Into the Harbour of the Sacred Passion

dal sito:
http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/rahner_ratzinger_s_santa4.htm
JOSEPH RATZINGER
SETTIMANA SANTA
Queriniana
Giovedì santo. Ora santa al Gethsemani
1. La presenza di Gesù e della sua vita
2. La presenza dell’agonia di Gesù al Gethsemani
3. La presenza dell’agonia di Gesù in noi
Venerdì santo
Prima meditazione
Seconda meditazione
Preghiera
Venerdì santo. Le sette parole
Preghiera di preparazione
prima parola: Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno
seconda parola: In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso
terza parola: Donna, ecco tuo Figlio – Figlio, ecco tua madre
quarta parola: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
quinta parola: Ho sete!
sesta parola: È compiuto
settima parola: Padre, nelle tue mani raccomando l’anima mia
Sabato santo
INDICE
Prima meditazione
Seconda meditazione
Terza meditazione
Preghiera
JOSEPH RATZINGER
SABATO SANTO
Prima meditazione
Con sempre maggior insistenza si sente parlare nel nostro tempo della morte di Dio. Per la prima volta, in Jean Paul, si tratta solo di un sogno da incubo: Gesù morto annuncia ai morti, dal tetto del mondo, che nel suo viaggio nell’al di là non ha trovato nulla, né cielo, né Dio misericordioso, ma solo il nulla infinito, il silenzio del vuoto spalancato. Si tratta ancora di un sogno orribile che viene messo da parte, gemendo nel risveglio, come un sogno appunto, anche se non si riuscirà mai a cancellare l’angoscia subìta, che stava sempre in agguato, cupa, nel fondo dell’anima.
Un secolo dopo, in Nietzsche, è una serietà mortale che si esprime in un gridò stridulo di terrore: «Dio è morto! Dio rimane morto! E noi lo abbiamo ucciso!». Cinquant’anni dopo, se ne parla con distacco accademico e ci si prepara ad una ‘teologia dopo la morte di Dio, ci si guarda intorno per vedere come poter continuare e si incoraggiano gli uomini a prepararsi a prendere il posto di Dio. Il mistero terribile del sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato quindi nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel credo con le parole: «disceso agli inferi», disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po’ titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione. Sabato santo: giorno della sepoltura. di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo ad essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, per cui si preparano pieni di vergogna ed angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro? Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso: ci siamo propriamente accorti che questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e che noi spesso nelle nostre via crucis abbiamo fatto risonare qualcosa di simile senza svolgere la realtà straordinaria di quanto dicevamo? Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo in una forma di pietà senza contenuto e perduta nel giro delle frasi devozionali o delle preziosità archeologiche; noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui, giacché cosa avrebbe potuto rendere più problematico in questo mondo Dio se non la problematicità della fede e dell’amore dei credenti?
L’oscurità divina di questo giorno, di questo secolo che diventa in misura sempre maggiore un Sabato santo, parla alla nostra coscienza. Anche noi abbiamo a che fare con essa. Ma nonostante tutto essa ha in sé qualcosa di consolante. La morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Ed ancora una cosa: solo attraverso il fallimento del Sabato santo, solo attraverso il silenzio di morte di questo giorno, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù e di ciò che il suo messaggio stava a significare in realtà.
Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. L’immagine che si etano formata di Dio, nella quale avevano tentato di costringerlo, doveva essere distrutta perché essi attraverso le macerie della casa diroccata potessero vedere il cielo, lui stesso, che rimane sempre infinitamente più grande. Noi abbiamo bisogno del buio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui.
C’è una scena nel vangelo che anticipa in maniera straordinaria il silenzio del Sabato santo e appare quindi ancora una volta come il ritratto del nostro momento storico. Cristo dorme in una barca che, sbattuta dalla tempesta, sta per affondare. Il profeta Elia aveva una volta irriso i preti di Baal, che inutilmente invocavano a gran voce il loro dio perché volesse far discendere il fuoco sul sacrificio, esortandoli a gridare più forte, caso mai il loro dio stesse a dormire. Ma Dio non dorme realmente? Lo scherno del profeta non tocca alla fin fine anche i credenti. del Dio di Israele che viaggiano con lui in una barca che sta per affondare? Dio sta a dormire mentre le sue cose stanno per affondare, non è questa la esperienza della nostra vita? La chiesa, la fede, non assomigliano ad una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente? I discepoli gridano nella disperazione estrema e scuotono il Signore per svegliarlo, ma egli si mostra meravigliato e rimprovera la loro poca fede. Ma è diversamente per noi? Quando la tempesta sarà passata ci accorgeremo di quanta stoltezza fosse carica la nostra poca fede. E tuttavia o Signore non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi e gridarti: Svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo, lascia cadere un raggio di Pasqua, anche sui nostri giorni, accompagnati a noi quando ci avviamo disperati verso Emmaus perché il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza. Tu che hai guidato in maniera nascosta le vie di Israele. per essere alla fine uomo con gli uomini, non ci lasciare nel buio, non permettere che la tua parola si perda nel gran sciupio di parole di questi tempi. Signore dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo. Amen.
Seconda meditazione
Il nascondimento di Dio in questo mondo costituisce il vero mistero del Sabato santo, mistero accennato già nelle parole enigmatiche secondo cui Gesù è disceso all’inferno. Nello stesso tempo l’esperienza del nostro tempo ci ha offerto un approccio completamente nuovo al Sabato santo, giacché il nascondimento di Dio nel mondo che gli appartiene e che dovrebbe con mille lingue annunciare il suo nome, l’esperienza della impotenza di Dio che è tuttavia l’onnipotente – questa è l’esperienza e la miseria del nostro tempo.
Ma anche se il Sabato santo ci si è avvicinato profondamente, anche se noi comprendiamo il Dio del Sabato santo più della manifestazione potente di Dio in mezzo ai tuoni e i lampi, di cui parla il Vecchio Testamento, rimane tuttavia insoluta la questione di sapere cosa si intende veramente quando si dice in maniera misteriosa che Gesù ‘è disceso all’inferno’. Diciamolo con tutta chiarezza: nessuno è in grado di spiegarlo. Né diventa più chiaro dicendo che qui inferno è una cattiva traduzione della parola ebraica sheol, che sta ad indicare semplicemente tutto il regno dei morti, per cui la formula vorrebbe originariamente dire soltanto che Gesù è disceso nella profondità della morte, è realmente morto ed ha partecipato all’abisso del nostro destino di morte. Infatti sorge allora la domanda: cos’è realmente la morte è cosa accade effettivamente quando si scende nelle profondità della morte? Dobbiamo qui porre attenzione al fatto che la morte non è più la stessa cosa dopo che Cristo l’ha subìta, dopo che egli l’ha accettata e penetrata, così come la vita, l’essere umano, non sono più la stessa cosa dopo che in Cristo la natura umana poté venire a contatto, e- di fatto venne, con l’essere proprio di Dio. Prima la morte era soltanto morte, separazione dal paese dei viventi e, anche se con diversa profondità, qualcosa come ‘inferno’, rovescio dell’esistere, buio impenetrabile. Adesso però la morte è anche vita e quando noi oltrepassiamo la glaciale solitudine della soglia della morte, ci incontriamo sempre nuovamente con colui che è la vita, che è voluto divenire il compagno della nostra solitudine ultima e che, nella solitudine mortale della sua angoscia nell’orto degli ulivi e del suo grido sulla croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? », è divenuto partecipe delle nostre solitudini. Se un bambino si dovesse avventurare solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non ci sarebbe alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un nome, ma nel buio sperimenta t’insicurezza, l’essere-fuori-di-sé, il carattere sinistro dell’esistenza in sé. Solo una parola umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. Si dà un’angoscia quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere cacciata via mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. Quest’angoscia infatti non ha. un oggetto a cui si possa dare un nome, ma solo l’estraneità della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere più raggiunta dalla parola trasformatrice dell’amore, allora noi parliamo di .inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente così- ottimistico, sono dell’avviso che ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso all’ultima e vera profondità dell’altro e che quindi nel fondo ultimò di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l’inferno. Jean-Paul Sartre ha espresso questo poeticamente. in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo della sua dottrina sull’uomo. Una cosa è certa: si dà una notte nel cui abbandono buio non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l’angoscia di questo mondo è in ultima analisi l’angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a quello con cui si indicava l’inferno: sheol. La morte infatti è solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall’amore, che è talmente profonda che l’amore non può più accedere ,ad essa, è l’inferno.
«Disceso all’inferno» – questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile ed, inaccostabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. L’inferno è stato vinto dal momento in cui l’amore è penetrato in esso e la terra « di nessuno della solitudine è stata abitata da lui. Nella sua profondità. l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e può amare. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita: ai tuoi fedeli o Signore la vita non è tolta, ma trasformata, – prega la chiesa nella liturgia funebre.
Nessuno può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: «disceso all’inferno». Ma se qualche volta ci è dato di avvicinarci all’ora della nostra solitudine ultima, potremo comprendere qualcosa della grande chiarezza di questo mistero buio. Nella certezza sperante che in quell’ora di estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso presagire qualcosa di quello che avverrà. Ed in mezzo alla nostra protesta contro il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi proprio da questo buio.
Terza meditazione
Nel breviario romano la liturgia del triduo sacro è strutturata con una cura particolare; la chiesa . nella ~ma preghiera vuole per cosi dire trasferirei nella realtà della passione del Signore e, al di là delle parole, nel centro spirituale di ciò che è accaduto. Se si volesse tentare di contrassegnare in poche battute la liturgia orante del Sabato santo, allora bisognerebbe soprattutto parlare dell’effetto di pace profonda che traspira da essa. Cristo è penetrato nel nascondimento (Verborgenheit), ma nello stesso tempo, proprio nel cuore del buio impenetrabile, egli è penetrato nella sicurezza (Geborgenheit), anzi egli è diventato la sicurezza ultima. Ormai è diventata vera la parola ardita del salmista: ed anche se mi volessi nascondere nell’inferno, anche là sei tu. E quanto più si percorre questa liturgia, tanto più si scorgono brillate in essa; come una’aurora del mattino, le prime luci della Pasqua. Se il Venerdì santo ci pone davanti agli occhi la figura sfigurata del trafitto, la liturgia del Sabato santo si rifà piuttosto alla immagine della croce cara alla chiesa antica: alla croce circondata dà raggi luminosi, segno, nello stesso tempo della morte e della risurrezione.
Il Sabato santo ci rimanda così ad un aspetto della pietà cristiana che forse. è stato smarrito nel corso dei tempi. Quando noi nella preghiera pensiamo alla croce, vediamo per lo più in essa un segno della passione storica del Signore sul Golgotha. Le origini della devozione alla croce sono però diverse: i cristiani pregavano rivolti ad Oriente per esprimere la loro speranza che Cristo, il sole vero, sarebbe sorto sulla storia, per esprimere quindi la loro fede nel ritorno del Signore. La croce è in un primo tempo legata strettamente con questo orientamento della preghiera, essa viene rappresentata per così dire come una insegna che il re inalbererà nella sua venuta; nell’immagine della croce la punta avanzata del corteo è già arrivata in mezzo a coloro che pregano.
Per il cristianesimo antico la croce è quindi soprattutto segno della speranza. Essa non implica tanto un riferimento al Signore passato, quanto al Signore che sta per venire. Certo era impossibile sottrarsi alla necessità intrinseca che, con il passare del tempo, lo sguardo si rivolgesse anche all’evento passato: contro ogni fuga nello spirituale, contro ogni misconoscimento dell’incarnazione di Dio, occorreva che fosse difesa la prodigalità costernante dell’amore di Dio che, per amore della misera creatura umana è diventato egli stesso un uomo, e quale uomo! Occorreva difendere la santa stoltezza dell’amore di Dio che non ha scelto di pronunciare una parola di potenza, ma di percorrere la via dell’impotenza per mettere alla gogna il nostro sogno di potenza e vincerlo dall’interno.
Ma così non abbiamo dimenticato un po’ troppo la connessione tra: croce e speranza, l’unità tra l’Oriente e la direzione della croce, tra passato e futuro esistente nel cristianesimo? Lo spirito della speranza che alita sulle preghiere del Sabato santo dovrebbe nuovamente penetrare tutto il nostro essere cristiano. Il cristianesimo non è soltanto una religione del passato, ma, in misura non minore, del futuro; la sua fede è ,nello stesso tempo speranza, giacché Cristo non è soltanto il morto ed il risorto ma anche colui che sta per venire.
O Signore, illumina le nostre anime con questo mistero della speranza perché riconosciamo la luce che è irraggiata dalla tua croce, concedici che come cristiani procediamo protesi al futuro, incontro al giorno della tua venuta.
Preghiera
Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte tu hai fatto che sorgesse una luce; nell’abisso della solitudine più profonda abita ormai per sempre la protezione potente del tuo amore; in mezzo al tuo nascondimento possiamo ormai cantare l’alleluia dei salvati. Concedici l’umile semplicità della fede, che non si lascia fuorviare quando tu ci chiami nelle ore del buio, dell’abbandono, quando tutto sembra: apparire problematico; concedici in questo tempo nel quale attorno a te si combatte una lotta mortale, luce sufficiente per non perderti; luce sufficiente perché noi possiamo darne a quanti ne hanno ancora più bisogno. Fai brillare il mistero della tua gioia pasquale, come aurora del mattino, nei nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al Sabato santo della storia. Concedici che attraverso i giorni luminosi ed oscuri di questo tempo possiamo sempre con animo lieto trovarci io cammino verso la tua gloria futura.
Amen.
Alla Passiflora per la sua particolare forma viene attribuita una mistica e complessa rappresentazione. Infatti questo fiore, chiamato volgarmente « fiore della Passione », racchiude nella sua corolla tutti gli elementi simbolici che ricordano il sacrificio di Cristo: un cerchio di filamenti purpurei rappresenta la corona di spine, i tre stili raffigurano i chiodi, lo stame il martello, i petali ricordano gli Apostoli, i viticci della pianta, poi raffigurano la frusta della flagellazione.
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100402
Venerdì Santo « In Passione Domini » : Jn 18,1-40#Jn 19,1-42
Meditazione del giorno
San Germano di Costantinopoli (? – 733), vescovo
In Domini corporis supulturam ; PG 98, 251-260
Il trono della croce
« Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse » (Is 9, 1), la luce della redenzione. Visto il Tiranno ferito a morte, questo popolo torna dalle tenebre alla luce ; passa dalla morte alla vita.
Il legno della croce porta colui che ha fatto l’universo. Subendo la morte per la mia vita, colui che porta l’universo è appeso al legno come un morto ; colui che dona la vita ai morti rende l’ultimo respiro sul legno. Non si vergogna della croce, la che, come un trofeo, attesta la sua vittoria totale. Siede da giusto giudice sul trono della croce. La corona di spine che porta sulla fronte conferma la sua vittoria. « Abbiate fiducia ; io, portando il peccato del mondo, ho vinto il mondo e il principe di questo mondo. » (Gv 16, 33 ; 1, 29).
Che la tua croce sia un trionfo, le pietre stesse lo gridano, queste pietre del calvario dove, secondo un’antica tradizione dei padri, fu sepolto Adamo, nostro primo padre. « Adamo, dove sei ? » (Gn 3, 9) grida di nuovo Cristo sulla croce. « Sono venuto a cercarti e, per poterti trovare, ho steso le mani sulla croce. Con le mani stese, mi rivolgo al Padre per rendere grazie per averti trovato, poi rivolgo le mani anche verso di te per abbracciarti. Non sono venuto per giudicare il tuo peccato, bensì per salvarti per il mio amore per gli uomini (Gv 3, 17) ; non sono venuto per maledirti per la tua disubbidienza, bensì per benedirti con la mia ubbidienza. Ti coprirò con le mie penne, sotto le mie ali troverai rifugio, la mia fedeltà ti coprirà dello scudo della croce e non temerai i terrori della notte (Sal 90, 1-5) perché conoscerai il giorno che non tramonta (Sap 7, 10). Cercherò la tua vita nascosta nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79). Non mi darò riposo finché, umiliato e sceso fino agli inferi per cercarti, non ti abbia ricondotto in cielo.