buona notte

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100228
II Domenica di Quaresima – Anno C : Lc 9,28-36
Meditazione del giorno
Anastasio Sinaita (? – dopo 700), monaco
Discorso sulla Trasfigurazione
« Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, parlavano con lui della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme »
Oggi, sul monte Tabor, ci viene misteriosamente manifestata la condizione della vita futura e del Regno della gioia. Oggi, in un modo stupendo, gli antichi messaggeri dell’Antica e della Nuova Alleanza sono radunati intorno a Dio sul monte, portatori di un mistero pieno di paradosso. Oggi, sul monte Tabor si profila il mistero della croce che, oltrepassata la morte, dona la vita : come Cristo fu crocifisso in mezzo a due uomini sul monte Calvario, così egli è innalzato nella sua divina maestà tra Mosè e Elia. E la festa di oggi ci mostra quest’altro Sinai, monte molto più prezioso dell’antico Sinai, per le sue meraviglie e gli eventi che vi accadono : con la sua teofania, supera le visioni divine, figurate ed oscure.
Rallegrati, o Creatore di ogni cosa, Cristo Re, Figlio di Dio, tutto splendente di luce, tu che hai trasfigurato a tua immagine tutta la creazione e l’hai ricreata in un modo migliore. Rallegrati, o immagine del Regno celeste, monte santissimo del Tabor, tu che superi in bellezza tutti i monti ! Monte del Gòlgota e monte degli Ulivi, cantate insieme l’inno di lode e rallegratevi ; con voce unanime, cantate Cristo sul monte Tabor e celebratelo tutti insieme !
dal sito:
http://www.sanbiagio.org/lectio/libri_poetici_sapienziali/preghiera_richiesta_perdono.htm
Salmo 50 (51) – (lectio)
La bellezza e l’importanza vitale di questo salmo, proprio alla scoperta di un cammino di preghiera, è così espresso da Charles de Foucauld. « E’ un compendio di adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. A partire dalla considerazione di noi stessi e dalla vista dei nostri peccati, questo salmo sale fino alla contemplazione di Dio passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini » (citato da Ravasi G. Il libro dei salmi. Voll. II, EDB pag 13).
Questo salmo attraversa tutta la storia della spiritualità. Costituisce lo schema interno alle Confessioni di S. Agostino; è stato meditato e commentato da uomini come S. Gregorio Magno, il Savonarola, Lutero e Dostoevskij. Musicisti come Bach, Donizzetti e altri più recenti l’hanno musicato. Grandi pittori come G. Rouault si sono ispirati ad esso. « Meditandolo e pregandolo noi entriamo nel cuore dell’uomo e della storia » (C. M. Martini).
A lungo, come dicono i vv. 1-2, si è pensato che l’autore fosse Davide. Dal suo cuore sarebbe sgorgato il salmo dopo il suo adulterio con Betsabea, l’uccisione del marito Uria e l’ascolto della provocatoria parabola del profeta Natan (Cf 2Sam 11-12).
Oggi, gli esegeti sono invece propensi a cogliere, nel salmo, elementi teologici tipici dei profeti, specie di Geremia. Sarebbe dunque databile intorno al IV sec. a.C. dopo l’esilio babilonese. Va comunque sottolineato che la carica esistenziale, giunta dai profeti, ha fatto rielaborare in forma di preghiera personale, adatta a tutti i tempi, un’esperienza autentica di peccato e di conversione, nel più fiducioso ricorso a Dio.
E’ tale da farci cogliere una cosa importantissima nel rapporto coscienza del peccato e nostra preghiera: al centro – luce liberazione e salvezza – c’è la giustizia salvifica di Dio che è una sola cosa con la sua misericordia.
Lui è più grande di ogni nostro peccato: Sulla bilancia: peccato-Dio il piatto che pesa di più è quello dell’ « Esserci di Dio » ed « Esserci » come Misericordia.
La struttura risulta una grande armonia scandita da queste parti:
Introduzione: vv. 1-2 Si attribuisce il Salmo a Davide caduto in grave colpa.
vv.1-8 Si esplicita una consapevolezza acuta e dolorosa del peccato come enorme male. I verbi sono tutti all’indicativo ed esprimono dei fatti, degli errori commessi, in sostanza, contro Dio.
vv. 9-14 Si esprime la supplica. La percezione di Dio qui è certezza che Egli è assoluta fonte di perdono di grazia di rigenerazione e di gioia. I verbi sono all’imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia ecc.
vv. 15-19 Riguarda il futuro: quel che il salmista intravede come progetto di Dio. I verbi sono al futuro: insegnerò, la mia lingua acclamerà.
vv. 20-21 Appendice liturgica che è stata aggiunta in seguito.
vv. 3-5 « Pietà di me, o Dio secondo la tua bontà, secondo l’immensa tua misericordia, cancella le mie trasgressioni ».
Esordio importantissimo! L’accento è messo su Dio, anche se è forte il senso del peccato. Viene in mente quello che l’esegeta A. Gelin ha chiamato il « biglietto da visita di Dio nell’A.T. »: Jaweh, Jaweh, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione (Es 34,6-7).
Attingendo poi all’immagine di Dio – Padre che ci ha svelato Gesù, come non pensare a Lc 15 e a quella che si può dire la descrizione della psicologia del Padre misericordioso, nella parabola di Lui che accoglie e perdona? Interessante notare che il salmista dice: « secondo la tua misericordia » e non « nella tua misericordia » o « perché sei misericordioso ». L’accento è messo sull’ »intuire » (pur senza riuscire a capire!) l’enorme sproporzione tra il modo di essere dell’uomo e questa misericordia che è il modo di essere di Dio.
Le parole ebraiche tradotte con misericordia sono « hesed » e « rahamin ». Hesed esprime l’atteggiamento di Dio: lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà, tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore.
Dio è colui che io non pretendo di conoscere: però posso essere certo/a che per Lui sono importante, talmente Egli ha cura di me, « perfino dei capelli del mio capo », per dirla con Gesù! (cf Mt 10,30; Lc 12,7)
Hesed è uno dei vocaboli fondamentali sia della teologia salmica che di quella dell’Alleanza (ricorre 245 volte nell’A.T., di cui 127 solo nei salmi).
Ma è pure importante il termine rahamin (plurale di rehem) che evoca le viscere materne, simbolo archetipo dell’amore tutto donato. « Si dimentica forse una madre del suo bambino? Anche se ciò avvenisse, io non ti dimenticherò mai » (cf Is 49,15 e 30,18).
Nel Talmud « Misericordioso » è quasi il cognome di Dio che è così definito nella sua realtà più intima.
vv. 4-7 « Lavami dalla mia colpa, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia trasgressione, il mio peccato mi è sempre dinanzi. Contro te solo ho peccato ».
Con una ripetizione martellante ora il salmista porta alla ribalta il peccato, scoperto in tutta la sua nequizia. In ebraico sono usate tre parole di molto peso: Ht’= peccato; pèsa= colpa; awon= trasgressione e ribellione.
L’idea che il salmista ci comunica è che il peccato è il male fondamentale in sostanza, è l’unico vero male dell’uomo. Spezza infatti l’Alleanza nuziale con Dio; è uno sbandamento, è fallire il colpo nel « tiro a segno » della vita; è la rivolta contro Dio, fonte della vita e della gioia. In Es 21,8; Ger 3,20; Is 1,20; 50,5 emerge un’idea precisa dell’assoluta distruttività del peccato. Se Dio infatti costruisce pace e armonia in noi e nella storia, mediante la nostra libera adesione alla sua Legge, il peccato rovina e distrugge l’uomo e ciò che è correlato a lui perché si propone come volontà e progetto alternativo all’unica fonte di bene che è Dio.
v. 8 « Ecco, tu ami la verità della coscienza e nel mio intimo mi fai conoscere la sapienza ».
E’ un versetto che fa scivolare in un certo senso la prima nella seconda parte del salmo. Viene espresso che la coscienza lucida e forte di quello che è il peccato non trova però soluzione attraverso un rituale magico ma attraverso il sincero umiliarsi del cuore consapevole di aver fatto un gran « guasto »; un cuore però nello stesso tempo fiducioso nel perdono di Dio e nella possibilità di ricominciare con Lui a scegliere « la via della vita ».
E’ il « vuoto » del cuore contrito e umiliato che permette poi l’irrompere in noi della sapienza come capacità di vedere e decidere secondo ciò che piace a Dio.
vv. 9-11 « Purificami… lavami. Distogli il tuo volto dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe ».
Il salmo qui diventa supplica la cui forza è espressa dai verbi all’imperativo. Le immagini intensificano, attraverso la loro espressività simbolica, l’anelito alla purificazione. L’issopo è un’erba aromatica connessa al rito dell’agnello pasquale (Es 12,22), mentre la neve parla di un rinnovato candido splendore al cuore che viene perdonato da Dio (cf Is 1,18).
Anche l’immagine antropomorfica del « volto » di Dio (cf v. 11 e v. 13) approfondisce questo parlare con Dio, perché il volto è espressione, a volte dello sdegno e della punizione di Dio che non può sopportare il peccato (cf Sl 38,2; 90,8) così com’è espressione soprattutto della fonte di grazia e di pacificazione: « Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria » (Sl 30,8). Per questa persuasione il salmista è arrivato ora a pregare: « Fammi sentire gioia e allegria, esulteranno le ossa che hai spezzato » (v. 10). Il perdono infatti provoca una gioia che afferra tutto l’essere umano, anche nella sua realtà fisica ( le « ossa »).
Sentiamo risuonare Isaia: « Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore e le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca » (Is 66,4).
vv. 12-14 « Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo ».
La supplica diventa il grido di chi sempre più conosce Dio e, in preghiera, impara a conoscere se stesso alla Sua luce, chiedendo la forza del suo Spirito. Interessante il fatto che, nel testo ebraico, appaiono tre intense invocazioni allo Spirito Santo. L’italiano traduce: « sostieni in me uno spirito generoso », ma il testo originale dice: « rafforzami col tuo Spirito generoso ». Il senso è molto più consolante!
Siamo al momento culminante del salmo: è un’epiclesi penitenziale simile all’epiclesi nella Consacrazione, momento vertice della celebrazione eucaristica.
Importantissimo anche il termine « crea ». E’ il primo verbo della Bibbia: « In principio Dio creò il cielo e la terra » (Gn 1,1). La Bibbia riserva questa parola solo per Dio che fa sgorgare l’essere, l’assoluta novità dal nulla.
Solo Dio crea! L’uomo può ricevere l’essere, non lo dà. Correlata a questa richiesta di nuova creazione è l’altra supplica: « rendimi la gioia », nel testo originale: « fa risorgere in me la gioia ».
Il senso che viene da questa correlazione è profondo: dove c’è vera conoscenza di Dio e del suo perdono può esserci gioia vera, intensa!
vv. 15-19 « Insegnerò ai ribelli le tue vie (…) la mia lingua acclamerà la tua giustizia (…). Un cuore contrito e umiliato, o Dio, tu non disprezzi ».
E’ un finale fortemente intriso di speranza! Chi ha sperimentato lo forza travolgente della misericordia e « conosce » d’essere stato « ri-creato » da Dio, diventa un testimone, uno che sente l’urgenza dell’annuncio .
Sempre però anche quest’azione missionaria è sostenuta da Dio che ne è il propulsore. Quel Dio che non gradisce sacrifici e olocausti (v.18) formalistici e vuoti d’amore, unisce invece intimamente a sé lo spirito, meglio ancora il cuore che ha saputo entrare nell’umile e piena contrizione.
vv. 20-21 « Nel tuo amore favorisci Sion (…). Allora amerai i sacrifici legittimi ».
Gli esegeti hanno letto qui un’appendice liturgica, di valore secondario. Non è più solo il peccatore che si pente e chiede il perdono; è tutto il popolo che domanda a Dio di dimenticare le sue ribellioni e di gradire nuovamente gli olocausti, i riti d’Israele.
Se voglio imparare a pregare, è bene ch’io impari anzitutto a conoscere Dio nella sua identità di AMORE – MISERICORDIA e anche a conoscere me nella mia identità di persona che ha peccato.
Troppo spesso si prega con una conoscenza molto vaga sia di Dio che di se stessi. Si ha l’idea di un « paparone » quasi nonno e bonaccione, oppure di un giudice irato; un dio supportato da devozionalismi vari, la cui immagine si gioca nelle oscure paure della psiche o viene imbrattata da tante banalità di catechesi e omelie malfatte, da libercoli spiritualistici; oppure l’idea è di un Dio astratto da teologia impregnata di raziocinio. Un dio… non un Dio vivente, un Dio « tappabuchi »! Non Dio-Amore, Misericordia infinita!
Si prega anche con una cattiva coscienza di se stessi senza sufficiente capacità di giudizio su di sé.
Perfino confessandosi, il credente a volte più che accusare sé cerca giustificazioni, attenuanti, accusando gli altri. Scrive il Card. Martini: « Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei peccati; ne è però la premessa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che è solo mio e non va, l’ho fatto io e lo disapprovo » (La scuola della Parola. Mondadori, 1995 p. 46).
Bisogna dunque prendere coscienza che se, nelle mostre confessioni e nell’atteggiamento di fondo del nostro essere, siamo sempre propensi a scusare noi e ad accusare gli altri, siamo lontani dalla conoscenza di noi e tanto più dalla realtà del pentimento cristiano.
Un’altra presa di coscienza per aprirci alla ricchezza di questo salmo, riguarda il nostro contesto socioculturale. E’ molto bello che finalmente si parli anche di « peccato sociale » di « strutture di peccato », nella consapevolezza che il peccato tocca la Chiesa, disgrega la società e inquina gli aspetti politici ed economici delle comunità nazionali e mondiali.
Questo salmo però ci ricorda che, dietro ogni volto d’uomo, dentro ogni situazione umana, Dio è la grande Presenza. Quando io tratto male qualcuno, lo inganno, gli nego aiuto, è Dio che io tratto male e offendo! Il salmista infatti non dice: « Ho peccato » ma « Ho peccato contro di Te ». Ed è sulla scorta di tutto il salmo che il nostro pregare chiedendo perdono a Dio lungi da farci affondare nel deprimente senso di colpa, ci fa rimbalzare nella piena fiducia. « Il mio peccato mi è sempre davanti », « Quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto » dico con piena verità, ma senza indugiare con sguardo depresso sulle mie bassezze e miserie; perché volgendomi a Dio, grido a Lui con piena fiducia: « Pietà di me secondo la tua bontà, secondo l’immensa tua misericordia ».
- Quando prego, dopo una caduta, che idea ho di Dio nel mio cuore? Sono persuaso della sua infinita misericordia?
- Ho consapevolezza dell’enormità del peccato e riconosco lealmente qual è il peccato in cui più spesso cado? Oppure scivolo nella confusione e nella superficialità spirituale che tende a scusare me e a colpevolizzare gli altri?
- Vado a Dio oppresso/a da sensi di colpa o, mettendomi alla sua Presenza riconosco e consegno il mio peccato nella certezza del perdono di Dio?
- Peccato personale e sociale: radice di tutto è davvero, secondo me, l’aver rotto con Dio-Amore? Ne ho una persuasione inattaccabile?
Prego lentamente il salmo, mi soffermo sui versetti che più mi colpiscono, che rispondono, oggi, alla mia situazione spirituale. Li ripeto e memorizzo.
Non dimentico tra gli altri, quello che dice: « Crea in me un cuore puro, rendimi la gioia di essere salvato ». Lo mormoro sul ritmo del respiro.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17378.html
Omelia (28-02-2010)
Monaci Benedettini Silvestrini
Trasfigurato sul monte
Crea negli apostoli comprensibile sbigottimento, paura, e la più amara delusione dover sentire reiteratamente da Gesù che egli dovrà essere preso dagli uomini, essere giudicato iniquamente, essere condannato a morte con il supplizio della croce. L’idea che si erano fatta del loro maestro era esattamente l’opposto: immaginavano e vagheggiàvano, con Giuda in prima fila, la instaurazione di un regno, la liberazione dal nemico, la riconquista di un prestigio, già vissuto in passato per una evidente predilezione divina. Mentre Gesù infatti parlava di morte, un giorno sorprese i suoi, che lo seguivano, a discutere chi di loro dovesse essere il primo nel regno futuro. Ci fu anche un intervento maldestro di una mamma che raccomandava a Gesù i suoi figli, Giacomo e Giovanni, perché sedessero una destra e uno a sinistra nel suo regno. Appare evidente che già in loro, ma capita ancora a molti di noi, la morte di croce costituisca motivo di scandalo: già San Paolo parlava dello «scandalo della croce». Come comprendere ed accettare che il Messia, l’inviato di Dio, il liberatore, debba subire l’ignominia della croce e una morte tanto violenta? Ecco perché oggi, mentre viviamo l’esperienza quaresimale, insieme ai tre fortunati testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, prima che Gesù intraprenda la salita del monte Calvario, carico del legno della croce, ci trasferisce su un altro monte, sul Tàbor, per offrirci un segno della sua gloria e preannunciarci l’evento finale, dopo la sua morte, la sua gloriosa risurrezione. Sappiamo che quella celestiale visione non sarà sufficiente a smorzare del tutto la paura nei giorni della passione; soltanto quando tutti gli eventi avranno avuto il loro compimento, Gesù sarà veramente risorto e lo Spirito Santo avrà inondato della sua luce i dodici, radunati con Maria nel Cenacolo, ricorderanno e capiranno tutta la portata di quella visione. Solo allora Pietro potrà annunciare con profonda convinzione: «poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova». Soltanto quando i dubbiosi e gli spauriti apostoli saranno trasformati dallo Spirito in testimoni impavidi e diranno concordi «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone», affronteranno la missione di annunciare quell’evento al mondo intero. È in questa prospettiva di fede che molti fedeli hanno maturato una intensa e profonda devozione al Volto di Cristo. Hanno imparato a contemplarne i segni evidenti di una intensissima passione di amore, senza mai smettere la certezza della trasfigurazione gloriosa. Molti ne traggono motivo, con vera intelligenza spirituale, per saper leggere in quel Volto, la passione dell’uomo, dell’intera umanità, il volto di ogni uomo è lì raffigurato nella sofferenza e nella speranza, nel dolore più intenso e nell’anticipazione della gloria futura.
Aloe sp. Aloe
http://www.toptropicals.com/cgi-bin/garden_catalog/cat.cgi?number=5&find=Liliaceae&imagesonly=1
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100227
Sabato della I settimana di Quaresima : Mt 5,43-48
Meditazione del giorno
Sant’Isacco Siriano (7o secolo), monaco nella regione di Ninive (nell’Iraq attuale)
Discorsi, 2a parte, 38, 5 e 39, 3
« Fà sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni »
Presso il Creatore non c’è cambiamento, né intenzione che sia anteriore o posteriore ; nella sua natura, non c’è né odio, né risentimento, né posto più grande o più piccolo nel suo amore, né dopo né prima nella sua conoscenza. Infatti se tutti credono che la creazione abbia iniziato come una conseguenza della bontà e dell’amore del Creatore, sappiamo che questo motivo non cambia né diminuisce nel Creatore in seguito al corso disordinato della sua creazione.
Sarebbe odiosissimo e proprio blasfemo pretendere che esistano in Dio l’odio o il risentimento – nemmeno verso i demoni – o immaginarsi alcun’altra debolezza o passione… Al contrario, Dio agisce sempre con noi attraverso vie che ci sono vantaggiose, siano per noi cause di sofferenza o di sollievo, di gioia o di tristezza, siano insignificanti o gloriose. Tutte sono orientate verso gli stessi beni eterni.
MURILLO, THE RETURN OF THE PRODIGAL SON
http://www.artbible.net/3JC/-Luk-15,01_Son_lost_found_Fils_mort_vivant/index3.html
dal sito:
http://www.gesuveraluce.it/ravasi8.htm
Peccato e Perdono
di Gianfranco Ravasi
Il prossimo 28 febbraio entreremo nel tempo liturgico della Quaresima con la celebrazione delle Ceneri.
Noi ora ci accostiamo leggendo insieme una delle pagine più celebri della Bibbia, così ripetuta nei secoli da essere persino imparata da molti a memoria. Intendiamo riferirci al Salmo 51 (50), chiamato il Miserere dalla prima parola della versione latina del testo, eseguita da san Girolamo, parola che significa « Abbi pietà! ».
Charles de Foucauld, il fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù, esclamava: «Grazie, mio Dio, per averci dato questa divina preghiera del Miserere, la nostra preghiera quotidiana! Diciamo spesso questo Salmo, facciamone spesso la nostra preghiera! Esso racchiude il compendio di ogni nostra preghiera: adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda».
La cellula poetica e spirituale da cui sboccia questa supplica salmica – che è stata persino « dipinta » in ben 58 incisiom’ eseguite tra il 1917 e il 1927 da G. Rouault e messa in musica da Bach, LuHi, Donizetti, Honegger e altri ancora – è nell’appassionato versetto 6: «Contro te, contro te solo ho peccato!». La tradizione giudaica, proprio sulla base di questa confessione, ha attribuito il Salmo a Davide adultero con Betsabea e assassino del marito della donna, Uria (si legga 2 Samuele 1 1 -1 2).
Questo canto del peccatore pentito che è stato l’ossatura ideale delle Confessioni di sant’Agostino (II, 7), che è stato adottato come preghiera personale da santa Giovanna d’Arco e che è stato commentato in pagine altissime da Lutero – traccia innanzitutto i confini della regione oscura del peccato (versetti 3-1 1). Se l’uomo confessa la sua colpa, la giustizia salvifica di Dio riesce a purificare anche la creatura umana che è radicalmente peccatrice (versetto 7: «Nella colpa sono stato generato, peccatore mi concepì mia madre»).
Si apre, allora, la regione luminosa della grazia (versetti 12-2 1).
Dio non opera solo negativamente « guarendo » l’uomo peccatore, ma lo « ricrea » attraverso il suo spirito vivificante dandogli un « cuore » nuovo, cioè una nuova coscienza, schiudendogli gli orizzonti di un culto interiore e di una fede pura. Come commentava l’Imitazione di Cristo, «l’umile contrizione dei peccati è per te, o Signore, il sacrificio gradito, un profumo molto più soave del fumo dell’incenso» (III, 52,4). Il Salmo 51 è la testimonianza limpidissima di quel senso vivo del peccato che pervade tutta la Bibbia. Una percezione che, però, non approda mai alla disperazione e all’impotenza, ma è sempre aperta alla fiducia, alla speranza, alla grazia divina che solleva il colpevole dal gorgo oscuro del male. Girolamo Savonarola in un’omelia dedicata al Miserere esprimeva bene questo duplice aspetto del peccato e del perdono: «Ora la paura dei peccati che scopro in me stesso mi dispera, ora la speranza della sua misericordia mi sostiene. Ma perché la tua misericordia è più grande della mia miseria, io non cesserò mai di sperare».
Tratto da Famiglia Cristiana
dal sito:
http://pastorale.myblog.it/archive/2009/10/01/confessarsi-perche-bruno-forte.html
La riconciliazione e la bellezza di Dio
di Mons. Bruno Forte
Proviamo a capire insieme che cos’è la confessione:
se lo capisci veramente, con la mente e col cuore, sentirai il bisogno e la gioia di fare esperienza di questo incontro, in cui Dio, donandoti il Suo perdono attraverso il ministro della Chiesa, crea in Te un cuore nuovo, mette in te uno Spirito nuovo, perché Tu possa vivere un’esistenza riconciliata con Lui, con Te stesso e con gli altri, divenendo a tua volta capace di perdono e di amore al di là di ogni tentazione di sfiducia e di ogni misura di stanchezza
1. Perché confessarsi? Fra le domande che vengono poste al mio cuore di Vescovo, ne scelgo una che mi è stata fatta spesso: perché bisogna confessarsi? È una domanda che ritorna in molteplici forme: perché si deve andare da un sacerdote a dire i propri peccati e non lo si può fare direttamente con Dio, che ci conosce e comprende molto meglio di qualunque interlocutore umano? E, ancora più radicalmente: perché parlare delle mie cose, specie di quelle di cui ho vergogna perfino con me stesso, a qualcuno che è peccatore come me, e che forse valuta in modo completamente diverso dal mio ciò di cui ho fatto esperienza o non lo capisce affatto? Che ne sa lui di che cosa è veramente peccato per me? Qualcuno aggiunge: e poi, esiste veramente il peccato, o è solo un’invenzione dei preti per tenerci buoni? A quest’ultima domanda sento di poter rispondere subito e senza timore di smentita: il peccato c’è, e non solo è male, ma fa male. Basta guardare la scena quotidiana del mondo, dove violenze, guerre, ingiustizie, sopraffazioni, egoismi, gelosie e vendette si sprecano (un esempio di questo “bollettino di guerra” ce lo danno ogni giorno le notizie su giornali, radio, televisione e internet!). Chi crede nell’amore di Dio, poi, percepisce come il peccato sia amore ripiegato su se stesso (“amor curvus”, “amore curvo”, dicevano i Medioevali), ingratitudine di chi risponde all’amore con l’indifferenza e il rifiuto. Questo rifiuto ha conseguenze non solo su chi lo vive, ma anche sulla società tutta intera, fino a produrre dei condizionamenti e degli intrecci di egoismi e di violenze che costituiscono delle vere e proprie “strutture di peccato” (si pensi alle ingiustizie sociali, alla sperequazione fra paesi ricchi e paesi poveri, allo scandalo della fame nel mondo…). Proprio per questo non si deve esitare a sottolineare quanto sia grande la tragedia del peccato e quanto la perdita del senso del peccato – ben diverso da quella malattia dell’anima che chiamiamo “senso di colpa” – indebolisca il cuore davanti allo spettacolo del male e alle seduzioni di Satana, l’Avversario che cerca di separarci da Dio.
2. L’esperienza del perdono Nonostante tutto, però, non mi sento di dire che il mondo è cattivo e che fare il bene è inutile. Sono, anzi, convinto che il bene c’è ed è molto più grande del male, che la vita è bella e che vivere rettamente, per amore e con amore, vale veramente la pena. La ragione profonda che mi fa pensare così è l’esperienza della misericordia di Dio, che faccio in me stesso e che vedo risplendere in tante persone umili: è un’esperienza che ho vissuto tante volte, sia dando il perdono come ministro della Chiesa, sia ricevendolo. Sono anni che mi confesso regolarmente, più volte al mese e con la gioia di farlo. La gioia nasce dal sentirmi amato in modo nuovo da Dio ogni volta che il Suo perdono mi raggiunge attraverso il sacerdote che me lo dà in Suo nome. È la gioia che ho visto tanto spesso sul volto di chi veniva a confessarsi: non il futile senso di leggerezza di chi “ha vuotato il sacco” (la confessione non è uno sfogo psicologico né un incontro consolatorio, o non lo è principalmente), ma la pace di sentirsi bene “dentro”, toccati nel cuore da un amore che sana, che viene dall’alto e ci trasforma. Chiedere con convinzione, ricevere con gratitudine e dare con generosità il perdono è sorgente di una pace impagabile: perciò, è giusto ed è bello confessarsi. Vorrei far partecipi delle ragioni di questa gioia tutti coloro che riuscirò a raggiungere con questa lettera.
3. Confessarsi da un sacerdote? Mi chiedi dunque: perché bisogna confessare a un sacerdote i propri peccati e non lo si può fare direttamente a Dio? Certamente, è sempre a Dio che ci si rivolge quando si confessano i propri peccati. Che sia, però, necessario farlo anche davanti a un sacerdote ce lo fa capire Dio stesso: scegliendo di inviare Suo Figlio nella nostra carne, egli dimostra di volerci incontrare mediante un contatto diretto, che passa attraverso i segni e i linguaggi della nostra condizione umana. Come Lui è uscito da sé per amore nostro ed è venuto a “toccarci” con la sua carne, così noi siamo chiamati ad uscire da noi stessi per amore Suo e andare con umiltà e fede da chi può darci il perdono in nome Suo con la parola e col gesto. Solo l’assoluzione dei peccati che il sacerdote ti dà nel sacramento può comunicarti la certezza interiore di essere stato veramente perdonato e accolto dal Padre che è nei cieli, perché Cristo ha affidato al ministero della Chiesa il potere di legare e sciogliere, di escludere e di ammettere nella comunità dell’alleanza (cf. Mt 18,17). È Lui che, risorto dalla morte, ha detto agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22s). Perciò, confessarsi da un sacerdote è tutt’altra cosa che farlo nel segreto del cuore, esposto alle tante insicurezze e ambiguità che riempiono la vita e la storia. Da solo non saprai mai veramente se a toccarti è stata la grazia di Dio o la tua emozione, se a perdonarti sei stato tu o è stato Lui per la via che Lui ha scelto. Assolto da chi il Signore ha scelto e inviato come ministro del perdono, potrai sperimentare la libertà che solo Dio dona e capirai perché confessarsi è fonte di pace.
4. Un Dio vicino alla nostra debolezza La confessione è dunque l’incontro col perdono divino, offertoci in Gesù e trasmessoci mediante il ministero della Chiesa. In questo segno efficace della grazia, appuntamento con la misericordia senza fine, ci viene offerto il volto di un Dio che conosce come nessuno la nostra condizione umana e le si fa vicino con tenerissimo amore. Ce lo dimostrano innumerevoli episodi della vita di Gesù, dall’incontro con la Samaritana alla guarigione del paralitico, dal perdono all’adultera alle lacrime di fronte alla morte dell’amico Lazzaro… Di questa vicinanza tenera e compassionevole di Dio abbiamo immenso bisogno, come dimostra anche un semplice sguardo alla nostra esistenza: ognuno di noi convive con la propria debolezza, attraversa l’infermità, si affaccia alla morte, avverte la sfida delle domande che tutto questo accende nel cuore. Per quanto, poi, possiamo desiderare di fare il bene, la fragilità che ci caratterizza tutti ci espone continuamente al rischio di cadere nella tentazione. L’Apostolo Paolo ha descritto con precisione questa esperienza: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rom 7,18s). È il conflitto interiore da cui nasce l’invocazione: “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rom 7, 24). Ad essa risponde in modo particolare il sacramento del perdono, che viene a soccorrerci sempre di nuovo nella nostra condizione di peccato, raggiungendoci con la potenza sanante della grazia divina e trasformando il nostro cuore e i comportamenti in cui ci esprimiamo. Perciò, la Chiesa non si stanca di proporci la grazia di questo sacramento durante l’intero cammino della nostra vita: attraverso di essa è Gesù, vero medico celeste, che viene a farsi carico dei nostri peccati e ad accompagnarci, continuando la sua opera di guarigione e di salvezza. Come accade per ogni storia d’amore, anche l’alleanza col Signore va rinnovata senza sosta: la fedeltà è l’impegno sempre nuovo del cuore che si dona e accoglie l’amore che gli viene donato, fino al giorno in cui Dio sarà tutto in tutti.
5. Le tappe dell’incontro col perdono Proprio perché desiderato da un Dio profondamente “umano”, l’incontro con la misericordia offertaci da Gesù avviene attraverso varie tappe, che rispettano i tempi della vita e del cuore. All’inizio c’è l’ascolto della buona novella, in cui ti raggiunge l’appello dell’Amato: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Attraverso questa voce è lo Spirito Santo ad agire in te, dandoti dolcezza nel consentire e credere alla Verità. Quando ti rendi docile a questa voce e decidi di rispondere con tutto il cuore a Colui che ti chiama, intraprendi il cammino che ti porta al dono più grande, quel dono tanto prezioso da far dire a Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20). La riconciliazione è appunto il sacramento dell’incontro con Cristo, che attraverso il ministero della Chiesa viene a soccorrere la debolezza di chi ha tradito o rifiutato l’alleanza con Dio, lo riconcilia col Padre e con la Chiesa, lo ricrea come creatura nuova nella forza dello Spirito Santo. Questo sacramento è chiamato anche della penitenza, perché in esso si esprime la conversione dell’uomo, il cammino del cuore che si pente e viene ad invocare il perdono di Dio. Il termine confessione – usato comunemente – si riferisce invece all’atto di confessare le proprie colpe davanti al sacerdote, ma richiama anche la triplice confessione da fare per vivere in pienezza la celebrazione della riconciliazione: la confessione di lode (“confessio laudis”), con cui facciamo memoria dell’amore divino che ci precede e ci accompagna, riconoscendone i segni nella nostra vita e comprendendo meglio in tal modo la gravità della nostra colpa; la confessione del peccato, con la quale presentiamo al Padre il nostro cuore umile e pentito riconoscendo i nostri peccati (“confessio peccati”); la confessione di fede, infine, con cui ci apriamo al perdono che libera e salva, offertoci con l’assoluzione (“confessio fidei”). A loro volta, i gesti e le parole in cui esprimeremo il dono che abbiamo ricevuto confesseranno nella vita le meraviglie operate in noi dalla misericordia di Dio.
6. La festa dell’incontro Nella storia della Chiesa la penitenza è stata vissuta in una grande varietà di forme, comunitarie e individuali, che hanno però tutte mantenuto la struttura fondamentale dell’incontro personale fra il peccatore pentito e il Dio vivente attraverso la mediazione del ministero del vescovo o del sacerdote. Attraverso le parole dell’assoluzione, pronunciate da un uomo peccatore, che però è stato scelto e consacrato per il ministero, è Cristo stesso che accoglie il peccatore pentito e lo riconcilia col Padre e nel dono dello Spirito Santo lo rinnova come membro vivo della Chiesa. Riconciliati con Dio, veniamo accolti nella comunione vivificante della Trinità e riceviamo in noi la vita nuova della grazia, l’amore che solo Dio può effondere nei nostri cuori: il sacramento del perdono rinnova, così, il nostro rapporto col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, nel cui nome ci è data l’assoluzione delle colpe. Come mostra la parabola del Padre e dei due figli, l’incontro della riconciliazione culmina in un banchetto di vivande saporite, cui si partecipa col vestito nuovo, l’anello e i calzari ai piedi (cf. Lc 15,22s): immagini che esprimono tutte la gioia e la bellezza del dono offerto e ricevuto. Veramente, per usare le parole del Padre della parabola, “bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24). Come è bello pensare che quel figlio può essere ognuno di noi!
7. Il ritorno alla casa del Padre In rapporto a Dio Padre la penitenza si presenta come un “ritorno a casa” (questo è propriamente il senso della parola “teshuvà”, che l’ebraico usa per dire “conversione”). Attraverso la presa di coscienza delle tue colpe, ti accorgi di essere in esilio, lontano dalla patria dell’amore: avverti disagio, dolore, perché capisci che la colpa è una rottura dell’alleanza col Signore, un rifiuto del Suo amore, è “amore non amato”, e proprio così è anche sorgente di alienazione, perché il peccato ci sradica dalla nostra vera dimora, il cuore del Padre. È allora che occorre ricordarci della casa dove siamo attesi: senza questa memoria dell’amore non potremmo mai avere la fiducia e la speranza necessarie a prendere la decisione di tornare a Dio. Con l’umiltà di chi sa di non essere degno di venir chiamato “figlio”, possiamo deciderci di andare a bussare alla porta della casa del Padre: quale sorpresa scoprire che lui è alla finestra a scrutare l’orizzonte, perché aspetta da tanto il nostro ritorno! Alle nostre mani aperte, al cuore umile e pentito risponde la gratuita offerta del perdono, con cui il Padre ci riconcilia con sé, “convertendosi” in qualche modo a noi: “Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20). Con straordinaria tenerezza Dio ci introduce in modo rinnovato nella condizione di figli, offerta dall’alleanza stabilita in Gesù.
8. L’incontro con Cristo, morto e risorto per noi In rapporto al Figlio il sacramento della riconciliazione ci offre la gioia dell’incontro con Lui, il Signore crocifisso e risorto, che attraverso la Sua Pasqua ci dona la vita nuova infondendo il Suo Spirito nei nostri cuori. Questo incontro si compie attraverso l’itinerario che porta ognuno di noi a confessare le nostre colpe con umiltà e dolore dei peccati e a ricevere con gratitudine piena di stupore il perdono. Uniti a Gesù nella Sua morte di Croce, moriamo al peccato e all’uomo vecchio che in esso ha trionfato. Il Suo sangue sparso per noi ci riconcilia con Dio e con gli altri, abbattendo il muro dell’inimicizia che ci teneva prigionieri della nostra solitudine senza speranza e senza amore. La forza della Sua resurrezione ci raggiunge e trasforma: il Risorto ci tocca il cuore, lo fa ardere in noi di una fede nuova, che schiude i nostri occhi e ci rende capaci di riconoscere Lui accanto a noi e la Sua voce in chi ha bisogno di noi. Tutta la nostra esistenza di peccatori, unita a Cristo crocifisso e risorto, si offre alla misericordia di Dio per essere sanata dall’angoscia, liberata dal peso della colpa, confermata nei doni di Dio e rinnovata nella potenza del Suo amore vittorioso. Liberati dal Signore Gesù, siamo chiamati a vivere come Lui nella libertà dalla paura, dalla colpa e dalle seduzioni del male, per compiere opere di verità, di giustizia e di pace.
9. La vita nuova nello Spirito Grazie al dono dello Spirito che effonde in noi l’amore di Dio (cf. Rm 5,5), il sacramento della riconciliazione è sorgente di vita nuova, comunione rinnovata con Dio e con la Chiesa, di cui proprio lo Spirito è l’anima e la forza di coesione. È lo Spirito a spingere il peccatore perdonato a esprimere nella vita la pace ricevuta, accettando anzitutto le conseguenze della colpa commessa, e cioè la cosiddetta “pena”, che è come l’effetto della malattia rappresentata dal peccato e va considerata come una ferita da sanare con l’olio della grazia e la pazienza dell’amore da avere verso noi stessi. Lo Spirito, poi, ci aiuta a maturare il proposito fermo di vivere un cammino di conversione fatto di impegni concreti di carità e di preghiera: il segno penitenziale richiesto dal confessore serve appunto ad esprimere questa scelta. La vita nuova, a cui così rinasciamo, può dimostrare più di ogni altra cosa la bellezza e la forza del perdono sempre di nuovo invocato e ricevuto (“perdono” vuol dire appunto dono rinnovato: perdonare è donare all’infinito!). Ti chiedo, allora: perché fare a meno di un dono così grande? Accostati alla confessione con cuore umile e contrito e vivila con fede: ti cambierà la vita e darà pace al tuo cuore. Allora, i tuoi occhi si apriranno per riconoscere i segni della bellezza di Dio presenti nel creato e nella storia e ti sgorgherà dall’anima il canto della lode. Ed anche a te, sacerdote che mi leggi e come me sei ministro del perdono, vorrei rivolgere un invito che mi nasce dal cuore: sii sempre pronto – a tempo e fuori tempo – ad annunciare a tutti la misericordia e a dare a chi te lo chiede il perdono di cui ha bisogno per vivere e per morire. Per quella persona potrebbe trattarsi dell’ora di Dio nella sua vita!
10. Lasciamoci riconciliare con Dio! L’invito dell’Apostolo Paolo diventa, così, anche il mio: lo esprimo servendomi di due voci diverse. La prima è quella di Friedrich Nietzsche, che negli anni della giovinezza scrive queste parole appassionate, segno del bisogno della misericordia divina che tutti ci portiamo dentro: “Ancora una volta, prima di partire e volgere i miei sguardi verso l’alto, rimasto solo, levo le mie mani a Te, presso cui mi rifugio, cui dal profondo del cuore ho consacrato altari, affinché ogni ora la voce Tua mi torni a chiamare… ConoscerTi io voglio, Te, l’Ignoto, che a fondo mi penetri nell’anima e come tempesta squassi la mia vita, inafferrabile eppure a me affine! ConoscerTi, io voglio, e anche servirTi” (Scritti giovanili, I, 1, Milano 1998, 388). L’altra voce è quella attribuita a Francesco d’Assisi, che esprime la verità di una vita rinnovata dalla grazia del perdono: “Signore, fa’ di me uno strumento della Tua pace. Dove è odio, che io porti l’amore. Dov’è offesa, che io porti il perdono. Dov’è discordia, che io porti l’unione. Dov’è errore, che io porti la verità. Dov’è dubbio, che io porti la fede. Dov’è disperazione, che io porti la speranza. Dove sono tenebre, che io porti la luce. Dov’è tristezza, che io porti la gioia. Maestro, fa’ che io non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare, di essere compreso quanto di comprendere, di essere amato quanto di amare”. Sono questi i frutti della riconciliazione, invocata ed accolta da Dio, che auguro a tutti Voi che mi leggete. Con questo augurio, che diventa preghiera, Vi abbraccio e benedico uno per uno
+ Bruno, Vostro Padre nella fede