime luci del sabato e riprende solo con l’alba del primo giorno della settimana, il terzo giorno, appunto. Giorno vuoto, dunque? Nella tradizione cristiana occidentale, il sabato santo è l’unico giorno senza celebrazione eucaristica, l’unico giorno restato “aliturgico”, senza celebrazioni particolari: tacciono le campane, non ci sono fiammelle accese nelle chiese spoglie, né canti… Anche la preghiera dei cristiani si fa silenziosa ed è carica soprattutto di attesa: attesa di ciò che muterà profondamente ogni cosa, ogni storia. Certo, sappiamo bene che la Pasqua è un evento avvenuto ephápax, “una volta per tutte”, il 9 aprile dell’anno 30 della nostra era, sappiamo che Cristo ormai risorto non muore più, siamo consapevoli di non celebrare un mistero ciclico come facevano i pagani… E tuttavia siamo chiamati a vivere questo giorno cogliendone il messaggio proprio: lo viviamo nella fede che il Signore crocifisso è vivente in mezzo a noi ma, discernendo all’interno del triduo pasquale il secondo giorno come giorno di silenzio, di attesa, del non detto, noi assumiamo una dimensione che ci abita sempre e che alcune volte – nella vita nostra, o degli altri o di interi popoli – è la dimensione durevole, non momentanea, non passeggera.
Sabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale: Dov’è Dio? E questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che era intervenuto al battesimo di Gesù, aprendo i cieli per dirgli: “Tu sei mio figlio, di te provo molta gioia” (Mc 1,11)? Dov’è quel Dio che era intervenuto sull’alto monte, nell’ora della trasfigurazione con Mosè ed Elia e aveva esclamato: “Ecco mio figlio, l’a¬mato!” (Mc 9,7)? Nell’ora della croce Dio non è intervenuto, a tal punto che Gesù si è sentito abbandonato da lui e glielo ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Ecco, un giorno intero passa e non c’ è intervento di Dio…
Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spi¬rito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione. “Discese agli inferi” confessiamo nel Credo. Ecco ciò che nel nascondimento avviene al sabato santo: giorno vuoto, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre – che “opera sempre” (cf. Gv 5,17), come ha detto Gesù – attraverso di lui porta negli inferi la salvezza. Come Giona nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12,40), così anche Gesù dalla croce fu deposto nella tomba e, da lì, discese ancora, agli inferi, allo sheol dove dimorano i morti.
Mistero grande, sul quale oggi la chiesa sembra preferire tacere, quasi fosse afona. Eppure i padri della chiesa, e soprattutto la liturgia antica, hanno voluto cantare anche questa “azione” di Gesù dopo la sua morte. In un’omelia attribuita a Epifanio sta scritto: “Oggi sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”. E un inno di Efrem il Siro così canta: “Colui che disse ad Adamo ‘Dove sei?’ è sceso agli inferi dietro a lui, l’ha trovato, l’ha chiamato e gli ha detto: ‘Vieni, tu che sei a mia immagine e somiglianza! Io sono disceso dove tu sei per riportarti alla tua terra promessa!”’. Gesù, disceso agli inferi con la sua morte – una morte diventata “atto”, una morte assunta e vissuta – ha distrutto la morte stessa in un mirabile combattimento, come ricorda anche la liturgia siriaca: “Tu, Signore Gesù, hai combattuto con la morte durante i tre giorni del tuo dimorare nella tomba, hai seminato la gioia e la speranza tra quelli che abitavano gli inferi”.
Così la discesa agli inferi diventa estensione della sal¬vezza a tutto il cosmo, salvezza dell’essere umano nella sua interezza: Cristo scende nel cuore della terra, nel cuore della creazione, nelle zone infernali che abitano ogni uomo. Che ne è, dunque, degli inferi dopo la “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi – di cui parla l’apostolo Pietro: “messo a morte nella carne, ma reso vivente nello Spirito.., andò ad annunciare la salvezza agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19) – ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. Dov’è, o inferno, la tua vittoria?
Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mi¬stero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù. Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate, territori di incredulità, luoghi dove Dio non c’è e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché le evangelizzi, le illumini, le trasformi da regioni di morte assoggettate alla potenza del demonio in humus capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo e come il tempo della gravidanza, è un crescere del tempo verso il parto, verso il trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma tempo carico di energie e di vita.
Come non pensare al secolo che ci sta alle spalle come al secolo in cui il sabato santo è stata l’esperienza di molti credenti in Gesù e di altri uomini la cui fede solo Dio conosce e giudica? Nei campi di sterminio sotto il nazismo, nei gulag e nelle prigioni sovietiche, in tanti paesi in cui l’ideologia atea comunista ha ridato martiri alla chiesa, quale profondo sabato santo… Anni fa, in Cina ho incontrato un vescovo di quella chiesa ufficialmente non in comunione con Roma che in latino mi ha detto: “Noi viviamo il sabato santo, ma siamo in attesa della Pasqua: verrà! Dica al Santo Padre che lo amiamo!”. Sabato santo, Dio sembra assente, il male sembra prevalere, il dolore appare senza senso e Dio, dov’è? Sabato santo a volte anche per chi nel suo cammino di fede trova le tenebre, vede vacillare la propria fede, non riesce a nutrire speranza: giorno di insensibilità, in cui ogni fiducia sembra inaccessibile, troppo grande perché la si possa concepire. Sabato santo di molti malati, soprattutto quelli affetti dall’AIDS, legati a Cristo nella sua vergogna… Ma sabato santo anche come tempo in cui il sangue dei martiri e delle vittime cade come seme a terra per fecondarla in vista di un frutto abbondante, tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… Ognuno allora potrà dire del suo sabato santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). Non c’è aurora di Pasqua senza sabato santo.

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OSSERVATORE ROMANO 4 APRILE 2010: Discese il Pastore di tutti per cercare Adamo pecora smarrita

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#3

OSSERVATORE ROMANO 4 APRILE 2010

La Pasqua nella tradizione siro-occidentale

Discese il Pastore di tutti per cercare Adamo pecora smarrita

di Manuel Nin

I testi liturgici del grande Venerdì della crocefissione nella tradizione siro-occidentale introducono già il tema della discesa di Cristo negli inferi per riscattare Adamo e diventare così il ponte tra le tombe e il Regno. Come nelle altre tradizioni orientali, i testi mettono in bocca alla Madre di Dio pianto e gioia, lutto e speranza:  « Chi mi darà, Figlio mio, le ali dell’aquila, affinché io possa volare verso le quattro parti dell’universo per invitare tutte le nazioni alla celebrazione della tua crocifissione. Oggi, vedendo come sei messo nella tomba, Figlio mio, io piango e mi rallegro; piango per la Sinagoga espulsa e mi rallegro per la Chiesa riscattata ».
Un prete presenta la croce alla venerazione del vescovo o del celebrante, che l’incensa e la regge mentre clero e popolo la venerano:  « Adoriamo la tua croce, poiché essa ha adoperato la nostra salvezza; col buon ladrone diciamo:  Cristo, ricordati di noi quando verrai di nuovo ». Dopo la venerazione si fa la grande esaltazione della croce:  il vescovo l’innalza e canta guardando verso oriente, verso occidente, verso settentrione e verso meridione:  « Tu che sei stato crocifisso per noi, abbi pietà di noi ».
La croce viene poi lavata, unta e sepolta sotto l’altare, e il vescovo conclude:  « Benedetto Cristo, che è stato la chiave che ha aperto le porte dello sheol e per lui Adamo, che era stato espulso dal paradiso, vi è ritornato ». Sant’Efrem associa il mattino di questo giorno con quello di Pasqua, dando a Cristo il titolo di mattino:  « Gloria a te, Cristo Mattino, che ci hai riscattati per mezzo del tuo mattino. Ecco al mattino finì la seduta del tribunale formato dai sacerdoti, autori del crimine. Al mattino ti flagellarono, pieni di gelosia; ti presero e ti consegnarono al giudice, ma tu come Signore, sei la fonte della vita per chiunque crede in te. Al mattino tu rivestisti Adamo di bellezza, di gloria, di splendore, e al mattino con delle vesti di disprezzo ti hanno rivestito. Al mattino uscì dall’Egitto il popolo, e al mattino gli fece caricare la croce sulle spalle e lo fece uscire verso la morte. A te la gloria da parte di tutte le cose belle:  Tu sei lo splendore di tutte le costellazioni! Tu sei colui che riveste di bellezza tutte le piante e tutti i fiori ».
Nel Sabato Santo e a Pasqua, la liturgia si sofferma sulla discesa di Cristo negli inferi per riscattare Adamo e tutti gli uomini, e un testo mette in parallelo il venerdì e il sabato:  « Ieri, venerdì, le sofferenze, la condanna, la croce, e oggi, sabato, la calma e il riposo. Ieri gli scribi e i sacerdoti facevano beffa, oggi i morti nella polvere cantano la lode; ieri le rocce si spaccarono, oggi la tomba si apre nella gioia. Oggi lo sheol, come aprile, fa sentire i suoi canti di gioia e i morti sono come fiori che germogliano, oggi la morte si rattrista vedendo Adamo, prima incatenato, oggi libero ».
Il mattutino del Sabato Santo canta diversi inni di Efrem, dove si sottolinea la redenzione operata da Cristo:  « Volò e discese quel Pastore di tutti:  cercò Adamo, pecora smarrita, sulle proprie spalle la portò e salì. Asperse rugiada e pioggia vivificante su Maria, terra assetata. Come un chicco di grano cadde poi nello sheol e salì come covone e pane nuovo. Dall’alto la potenza discese per noi, e dal ventre di Maria la Speranza rifulse per noi. Dal sepolcro la Vita risorse per noi ».
Nel commento al Vangelo Efrem accosta i due nomi di Maria e Giuseppe nella nascita di Cristo e nella sua sepoltura:  « Eva, tipo di Maria, e Giuseppe dell’altro Giuseppe. Uno fu colui che chiese il corpo di Gesù, l’altro colui che fu giusto. Il Signore, affidato a Giuseppe alla sua nascita, fu dall’altro Giuseppe sepolto dopo la morte, affinché il nome di Giuseppe fosse onorato, perché come alla sua nascita nella grotta anche alla sua deposizione nel sepolcro lui era presente ».
La liturgia di Pasqua contempla il giorno in cui Cristo vince la morte e lo invita, quasi personificandolo:  « In questo giorno con grande gioia noi diciamo:  Vieni in pace, giorno nuovo che hai annientato l’antica notte. Vieni in pace, primogenito dei giorni. Vieni in pace, fiore della risurrezione, che riempi di gioia i tristi e porti soccorso ai deboli. Vieni in pace, giorno nuovo senza tramonto. L’altro ieri il pastore è stato colpito e le pecore smarrite; oggi esse si radunano nella gioia e nell’esultanza. Oggi gli angeli si radunano presso la tomba, fanno rotolare la pietra e vi si siedono. L’altro ieri sono stato crocifisso con Cristo, oggi sono con lui glorificato ».

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno 33-1225207631M1uf
http://www.publicdomainpictures.net/browse-category.php?page=230&c=&s=1

Paolo VI : « Pace a voi »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100408

Giovedì fra l’Ottava di Pasqua : Lc 24,35-48

Meditazione del giorno
Paolo VI, papa dal 1963 al 1978
Allocuzione del 9/4/1975

« Pace a voi »

        Fermiamo la nostra attenzione sull’improvviso saluto, tre volte ripetuto nel medesimo contesto evangelico, di Gesù risorto, apparso ai suoi discepoli, raccolti e chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei ; il saluto che doveva essere allora consueto, ma che nelle circostanze in cui è pronunciato acquista una pienezza stupefacente ; lo ricordate, è questo : « Pace a voi ! » Un saluto che era risuonato nel canto angelico del Natale (Lc 2, 14) : « Pace in terra » ; un saluto biblico, già preannunciato come promessa effettiva del regno messianico (Gv 14, 27), ma ora comunicato come una realtà che è inaugurata da quel primo nucleo di Chiesa nascente : la pace, la pace di Cristo vittorioso della morte e delle sue cause vicine e lontane, dei suoi effetti tremendi ed ignoti.

        Gesù risorto annuncia, anzi infonde la pace agli animi smarriti dei suoi discepoli. È la pace del Signore nel suo primo significato, quello personale, quello interiore, quello che S. Paolo iscrive nella lista dei frutti dello Spirito, dopo la carità e il gaudio, quasi confuso con essi (Ga 5, 22). Che cosa v’è di meglio per un uomo cosciente ed onesto ? La pace della coscienza non è il migliore conforto che noi possiamo trovare in noi stessi ? …

        La pace della coscienza è la prima autentica felicità. Essa aiuta ad essere forti nelle avversità ; essa conserva la nobiltà e la libertà della persona umana nelle condizioni peggiori, in cui essa si può trovare ; la pace della coscienza per di più rimane la fune di salvataggio, cioè la speranza, … quando la disperazione dovrebbe avere il sopravvento nel giudizio di sé. … È il primo dono fatto da Cristo risorto ai suoi, cioè il sacramento del perdono, un perdono che risuscita.

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