Cristo dopo la flagellazione (Murillio)

dal sito:
http://www.amicidomenicani.it/vedi_rubriche.php?sezione=domenicani&id=52
Spiritualità domenicana
Scolpì in noi l’impronta della sua natura (Sant’Alberto Magno)
Dai “Commenti sul Vangelo di san Matteo”
“Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi; la mia eredità è magnifica” (Sal 15, 6). “Disse il Signore ad Aronne… Sono io la tua parte, la tua eredità in mezzo ai figli di Israele” (Nm 18,20). “Sara, moglie del mio padrone, nella sua vecchiaia ha partorito al mio padrone un figlio a cui egli ha dato tutto quello che, possiede” (Gn 24,36).
Sara, che si interpreta “principessa” è la Chiesa: figlio dell’eterno gaudio, fiore ed erede è colui che per mezzo della Chiesa Dio Padre genera senza meriti nella tarda età degli ultimi tempi. A lui anche dà in eredità tutto ciò che ha sempre avuto, perché dando se stesso, dona tutto ciò che è suo. Dio stesso non si vergogna di chiamarsi loro Dio (Eb 11,16). “Il Signore è la mia porzione, ha detto l’anima mia, per questo lo aspetterò” (Lam 3,24). In coloro che il Sommo Padre genera per grazia, questi sono gli inizi del suo agire paterno.
Egli ci ha generato secondo il suo beneplacito per mezzo della parola di verità, affinché gli siamo, in certo modo, come le primizie delle sue creature (Gc 1,18).
In questo modo infatti scolpì in noi l’impronta della sua natura e, per conseguenza, la sua conoscenza. Infatti tutto ciò che conosciamo, lo conosciamo attraverso la sua impronta e la conoscenza che produce nell’anima. Dalla conoscenza infatti nasce la fede che apre gli occhi verso il Padre; dall’unione nasce la carità che fissa gli occhi del Padre; dall’amore che nutre verso di noi nasce la speranza che fa alzare gli occhi a domandare cose elevate: poiché non possiamo essere soddisfatti di cose di poco conto, quando speriamo nella tenerezza del Padre. Ecco perché noi diciamo: “Padre”.
Non può non essere dolce e familiare la preghiera che incomincia da chi ci è il più famìliare di tutti. Perciò in precedenza si è detto che è con noi e che ci scruta nell’intimo, perché è dolce e familiare: diversamente non potremmo avere accesso a lui (cfr. Ef 2,18). E di conseguenza l’Unigenito, il cui spirito di adozione noi abbiamo ricevuto (Rm 8,12), si dice che è nel seno del Padre (Gn 1,18).
dal sito:
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/04-05/2-Salmo_8.html
SALMO 8: GRANDEZZA DI DIO E DIGNITA’ DELL’UOMO
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Meditando il Salmo 8, che recitiamo alle Lodi del sabato della quarta settimana, non possiamo non rilevare che esso sia anzitutto un mirabile inno di lode. Soprattutto in questo salmo emerge l’intensità spirituale, e la bellezza poetica.
La Bibbia, infatti, ci invita ad aprire il cammino della nostra giornata con un canto che non solo proclami le meraviglie operate da Dio e la nostra risposta di fede, ma le celebri «con arte» (Sal 46,8), cioè in modo bello, luminoso, dolce e forte al tempo stesso.
Splendido tra tutti è il Salmo 8, in cui l’uomo, immerso in un fondale notturno, quando nell’immensità del cielo s’accendono la luna e le stelle (cf v. 4), si sente come un granello nell’infinito e negli spazi illimitati che lo sovrastano.
Dio si china sull’uomo
Al centro del Salmo 8, infatti, emerge una duplice esperienza. Da un lato, la persona umana si sente quasi schiacciata dalla grandiosità del creato, «opera delle dita» divine. Tale curiosa locuzione sostituisce l’«opera delle mani» di Dio (cf v. 7), quasi per indicare che il Creatore abbia tracciato un disegno o un ricamo con gli astri splendenti, lanciati nell’immensità del cosmo.
Dall’altro lato, però, Dio si china sull’uomo e lo incorona come suo viceré: «Di gloria e di onore lo hai coronato» (v. 6). Anzi, a questa creatura così fragile affida tutto l’universo, perché ne tragga conoscenza e sostentamento di vita (cf vv. 7-9).
L’orizzonte della sovranità dell’uomo sulle altre creature è specificato quasi evocando la pagina di apertura della Genesi: greggi, armenti, bestie della campagna, uccelli del cielo e pesci del mare sono consegnati all’uomo perché, imponendo loro il nome (cf Gn 2,19-20), ne scopra la realtà profonda, la rispetti e la trasformi attraverso il lavoro e la finalizzi ad essere fonte di bellezza e di vita. Il Salmo ci rende consapevoli della nostra grandezza, ma anche della nostra responsabilità nei confronti del creato (cf Sap 9,3).
L’uomo è chiamato a cose grandi
Rileggendo il Salmo 8, l’autore della Lettera agli Ebrei vi ha scoperto una comprensione più profonda del disegno di Dio nei riguardi dell’uomo. La vocazione dell’uomo non può essere limitata all’attuale mondo terreno; se il Salmista afferma che Dio ha posto tutto sotto i piedi dell’uomo, questo vuol dire che gli vuole assoggettare anche «il mondo futuro» (Eb 2,5), «un regno incrollabile» (12,28). In definitiva, la vocazione dell’uomo è una «vocazione celeste» (3,1). Dio vuole «condurre alla gloria» celeste «una moltitudine di figli» (2,10). Perché questo progetto divino si attuasse, era necessario che la vita fosse tracciata da un «pioniere» (cf ibid.), nel quale la vocazione dell’uomo trovasse il suo primo adempimento perfetto. Questo pioniere è Cristo.
L’autore della Lettera agli Ebrei ha osservato in proposito che le espressioni del Salmo si applicano a Cristo in maniera privilegiata, cioè più precisa che per gli altri uomini. Infatti, il Salmista adopera il verbo «abbassare», dicendo a Dio: «abbassasti l’uomo un poco in confronto degli angeli, di gloria e onore lo coronasti» (cf Sal 8,6; Eb 2,6). Per gli uomini ordinari, questo verbo è improprio; non sono stati «abbassati» in confronto degli angeli, giacché non si sono mai trovati al di sopra di essi. Invece per Cristo, il verbo è esatto, perché, in quanto Figlio di Dio, egli si trovava al di sopra degli angeli ed è stato abbassato quando è diventato uomo, poi è stato coronato di gloria nella sua Risurrezione. Così Cristo ha adempiuto pienamente la vocazione dell’uomo e l’ha adempiuta, precisa l’autore, «a vantaggio di tutti» (Eb 2,9).
La vittoria nel pericolo
In questa luce, sant’Ambrogio commenta il Salmo e l’applica a noi. Egli parte dalla frase in cui si delinea l’«incoronazione» dell’uomo: «Di gloria e di onore lo hai coronato» (v. 6). In quella gloria egli vede, però, il premio che il Signore ci riserva quando abbiamo superato la prova della tentazione.
Ecco le parole del grande Padre della Chiesa nella sua Esposizione del Vangelo secondo Luca: «Il Signore ha incoronato il suo diletto anche di gloria e di magnificenza. Quel Dio che desidera distribuire le corone, procura le tentazioni: perciò, quando sei tentato, sappi che ti si prepara la corona. Abolisci i combattimenti dei martiri, abolirai anche le loro corone; abolisci i loro supplizi, abolirai la loro beatitudine» (IV, 41: Saemo 12, pp. 330-333).
Dio intreccia per noi quella «corona di giustizia» (2Tm 4,8) che ricompenserà la nostra fedeltà a Lui mantenuta anche nel tempo della tempesta che scuote il nostro cuore e la nostra mente. Ma egli è in ogni tempo attento alla sua creatura prediletta e vorrebbe che in essa brillasse sempre l’«immagine» divina (cf Gn 1,26), così che sappia essere nel mondo segno di armonia, di luce, di pace.
Giovanni Paolo II
L’Osservatore Romano, 25-09-2003
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100225
Giovedì della I settimana di Quaresima : Mt 7,7-12
Meditazione del giorno
Giovanni Taulero (circa 1300-1361), domenicano a Strasburgo
Discorsi, 54
« Bussate e vi sarà aperto »
Ogni cosa in cui l’uomo cerchi il suo riposo e che non sia esclusivamente Dio, puro, è tarlata. Ogni cosa in cui l’uomo si riposi con godimento e sia ritenuta da lui il suo bene proprio, è tarlata. L’unica cosa che importa è immergersi semplicemente in questo bene puro, semplice, inconoscibile, ineffabile e misterioso che è Dio, rinnegando se stesso. In Dio solo devi mettere il tuo riposo, senza cercare né diletto, né illuminazione.
« Ho fissato la mia dimora nel dominio del Signore » (cfr. Si 24,7). Abbiamo un doppio dominio nel quale dobbiamo dimorare. Uno è temporale, e lì dobbiamo abitare ora. È la mirabile vita e passione del Nostro Signore. L’altro dominio, l’aspettiamo ; è la gloriosa eredità della deliziosissima divinità. Ci è stato promesso che saremo stati i coeredi del suo dominio, e che saremo con lui in eterno.
Tutte le piaghe del Nostro Signore sono guarite, eccetto le cinque piaghe sacre che devono stare aperte fino all’ultimo giorno. Lo splendore della divinità che sgorga da esse e la felicità che gli angeli e i santi ricevono da esse, tutto questo è inesprimibile. Queste cinque porte devono essere, quaggiù, la nostra eredità del dominio di nostro Padre. Il dolce custode di queste porte è lo Spirito Santo. Il suo amore dolcissimo, purché bussiamo, è sempre pronto ad introdurci e lasciarci giungere, attraverso queste porte, all’eredità eterna di nostro Padre. Infatti certamente l’uomo che passa attraverso queste porte, come gli conviene, non può perdersi lungo la strada.