Archive pour le 20 février, 2010

The fresco represents Christ’s threefold temptation by the Devil

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Botticelli – Vatican The fresco represents Christ’s threefold temptation by the Devil

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-04,01-Temptation_and_freedom_Tentation_et_%20liberte/index2.html

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Quaresima: Sete e silenzio (salmo 41, 2-3)

dal sito:

http://www.mariadimagdala.191.it/riflessioni.htm

Quaresima

SETE e SILENZIO

Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente…
(Salmo 41,2-3)

Siamo riusciti ad arrivare, con o senza i cinque sensi, a questo mormorio gemente e silenzioso? Ahimè, no. Troppo spesso siamo dei senza-sete di Dio, dei senza-sete di preghiera e di silenzio.
Questa sete di Dio, che farebbe sorgere in noi il desiderio del silenzio, ci fa paura… E allora preferiamo stordirci con ogni tipo di divertimento e di ebbrezza. Prima di tutto siamo talmente sazi di bevande che non sappiamo nemmeno più cosa significhi aspettare per placare la sete. Questo si può osservare nella vita quotidiana della città, dove per un nonnulla – a forza di abitudini, di pasti consumistici! – dal primo caffé del mattino fino al bicchierone d’acqua prima di avvolgerci nelle coperte, viviamo in una continua liquefazione, nella circolazione di liquidi, circondati da slogan che sostengono le meravigliose proprietà delle acque minerali e naturali, senza parlare degli aperitivi che dovrebbero aprirci lo stomaco per consumare sempre di più, oltre che sempre meglio. Tutto ciò sfocia in un’astenia spirituale.
Ed è ancora più evidente se dobbiamo fare una lunga camminata in compagnia, sia in montagna che in pianura: dopo la respirazione e la cadenza che segnano il ritmo del gruppo, i segni rivelatori saranno il silenzio e il desiderio di placare la sete.
I neofiti avidi e senza controllo si precipitano ad ogni sosta sulle borracce o sulla prima sorgente che capita: si dissetano con ingordigia, condizionati come sono dall’abitudine al consumo passivo: «Fatto subito, ben fatto!». Questo atteggiamento genera risate volubili e sonore, esclamazioni, rozzi gorgoglii, e quanto può nuocere al raccoglimento della tappa! È ben diverso riuscire a trattenere la voglia di bere fino alla sosta successiva, abituando così il proprio equilibrio psicofisico a marce più lunghe che portano alla sobrietà.
Silenzio e sobrietà vanno di pari passo.
Avviene la stessa cosa se consideriamo il rapporto del silenzio con la sete di preghiera: la fretta non ci può essere d’aiuto. Il desiderio di bere si trattiene nei silenzi ritmati della respirazione e dei battiti del cuore. La preghiera è una sosta silenziosa che può aiutarci a vincere la sete… e a ravvivare il desiderio di bere. Sete simbolo del desiderio.

L’anima mia languisce…
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente…            
(Salmo 83,3)

Questo desiderio spirituale viene infatti descritto dal salmista come una sete:

O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz’acqua.         
(Salmo 62,2)

La nostra sete è davvero provocata dalla secchezza, dall’aridità del nostro cuore, da tutte le macchie interiori che ci trasformano in una scorza polverosa. Lo dice anche Isaia:

Di notte anela a te l’anima mia,
al mattino ti cerca il mio spirito.         
(Isaia 26,9)

L’aridità fa prendere coscienza della mancanza:

Vagavano nel deserto, nella steppa…
Erano affamati e assetati
veniva meno la loro vita…                  
(Salmo 106,4-5)

Il desiderio cresce fino all’esasperazione, come un grido violento rivolto a Dio, lui che «saziò il deside­rio dell’assetato» (Salmo 106,9), che con la sua po­tenza «percosse la rupe e ne scaturì acqua, e strariparono torrenti» (Salmo 77,20), lui che «spaccò le rocce nel deserto e diede loro da bere come dal grande abisso. Fece sgorgare ruscelli dalla rupe e scorrere l’acqua a torrenti» (Salmo 77,15-16).
Questo desiderio si traduce anche in zelo:

Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
(Salmo 118,139)

E lo stesso fuoco si ritrova nell’anima che brucia di desiderio:

Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.         
(Salmo 118,20)

Solo la parola di Dio placa questo ardore, questo fuoco che arde senza distruggere l’anima, come il Roveto ardente:

Stilli come pioggia la mia dottrina, scenda come rugiada il mio dire; come scroscio sull’erba del prato, come spruzzo sugli steli del grano.
(Deuteronomio 32,2)

E già in queste immagini sono annunciate le fertilità del futuro:

Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d àcqua e la terra fertile d palude
per la malizia dei suoi abitanti. Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d àcqua. Là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare. Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
(Salmo 106,33-37)

Il silenzio è il segno della quiete della fecondità ritrovata, e in modo del tutto naturale l’anima riposa:

Io sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia.
(Salmo 130,2)

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I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C – OMELIA

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/archivio/anno-C/I_%20quaresima.htm

I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C – OMELIA 

Padre Paolo Berti

Gesù, dopo il battesimo nel Giordano, fu condotto dallo Spirito Santo nel deserto; fu dunque condotto dall’amore per un tempo di penitenza e preghiera. Digiuna, ma non è un digiunare miracoloso, senza fame; è un vero digiuno. Ciò che Gesù cerca nel deserto non è precisamente di essere tentato dal Demonio, ma di vivere la penitenza espiatrice per i peccatori, ponendosi deciso sulla strada del sacrificio che terminerà con la croce. Gesù sa, tuttavia, che il Tentatore verrà per ostacolare il suo cammino. Sa che il Tentatore uscirà allo scoperto per un attacco frontale sentendosi all’indomani della sconfitta; sa che nella sua superbia proverà a vincerlo. Gesù sa e si prepara alla scontro, poiché andando nel deserto si è posto in un totale rifiuto di tutto ciò che è onore, ricchezza e senso, per abbracciare la penitenza a favore degli uomini.
Quaranta giorni stette Gesù nel deserto. Un giorno per ogni anno di presenza purificatrice di Israele nel deserto, dopo le varie ribellioni durante il cammino.
Gesù, già pubblicamente consacrato Messia, si unisce nel deserto a tutta l’umanità ribelle, ponendosi a capo di essa nella direzione del sacrificio, per farla entrare in una nuova terra promessa, che sarà quella spirituale dell’unione con Dio, verso la pienezza dell’incontro eterno.
Il Diavolo alla fine, quando vide che Gesù era stremato dalla fame si mosse, tentando di dirottarlo verso il suo consiglio. La fame era sofferenza, e Satana era pronto a presentarla come inutile. Se Gesù, invece, avesse dato soddisfazione alla sua fame, ecco che avrebbe imboccato la strada giusta per essere gradito dagli uomini. Questa la prospettiva del Tentatore. Satana gli presentò che un piccolissimo atto di alleanza con lui gli avrebbe aperto le porte del mondo; sarebbe diventato il conquistatore travolgente delle moltitudini. Se non avesse accettato il suo nausente aiuto, allora gli avrebbe reso la vita un inferno. Se poi voleva conquistare a sé il tempio doveva buttarsi giù dal pinnacolo, senza paura, visto che gli angeli lo avrebbero sostenuto: tutti di fronte ad un tale evento lo avrebbero acclamato loro re.
Gesù risponde ai tre assalti del Tentatore con la parola della Scrittura. E’ trincerato in se stesso, nell’unione obbediente al Padre. Non discute con Satana, la cui dialettica insinuante, baluginante superbia, senso, oro, successo, tenta di avvolgerlo. Gesù rimane nella preghiera, in una posizione di rifiuto totale di tutte le risonanze che Satana gli vuole suscitare nella carne.
Lo scontro si conclude con la fuga del nemico, che furibondo si mette ad organizzare una macchina di odio verso Gesù, per piegarlo col dolore, visto che le lusinghe del potere e del successo gli sono state rifiutate in modo reciso.
La vittoria di Gesù è a nostra disposizione dal momento che per il Battesimo siamo stati innestati in lui. Nel Battesimo siamo stati rigenerati nella grazia dello Spirito Santo e abbiamo pronunciato le parole della rinuncia del mondo, delle sue massime, delle sue pompe, e la rinuncia di tutte le seduzioni del Maligno. E anche abbiamo professato la nostra fede. Certo, tutto ciò al fonte l’hanno fatto per noi i nostri genitori, ma poi noi, istruiti su Cristo, abbiamo posto il nostro atto personale, sia circa la rinuncia, sia circa la professione.
Le rinunce battesimali non sono un atto formale, ma sono una scelta di campo che deve sempre rimanere; abbiamo scelto Cristo. Non è una professione in astratto, ma nella realtà della nostra unione con lui. Ogni professione di fede è un evento vivo, ricco di adesione a Cristo, pena l’essere soltanto una dichiarazione vuota, senza vita, e quindi senza effetto salvifico. San Paolo ci dice, infatti, che non basta la bocca, ma ci vuole anche il cuore; anzi l’atto di fede si sviluppa nel cuore, dopo che la verità ha toccato la mente. La professione di fede è atto di luce e di amore. E la professione deve raggiungere il labbro altrimenti non ci sarebbe la testimonianza e quindi ci sarebbe la viltà. Di fronte al mondo dobbiamo professare la nostra fede, certo tenendo presente che dobbiamo essere candidi come colombe e prudenti come serpenti, ma dobbiamo professarla.
Professare la fede è avere il pensiero di Cristo (Cf. 1Cor 2,16), ed è volere avere un cuore omogeneo a quello di Cristo. E qui possiamo rivolgerci l’interrogativo se sempre noi pensiamo secondo Cristo.
La nostra vita di cristiani è sicuramente drammatica, non tragica però. Drammatica perché siamo dei militi in battaglia, non contro creature fatte di carne e sangue come dice san Paolo (Cf. Ef 6,12), “ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Non tragica, perché fatta nel Vincente, fatta nella pace interiore, che sgorga dall’unione con Cristo.
Il popolo di Israele aveva la sua professione di fede fondata nel ricordo della sua liberazione dall’Egitto. Noi l’abbiamo nella viva adesione al Cristo morto e risorto. Non semplicemente ricordiamo, ma viviamo l’evento pasquale della nostra liberazione dal peccato, poiché partecipiamo all’unico sacrificio di Cristo, sacramentalmente presente nella celebrazione Eucaristica, che è il nuovo rito pasquale.
Il popolo di Israele fu condotto alla libertà dalla schiavitù egiziana, noi siamo stati condotti alla libertà di saperci donare, alla libertà dall’assedio degli onori, delle ricchezze e del senso. Ecco la grandezza portata da Cristo: l’uomo si realizza nel darsi agli altri. Questa è la vera libertà. Satana presenta una libertà che è amara schiavitù, che è distruzione del donare sé. La libertà proposta da Satana è tragica; dona un attimo di sporca giocondità e riserva un’eternità di orrore. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù. 

Mons. Crociata: “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21459?l=italian

Mons. Crociata: “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare”

Intervenendo al Convegno della CEI su “La pastorale della scuola e l’istanza educativa”

ROMA, venerdì, 19 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Educare significa abilitare alla capacità di giudicare e di scegliere”. E’ quanto ha detto giovedì in occasione della messa di apertura del Convegno nazionale di pastorale della scuola, tuttora in corso di svolgimento a Roma, il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il Vescovo Mariano Crociata.

L’incontro promosso dall’Ufficio nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università della CEI ha per tema “La pastorale della scuola di fronte all’istanza educativa” e si concluderà il 20 febbraio.

“Educare – ha continuato mons. Crociata nella sua omelia, secondo quanto riferito dall’agenzia Sir – significa, o comunque comporta, accompagnare e condurre a elaborare la capacità di distinguere, e quindi di giudicare e di scegliere”.

“In questo – ha sottolineato ancora – sta una grande lezione, purtroppo spesso drammaticamente dimenticata, se non rimossa o respinta, poiché non raramente si ritiene che la persona si forma seguendo un moto di autonoma e incontrollata spontaneità priva di giudizi e di punti di riferimento”.

Tuttavia, ha precisato, “non c’è crescita e maturazione umana, e neanche realizzazione sociale e professionale, senza il prezzo della fedeltà, della fatica e del lavoro assiduo e oneroso, senza la capacità di sacrificarsi e di rinunciare a qualcosa di sé o, semplicemente, a se stessi”.

Nell’aprire i lavori nella mattinata di giovedì il Segretario della Commissione episcopale per l’Educazione cattolica, la Scuola e l’Università, mons. Michele Pennisi, aveva detto invece che “bisogna rivendicare la libertà di educazione non come una battaglia per difendere privilegi confessionali, ma come una battaglia civile che garantisca un vero pluralismo e un’autentica laicità, valorizzando le scuole paritarie cattoliche o di ispirazione cristiana come luogo educativo per la società civile, essenziale per il bene comune”.

Il Vescovo di Piazza Armerina aveva poi osservato “che non è accettabile la tesi che considera come un mondo separato ed estraneo alla missione propria della comunità cristiana la scuola pubblica, sia essa paritaria che statale, fondata sull’autonomia e quindi aperta al territorio”.

Il presule aveva quindi sollecitato un maggior sostegno da parte delle autorità statali e degli enti locali, perché “l’apporto degli insegnanti di religione, il servizio delle scuole paritarie e dei centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana rappresentano punti di forza del sistema educativo integrato d’istruzione e di formazione”.

Dal canto suo don Cesare Bissoli, docente emerito di Catechesi biblica presso la Pontificia Università Salesiana, intervenendo questo venerdì ha ricordato che “Gesù non ha mai fatto il guru solitario, ma è stato veramente uomo della gente, anzi delle singole figure, e sovente povere, marginali ed emarginate” e che “ha sempre curato il singolo, pur incontrando la massa”.

Il biblista, intervenuto sulla figura dell’educatore nei Vangeli, ha poi fatto notare che quello di Gesù era uno “stile” educativo “certamente suggestivo e attraente, fatto di dedizione amorosa, totale e fedele, oggi qualificato con la categoria dell’ospitalità, di una santità ospitale”.

Secondo don Cesare Bissoli, “nell’arte educativa di Gesù lo scopo è il fattore decisivo, è la sua eredità maggiore, perché il fine per lui non era una teoria del bene, alla maniera kantiana, ma il volto del Padre da svelare agli uomini”.

Successivamente è intervenuto anche don Riccardo Tonelli, docente emerito di Pastorale giovanile presso l’Università Pontificia Salesiana, il quale ha sottolineato che “la pastorale, orientata verso l’integrazione tra la fede e la vita, ha bisogno del supporto culturale di una educazione, orientata a far maturare in umanità”.

“Nello stesso tempo – ha detto –, la pastorale dialoga con l’educativo, offrendo quella ispirazione radicale che sostiene, incoraggia e valuta la ricerca autonoma e competente”.

“Noi accogliamo abitualmente le ragioni di senso e di speranza, le prospettive di futuro e gli inviti alla responsabilità nel presente – ha spiegato don Tonelli – attraverso quella relazione che assicura un dialogo tra i giovani con le generazioni che li hanno preceduti”.

Siamo “in emergenza”, invece, “quando si rompe questa relazione e non sappiamo più dove andare a ritrovare le ragioni per vivere e per sperare”.

“Per vivere abbiamo però bisogno almeno di sopravvivere”, ha poi fatto notare il sacerdote: “E così spesso queste ragioni le accogliamo dal primo venuto, da colui che grida più forte o che possiede attributi speciali per sedurre e incantare. L’esito è quello che vediamo e che tanto preoccupa”.

Di qui, ha concluso, la necessità di “ricostruire una figura di educazione, che sappia immaginare contenuti al servizio della vita e della speranza, all’interno di una rinnovata e ricostruita relazione intergenerazionale”.

Publié dans:Educazione, Scuola, Università  |on 20 février, 2010 |Pas de commentaires »

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