Archive pour janvier, 2010

Gioia in Vaticano: il Patriarca serbo ha invitato il Papa per il 2013

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http://www.zenit.org/article-21191?l=italian

Gioia in Vaticano: il Patriarca serbo ha invitato il Papa per il 2013

Sua Beatitudine Irinej vuole organizzare un grande incontro ecumenico

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 28 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Vaticano ritiene “molto incoraggiante” la proposta del nuovo Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Sua Beatitudine Irinej, di invitare il Papa nel suo Paese nel 2013 in occasione di un grande incontro ecumenico.

Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, in alcune dichiarazioni al quotidiano di Belgrado Blic ha riconosciuto che si tratta di un annuncio “che accogliamo con grande gioia”.

Nella prima conferenza stampa concessa questo giovedì, il Patriarca serbo, eletto il 22 gennaio, ha proposto una visita di Benedetto XVI nella città di cui finora era Vescovo, Nis, nella Serbia sud-orientale, luog di nascita dell’imperatore Costantino il Grande, in occasione dei 1.700 anni dell’editto di Milano (313).

Quell’editto stabilì la libertà religiosa nell’Impero romano, mettendo fine alle persecuzioni rivolte dalle autorità contro certi gruppi religiosi, soprattutto i cristiani.

Riferendosi al predecessore di Irinej alla guida della Chiesa ortodossa serba, padre Lombardi ha spiegato che è “un segno del fatto che il dialogo iniziato al tempo del Patriarca Pavle continuerà con il nuovo Patriarca”.

Allo stesso modo, ha auspicato “un passo ulteriore perché possiamo incontrarci e considerare le possibilità di cooperazione”.

Il portavoce vaticano ha spiegato che è prematuro parlare di programmi o incontri, ma ha anche assicurato che la Santa Sede segue con grande interesse questo avvenimento così importante per la Chiesa in Serbia.

Secondo quanto aveva spiegato il Patriarca, la visita del Papa in Serbia “potrebbe essere l’occasione perché le nostre Chiese stabiliscano un primo contatto e, con un po’ di fortuna, per continuare questi contatti e intraprendere un nuovo cammino”.

In una conferenza stampa storica, visto che fino a questo momento un Patriarca serbo non aveva mai usato questa forma di comunicazione, ha aggiunto: “Questo nuovo cammino dovrebbe essere cristiano e sincero, con il desiderio di costituire un’unica Chiesa di Cristo”.

Publié dans:Ortodossia, Papa Benedetto XVI |on 29 janvier, 2010 |Pas de commentaires »

“E se ci lasciaste vivere?” : 25 mila persone alla Marcia per la vita a Parigi

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21199?l=italian

“E se ci lasciaste vivere?”

25 mila persone alla Marcia per la vita a Parigi

di Elisabetta Pittino

ROMA, venerdì, 29 gennaio 2010 (ZENIT.org).-“E se ci lasciaste vivere?” hanno urlato all’unisono una mamma e il suo bambino in pancia. Questo è stato lo slogan della VI Marcia europea per la vita di Parigi per l’anno 2010. La risposta è stata quella di 25 mila persone, in gran parte giovani, che hanno marciato per la vita nella capitale francese domenica 17 gennaio.

Nascono nuove associazioni, si rinforzano quelle esistenti, aumentano le delegazioni europee, arrivano quelle oltreoceano.

Sempre più Vescovi d’Oltralpe si espongono per difendere la vita umana. E’ come una “ola” si moltiplicano marce pro vita in tutta Europa: Dublino, Berlino, Amsterdam, Bruxelles, Londra, Strasburgo, Bordeaux e chissà forse anche a Roma.

Tutto questo il 17 gennaio 2010 quando a Parigi da Place de La Republique a Place de l’Opera si è mossa la VI Marcia per la vita organizzata dal Collettivo “En marche pour la Vie” (in Marcia per la vita), già Collettivo “30 anni, basta!”, che raggruppa le maggiori associazioni pro ‘vie’ francesi.

È un’iniziativa per i nostri tempi: una marcia dove i vari pro-life d’Europa si sono trovati e si sono esposti per difendere la vita umana fin dal concepimento.

E’ stato entusiasmante camminare per le strade di Parigi con striscioni di tutti i tipi, in tutte le lingue, sfidando gli insulti di quelli che non erano d’accordo. È l’Europa che ritrova la sua unione, la sua anima, il suo perché.

Una manifestazione che segna la fine del tempo del silenzio, della sudditanza alla cultura di morte.

Il Collettivo francese, nato nel 2005 per i 30 anni della legge francese sull’aborto, ha proposto già da allora la Marcia, perché si sentisse la voce dei “dissidenti” pro vita e pro donna. La Marcia di Parigi è presto diventata marcia europea

Quella del 2010 è stata la marcia più partecipata dal 2005 ad oggi.

La giovane delegazione italiana del Movimento per la Vita (MPV) è alla sua terza partecipazione: quest’anno eravamo in 23, quasi tutti dalla Lombardia, la maggior parte da Bergamo.

A guidare la delegazione italiana Leo Pergamo, responsabile giovani MPV nazionale, Diego Negrotti, responsabile giovani FederVita Lombardia, e la sottoscritta, consigliere nazionale MPV e vicepresidente FederVita Lombardia, in qualità di portavoce del MPV italiano.

Dall’Italia c’era anche l’associazione “Voglio Vivere” con Julio Loredo, un habitué della Marcia parigina.

Quest’ anno il tema della Marcia è stato coniugato con “l’ informazione alla donna e la sua sofferenza in seguito all’aborto: consenso informato della donna prima dell’intervento abortivo e sindrome post aborto”.

Un dossier di sensibilizzazione su “Donna e aborto”, scaricabile da internet, è stato distribuito, insieme ai vari volantini. Sempre sul sito del Collettivo (http://enmarchepourlavie.info/) c’è una petizione per promuovere il “Diritto all’ informazione alle donne incinte”, per tutelare la dignità della donna.

Le donne non abortiscono mai liberamente, sono sempre costrette da qualcosa, anche da una legge. Pochi le informano, quasi nessuno le aiuta, generalmente, né prima né dopo questo dramma. E’ fondamentale organizzare manifestazioni come quella di Parigi. E’ una speranza. Lasciamo vivere la donna, come chiede. Lasciamo vivere il figlio.

“La donna incinta – si legge sul sito -, ha un urgente bisogno di una reale solidarietà dell’intero corpo sociale. E’ tempo che la società faccia una scelta di speranza, abolendo l’aborto… e fornendo tutti i mezzi necessari per accogliere la vita”.

Tre gli appelli dei marcianti: “perché ogni nascituro sia accolto e trovi il suo posto nella famiglia umana”; “per una vera compassione verso le madri sofferenti”; “per una vera libertà fondata sul diritto alla vita”.

La marcia, come lo scorso anno, è stata preceduta, per i credenti, da una veglia di preghiera il sabato sera nella chiesa di S. Francesco Saverio: si è pregato per i bambini non nati, per le loro madri, per i medici, per la marcia, per la vita.

La preghiera, è continuata anche durante la marcia: in fondo, per ultimi, a chiudere la marcia vi era un gruppo di persone in preghiera.

L’ostilità dei media francesi si è mostrata con il silenzio quasi assoluto sull’evento. A rompere il silenzio ci han pensato gli slogan a voce alta dei marcianti.

La Marcia è laica, apartitica, aconfessionale, aperta a tutti, non violenta, nel rispetto gli uni degli altri, nel rispetto della donna che ha abortito. I politici potevano parteciparvi – la difesa della vita del resto è il nodo centrale della politica – ma non sono intervenuti sul palco.

Si tratta di una giusta precauzione per evitare che la difesa della vita sia “strumentalizzata” da un partito piuttosto che da un altro. La vita non è né di sinistra né di destra e neppure di centro. La vita è vita ed è di tutti e per tutti.

“Se fossi Presidente della Repubblica farei leggi per la vita” si è cantato a squarciagola marciando. E forse, qualcuno tra i marcianti (c’erano tanti bambini) diventerà davvero Presidente della Repubblica!

Macadamia integrifolia

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Lettera a Diogneto : Seminati per terra

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http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100129

Venerdì della III settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 4,26-34
Meditazione del giorno
Lettera a Diogneto (circa 200)
VI ; SC33bis, 65

Seminati per terra

Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo (Gv 17,16). L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l’anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L’anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano.

L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l’incorruttibilità nei cieli (1 Cor 15,50)… Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare.

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Une plante tropicale de type broméliacée, jardins de Balata, Martinique, Antilles

Une plante tropicale de type broméliacée, jardins de Balata, Martinique, Antilles dans immagini buon...notte, giorno 001805

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San Massimo il Confessore: La lampada sul lucerniere

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100128

Giovedì della III settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 4,21-25
Meditazione del giorno
San Massimo il Confessore (circa 580-662), monaco e teologo
Risposte a Talassio, quaest. 63 : PG 90, 667-670

La lampada sul lucerniere

La lampada posta sul candelabro è la luce del Padre, quella vera che illumina ogni uomo che viene al mondo (Gv 1,9), il Signore nostro Gesù Cristo… Chiamò lucerniere la santa Chiesa, perché in essa risplende la parola di Dio mediante la predicazione, e così, con i bagliori della verità, illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa, arricchendo le intelligenze con la conoscenza di Dio…

Questa parola annunziata dalla Chiesa esige di essere posta sulla sommità del lucerniere, cioè all’apice dell’onore e dell’impegno di cui la Chiesa è capace. Infatti finché la parola è nascosta dalla lettera della legge come da un moggio, lascia tutti privi della luce eterna. Essa non può trasmettere la visione spirituale a chi non si sforzi di togliere il velo del senso materiale che trae in inganno e può addirittura fuorviare verso l’errore e la falsità. Invece va posta sul lucerniere della Chiesa. Ciò significa che la parola rivelata va intesa nel senso interiore e spirituale, spiegato dalla Chiesa stessa. Solo così potrà veramente illuminare ogni uomo che si trova nel mondo. Se infatti la Scrittura non viene intesa spiritualmente mostra solo un significato superficiale e parziale e non può far giungere al cuore tutta la sua ricca sostanza…

Guardiamoci dunque dal porre sotto il moggio la lucerna, che accendiamo con la contemplazione e la pratica coerente della parola… Non riduciamo colpevolmente la indescrivibile vitalità della sapienza a causa della lettera; ma poniamo la luce sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall’alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore della verità divina.

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Menorah Window – Manchester Jewish Museum

 Menorah Window - Manchester Jewish Museum dans immagini sacre menorah-window1

http://jenbee.wordpress.com/2009/02/

Publié dans:immagini sacre |on 27 janvier, 2010 |Pas de commentaires »

Il dovere della memoria (27 gennaio 2003)

dal sito:

http://www.nostreradici.it/dovere_memoria.htm

Il dovere della memoria 
(27 gennaio 2003)
  
  Roberto Della Rocca, direttore Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità
  Ebraiche Italiane
 
 La Tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico zachor, ricorda. « Noi ebrei – scriveva Martin Buber nel 1938 – siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere… ».

Il verbo zachar, nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia ben 222 volte e, nella maggior parte dei casi, ha per soggetto Israele o Dio. La memoria, infatti, incombe su entrambi.
Il concetto di ricordare trova il suo complemento e completamento in quello di segno opposto: dimenticare. Al popolo ebraico viene ingiunto di ricordare e al tempo stesso di non dimenticare.
La Toràh – il Pentateuco – in particolare nel versetto del Deuteronomio, 32; 7, ci sprona ripetutamente a ricordare e a non dimenticare.

Nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al popolo:  » Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi (il corso della storia ), interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno…. ».

Ma sbaglierebbe chi intendesse questa affermazione come un mero invito a fondare la nostra esistenza sul passato che ci appartiene. La memoria, custodita di generazione in generazione, è l’antidoto più potente contro la morte, rappresentando una ferma determinazione, una volontà di non abbandonare nel nulla le tracce di ciò che è già trascorso e passato ed è ormai sparito dalla storia. Nell’ebraismo, infatti, il passato non è qualcosa di sorpassato, privo di utilità, ma al contrario costituisce un valido aiuto per affrontare la vita. Per questo nella Toràh ci viene detto anche che ricordare gli avvenimenti non può bastare: « …binu scenot dor vador…. », « …cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi… ». Bisogna riflettere su di essi, ponderarli, capirne a fondo il significato. L’ insegnamento della Toràh, come si vede, è ben differente rispetto alla saggezza di Plutarco, secondo cui  » la storia si ripete « . Per la cultura ebraica la storia non si ripete. E’ semmai l’uomo che può perpetuare i suoi fallimenti e i suoi successi. Ricordare il passato, ma soprattutto comprenderlo, ci aiuta a mettere a fuoco correttamente gli eventi attuali.

Non a caso Rashi’, forse il più autorevole commentatore della Bibbia ( 1040-1105 ) nel suo commento a Deuteronomio, 32; 7, interpreta il passaggio « … Binu scenot dor vador… » non tanto come  » gli anni dei secoli trascorsi  » ma piuttosto come  » gli anni delle future generazioni « , nella convinzione che il futuro sarà tanto migliore quanto meno si dimenticheranno le lezioni del passato.

Il compito di trasformare il ricordo in memoria viva e trasmetterlo alle generazioni future è assegnato dall’ebraismo alla ‘Tradizione orale’ che, anziché essere isolata e decontestualizzata in un monumento, è inserita nella continuità di un sistema culturale.

Ma come impedire che la memoria muoia cristallizzandosi nella prospettiva storica, come è accaduto con le Crociate, con l’Inquisizione, con i progrom? La storia dà garanzia di stabilità al ricordo, ma quasi sempre monumentalizza e distanzia i sentimenti, li raffredda, li normalizza, e pretende di offrire in cambio un’impossibile obiettività. La storia come il monumento sottrae la memoria alla sua appartenenza individuale per consegnarla alla collettività universale, che la deposita nel proprio archivio polveroso dopo averla elaborata in modo soggettivo, magari opportunamente revisionata, per liberarsene come di un documento scomodo.

La commemorazione del passato, i monumenti ai caduti, i musei, sono tutte forme di memoria collettiva istituzionalizzata e, di fatto, sottratta alla coscienza individuale. Per assicurare alla memoria un ruolo vitale, anche nella salvaguardia di un modello di vita, è dunque necessario che la memoria storica si innesti nel presente entrando a far parte della coscienza individuale. A maggior ragione, quindi, abbiamo il dovere di ricordare e perpetuare il ricordo della Shoah, momento tra i più tragici della storia ebraica.
Oggi, quindi, le manifestazioni e le testimonianze sono particolarmente significative poiché assistiamo ad una recrudescenza di violenza che non ci deve lasciare inerti.

Anche in Italia vi è un tentativo esplicito da parte di alcuni di mettere sullo stesso piano, vittime e carnefici, persecutori e perseguitati. Ma il tempo trascorso non può legittimare operazioni del genere. Per questo siamo convinti che il dovere di ricordare appartenga a tutti gli uomini, proprio perché quei fatti hanno ancora un aspetto di attualità. Noi dobbiamo in tutti i modi sostenere i superstiti che si sono assunti il gravoso impegno di testimoniare affinché il sacrificio di coloro che non sono più ritornati non cada nel vuoto. Il loro messaggio è un monito che ci invita ad operare affinché ciò che è accaduto una volta non si ripeta. Quindi oggi più che mai dobbiamo ricordare quei giorni e non dimenticare, poiché dimenticare nell’ingenua speranza di sopire l’offesa subita, come taluni affermano, può significare vedere riacutizzare ancora di più il pericolo che tali tragedie possano ripetersi.

Non resta che percorrere quindi la via della perpetuazione del ricordo a monito per i posteri. Una memoria attiva, come ci ha insegnato Primo Levi, che significa per ognuno, e non solo per l’ebreo, assumere i crimini della storia come male fatto a ciascuno di noi, appartenenti tutti alla grande famiglia dell’umanità. E significa anche non liberarsi mai passivamente del dolore e del lutto elaborandoli attraverso riti, cerimonie e monumenti, ma accettarli come segno permanente di un crimine le cui responsabilità collettive e singole sono assai precise, malgrado i ripetuti tentativi di confondere la storia.

Ben vengano tutte le testimonianze, articoli, libri di storia, film e conferenze di ogni genere che ci parlino della Shoah e che ne parlino a tutti.
Resta, poi, a noi il compito di trasmettere, commentare e far rivivere questa memoria per non dimenticare chi si è e da dove si viene.

Nel libro di interviste ai figli dei deportati di Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci, un figlio racconta ancora perplesso dopo quasi quarant’anni, come suo padre, mentre veniva trascinato dalle SS, anziché dirgli per l’ultima volta « ti voglio bene, non temere nulla, bada a te stesso » , gli abbia invece urlato soltanto:  » Robert, non dimenticare mai che sei ebreo e devi restare ebreo ». Il figlio, ormai adulto, continua a interrogarsi sul senso di quel monito « non dimenticare mai….. ». Evidentemente era, per il padre, l’unico modo di dirgli – nei pochi attimi che gli restavano – che per sopravvivere, egli doveva preservare viva la memoria di sé, la sua identità, la sua coscienza, la sua storia.
__________________
[Fonte
: www.ucei.it

Publié dans:ebraismo, Shoah |on 27 janvier, 2010 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI presenta la figura di San Francesco d’Assisi

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21166?l=italian

Benedetto XVI presenta la figura di San Francesco d’Assisi

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale nell’aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di San Francesco d’Assisi.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico « gigante » della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.

« Nacque al mondo un sole ». Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: « Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina ». Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.

In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai « mio », ma è sempre « nostro », che il Cristo non posso averlo « io » e ricostruire « io » contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.

E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l’Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l’Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.

Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.

Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.

Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.

La morte di Francesco – il suo transitus – avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.

È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche « il fratello di Gesù ». In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna – Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) – ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: « Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane » (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: « Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo » (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: « Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi… presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro » (Francesco di Assisi, Scritti, 163).

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto a i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i vari gruppi di militari qui presenti, augurando a ciascuno di arricchire il proprio servizio al paese con la personale testimonianza.

Saluto, infine, voi, cari giovani, cari malati e cari sposi novelli, ed auspico che ciascuno nella propria condizione, contribuisca con generosità a diffondere la gioia di amare e servire Gesù Cristo.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]

Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oswiecim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti. Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l’orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista.

Oggi, si celebra il « Giorno della memoria », in ricordo di tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei, e in onore di quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida. Con animo commosso pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani. La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia. Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno bougain3

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 27 janvier, 2010 |Pas de commentaires »
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