buona notte

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100202
Presentazione del Signore (festa) : Lc 2,22-40
Meditazione del giorno
Beato Guerrico d’Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
1a omelia per la Purificazione, 3-5 ; SC 166, p.313s
« Luce per illuminare le genti »
Mi rallegro con te e ti benedico, o piena di grazia ; hai dato alla luce la Misericordia che è venuta su di noi. Hai preparato tu questo cero che ricevo oggi nelle mani [nella liturgia di questa festa]. Hai dato tu la cera a questa fiamma…quando, Madre senza corruzione, hai vestito di una carne senza corruzione il Verbo incorruttibile.
Fratelli, andiamo ! Oggi questo cero brucia nelle mani di Simeone. Venite a prendervi la luce, venite a accendervi i vostri ceri, voglio dire queste lampade che il Signore vuole che teniate nelle mani. « Guardate a lui e sarete raggianti » (Sal 33, 6). Non tanto per portare in mano delle fiaccole, quanto per essere voi stessi fiaccole che brillano dentro e fuori, per il bene vostro e per quello degli altri : … Gesù accenderà la vostra fede, farà brillare il vostro esempio, vi suggerirà la parola giusta, infiammerà la vostra preghiera, purificherà la vostra intenzione…
E per te, che possiedi dentro di te tante lampade accese, quando si spegnerà la lampada di questa vita, sorgerà la luce di quella vita che non si può spegnere. Sarà per te, di sera, come il sorgere della luce di mezzogiorno. Nel momento in cui pensavi di spegnerti, sorgerai come la stella del mattino (Gb 11, 17) e le tue tenebre saranno come il sole meridiano (Is 38, 10). Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna (Is 60, 19), perché la lampada della nuova Gerusalemme è l’Agnello (Ap 21, 23). A lui sia benedizione e splendore per i secoli ! Amen.
dal sito:
http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/feste/2000-2001/Siamo%20del%20Signore.html
SIAMO DEL SIGNORE
2 FEBBRAIO: Presentazione di Gesù Bambino al Tempio
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Sono passati 40 giorni dalla solennità del Natale. La Chiesa è in festa perché celebra il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio.
Festa antichissima. Una pellegrina spagnola, di nome Egeria, che ha lasciato il diario del suo pellegrinaggio in Terra Santa, negli anni 381-383, parla della celebrazione di questa festa a Gerusalemme, denominata Festa dell’Hypapante, cioè dell’Incontro (l’incontro di Cristo con il tempio del Padre suo e del “piccolo resto di Israele”, rappresentato da Simeone e Anna).
Nell’anno 542, l’imperatore Giustiniano introdusse la festa del 2 febbraio in tutto l’Impero di Oriente.
In Occidente la festa venne introdotta verso la metà del VII secolo. A Roma la celebrazione eucaristica era preceduta da una solenne processione verso il più grande santuario dell’Urbe, dedicato alla Madre di Dio, la Basilica di S. Maria Maggiore. I fedeli portavano le fiaccole, con riferimento alle parole del vecchio Simeone che vedeva nel bambino presentato al tempio, la luce che avrebbe illuminato tutte le genti.
Celebriamo dunque questa festa nell’atteggiamento di chi sta per incontrare Cristo, luce del mondo, salvatore nostro.
Anche oggi lo incontriamo nell’ascolto della sua parola e nell’Eucarestia.
Gli andiamo incontro con la nostra fede, simboleggiata dai ceri accesi che i fedeli portavano in processione.
Giuseppe e Maria, sposi pii ed osservanti, non si sottraggono alle leggi del loro popolo e portano al Tempio Gesù, perché sia riscattato agli occhi del Signore. Ci danno l’esempio di una esemplare religiosità.
Maria tiene tra le braccia il bambino, Giuseppe porta l’offerta rituale: l’offerta dei poveri, “una coppia di tortore, o di giovani colombi”.
Al tempio avviene qualcosa di più che un semplice adempimento della legge.
Ci viene insegnato il senso della vita:
– apparteniamo a Dio
– dobbiamo vivere per lui.
Cristo aveva già fatto il suo ingresso nel santuario del suo corpo. Nella lettera agli ebrei leggiamo che entrando nel mondo Cristo disse: “Ecco io vengo, o Padre, per fare la tua volontà”.
Ora entra nel tempio di Gerusalemme per annunciare che la presenza del Dio santo e salvatore, raggiunge la pienezza nel tempio della sua persona che gli permetterà di essere insieme sacerdote e vittima.
Tutta la vita di Cristo sarà un sì al Padre.
Il gesto di Maria che presenta Gesù al tempio, sta a significare la sua intima partecipazione al mistero di salvezza operato da Cristo, quale madre del servo sofferente di Jahwè.
Il vecchio Simeone le dice: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.
Maria non vive solo un’angoscia materna in anteprima, ma ella stessa si offre a condividere la passione del suo figlio. Come quella di Cristo, anche tutta la vita di Maria sarà un sì a Dio.
Primo insegnamento della festa sarà dunque questo: sull’esempio di Cristo e di Maria, siamo chiamati a fare della nostra vita un sì a Dio.
Scrive l’apostolo: “Fratelli vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente e gradito a Dio”. Siamo chiamati a vivere per il Signore tutte le attività della nostra vita. Don Bosco diceva ai suoi ragazzi: “Anche il vostro studio diventa preghiera, se l’offrite al Signore”.
Questo vogliono significare quelle poche gocce d’acqua che il sacerdote, all’offertorio della messa, mette nel calice insieme al vino dicendo: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra umanità unita alla vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana. Lo presentiamo a te perché diventi per noi bevanda di salvezza”.
La presentazione al Tempio è l’offertorio del sacrificio compiuto sulla croce.
Un secondo insegnamento lo ricaviamo dalla figura di Simeone che riconosce in Cristo il salvatore, la luce del mondo. Dice: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza. Luce per illuminare le genti”.
S. Giovanni scriverà nel suo Vangelo: “Veniva nel mondo la luce vera, ma le tenebre non l’hanno accolta”.
Simeone è l’immagine del credente che accoglie Cristo come luce della sua vita. Lo riceve dalle mani di Maria che lo porta, che è l’ostensorio della luce.
Che cosa vuol dire per noi accogliere Cristo come luce?
S. Francesco di Sales dice che dobbiamo, come Simeone, prendere Cristo sulle nostre braccia, dopo averlo accettato nel cuore, negli affetti, nel pensiero, vuol dire “imitarlo nelle opere, perché le braccia rappresentano le opere”. E non basta accoglierlo e tenerlo tutto per noi. Come Maria, dobbiamo, a nostra volta, diventare ostensori di Cristo: “Voi siete la luce del mondo”. La luce non è niente di per sé, dipende in tutto dalla sua sorgente.
Propriamente parlando non si vede la luce, si vedono le cose che essa illumina. I cristiani sono come la luce: sono niente da soli: dipendono in tutto dalla loro sorgente di luce che è Cristo. I cristiani la riflettono.
Senza la sorgente non potrebbero essere luminosi – come la luna non sarebbe luminosa senza il sole. Ma perché la luce sia utile, non bisogna nasconderla: “Non si accende una lucerna per metterla sotto un secchio”. Siamo piccole povere lampade, ma Cristo vuole servirsi di noi.
Riassumiamo questi pensieri con la preghiera della liturgia all’ufficio delle lodi:
Signore, che secondo la legge hai voluto essere presentato nel Tempio di Gerusalemme, insegna a noi a offrirci con te nel sacrificio della tua Chiesa.
Cristo Gesù, nostra gioia e salvezza, cercato e trovato nella casa del Padre tuo da Simeone, uomo giusto, fa’ che ti riconosciamo e ti incontriamo anche noi nelle membra sofferenti della tua Chiesa.
Atteso dalle genti, la profetessa Anna parlava di te a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Israele, insegnaci ad annunziare degnamente il tuo Vangelo.
Pietra angolare del Regno di Dio, posta come segno di contraddizione, fa’ che gli uomini, vivendo nella fede e nella carità, trovino in te la risurrezione e la vita.
Gianni Sangalli sdb
dal sito:
http://santiebeati.it/dettaglio/24250
Sant’ Agostino Vescovo e dottore della Chiesa
28 agosto
Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430
Sant’Agostino nasce in Africa a Tagaste, nella Numidia – attualmente Souk-Ahras in Algeria – il 13 novembre 354 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dalla madre riceve un’educazione cristiana, ma dopo aver letto l’Ortensio di Cicerone abbraccia la filosofia aderendo al manicheismo. Risale al 387 il viaggio a Milano, città in cui conosce sant’Ambrogio. L’incontro si rivela importante per il cammino di fede di Agostino: è da Ambrogio che riceve il battesimo. Successivamente ritorna in Africa con il desiderio di creare una comunità di monaci; dopo la morte della madre si reca a Ippona, dove viene ordinato sacerdote e vescovo. Le sue opere teologiche, mistiche, filosofiche e polemiche – quest’ultime riflettono l’intensa lotta che Agostino intraprende contro le eresie, a cui dedica parte della sua vita – sono tutt’ora studiate. Agostino per il suo pensiero, racchiuso in testi come «Confessioni» o «Città di Dio», ha meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Mentre Ippona è assediata dai Vandali, nel 429 il santo si ammala gravemente. Muore il 28 agosto del 430 all’età di 76 anni. (Avvenire)
Patronato: Teologi, Stampatori
Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco
Martirologio Romano: Memoria di sant’Agostino, vescovo e insigne dottore della Chiesa: convertito alla fede cattolica dopo una adolescenza inquieta nei princípi e nei costumi, fu battezzato a Milano da sant’Ambrogio e, tornato in patria, condusse con alcuni amici vita ascetica, dedita a Dio e allo studio delle Scritture. Eletto poi vescovo di Ippona in Africa, nell’odierna Algeria, fu per trentaquattro anni maestro del suo gregge, che istruì con sermoni e numerosi scritti, con i quali combatté anche strenuamente contro gli errori del suo tempo o espose con sapienza la retta fede.
Agostino è uno degli autori di testi teologici, mistici, filosofici, esegetici, ancora oggi molto studiato e citato; egli è uno dei Dottori della Chiesa come ponte fra l’Africa e l’Europa; il suo libro le “Confessioni” è ancora oggi ricercato, ristampato, letto e meditato.
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”; così scrive Agostino Aurelio nelle “Confessioni”, perché la sua vita fu proprio così in due fasi: prima l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori; poi imbroccata la via, sente il desiderio ardente di arrivare alla meta per abbracciare l’amato.
Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media, di piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura.
Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato.
Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine.
Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù.
Purtroppo la lettura della Sacra Scrittura non diceva niente alla sua mente razionalistica e la religione professata dalla madre gli sembrava ora “una superstizione puerile”, quindi cercò la verità nel manicheismo.
Il Manicheismo era una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e anche l’animo dell’uomo.
Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana.
Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni, purtroppo con alunni poco disciplinati.
Agostino però tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo.
Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia.
A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio, gli studenti romani, furbescamente, dopo aver ascoltate con attenzione le sue lezioni, sparivano al momento di pagare il pattuito compenso.
Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre.
Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore.
E Milano fu la tappa decisiva della sua conversazione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano “in tutti i modi l’idea di Dio e del suo Verbo”.
Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).
A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva ”Tolle, lege, tolle, lege” (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom. 13, 13-14).
Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.
Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del sabato santo, dalle mani di s. Ambrogio.
Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane.
Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà.
Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona.
Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare.
La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani.
L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani.
Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare.
Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane.
Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche. Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi: Il Manicheismo che conosceva bene, il Donatismo sorto ad opera del vescovo Donato e il Pelagianesimo propugnato dal monaco bretone Pelagio.
Egli fu maestro indiscusso nel confutare queste eresie e i vari movimenti che ad esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono i pastori di anime dell’epoca, ma determinarono anche per il futuro, l’orientamento della teologia cattolica in questo campo. La sua dottrina e teologia è così vasta che pur volendo solo accennarla, occorrerebbe il doppio dello spazio concesso a questa scheda, per forza sintetica; il suo pensiero per millenni ormai è oggetto di studio per la formazione cristiana, le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani.
Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
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Lunedì della IV settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 5,1-20
Meditazione del giorno
Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 03/12/08 – Copyright © Libreria Editrice Vaticana
«Esci, spirito immondo, da quest’uomo!»
Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male?… La fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c’è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l’essere non è un misto di bene e male; l’essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c’è solo una fonte buona, il Creatore…
Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell’essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso… Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all’altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte.
Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell’evoluzionismo, non possono dire che l’uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l’uomo è sanabile… E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte.