Lithographie anonyme – Sermon sur la montagne
Lithographie anonyme Sermon sur la montagne
http://www.artbible.net/3JC/-Mat-05,01-07-Sermon_%20on%20the%20mount_sur%20la%20montagne/index4.html

Lithographie anonyme Sermon sur la montagne
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dal sito:
http://www.zenit.org/article-21361?l=italian
Beato chi accoglie la Vita
VI domenica del Tempo Ordinario, 14 febbraio 2010
di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).-“Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
‘Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti’” (Lc 6,17-26).
“Così dice il Signore: ‘Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. E’ come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si da pena, non smette di produrre frutti’” (Ger 17,5-8).
“Fratelli…se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. (…) Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,12.20).
Le Beatitudini sono stati di appagamento profondo dell’essere, non conformi e addirittura sconcertanti dal punto di vista delle esigenze naturali, poichè non solo non corrispondono ai comuni criteri della pubblicità, ma li contraddicono e li capovolgono paradossalmente.
Diciamo che il “prodotto” reclamizzato dalle Beatitudini non promette nulla di buono a prima vista, come un cibo scaduto o addirittura avariato e nauseabondo.
Per di più, il nome del prodotto (“beatitudini”) sembra rimandare a qualcosa di ultraterreno, inafferrabile come il paradiso o irrealizzabile come un viaggio nello spazio.
Le Beatitudini rischiano così di fare bella figura solo come genere letterario religioso, il genere delle utopie, delle illusioni in cui si rifugiano quelli che non sopportano la loro situazione presente, o che non hanno i piedi per terra: “…esultate perché la vostra ricompensa è grande nel cielo” (Lc 6,23).
Così, le “Beatitudini” fanno sorridere i grandi, sapienti e intelligenti come sono, sempre in cerca del piacere effimero, ma i bambini le conoscono per esperienza innata, ed è anche questo il loro paradosso: coloro, come i bambini, che non hanno ancora assaporato l’amarezza della vita, possiedono già e vivono splendidamente il segreto della felicità.
La “beatitudine”, infatti, è il segno e il frutto di una cosa molto semplice: la fiducia immediata dei piccoli: “io resto quieto e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Salmo 131/130, v.2); è espressione di gioiosa reciproca appartenenza nell’amore, è la felicità del bambino dinanzi al volto della mamma, la sua sazietà dopo la poppata, e la tenerezza sconfinata di lei: “..perchè tu sei con me” (Salmo 23/22, v.4). Tutto ciò, per l’adulto, corrisponde al rapporto di fede e amore con Dio Padre.
Noi grandi abbiamo un bisogno vitale di contemplare il mistero delle Beatitudini, cioè di farne esperienza nel cuore.
Ora, tale esperienza interiore è un dono certo della Divina Misericordia (come dono del sole è il suo calore), per tutti coloro che credono nell’amore di Dio per loro e concretamente ripongono in Lui la loro fiducia (Ger 17,5-8), certa e salda qualunque cosa abbiano commesso contro di Lui.
A chi ancora non ha fatto questa consolante esperienza, è chiesta l’umiltà di credere a coloro che li hanno preceduti in tale grazia: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi e per sempre!” (Eb 13,8).
Ascoltiamo le parole di un testimone tanto autorevole quanto umile e radioso della verità delle Beatitudini:“Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi A.T., quali troviamo per esempio, nel salmo 1 e nel testo parallelo di Ger 17,7: ‘Benedetto l’uomo che confida nel Signore…’. La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: ‘Alzati gli occhi verso i suoi discepoli…’. Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono, per così dire, lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr Lc 6,20s). Rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo i criteri mondani sono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. Sono promesse escatologiche, non nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell’aldilà. Se l’uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di ciò che deve venire è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione” (Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret”, p. 94).
Quando un uragano (o un terremoto) si abbatte su una casa, se essa è costruita sulla roccia resiste, ma se le fondamenta sono sabbiose finisce per crollare, e grande è la sua rovina. Questa parabola di Gesù è scelta spesso dagli sposi come Vangelo della loro Messa nuziale (Mt 7,24-29).
Va notato che, nel caso del crollo della casa, Gesù non parla poi di una possibile ricostruzione dalle macerie, ma la fa intendere implicitamente a motivo di Se stesso, poiché egli, che è la Misericordia, “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).
Ricordiamo il suo incontro con l’adultera, una donna sulla quale si scatena la furia integralista degli scribi e farisei, e che Gesù salva e “ricostruisce” tre volte: dalle macerie morali di un matrimonio adultero, dalle macerie esistenziali della sua stessa vita ormai condannata a morte, dalle macerie eterne della Geenna (Gv 8,1s).
Tempo fa ho veduto realizzarsi il paradosso delle Beatitudini in una casa abitata da una coppia sposata con tre figli adolescenti. La vita scorreva da anni senza scosse rilevanti,..il tempo cambiava solo per qualche giornata di pioggia e il torrente accanto alla casa non era mai straripato.
Un giorno, complice determinante il medico che lo definì “solo un progetto di vita”, il quarto figlio fu da loro ucciso volontariamente sulla soglia dei tre mesi di vita. Allora un uragano di angoscia, di rimorsi, di accuse e di dolore si abbattè su questa casa ed essa crollò subito miseramente. Dopo mesi e mesi di pianti, insonnia e sedute psicologiche, venne per grazia l’ora dell’incontro con la Misericordia di Dio, in confessionale: “Una cosa c’era prima: la superbia di poter controllare tutto, di stare nella sicurezza, di bastare a te stesso. Non era cattiveria, ma..una superficialità, la superbia dell’autosufficienza”. Queste le parole accorate di lui, ormai uscito sacramentalmente dalla stretta dell’angoscia.
Questa diagnosi del “pre-aborto” era giusta, e corrisponde alle parole di Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando dal cuore il suo Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa, non vedrà venire il bene…” (Ger 17,5s).
Un bambino è sempre “il bene” che viene da parte di Dio, ma se si vive come se Dio non ci fosse è facile non riconoscerlo, ingannando mortalmente il proprio cuore. Certo, per la fondamenta già fragili della casa che ho raccontato fu fatale anche l’inganno del medico, ma ora, ritrovata la pace nel perdono di Dio, il “guai a voi, ricchi,..guai a voi sazi…” si sta mutando nella verità delle Beatitudini per tutta la famiglia.
Scrive Romano Guardini: “Per il suo amore Dio è in grado di elevarsi e, senza recare attentato alla verità e alla giustizia gli è lecito dichiarare che la colpa non esiste più. Dio è in grado non solo di dire, ma di far sì creativamente che io non sia più colpevole” (R.G., “Il Signore”, cap. 9).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
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Santa Bernadette, un’icona della pastorale della salute
Le sue reliquie a Roma per la festa della Madonna di Lourdes
di Carmen Elena Villa
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La presenza delle reliquie di Santa Bernadette (1844 – 1879) a Roma ha attirato migliaia di fedeli provenienti da varie parti del mondo.
Il 9 e il 10 febbraio la Basilica di Santa Maria Maggiore, il più grande tempio del mondo dedicato alla Madonna, ha accolto le reliquie della Santa con una presenza moltitudinaria.
Questo giovedì, per commemorare la Giornata Mondiale del Malato e la festa della Madonna di Lourdes, si è svolta a Roma una processione da Castel Sant’Angelo a Piazza San Pietro, percorrendo tutta Via della Conciliazione.
Dopo la processione è iniziata la Messa, presieduta da Benedetto XVI, per la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato, alla presenza dell’immagine della Madonna di Lourdes.
Che cos’ha di speciale Santa Bernadette, oltre ad essere stata testimone oculare delle apparizioni della Madonna di Lourdes 152 anni fa? Ha parlato di questo tema il Vescovo della Diocesi, Jaques Perrier, in un incontro con la stampa svoltosi nella Santa Sede durante il quale sono state rese note le iniziative per i 25 anni del Pontificio Consiglio per la Salute.
Bernadette: apostolo dei malati e degli infermieri
La figura di questa Santa ha molto da dire alla Pastorale della Salute. Per questo il dicastero vaticano che si dedica a questo settore è stato fondato proprio nel giorno della Madonna di Lourdes, e per questa ragione in questo giorno si celebra la Giornata Mondiale del Malato.
Secondo monsignor Perrier, Bernadette era la « malata » preferita di uno dei suoi medici. La Santa Contrasse il colera quando era piccola, e come conseguenza di questa malattia soffrì d’asma per tutta la vita. Dopo essere diventata religiosa ebbe anche un tumore alla gamba estremamente doloroso che la faceva zoppicare.
Monsignor Perrier ha dichiarato che la Santa « ha assunto la condizione di paziente, senza lamentele », e che umanamente « detestava la sofferenza », ma « ha accettato di soffrire in unione a Cristo », non con un senso di masochismo, ma in una vera visione di sacrificio.
Oltre a questo, Bernadette era un’ »infermiera esemplare », che si prendeva cura delle consorelle nel convento delle Figlie della Carità di Nevers (Francia), dove entrò nel 1866, otto anni dopo aver ricevuto le apparizioni della Madonna.
Monsignor Perrier ha anche ricordato il « senso dell’umorismo » della Santa, così come la sua « carità » con le consorelle malate.
Per guarire serve la fede
Durante le apparizioni, Bernadette trovò su indicazione della Vergine una fonte di acqua miracolosa. Fonte alla quale accorrono ancora oggi migliaia di persone malate provenienti da tutto il mondo.
L’acqua della fonte è stata analizzata da vari laboratori indipendenti, che hanno verificato che la sua composizione è normale. Ad ogni modo, da allora sono avvenute più di 2.500 guarigioni inspiegabili per la scienza, 67 delle quali sono state riconosciute ufficialmente come miracolose dalla Santa Sede.
Parlando di questo, monsignor Perrier ha ricordato che Gesù, prima di curare il paralitico, gli disse « Ti sono rimessi i peccati » (Mc 2, 3-12). Ma lo guarì anche.
Queste guarigioni, ha affermato, sono « in comunione con la prospettiva evangelica » e con la fede che i malati hanno quando si avvicinano alla fonte d’acqua. I pazienti che non vengono curati fisicamente « non tornano da Lourdes delusi o disperati », ha aggiunto, ma accettano la volontà di Dio.
Pontefici pellegrini a Lourdes
Monsignor Perrier ha segnalato anche la devozione speciale degli ultimi due Pontefici per il Santuario di Lourdes.
Il Vescovo ha confessato a ZENIT che Giovanni Paolo II, pur citando sempre Czestochowa e Fatima, quando parlava dei santuari mariani affermava che Lourdes era « sempre il primo della lista ».
E’ necessario, ha aggiunto il presule, che quanti sono coinvolti nella Pastorale della Salute rileggano i discorsi che Giovanni Paolo II pronunciò ai malati durante il suo viaggio a Lourdes nel 1983, due anni dopo aver subito l’attentato in Piazza San Pietro. « Il Papa parlava con cognizione di causa, i suoi discorsi non furono idealisti », ha sottolineato.
Giovanni Paolo II si recò di nuovo a Lourdes nel 2004. Fu il suo ultimo viaggio fuori dall’Italia. Questo fatto, ha rivelato monsignor Perrier, « fu un’enorme consolazione per gli handicappati e gli infermi ».
Il presule ha anche ricordato il viaggio di Benedetto XVI nel 2008, in occasione della celebrazione dei 150 anni delle apparizioni di Lourdes. Il 15 settembre amministrò il sacramento dell’unzione degli infermi a 12 malati di varie età e condizioni. « Rimarrà nella storia come il Papa che ha dato pubblicamente l’unzione dei malati », ha concluso il Vescovo.
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Benedetto XVI: la Chiesa promuove un mondo che accolga i malati
Omelia nella XVIII Giornata Mondiale del Malato
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 11 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata da Papa Benedetto XVI durante la Messa celebrata nella Basilica di San Pietro nella XVIII Giornata Mondiale del Malato e nel XXV anniversario della fondazione del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Agenti Sanitari. Durante la celebrazione erano presenti le reliquie di Santa Bernadette Soubirous, testimone delle apparizioni della Madonna a Lourdes, la cui memoria liturgica si celebra questo giovedì.
* * *
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle!
I Vangeli, nelle sintetiche descrizioni della breve ma intensa vita pubblica di Gesù, attestano che egli annuncia la Parola e opera guarigioni di malati, segno per eccellenza della vicinanza del Regno di Dio. Ad esempio, Matteo scrive: « Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo » (Mt 4,23; cfr 9,35). La Chiesa, cui è affidato il compito di prolungare nello spazio e nel tempo la missione di Cristo, non può disattendere queste due opere essenziali: evangelizzazione e cura dei malati nel corpo e nello spirito. Dio, infatti, vuole guarire tutto l’uomo e nel Vangelo la guarigione del corpo è segno del risanamento più profondo che è la remissione dei peccati (cfr Mc 2,1-12). Non meraviglia, dunque, che Maria, madre e modello della Chiesa, sia invocata e venerata come « Salus infirmorum », « Salute dei malati ». Quale prima e perfetta discepola del suo Figlio, Ella ha sempre mostrato, nell’accompagnare il cammino della Chiesa, una speciale sollecitudine per i sofferenti. Ne danno testimonianza le migliaia di persone che si recano nei santuari mariani per invocare la Madre di Cristo e trovano in lei forza e sollievo. Il racconto evangelico della Visitazione (cfr Lc 1,39-56) ci mostra come la Vergine, dopo l’annuncio dell’Angelo, non tenne per sé il dono ricevuto, ma partì subito per andare ad aiutare l’anziana cugina Elisabetta, che da sei mesi portava in grembo Giovanni. Nel sostegno offerto da Maria a questa parente che vive, in età avanzata, una situazione delicata come la gravidanza, vediamo prefigurata tutta l’azione della Chiesa a sostegno della vita bisognosa di cura.
Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, istituito 25 anni or sono dal Venerabile Giovanni Paolo II, è senza dubbio un’espressione privilegiata di tale sollecitudine. Il pensiero va con riconoscenza al Cardinale Fiorenzo Angelini, primo Presidente del Dicastero e da sempre appassionato animatore di questo ambito di attività ecclesiale; come pure al Cardinale Javier Lozano Barragán, che fino a pochi mesi fa ha dato continuità ed incremento a tale servizio. Con viva cordialità rivolgo, poi, all’attuale Presidente, Mons. Zygmunt Zimowski, che ha assunto tale significativa ed importante eredità, il mio saluto, che estendo a tutti gli officiali ed al personale che in questo quarto di secolo hanno lodevolmente collaborato in tale ufficio della Santa Sede. Desidero, inoltre, salutare le associazioni e gli organismi che curano l’organizzazione della Giornata del Malato, in particolare l’UNITALSI e l’Opera Romana Pellegrinaggi. Il benvenuto più affettuoso va naturalmente a voi, cari malati! Grazie di essere venuti e soprattutto della vostra preghiera, arricchita dall’offerta delle vostre fatiche e sofferenze. E il saluto si dirige poi agli ammalati e ai volontari collegati con noi da Lourdes, Fatima, Czestochowa e dagli altri Santuari mariani, a quanti seguono mediante la radio e la televisione, specialmente dalle case di cura o dalle proprie abitazioni. Il Signore Iddio, che veglia costantemente sui suoi figli, dia a tutti conforto e consolazione.
Due sono i temi principali che presenta oggi la liturgia della Parola: il primo è di carattere mariano e collega il Vangelo e la prima lettura, tratta dal capitolo finale del Libro di Isaia, come pure il Salmo responsoriale, ricavato dal cantico di lode a Giuditta. L’altro tema, che troviamo nel brano della Lettera di Giacomo, è quello della preghiera della Chiesa per i malati e, in particolare, del sacramento a loro riservato. Nella memoria delle apparizioni a Lourdes, luogo prescelto da Maria per manifestare la sua materna sollecitudine per gli infermi, la liturgia riecheggia opportunamente il Magnificat, il cantico della Vergine che esalta le meraviglie di Dio nella storia della salvezza: gli umili e gli indigenti, come tutti coloro che temono Dio, sperimentano la sua misericordia, che ribalta le sorti terrene e dimostra così la santità del Creatore e Redentore. Il Magnificat non è il cantico di coloro ai quali arride la fortuna, che hanno sempre « il vento in poppa »; è piuttosto il ringraziamento di chi conosce i drammi della vita, ma confida nell’opera redentrice di Dio. È un canto che esprime la fede provata di generazioni di uomini e donne che hanno posto in Dio la loro speranza e si sono impegnati in prima persona, come Maria, per essere di aiuto ai fratelli nel bisogno. Nel Magnificat sentiamo la voce di tanti Santi e Sante della carità, penso in particolare a quelli che hanno speso la loro vita tra i malati e i sofferenti, come Camillo de Lellis e Giovanni di Dio, Damiano de Veuster e Benedetto Menni. Chi rimane a lungo vicino alle persone sofferenti, conosce l’angoscia e le lacrime, ma anche il miracolo della gioia, frutto dell’amore.
La maternità della Chiesa è riflesso dell’amore premuroso di Dio, di cui parla il profeta Isaia: « Come una madre consola un figlio, / così io vi consolerò; / a Gerusalemme sarete consolati » (Is 66,13). Una maternità che parla senza parole, che suscita nei cuori la consolazione, una gioia intima, una gioia che paradossalmente convive con il dolore, con la sofferenza. La Chiesa, come Maria, custodisce dentro di sé i drammi dell’uomo e la consolazione di Dio, li tiene insieme, lungo il pellegrinaggio della storia. Attraverso i secoli, la Chiesa mostra i segni dell’amore di Dio, che continua ad operare cose grandi nelle persone umili e semplici. La sofferenza accettata e offerta, la condivisione sincera e gratuita, non sono forse miracoli dell’amore? Il coraggio di affrontare il male disarmati – come Giuditta -, con la sola forza della fede e della speranza nel Signore, non è un miracolo che la grazia di Dio suscita continuamente in tante persone che spendono tempo ed energie per aiutare chi soffre? Per tutto questo noi viviamo una gioia che non dimentica la sofferenza, anzi, la comprende. In questo modo i malati e tutti i sofferenti sono nella Chiesa non solo destinatari di attenzione e di cura, ma prima ancora e soprattutto protagonisti del pellegrinaggio della fede e della speranza, testimoni dei prodigi dell’amore, della gioia pasquale che fiorisce dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo.
Nel brano della Lettera di Giacomo, appena proclamato, l’Apostolo invita ad attendere con costanza la venuta ormai prossima del Signore e, in tale contesto, rivolge una particolare esortazione riguardante i malati. Questa collocazione è molto interessante, perché rispecchia l’azione di Gesù, che guarendo i malati mostrava la vicinanza del Regno di Dio. La malattia è vista nella prospettiva degli ultimi tempi, con il realismo della speranza tipicamente cristiano. « Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode » (Gc 5,13). Sembra di sentire parole simili di san Paolo, quando invita a vivere ogni cosa in relazione alla radicale novità di Cristo, alla sua morte e risurrezione (cfr 1 Cor 7,29-31). « Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato » (Gc 5,14-15). Qui è evidente il prolungamento di Cristo nella sua Chiesa: è ancora Lui che agisce, mediante i presbiteri; è il suo stesso Spirito che opera mediante il segno sacramentale dell’olio; è a Lui che si rivolge la fede, espressa nella preghiera; e, come accadeva alle persone guarite da Gesù, ad ogni malato si può dire: la tua fede, sorretta dalla fede dei fratelli e delle sorelle, ti ha salvato.
Da questo testo, che contiene il fondamento e la prassi del sacramento dell’Unzione dei malati, si ricava al tempo stesso una visione del ruolo dei malati nella Chiesa. Un ruolo attivo nel « provocare », per così dire, la preghiera fatta con fede. « Chi è malato, chiami i presbiteri ». In questo Anno Sacerdotale, mi piace sottolineare il legame tra i malati e i sacerdoti, una specie di alleanza, di « complicità » evangelica. Entrambi hanno un compito: il malato deve « chiamare » i presbiteri, e questi devono rispondere, per attirare sull’esperienza della malattia la presenza e l’azione del Risorto e del suo Spirito. E qui possiamo vedere tutta l’importanza della pastorale dei malati, il cui valore è davvero incalcolabile, per il bene immenso che fa in primo luogo al malato e al sacerdote stesso, ma anche ai familiari, ai conoscenti, alla comunità e, attraverso vie ignote e misteriose, a tutta la Chiesa e al mondo. In effetti, quando la Parola di Dio parla di guarigione, di salvezza, di salute del malato, intende questi concetti in senso integrale, non separando mai anima e corpo: un malato guarito dalla preghiera di Cristo, mediante la Chiesa, è una gioia sulla terra e nel cielo, è una primizia di vita eterna.
Cari amici, come ho scritto nell’Enciclica Spe salvi, « la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società » (n. 30). Istituendo un Dicastero dedicato alla pastorale sanitaria, la Santa Sede ha voluto offrire il proprio contributo anche per promuovere un mondo più capace di accogliere e curare i malati come persone. Ha voluto, infatti, aiutarli a vivere l’esperienza dell’infermità in modo umano, non rinnegandola, ma offrendo ad essa un senso. Vorrei concludere queste riflessioni con un pensiero del Venerabile Papa Giovanni Paolo II, che egli ha testimoniato con la propria vita. Nella Lettera apostolica Salvifici doloris egli ha scritto: « Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza » (n. 30). Ci aiuti la Vergine Maria a vivere pienamente questa missione. Amen!
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100213
Sabato della V settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 8,1-10
Meditazione del giorno
Baldovino di Ford ( ?-circa 1190), abate cistercense
Il Sacramento dell’altare, II, 1 ; SC 93, 131
« Presi quei sette pani, rese grazie, li spezzò »
Gesù spezzò il pane. Se non avesse spezzato il pane, come le briciole sarebbero potute giungere fino a noi? Egli l’ha spezzato e l’ha distribuito, «l’ha disperso e dato ai poveri» (Sal 111,9 Volg). L’ha spezzato per grazia per spezzare la collera del Padre e la propria collera. Dio l’aveva detto: ci avrebbe spezzati, se il suo Unico, «suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per stornare la sua collera dallo sterminio» (Sal 105,23). È stato davanti a Dio e l’ha placato; grazie alla sua forza indefettibile, è rimasto in piedi, senza essere spezzato.
Invece lui, volontariamente, ha spezzato, ha offerto la sua carne, spezzata dalla sofferenza. Lì, ha «spezzato la saette dell’arco» (Sal 75,4), «ha spezzato la testa al Leviatàn», cioè a tutti i nostri nemici, nella sua collera. In questo modo ha spezzato, in un certo modo, le tavole della prima alleanza, affinché non fossimo più sotto la Legge. Così ha spezzato tutto ciò che ci spezzava, per riparare in noi quanto era stato spezzato e per «rimandare liberi gli oppressi» (Is 58,6). Infatti eravamo «prigionieri della miseria e dei ceppi» (Sal 106,10).
Buon Gesù, oggi ancora, sebbene tu abbia spezzato la tua collera, spezzato il pane per noi, poveri mendicanti, noi abbiamo ancora fame… Spezza dunque ogni giorno questo pane per coloro che hanno fame. Infatti oggi e ogni giorno, raccogliamo alcune briciole, e ogni giorno abbiamo di nuovo bisogno del nostro pane quotidiano. «Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano» (Lc 11,3). Se tu non lo darai, chi lo darà? Nella nostra indigenza e nel nostro bisogno, non c’è nessuno che possa rompere il pane per noi, nessuno che possa nutrirci, nessuno che possa ridarci forza, nessuno se non tu, o nostro Dio. In ogni consolazione che ci mandi, raccogliamo le briciole del pane che spezzi per noi e gustiamo «quanto è buona la tua misericordia» (Sal 108,21 volg).