La Croce: Realtà teologia simbolo
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LA CROCE
Realtà teologia simbolo
Se vogliamo caratterizzare come cristiano un luogo o un oggetto lo contrassegniamo con una croce. Già questo fatto ci indica che la croce costituisce il fondamento, il nucleo e la rivelazione della vita cristiana. Il mistero della croce di Gesù è una realtà vivente e tuttora operante.
Uno sguardo sommario ad alcuni scritti del Nuovo Testamento ci aiuterà a capirne la portata.
Il Crocefisso nell’annuncio della chiesa primitiva o Kerygma
Il nucleo fondamentale del mistero di Cristo lo troviamo nella prima predicazione degli apostoli, sintetizzata in quello che viene definito il Kerygma, attestato da Paolo nella prima lettera ai Corinti (1 Cor 15,3-5) e nei discorsi di Pietro negli Atti degli Apostoli (i discorsi ai quali ci si riferisce sono quelli di Pietro il giorno della Pentecoste (At 2,14-40), dopo la guarigione dello storpio: At 3,12-26; davanti al Sinedrio: At 4,8-12; davanti al Sinedrio, assieme agli apostoli: At 5,29-32; a Cornelio: At 10,34-43; il discorso di Paolo ad Antiochia: At 13,16-41.
Nei discorsi degli Atti degli Apostoli il kerygma è articolato attorno ad un nucleo costituito dal binomio: « Voi l’avete ucciso – Dio lo ha risuscitato » (cf. At 2,23s.32; 3,13-15; 4,10; 5,30s; 10,39). Della morte di Gesù è detto solamente che fu « secondo il piano e la prescienza di Dio » (At 2,23). In quello che viene definito il kerygma paolino (1 Cor 15,3-5) è specificato che Gesù è morto per i nostri peccati: non solo i peccati sono stati la causa della morte di Cristo, ma egli si è offerto alla morte al fine di espiarli e cancellarli (cf. Ga 1,4; Ro 3,25; 4,25; 8,3).
Il Crocefisso nel messaggio dei vangeli
Il racconto della passione è l’apice e la parte più sviluppata della narrazione dei vangeli. Non è solamente la conclusione, ma è soprattutto il momento nel quale la missione di Gesù trova il suo compimento e la sua pienezza.
Marco
In Marco, ritenuto il più antico nella sua redazione, fin dall’inizio tutto il Vangelo è teso verso la passione: « verranno giorni in cui lo sposo verrà tolto » (Mc 2,19s); subito incominciano le cospirazioni per toglierlo di mezzo (Mc 3,6) e Gesù entra in un progressivo isolamento. E’ soprattutto la triplice predizione della passione, nella seconda parte del vangelo, a segnare le tappe progressive che portano alla croce (cf. Mc 8,31; 9,31; 10,32-34). Specialmente la prima e la terza, sono legate al motivo della sequela, cioè, parlando del suo viaggio verso la croce Gesù invita i discepoli a seguirlo; ma tutte restano incomprese, cioè, non entrano nei parametri di una logica umana.
E’ soprattutto il rapporto con la professione di fede di Pietro (Mc 8,29) che illumina tutto il contesto della prima predizione della passione: l’accettazione del mistero della croce fa parte della retta professione di fede. Risulta così chiara l’intenzione di Marco in tutto questo brano: egli unisce la confessione di fede di Pietro, la predizione della passione e il motivo della sequela per dirci che la professione di fede che emette la chiesa dopo la pasqua può trovare un inciampo o essere incompresa o offuscata se non si accetta la croce; la via della croce deve essere proclamata « apertamente » (Mc 8,32). Pietro, che non accetta la predizione di Gesù, viene definito « satana ». La riluttanza di Pietro è comprensibile, perché la via di Gesù diventa anche la via del discepolo.
Nel racconto della passione di Marco risaltano evidenti alcune sottolineature.
Nella croce si rivela chi è realmente quel Gesù sul quale durante la vita terrena era calato come un velo che ne nascondeva la vera natura (Gesù era avvolto da quello che viene definito « il segreto messianico »); durante la passione, invece, ci è detto che Gesù è il Messia, figlio del Benedetto (Mc 14,61), il re dei giudei (Mc 15,2), il Figlio di Dio (15,39).
La via della croce di Gesù è la via di ogni discepolo, che lo deve seguire non da lontano, come Pietro (cf. Mc 14,54), ma fino alla croce, come le donne (cf. Mc 15,40s).
La croce segna la fine di ogni attesa messianica temporale, e l’accesso diretto a Dio di tutti, compresi i pagani; infatti, si squarcia il velo di separazione del tempio (cf. Mc 15,38) ed è proprio un soldato pagano che emette la prima e autentica professione di fede alla quale tende tutto il vangelo: « costui era veramente il figlio di Dio » (Mc 15,39).
Matteo
Matteo accentua più di Marco l’unità fra la passione e la risurrezione di Gesù: la passione, più che una rivelazione di Gesù è un passaggio verso la sua intronizzazione (cf. Mt 28,16-20).
Nel racconto della passione Matteo inserisce con maggiore evidenza la passione nel piano di Dio rivelato nelle Scritture, introducendo citazioni scritturistiche riferite anche a singoli particolari della narrazione (cf. Mt 26,54.56; 26,15; 27,9s e Zac 11,12; 27,34 e Sal 69,22; 27,43 e Sal 22,9; Sap 2,17-20).
Durante la passione, Gesù è anche un esempio per i suoi discepoli, sia nella preghiera obbediente (Mt 26,39-41) che nella adesione a Dio da adottare invece della violenza (Mt 26,52).
Luca
Luca inserisce il racconto e la teologia della passione al centro della sua opera, concepita come un grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Vangelo), proseguito dalla chiesa che parte da Gerusalemme per arrivare fino ai confini della terra (Atti degli Apostoli). Perciò, Gerusalemme è al centro dell’interesse di Luca. In Gerusalemme si compie il mistero della morte, risurrezione e ascensione di Gesù e il dono dello Spirito Santo. All’interno di questo grande quadro geografico e teologico, la morte di Gesù acquista una posizione centrale: la vita di Gesù, dal versetto 51 del capitolo 9 del Vangelo, è un cammino verso la croce (cf. Lc 9,53; 13,33s; 17,11; 18,31; 19,11). Ma per Luca, in coerenza con un interesse mostrato pure altrove, il cammino di Gesù è anche il cammino del discepolo, per cui il maestro, incamminato verso Gerusalemme, invita subito chi vuole stare con lui a seguirlo in quel cammino (Lc 9,57-62).
Gesù muore in perfetta adesione e donazione al Padre. La sua preghiera sulla croce non è il grido di chi si sente abbandonato (cf. Mc 15,34), ma invocazione dell’amore che perdona (Lc 23,34), promessa di salvezza (Lc 23,43) e abbandono filiale al Padre (Lc 23,46).
La croce, però, non è la conclusione della vita di Gesù, ma la via all’esaltazione: « Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? » (Lc 24,26).
Per penetrare nel mistero di Gesù il discepolo deve contemplare la croce. La contemplazione è l’atteggiamento di chi segue Gesù e fonte di conversione: mentre i capi scherniscono Gesù, il popolo sta a contemplare (Lc 23,35.48); alla contemplazione della croce il popolo se ne ritorna percotendosi il petto (Lc 23,48); il centurione romano contemplando l’accaduto glorifica Dio (Lc 23,47); tutta la narrazione della passione termina con la nota delle donne contemplanti (Lc 23,49).
La contemplazione della croce è fonte di salvezza.
Giovanni
Fra i Vangeli, Giovanni presenta una visione tutta particolare della croce, in sintonia con la tematica e le caratteristiche generali del Vangelo.
La croce di Gesù, in quanto rivelazione suprema dell’amore e dell’unità di vita di Gesù con il Padre, è intesa in termini di glorificazione: « E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » (Gv 12,23s).
La passione e la croce sono l’apice della rivelazione di Gesù: « Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono … » (Gv 8,28s).
Nessuna meraviglia, quindi, se le fasi decisive del racconto della passione sono presentate come momenti di una intronizzazione regale che va dal processo davanti a Pilato fino alla crocifissione.
Da questa intronizzazione regale nascono i frutti della salvezza, sintetizzati al Calvario in 5 scene simboliche, da contemplarsi come 5 quadri indipendenti, senza successione cronologica: nella prima scena, con la tabella affissa sulla croce sopra il capo di Gesù abbiamo la proclamazione della regalità universale di Gesù e la reazione dei giudei (Gv 19,19-22); nella seconda, l’azione dei soldati che non vogliono scindere la tunica inconsutile sottolinea l’unità della comunità di Gesù (Gv 19,23-24); nella terza, con l’affidamento della Madre al discepolo che sta ai piedi della croce è raffigurata la costituzione della nuova comunità messianica (Gv 19,25-27); nella quarta, è raffigurato il compimento dell’opera di Gesù, con l’emissione dello Spirito (Gv 19,28-30); nella quinta, con la salvaguardia delle ossa che non vengono spezzate e con l’uscita di acqua e sangue dal costato sono raffigurati i doni della redenzione (Gv 19,31-37).
Si può comprendere, allora, perché Giovanni vede nella croce il trono regale della glorificazione di Gesù: essa è la rivelazione di Gesù Figlio unigenito del Padre, che dalla croce esercita la sua signoria sui credenti comunicando loro lo Spirito e la vita (cf. At 2,34-36; Fil 2,11); nella croce Giovanni vede già presenti i frutti della salvezza operata da Gesù.
Paolo
La riflessione sulla croce viene sviluppata in maniera particolare da S. Paolo il quale vede concentrata nella morte di Cristo tutta la forza dell’amore travolgente e rinnovatore di Dio per gli uomini. E’ solo nella croce di Gesù Cristo che gli uomini possono sperare, e non nelle loro opere. E’ un messaggio di speranza, quello di Paolo, perché basa la salvezza non tanto sulla osservanza, più o meno perfetta, della legge manifestata da Dio, quanto sulla carica di amore che Dio ha manifestato per noi proprio nella croce di Cristo (Ro 5,7-10). Naturalmente, per essere efficace, l’amore deve coinvolgere, e quindi trasformare l’intimità del cuore.
La vera liberazione, per Paolo, non sta nell’eliminazione delle tante trasgressioni, ma nel superare e togliere la forza maligna che è nel cuore dell’uomo, sostituendola con una forza superiore, cioè l’amore, dono dello Spirito. Con la sua morte Cristo ci ha liberati dal peccato (Ro 6,22).
Ma la croce è diventata anche nuovo criterio di valutazione e di scelta, è la « sapienza di Dio » e del cristiano, cioè, ci offre il criterio di giudizio e di comportamento: questo criterio è Gesù stesso, che è il Messia, ma non nel suo aspetto potente e prodigioso, bensì in quanto crocifisso, svuotato di ogni forza e pretesa umana e carico solo di amore, di donazione di sé e di adesione a Dio. Questa sapienza diventa la logica della vita cristiana. Il che significa che il cristiano si lascia illuminare e condurre dall’amore di Cristo che ha donato la vita per lui.
Il discorso della croce e della morte di Cristo diventa un discorso di vita cristiana. L’evento unico e irripetibile del Calvario sfocia in un divenire continuo, contemporaneo a tutti gli uomini e interno a ciascun uomo: « Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova » (Ro 6,3-12). Il cristiano rivive il mistero della morte di Gesù Cristo.
La croce, così, capovolge ogni impostazione e valutazione puramente umana della vita, ponendo l’amore di Dio in Gesù Cristo al centro di ogni aspirazione e regolando anche il comportamento nei confronti dei fratelli (1 Cor 8,11; Ro 14,15).
La croce come simbolo
Nella chiesa primitiva le riflessioni teologiche hanno presto assunto una multiforme simbologia, collegandosi a immagini e testi dell’Antico Testamento, oppure a concezioni cosmiche o antropologiche che impregnavano la cultura del primi secoli cristiani. Questa simbologia si è sviluppata prevalentemente in ambienti giudeo-cristiani.
Simbologia tratta dalla bibbia
In ambiente giudeo-cristiano è spontaneo l’accostamento della croce a immagini o testi conosciuti attraverso l’Antico Testamento.
Per indicare la croce come sorgente di vita si fa riferimento all’albero della vita e all’albero della conoscenza del bene e del male descritti in Gen 2; così negli ossuari la croce viene rappresentata come una piantina terminante in forma di croce. Questa simbologia è utilizzata da scrittori come Ignazio, Giustino, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino.
La croce come legno di salvezza è illustrata anche con il riferimento all’arca di Noè (Gen 6-9): la croce viene così raffigurata come una nave galleggiante nell’acqua, con un palo verticale e un apice obliquo che sostiene la vela. Anche questo simbolo, oltre che da graffiti, è applicato da alcuni autori come Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo.
Al ciclo dei Patriarchi e dell’Esodo si ispira il simbolo della croce come bastone, richiamando il bastone di Giacobbe, quello di Mosè e la verga di Davide. Sempre all’esodo si ispira la croce come lintello, stipite spalmato col sangue dell’agnello pasquale (cf. Es 12,22s) che assicura la protezione di Dio per chi entra ed esce per quella porta. Girolamo afferma che il sangue spalmato sugli stipiti degli ebrei in Egitto aveva la forma di Tau.
Sempre ispirato dal ciclo dell’esodo, è il simbolo del serpente, già adottato da Giovanni nel suo vangelo: « E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » (Gv 3, 14s). Per Ireneo, Tertulliano e Cirillo il serpente e il palo furono tipi del Crocifisso e della croce. Tale raffigurazione è testimoniata soprattutto dagli ossuari del Dominus Flevit, a Gerusalemme.
Anche la croce formata dalle braccia aperte si ispira a scene bibliche che parlano dell’estensione delle mani come in Giacobbe (Gn 49,8), Mosè (Dt 33,3): con tale rappresentazione si voleva ricordare l’opera pacificatrice del Crocifisso, che ha riunito gli ebrei con i gentili. Tale raffigurazione è presente nelle catacombe ed è ricordata nella Lettera di Barnaba, nella Didaché, in Giustino, Ireneo.
Simbologia ispirata dalle concezioni culturali del tempo
Per esprimere la propria visione teologica la chiesa primitiva si riferì anche alla cultura del tempo, che ispirò anche la simbologia della croce, dandole una dimensione cosmica. Ciò avvenne soprattutto nella componente di provenienza gentile ellenistica.
Forse la più conosciuta e diffusa è la croce cosmica, formata da una X inclusa in un cerchio. Questa croce è considerata l’anima dell’universo che collega con il tronco verticale il cielo e la terra e con quello orizzontale gli ebrei e i gentili, già divisi da un muro di separazione (cf. Col 1,20; Ef 2,14). Questa croce costituisce il tessuto connettivo del cosmo, legando in unità tutte le realtà esistenti.
Altro modello è quello della croce dei venti: forse ispirata da Ef 3,18s e fondata sul concetto della forma quadrata del mondo, è iscritta dentro un quadrato e vuole significare l’unione dei quattro punti cardinali e la riunione dei due popoli, ebrei e gentili.
Simbologia legata alla forma della croce
La forma della croce suggerisce altri simboli. Fra gli altri, la croce come pianta cosmica che, radicata sulla terra, svetta fino al cielo; è un albero dalle dimensioni celesti, sostegno dell’universo e di tutta la terra abitata. La croce è raffigurata anche come scala cosmica, fondata sulla visione di Giacobbe (Gen 28,12) e sul vangelo di Giovanni (Gv 1,51): essa è la via per salire al cielo, come sottolineano Giustino e Ireneo.
Simbologia legata agli effetti della croce
Molti simboli vogliono sottolineare la potenza e l’efficacia salvifica della croce. Questa forza è stata espressa mediante il simbolo del corno. Così, si trovano croci con uno, due, tre, sei, sette, otto corni, a seconda della simbologia legata ai numeri.
La croce come aratro, testimoniata da graffiti e da testi di Ireneo, Minucio Felice, Massimo di Torino, è intesa con una molteplice simbologia: prepara il terreno per la semina della grazia, è simbolo della pacificazione mediante la trasformazione delle spade in vomeri (Is 2,4), ha la forma di una croce formata dal timone attraversato dal giogo, rompe la terra per ridarle nuova vita.
Da ricordare anche la croce in forma di ascia. Formata da legno e ferro, indica l’unione ipostatica del Verbo con la natura umana; è pegno di salvezza dopo la caduta, in quanto il legno tiene a galla il ferro …
Sempre per esprimere l’efficacia salvifica della croce per tutti gli uomini, attorno al luogo della crocifissione si sviluppò il ciclo di Adamo, Melchisedech e Abramo. Una tradizione ebraica collocava sul monte Moria la creazione, la vita e la morte di Adamo, come pure il sacrificio di Abramo che si appresta a immolare il figlio Isacco. Una tradizione cristiana trasferisce al Golgota i motivi legati al monte Moria, per cui nasce la leggenda teologica secondo la quale Adamo fu sepolto in una grotta sul Golgota; sopra quella grotta fu issata la croce di Gesù il cui sangue, sceso attraverso le fessure della roccia, bagnò le ossa di Adamo, redimendo lui e tutta la sua discendenza; da questa leggenda nasce la tradizione di raffigurare un cranio sotto i piedi del Crocifisso.
Fondata sulla teologia degli scritti del Nuovo Testamento, la simbologia della croce toccò il suo apice nel II secolo. Ma anche nella grande chiesa che si sviluppa dopo la quasi estinzione della componente giudeo cristiana la simbologia della croce registra una grande evoluzione. Letta alla luce della risurrezione, la croce da supplizio infamante (« Fra tutte le morti non ce n’era una peggiore di quella della croce »: S. Agostino) si trasforma in trofeo di vittoria: « Niente era allora così insopportabile nella carne, niente è adesso così glorioso sulla fronte come il segno della croce » (S. Agostino).
Fra la ricchezza della simbologia si può ricordare l’immagine usata da Cromazio di Aquileia: « La luce dell’incarnazione brilla alta sul candelabro! Si tratta della luce posta sul candelabro della croce: necessariamente rende splendidamente illuminata tutta la casa, cioè la chiesa »: l’incarnazione è la lucerna, la croce è il candelabro, la chiesa è la casa dove brilla la luce di Dio.
In tutte queste immagini è evidente l’influsso della teologia di Giovanni che vede la croce come esaltazione del Figlio di Dio. Anche l’iconografia concorre a diffondere questa immagine della croce gloriosa. La basilica di S. Apollinare in classe a Ravenna rappresenta il trionfo della croce in un campo stellare che riempie le dimensioni del cosmo, con al centro Cristo, la gemma più preziosa. Sempre a Ravenna, nel battistero degli ariani, la croce è intronizzata su un cuscino di porpora collocato su un seggio regale. Nel mosaico medievale che riempie il catino absidale della basilica di S. Clemente a Roma vediamo Cristo glorioso dolcemente posato sulla croce, al centro di un campo rigoglioso di vegetazione e di simboli di vita, sotto il segno della mano del Padre che si accinge a incoronarlo.
La croce, luogo in cui Cristo ha offerto la sua vita e ha manifestato il suo amore per noi, attraverso l’approfondimento teologico operato dai Vangeli e da San Paolo e la lettura simbolica trasmessa dai cristiani di tutte le epoche, continua ad essere fermento vivo e tuttora operante in tutti coloro che si aprono alla sua forza e al suo messaggio vivificanti.
Tecle Vetrali
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