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Unzione di Saul, Miniatura del secolo IX, Basilica di San Paolo Roma

Unzione di Saul, Miniatura del secolo IX, Basilica di San Paolo Roma dans immagini sacre Saul
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I canoni bizantini nell’iconografia di san Paolo: Come la tradizione orientale ha dipinto l’Apostolo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-17297?l=italian

I canoni bizantini nell’iconografia di san Paolo

Come la tradizione orientale ha dipinto l’Apostolo

ROMA, lunedì, 23 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo di Giuseppe Lombardo e Mirella Roccasalva, dell’Associazione Russia Cristiana “San Vladimir” (Siracusa), apparso sull’ottavo numero della rivista « Paulus » (febbraio 2009), dedicato al tema della bellezza.

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«Mentre il mio corpo era debilitato per il digiuno, a me che non dormivo ma ero in estasi essi apparvero insieme ad una persona che rassomigliava al beato apostolo Paolo, così come la pittura mostra chiaramente nelle immagini la figura di lui». Dalla citazione del breve passo di sant’Ambrogio nell’Epistola a tutta l’Italia, si evince la forza evocativa delle immagini; l’evocazione diventa più forte se si considera che sant’Ambrogio, citato da Giovanni Damasceno nel secondo discorso in “Difesa delle immagini sacre”, si riferisce a un’icona.

I canoni iconografici, dettati da Bisanzio, si individuano nelle raffigurazioni iconografiche dei vari personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento con l’intento di sollecitare alla contemplazione e alla preghiera e di accompagnare nella conoscenza del personaggio raffigurato, considerando che lo stesso viene proposto nel piano, proprio dell’icona, della raffigurazione visibile del Dio invisibile.

L’iconografia dell’apostolo Paolo entra a pieno titolo nel profondo linguaggio della pittura delle icone che non può prescindere dalla sua triplice genesi teologica, estetica e tecnica.

La tipologia raffigurativa, con la quale giunge a noi l’iconografia paolina, propone nei diversi modelli la figura di un uomo che ha acconsentito all’amore di Cristo di toccarlo per sempre. Un primo approccio, alla ricerca delle fonti, presenta pochi esempi di arte canonica dedicati all’Apostolo, ma uno studio più attento ne evidenzia le peculiari caratteristiche con le quali si può entrare in dialogo per penetrare aspetti singolari della profonda umanità di Paolo. Ogni tipologia iconografica, nel corso del tempo, ha conosciuto progressive trasformazioni dovute a cambiamenti epocali, evoluzioni artistiche, approfondimenti teologici.

Le raffigurazioni più antiche di san Paolo, con le quali lo studioso entra in relazione, sono quelle proposte dalle vetuste icone in avorio e smalto e dalla maestosità della rappresentazione musiva. Dallo studio delle varie fonti dell’iconografia paolina si può affermare che ci si trova di fronte a quattro tipologie figurative dominanti: il ritratto, la figura in piedi, l’abbraccio di Pietro e Paolo, alcune scene della vita.

Il ritratto presenta l’Apostolo con caratteristiche canoniche comuni alle varie interpretazioni degli artisti (fronte alta e stempiata, naso aquilino, barba lunga inanellata nella parte finale, collo robusto e ben visibile), ma con due caratteristiche espressive differenti. La prima è quella del pastore rigoroso, fermo nelle sue indicazioni, preoccupato per le comunità a lui affidate e la cui severità è sottolineata dal sopracciglio sinistro fortemente inarcato; un esempio è l’icona di Teofane il Greco. La seconda peculiarità espressiva è quella dell’uomo di Dio, del teologo profondamente immerso nel mistero della sua esistenza trasfigurata dall’amore di Dio. In questo ruolo è stupenda l’interpretazione iconografica di Andrej Rubl?v che ne rilegge i tratti e, si può anche asserire, ne reinterpreta i canoni più antichi.

Lo studioso Michail Alpatov, nel famoso saggio Le icone russe, offre un’interpretazione del linguaggio di Rubl?v degna di attenzione, soprattutto se la si legge nell’ottica della necessaria evoluzione di tipologie figurative più arcaiche: «L’originalità del San Paolo di Rubl?v non sta nel fatto che il volto è già espressivamente russo, che ha la carnagione meno olivastra e il naso meno aquilino di quello greco, che i suoi capelli non sono neri ma biondi: bisogna notare come sia stata raggiunta una felice congiunzione tra morbida modellatura della testa e rughe arrotondate sulla fronte e sulle guance. Questo dà un senso di rilievo e, contemporaneamente, la testa è ben strutturata sul corpo; i contorni sono disposti organicamente sul volto, tutta la testa si arrotonda a partire dalla fronte, le sopracciglia si innalzano, lo zigomo sporge, il naso è modellato, la vigorosa e morbida disposizione della testa corrisponde a quella del corpo, l’arrotondamento della testa all’arrotondamento della spalla. L’immagine si distingue per integrità del volume: il rapporto reciproco delle forme costituisce quel fascino, quell’armonia che emana dall’Apostolo di Rubl?v».

Il ritratto dell’Apostolo viene compreso con maggiore chiarezza se ci si ferma alla lettura del disegno di base delle varie icone. Infatti, il tratto essenziale del segno, madre di ogni opera d’arte che meriti questa definizione, assegna all’intera opera il tratto distintivo che viene completato dall’uso del colore. Riguardo a quest’ultimo elemento, l’iconografia bizantina raffigura l’Apostolo coperto da una veste di tonalità blu o blu-verde sulla quale vi è sempre un manto rosso. Esistono tuttavia delle varianti di colore proposte anche da grandi maestri, ma si può affermare che i colori canonici siano i primi.

Le icone che raffigurano san Paolo in piedi, lo presentano sempre nella bellezza della sua energia interiore e ogni gesto sembra accompagnare i passi del Santo verso la costruzione della Chiesa: le mani che stringono e ,nel contempo, propongono la Parola, le mani che ammoniscono o benedicono, i piedi sempre posti su due livelli diversi per indicare la dinamica dell’azione. Dal punto di vista della struttura del corpo si nota il rispetto dei canoni bizantini: il corpo umano viene raffigurato nella dimensione della trasfigurazione e quindi privato dalle imperfezioni cui in natura è soggetto; è questa la ragione per cui le icone non rispondono facilmente ai princìpi naturali e, pertanto, qualsiasi modello appare stilizzato. Sia nella raffigurazione del volto (frontale o a tre quarti) che in quella del corpo, ci si trova di fronte al canone bizantino per cui non esiste profondità prospettica. La grandezza della testa, anch’essa costruita su rigorosi canoni elaborati con il principio della concentricità dei cerchi o del movimento  degli stessi su assi inclinati secondo misure dettate dall’armonia dell’insieme, assegna al corpo (generalmente misurato in sette o otto teste) l’eleganza necessaria alla raffigurazione e caratterizza il disegno con la precisione di linee che servono a dare finezza al movimento dell’insieme. Regola inequivocabile per la rappresentazione dell’apostolo Paolo, come per tutta l’arte delle icone, è che le linee del disegno, accompagnate poi dalle lumeggiature e rifinite dai dettagli, creino un’armonia particolare dell’insieme, deputata a dichiarare la regalità  del personaggio.

Con la tipologia iconografica dell’Abbraccio di san Pietro e san Paolo, conosciuta anche con il titolo di Incontro tra Pietro e Paolo e più raramente con quello di Bacio tra Pietro e Paolo, si è di fronte a un tema di grande attualità nella vita delle comunità cristiane. È di notevole interesse la forza dell’abbraccio, la spinta dei corpi dei Santi che si legge facilmente anche nelle raffigurazioni dei particolari dei due volti. Sembra la tappa conclusiva di un cammino vissuto nella ricerca di una reciprocità che possa parlare ai cristiani per rivolgere loro l’invito giovanneo: «Perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11). Quest’immagine può essere considerata un invito all’unità dei cristiani. Lo slancio dei corpi, sempre presente nel modello dell’Abbraccio, diventa canone della raffigurazione stessa, perché non venga meno il senso della stessa.

La tradizione iconografica propone anche dei modelli che evocano scene della vita di san Paolo, di cui le più diffuse sono quelle del battesimo, della predicazione, del naufragio e del martirio, ma non mancano anche episodi poco noti come quello della visione della Gerusalemme Celeste. Ci si trova sempre di fronte alle caratteristiche precipue dell’arte bizantina: assenza prospettica, sostituita dal principio della prospettiva rovesciata o inversa, che ha la forza di condurre il personaggio o l’intera scena verso lo sguardo dello spettatore; luce sullo sfondo perché possa essere data una spinta maggiore all’insieme verso l’esterno; disegno netto e pulito che sappia giocare con le sue tre dimensioni: verticale, orizzontale e diagonale e con il dinamismo del segno sorretto dalla progressione e dal ritmo. Tutto è completato dal linguaggio del colore. Studi approfonditi hanno dimostrato che l’arte delle icone è l’arte della luce, pertanto viene meno l’idea di immagini buie e prive di luce.

L’intensità della policromia bizantina, che utilizza abilmente i contrasti cromatici, consente di trovare una vibrazione che, dal punto di vista tecnico, serve per affermare gli equilibri e le armonie necessarie all’arte bizantina, ma, dall’altro, è necessaria per toccare la sensibilità del fedele che ad essa si accosta. L’iconografia delle scene della vita dell’Apostolo, nel rispetto della tradizione bizantina, fa riferimento ai testi biblici, alle fonti liturgiche, alla tradizione della Chiesa, ma anche alla testimonianza dei vangeli apocrifi.  Dalla  nascita dell’arte delle icone, gli artisti si sono ispirati,  per esigenze date dall’elaborazione scenica dell’insieme, ai testi apocrifi.  Ciò non svilisce la verità stessa dell’icona.

Analizzando il percorso dell’iconografia paolina, si legge anche il cammino della comunità cristiana accompagnata dalla parola di Dio, si avverte la presenza dell’Apostolo delle genti, se ne gusta l’avventura umana e cristiana che ha ispirato la creatività degli artisti.

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San Basilio: Omelia sull’umiltà

dal sito:

http://www.ortodoxia.it/Omelia%20sull%92umilt%E0.htm

Omelia sull’umiltà

S. BASILIO DI CESAREA

L’uomo doveva restare nella gloria che è presso Dio e avrebbe una grandezza non apparente, ma reale: l’avrebbe fatto grande la potenza di Dio, risplenderebbe per la sapienza divina, gioirebbe per la vita e per i beni eterni. Ma poiché sostituì la brama della gloria divina, e ambì e aspirò a realtà più grandi che non era in grado di afferrare, perse proprio ciò che poteva avere. Per lui, la via di salvezza e la terapia più efficace dell’infermità e per il ritorno alla condizione originale, è l’umiltà e il non far sfoggio di una propria gloria, ma cercare quella che viene da Dio. Così rimedierà alla caduta, così curerà la malattia, così ritornerà al santo comandamento che aveva abbandonato.
Ma il diavolo, che fece cadere l’uomo con la speranza di una falsa gloria, non cessa di provocarlo con gli stessi stimoli e di inventare a tale scopo artifici senza numero.

Gli fa apparire come gran cosa il possesso delle ricchezze, per vantarsene e porvi ogni sollecitudine. Ciò non vale niente per giungere alla gloria, ma tanto per il pericolo in cui si incorre. Il procurarsi ricchezze, infatti, è occasione di avidità, e il possederle non reca alcun prestigio, ma produce un inutile accecamento, una vana esaltazione, e nell’anima una malattia simile a un gonfiore. Non è sano, né benefico il tumore che provoca il gonfiore dei corpi, ma è malsano, nocivo, principio di pericolo e causa di rovina. Tale è anche l’orgoglio per l’anima.
E non solo ci si monta la testa per le ricchezze, e gli uomini non si esaltano unicamente per il tenore di vita e per l’abbigliamento che le ricchezze consentono: allestendo banchetti sontuosi, smodatamente ricchi; indossando abiti eccessivi; edificando enormi palazzi, ornati con ogni ricercatezza; con una moltitudine di servi al seguito e accompagnati da una frotta di parassiti senza numero, ma si esaltano anche, oltre natura, per le cariche a cui sono eletti. Se un popolo conferisce una carica; se stima uno degno di una qualche preminenza e gli affida per decreto la carica del comando supremo, a questo punto, coloro che hanno ottenuto tale dignità, come balzando al di sopra della natura umana, si considerano, come le nubi, al di sopra di tutti e stimano i loro sudditi come polvere da calpestare e si esaltano nei confronti di quelli che hanno loro conferito la dignità e si mostrano arroganti verso coloro mediante i quali pensano di essere qualcuno.
 

 

Continuando ad esercitare un potere con ogni follia, la loro gloria è più inconsistente di un sogno e lo splendore che li avvolge è più vano di una fantasia notturna: a un cenno del popolo è sorta, e ad un cenno è svanita.
Così era quel folle del figlio di Salomone, giovane di età, ma ancor più giovane di senno. Al popolo che gli chiedeva di governare con più moderazione, egli minacciò una durezza ancora maggiore, e con la minaccia mandò in rovina il regno; per essa si aspettò di venire considerato un re ancora più grande, per essa fu distrutta la dignità che aveva.
Infondono un’eccessiva fiducia nell’uomo anche la forza delle mani, la velocità dei piedi, la bellezza del corpo: cose che sono divorate dalle malattie e consunte dal tempo. L’uomo non percepisce che ogni carne è come l’erba e ogni gloria umana è come il fiore dell’erba; l’erba si è seccata e il fiore è inaridito.
Tali furono le arroganze dei giganti a causa della loro forza, e la convinzione dello stolto Golia di poter combattere contro Dio. Tale fu Adonia, orgoglioso della sua bellezza; tale fu Assalonne, superbo per la sua straordinaria capigliatura.

2. Ciò che sembra essere poi il più grande e il più sicuro fra tutti i beni che gli uomini possiedono, cioè la sapienza e l’intelligenza, anche questo è vana esaltazione e conferisce una grandezza non vera.
Se si esclude la sapienza che viene da Dio, tutte queste cose non servono a nulla.
Persino al diavolo, infatti, non gli riuscì il sofisma che ideò contro l’uomo, e non si accorse di aver ordito contro se stesso ciò che aveva escogitato contro l’uomo. Non recò nessun grave danno a colui che egli sperava di allontanare da Dio e dalla vita eterna. Tradì solo se stesso, poiché si ribellò a Dio e fu condannato a una morte eterna. E poiché tese un laccio al Signore, a questo laccio fu preso: fu crocifisso proprio quando era intento a crocifiggere, e fu ucciso nell’istante in cui sperò di mettere a morte il Signore.
Ma se il principe del mondo, il primo, supremo e invisibile sofista della sapienza mondana è preso dai suoi sofismi e finisce nell’estrema stoltezza, quanto più i suoi discepoli e seguaci: anche se comprendono un’infinità di cose, dichiarandosi sapienti, sono diventati stolti. Il Faraone ordì con astuzia la distruzione di Israele, ma non si accorse che la sua scaltra macchinazione era stata vanificata là dove non avrebbe mai imma-ginato. Un fanciullo, abbandonato a causa del suo editto di morte, fu alle-vato di nascosto nella casa del re e, dopo aver distrutto la sua potenza e quella di tutto il popolo, condusse Israele alla salvezza. E quell’omicida di Abimelech, figlio illegittimo di Gedeone, che uccise i settanta figli legittimi: egli pensando che fosse un atto sapiente, per rendere più sicuro il dominio sul regno, annientare coloro che lo avevano aiutato nell’omicidio, fu annientato da loro, e finì per mano di una donna e il lancio di una pietra .
Con astuzia, anche tutti i Giudei presero la decisione di uccidere il Signore, dicendosi gli uni gli altri: Se lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro Luogo e la nostra nazione. Da questa decisione giunsero all’uccisione del Cristo. Con l’intento di salvare essi la nazione e il paese, lo portarono alla rovina me-diante ciò che avevano deliberato; e furono scacciati dal paese e privati delle leggi e del culto.
Da una miriade di esempi si può apprendere perfettamente che è inconsistente la brama della sapienza umana: è piccola e infima, e non gran-de e sublime.

3. Così, nessuno che ragioni bene, sarà orgoglioso, né della propria sapienza, né delle altre realtà di cui abbiamo parlato prima; ma ubbidirà al-le bellissime esortazioni della beata Anna e del profeta Geremia: Non si vanti il sapiente nella sua sapienza, non si vanti il forte nella sua forza, non si vanti il ricco nella sua ricchezza.
Qual è allora il vero vanto? In che cosa l’uomo è grande? In questo – dice – si vanti chi si vanta, di comprendere e di conoscere che io sono il Signore. Questa è la grandezza dell’uomo, questa la sua gloria e magnificenza: conoscere ciò che è veramente grande, aggrapparsi ad esso e cercare la gloria che viene dal Signore della gloria.
Dice poi l’Apostolo: Chi si vanta, si vanti nel Signore; e afferma:
Cristo è diventato per noi sapienza da parte di Dio, giustizia, santificazio-ne e redenzione, perché – come sta scritto – chi si vanta, si vanti nel Si-gnore.
Il perfetto e pieno vanto in Dio, infatti, si ha quando uno non si esalta per la propria giustizia, ma riconosce di essere privo di vera giustizia, e di essere stato giustificato dalla sola fede in Cristo. Anche Paolo si vanta di non tenere in alcun conto la propria giustizia, per cercare invece quella che è mediante il Cristo, la giustizia che è da Dio, basata sulla fede, per conoscere lui e la potenza della sua risurrezione, e la comunione dei suoi pati-menti, conformandomi alla morte di lui, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.
Qui viene meno ogni orgogliosa grandezza. Nulla ti è rimasto per esibire la tua arroganza, o uomo, che hai il vanto e la speranza nel mortificare tutto ciò che ti appartiene e nel cercare in Cristo la vita futura: di essa possediamo le primizie, già siamo in queste realtà, viviamo totalmente nella grazia e nel dono di Dio.
Ed è Dio che opera in noi il volere e l’operare secondo il suo beneplacito.
E’ Dio che mediante il suo Spirito rivela che la sua sapienza è stata predestinata per la nostra gloria.
E’ Dio che concede la forza nelle fatiche: Ho faticato più di tutti – dice Paolo – non io però, ma la grazia di Dio che è con me.
E’ Dio che libera dai pericoli al di là di ogni speranza umana: Noi – dice – abbiamo avuto in noi stessi la sentenza della morte, perché non mettiamo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che ha risuscitato i morti. E’ lui che ci ha liberati da una tale morte e ci libererà: abbiamo in lui questa speranza che egli ci libererà ancora.

4. Allora dimmi, perché ti esalti per i beni che hai come se fossero tuoi, invece di rendere grazie per i doni a Colui che li ha elargiti? Che hai tu, infatti, che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non l’avessi ricevuto?
Non tu hai conosciuto Dio con la tua giustizia, ma Dio ha conosciuto te per la sua bontà: Avendo conosciuto Dio – dice – anzi, essendo stati piuttosto conosciuti da Dio.
Non tu hai afferrato il Cristo con la tua virtù, ma il Cristo ha afferrato te con la sua venuta: Perseguo lo scopo – dice – se mai io possa afferrare come sono stato afferrato dal Cristo.
Non voi avete scelto me – dice il Signore – ma io ho scelto voi.
E tu, poiché sei stato onorato, monti in superbia e accogli la misericordia come motivo d’orgoglio?
Allora sappi quello che sei!
Sei come Adamo, cacciato dal paradiso; sei come Saul, abbandona-to dallo Spirito di Dio; sei come Israele, tagliato dalla radice santa : Per la fede – dice – tu resti nella radice; non insuperbirti, ma temi!
Un giudizio si accompagna ad una grazia e il giudice ti chiederà conto di come hai usato i doni ricevuti.
Se però, nonostante questo, non capisci che hai trovato grazia, ma al culmine dell’incoscienza consideri la grazia come una tua personale opera buona, non credere di valere di più del beato apostolo Pietro. Infatti non puoi superare nell’amore verso il Signore colui che lo amava così intensa-mente che desiderava morire per lui. Ma poiché con grande orgoglio disse: Se anche tutti saranno scandalizzati a causa tua, io però non sarò mai scandalizzato, fu tradito dalla paura per gli uomini e cadde nel rinnegamento. Poi rimediò alla caduta con l’umiltà, e imparò ad avere compassione dei deboli scoprendo la propria debolezza; e conobbe chiaramente, che come quando stava per essere sommerso nel mare fu la destra del Cristo a sollevarlo, così quando rischiò di perire nei flutti dello scandalo a causa della mancanza di fede, fu custodito dalla potenza del Cristo, il quale gli predisse ciò che sarebbe accaduto, dicendo: Simone, Simone, ecco che Satana vi ha reclamati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli.
Con questo avvertimento, Pietro fu aiutato nel modo giusto: poiché gli fu insegnato a deporre l’arroganza e a usare misericordia verso i deboli.
Quel fariseo, invece, duro e orgoglioso oltre misura, che non solo confidava in se stesso, ma disprezzava anche il pubblicano davanti a Dio, perse la gloria della giustizia per l’accusa dell’orgoglio. E il pubblicano se ne andò giustificato a differenza di quello, poiché glorificò il Dio santo e non osò sollevare lo sguardo; ma cercò soltanto il perdono, facendosi accusatore di se stesso nell’atteggiamento, nel battersi il petto e nell’esclusiva ricerca del perdono.
Guarda dunque e fa attenzione all’avvertimento del grave danno che procura l’orgoglio. Insuperbendosi, il fariseo subì la perdita della giustizia; confidando in sé, perse la ricompensa. Fu inferiore all’umile e al peccatore, poiché si considerò superiore a lui; e non attese il giudizio di Dio, ma emise il proprio.
Ma tu non esaltarti mai contro nessuno, neppure contro i grandi peccatori. Spesso l’umiltà salva chi ha commesso molti e gravi peccati. Non ti considerare dunque più giusto di un altro perché, giustificato dal tuo giudzio, tu non sia condannato dal giudizio di Dio. Dice Paolo: Non giudico me stesso; non ho infatti coscienza di nessuna colpa; ma non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore.

5. Vuoi comportarti bene? Ringrazia Dio e non esaltarti contro il prossimo: Ciascuno – dice – esamini il proprio operato e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in un altro. Infatti, che vantaggio hai recato al prossimo per aver testimoniato la fede, o per aver sofferto l’esilio per il nome del Cristo, o per aver perseverato nelle fatiche del di-giuno? Non è di altri il guadagno, ma tuo.
Temi di cadere come cadde il diavolo. Egli si innalzò contro l’uomo e cadde per mano di un uomo; e fu calpestato da colui che era stato calpestato.
Fu simile anche la caduta degli Israeliti. Si esaltarono infatti contro le genti, considerandole impure; e proprio loro divennero impuri, mentre le genti furono purificate. La loro giustizia divenne come panno di donna che ha le mestruazioni, mentre l’iniquità e l’empietà delle genti furono cancellate in virtù della fede.
Ricorda sempre la verità del proverbio che dice: Dio resiste agli or-gogliosi, ma agli umili dà grazia.
Sempre tieni in mente la parola del Signore: Chi si umilia sarà innalzato, e chi si innalza sarà umiliato.
Non essere un giudice parziale di te stesso e non stimarti in modo lusinghiero; ciò avviene se pensi di avere qualcosa di buono e lo calcoli con precisione, mentre di proposito dimentichi i tuoi peccati. Non esaltarti per le opere buone di oggi, approvando te stesso per il male fatto di recente e in passato; ma quando il presente ti innalza, il passato ti spinga al ricordo e plachi l’insensato orgoglio.
E se ti capita di vedere da vicino chi commette un peccato, non gua-dare solo questo di lui, ma considera anche quanto ha fatto o fa di bene, e, esaminando ogni aspetto e non soffermandoti sui dettagli, spesso scoprirai che egli è migliore di te. Neanche Dio, infatti, esamina l’uomo in modo parziale: Io infatti – dice – vengo a riunire le loro opere e i loro pensieri; e un giorno, rimproverando Giosafat per il peccato appena commesso, gli ricordò anche le opere buone, dicendo: Tuttavia in te si sono trovate cose buone.

6. In ogni momento cantiamo a noi stessi queste e simili cose riguardo all’orgoglio, abbassando noi stessi per essere innalzati, imitando il Signore che è disceso dal cielo fino all’estrema umiltà, per essere dall’umiltà elevati alla giusta altezza.
Troviamo, infatti, nella vita del Signore ogni insegnamento sull’umiltà. Da bambino, subito, è in una grotta; e non in un letto, ma deposto in una mangiatoia; abita nella casa di un carpentiere e di una madre povera, sottomesso alla madre e al suo promesso sposo; impara, ascoltando ciò che non aveva bisogno di apprendere, e per le domande che pone e per le risposte che dà, stupisce per la sua sapienza. Si sottomette a Giovanni, e il Sovrano riceve il battesimo dal servo. A nessuno si oppone di quanti insorgono contro di lui; e non ricorre al suo ineffabile potere, ma cede come se fossero più forti di lui e fornisce a un potere limitato la forza ad esso proporzionata. Sta di fronte ai sommi sacerdoti come uno che è giudicato; è condotto al cospetto del governatore, sostiene il giudizio, e potendo accusare chi gli muoveva false accuse, sopporta in silenzio i calunniatori. Servi e schiavi vilissimi gli sputano addosso; è messo a morte, e al-la morte più infame presso gli uomini.
Così, tutto mostrò all’uomo, dall’inizio alla fine; e da ultimo, dopo una così grande umiltà, manifesta la gloria, glorificando assieme a sé coloro che hanno avuto parte al suo disonore.
I primi di essi furono i beati discepoli, che percorsero la terra poveri e nudi, non con sapienza di linguaggio, non con una moltitudine di seguaci; soli, erranti, solitari, attraversarono la terra e il mare; furono flagellati, lapidati, perseguitati e infine uccisi.
Questi sono per noi i paterni e divini insegnamenti. Imitiamo costoro, per giungere noi dall’umiltà alla gloria eterna, che è il dono perfetto e vero del Cristo.

7. Come giungeremo dunque alla salutare umiltà, dopo aver abbandonato il tumore distruttivo dell’orgoglio?
Se la eserciteremo in tutto, e in nulla la trascureremo, per non subirne un danno. L’anima, infatti, assomiglia alle opere e riceve l’impronta e la forma di ciò che fa. Esercita dunque in tutto la povertà: nell’abito, nel vestito, nel camminare e nello star fermo, nella preparazione dei cibi, nella preparazione del letto, nella casa e negli arredi della casa. Anche nella parola, nel canto, e nel rapporto con il prossimo, guarda che tutto si realizzi nell’umiltà piuttosto che nella superbia.
Che io non senta, nei discorsi, millanterie da sofista, né voci eccessivamente voluttuose nei canti, e neppure discussioni sprezzanti e violenti; ma in tutto e per tutto elimina la superbia.
Sii buono con l’amico, dolce con i familiari, paziente con gli sfrontati, amante dei poveri; consolatore degli afflitti, attento a quelli che soffr-no; mai indifferente con nessuno; dolce nel rivolgere la parola, garbato nel rispondere, generoso, affabile con tutti.
Non elogiarti e non permettere che altri ti elogino, non prestare fede a una parola di adulazione, e nascondi per quanto possibile i tuoi successi.
Accusa te stesso dei tuoi peccati e non attendere che siano gli altri a rimproverarti; per assomigliare a quel giusto, che avendo in tribunale il di-ritto a parlare per primo, accusò se stesso; per essere come Giobbe che non ebbe timore di confessare il proprio peccato davanti all’intera città.
Non essere severo nelle minacce, né impulsivo; non rimproverare mosso da passionalità – questo infatti è un comportamento arrogante ; non condannare per cose da nulla come se tu stesso fossi giusto sotto ogni aspetto.
Accogli i peccatori e rafforzali spiritualmente, come ammonisce l’Apostolo: guardando su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione.
Metti tanto impegno per non essere glorificato dagli uomini, quanto gli altri per essere glorificati, se ti ricordi del Cristo che ha detto che la deliberata ostentazione davanti agli uomini e il bene fatto per essere da loro ammirati comporta la perdita della ricompensa di Dio; dice, infatti: Hanno già ricevuto la loro ricompensa. Non rovinare dunque te stesso per voler figurare davanti agli uomini. Poiché Dio è acuto osservatore, tu ama la gloria che viene da Dio: egli, infatti, concede la splendida ricompensa.
E se hai ricevuto l’onore del primo posto e gli uomini ti rispettano e ti lodano?
Comportati come coloro che stanno sottomessi, non dominando sulle porzioni del gregge – dice – né secondo i principi del mondo, poiché il Signore ha comandato che chi vuole essere primo, sia servo di tutti.
Insomma, insegui l’umiltà come se fosse proprio la tua amante: Diventa suo amante, e ti glorificherà.
Così procederai sicuro verso la gloria, quella vera, quella che è fra gli angeli, quella che è accanto a Dio. E il Cristo ti riconoscerà come suo discepolo davanti agli angeli e ti glorificherà se diverrai imitatore della sua umiltà, di lui, che ha detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le anime vostre.

A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.

Amen.

A cura di
Giorgio Sgargi

Omelia del Papa nella Messa per il Battesimo di 14 neonati

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20942?l=italian

Omelia del Papa nella Messa per il Battesimo di 14 neonati

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 10 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questa domenica nella Cappella Sistina la Messa nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 14 neonati.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Nella festa del Battesimo del Signore, anche quest’anno ho la gioia di amministrare il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati, che i genitori presentano alla Chiesa. Siate i benvenuti, cari papà e mamme di questi piccoli, e voi padrini e madrine, amici e parenti, che fate loro corona. Rendiamo grazie a Dio, che oggi chiama queste sette bambine e questi sette bambini a diventare suoi figli in Cristo. Li circondiamo con la preghiera e con l’affetto e li accogliamo con gioia nella Comunità cristiana, che da oggi diventa anche la loro famiglia.

Con la festa del Battesimo di Gesù continua il ciclo delle manifestazioni del Signore, che è iniziato a Natale con la nascita a Betlemme del Verbo incarnato, contemplato da Maria, Giuseppe e i pastori nell’umiltà del presepe, e che ha avuto una tappa importante nell’Epifania, quando il Messia, attraverso i Magi, si è manifestato a tutte le genti. Oggi Gesù si rivela, sulle rive del Giordano, a Giovanni e al popolo d’Israele. È la prima occasione in cui egli, da uomo maturo, entra nella scena pubblica, dopo aver lasciato Nazaret. Lo troviamo presso il Battista, da cui si reca un gran numero di gente, in una scena inconsueta. Nel brano evangelico, poc’anzi proclamato, san Luca osserva anzitutto che il popolo « era in attesa » (3,15). Egli sottolinea, così, l’attesa di Israele, coglie, in quelle persone che avevano lasciato le loro case e gli impegni abituali, il profondo desiderio di un mondo diverso e di parole nuove, che sembrano trovare risposta proprio nelle parole severe, impegnative, ma colme di speranza del Precursore. Il suo è un battesimo di penitenza, un segno che invita alla conversione, a cambiare vita, perché si avvicina Colui che « battezzerà in Spirito santo e fuoco » (3,16). Infatti, non si può aspirare ad un mondo nuovo rimanendo immersi nell’egoismo e nelle abitudini legate al peccato. Anche Gesù abbandona la casa e le consuete occupazioni per raggiungere il Giordano. Arriva in mezzo alla folla che sta ascoltando il Battista e si mette in fila come tutti, in attesa di essere battezzato. Giovanni, non appena lo vede avvicinarsi, intuisce che in quell’Uomo c’è qualcosa di unico, che è il misterioso Altro che attendeva e verso il quale era orientata tutta la sua vita. Comprende di trovarsi di fronte a Qualcuno di più grande di lui e di non essere degno neppure di sciogliergli i lacci dei sandali.

Presso il Giordano, Gesù si manifesta con una straordinaria umiltà, che richiama la povertà e la semplicità del Bambino deposto nella mangiatoia, e anticipa i sentimenti con i quali, al termine dei suoi giorni terreni, giungerà a lavare i piedi dei discepoli e subirà l’umiliazione terribile della croce. Il Figlio di Dio, Colui che è senza peccato, si pone tra i peccatori, mostra la vicinanza di Dio al cammino di conversione dell’uomo. Gesù prende sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, inizia la sua missione mettendosi al nostro posto, al posto dei peccatori, nella prospettiva della croce.

Mentre, raccolto in preghiera, dopo il battesimo, esce dall’acqua, si aprono i cieli. È il momento atteso da schiere di profeti. « Se tu squarciassi i cieli e scendessi! », aveva invocato Isaia (63,19). In questo momento, sembra suggerire san Luca, tale preghiera viene esaudita. Infatti, « Il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo » (3,21-22); si udirono parole mai ascoltate prima: « Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento » (v. 22). Gesù salendo dalle acque, come afferma san Gregorio Nazianzeno, « vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza » (Discorso 39 per il Battesimo del Signore, PG 36). Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo scendono tra gli uomini e ci rivelano il loro amore che salva. Se sono gli angeli a recare ai pastori l’annuncio della nascita del Salvatore, e la stella ai Magi venuti dall’Oriente, ora è la voce stessa del Padre che indica agli uomini la presenza nel mondo del suo Figlio e che invita a guardare alla risurrezione, alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.

Il lieto annuncio del Vangelo è l’eco di questa voce che scende dall’alto. A ragione, perciò, Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, scrive a Tito: « Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini » (2,11). Il Vangelo, infatti, è per noi grazia che dà gioia e senso alla vita. Essa, prosegue l’Apostolo, « ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà » (v. 12); ci conduce, cioè, ad una vita più felice, più bella, più solidale, ad una vita secondo Dio. Possiamo dire che anche per questi bambini oggi si aprono i cieli. Essi riceveranno in dono la grazia del Battesimo e lo Spirito Santo abiterà in loro come in un tempio, trasformando in profondità il loro cuore. Da questo momento, la voce del Padre chiamerà anche loro ad essere suoi figli in Cristo e, nella sua famiglia che è la Chiesa, donerà a ciascuno il dono sublime della fede. Tale dono, ora che non hanno la possibilità di intendere pienamente, sarà deposto nel loro cuore come un seme pieno di vita, che attende di svilupparsi e portare frutto. Oggi vengono battezzati nella fede della Chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dalle madrine e dai cristiani presenti, che poi li condurranno per mano nella sequela di Cristo. Il rito del Battesimo richiama con insistenza il tema della fede già all’inizio, quando il Celebrante ricorda ai genitori che chiedendo il battesimo per i propri figli, essi assumono l’impegno ad « educarli nella fede ». Questo compito è richiamato in modo ancora più forte a genitori e padrini nella terza parte della celebrazione, che inizia con le parole loro rivolte: « A voi il compito di educarli nella fede perché la vita divina che ricevono in dono sia preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno. Se dunque, in forza della vostra fede, siete pronti ad assumervi questo impegno… fate la vostra professione in Cristo Gesù. E’ la fede della Chiesa nella quale i vostri figli vengono battezzati ». Queste parole del rito suggeriscono che, in qualche modo, la professione di fede e la rinuncia al peccato di genitori, padrini e madrine rappresentano la premessa necessaria perché la Chiesa conferisca il Battesimo ai loro bambini.

Immediatamente prima dell’infusione dell’acqua sul capo del neonato vi è, poi, un ulteriore richiamo alla fede. Il celebrante rivolge un’ultima domanda: « Volete che il vostro bambino riceva il Battesimo nella fede della Chiesa, che tutti insieme abbiamo professato? ». E solo dopo la loro risposta affermativa viene amministrato il Sacramento. Anche nei riti esplicativi – unzione con il crisma, consegna della veste bianca e del cero accesso, gesto dell’ »effeta » – la fede rappresenta il tema centrale. « Abbiate cura – dice la formula che accompagna la consegna del cero – che i vostri bambini… vivano sempre come figli della luce; e perseverando nella fede, vadano incontro al Signore che viene »; « Il Signore Gesù – afferma ancora il Celebrante nel rito dell’ »effeta » – ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre ». Tutto poi è coronato dalla benedizione finale che ricorda ancora ai genitori il loro impegno di essere per i figli « i primi testimoni della fede ».

Cari amici, oggi per questi bambini è un grande giorno. Con il Battesimo, essi, divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo, iniziano con lui l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo. La liturgia la presenta come un’esperienza di luce. Infatti, consegnando a ciascuno la candela accesa al cero pasquale, la Chiesa afferma: « Ricevete la luce di Cristo! ». È del Battesimo illuminare con la luce di Cristo, aprire gli occhi al suo splendore e introdurre al mistero di Dio attraverso il lume divino della fede. In questa luce i bambini che stanno per essere battezzati dovranno camminare per tutta la vita, aiutati dalle parole e dall’esempio dei genitori, dei padrini e delle madrine. Questi dovranno impegnarsi ad alimentare con le parole e la testimonianza della loro vita le fiaccole della fede dei bambini, perché possa risplendere in questo nostro mondo, che brancola spesso nelle tenebre del dubbio, e recare la luce del Vangelo che è vita e speranza. Solo così, da adulti potranno pronunciare con piena consapevolezza la formula collocata al termine della professione di fede presente nel rito: « Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore ».

Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare. Con questa celebrazione del Battesimo, il Signore conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani, perché possiamo introdurre i bambini battezzati alla pienezza dell’adesione a Cristo. Affidiamo questi piccoli alla materna intercessione della Vergine Maria. Chiediamo a Lei che, rivestiti della veste bianca, segno della loro nuova dignità di figli di Dio, siano per tutta la loro vita fedeli discepoli di Cristo e coraggiosi testimoni del Vangelo. Amen.

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 11 janvier, 2010 |Pas de commentaires »

Beata Teresa di Calcutta: Ascoltatelo pronunciare il vostro nome : la chiamata di Gesù

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100111

Lunedì della I settimana delle ferie del Tempo Ordinario : Mc 1,14-20
Meditazione del giorno
Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
Testamento spirituale

Ascoltatelo pronunciare il vostro nome : la chiamata di Gesù

      La Madonna è stata, insieme con Giovanni e, ne sono sicura, con Maria di Màgdala, la prima a sentire il grido di Gesù « Ho sete! » (Gv 19,28). Essa conosce l’intensità e la profondità dell’ardente desiderio di Gesù per voi e per i poveri. E noi, lo conosciamo? Lo sentiamo come lei?… Prima, la Madonna lo domandava a me, ora, sono io, in nome suo, a domandarvelo, a supplicarvene: « Ascoltate la sete di Gesù ». Questa sia per ciascuno una parola di vita. Come avvicinarvi alla sete di Gesù? Un solo segreto: quanto più verrete a Gesù, tanto più conoscerete la sua sete.

      « Convertitevi e credete al vangelo » ci dice Gesù (Mc 1,15). Di cosa dobbiamo pentirci? Della nostra indifferenza, della nostra durezza di cuore. E cosa dobbiamo credere? Che Gesù ha sete fin d’ora del vostro cuore e dei poveri: Lui conosce la vostra debolezza, e desidera comunque solo il vostro amore; vuole semplicemente che gli lasciate la possibilità di amarvi…

      Ascoltatelo. Ascoltatelo pronunciare il vostro nome. E così fate perché la mia gioia, e la vostra, siano perfette (1 Gv 1,14).

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 11 janvier, 2010 |Pas de commentaires »

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