Gesù e Giovanni Battista bambini

dal sito:
http://www.pddm.it/vita/vita_05/n_01/2gennaio.htm
2a dopo Natale – 2 Gennaio 2005
• Prima lettura: Sir 24,1-4.8-12 • Salmo responsoriale: Sal 146,12-15.19-20
• Seconda lettura: Ef 1,3-6.15-18 • Vangelo: Gv 1,1-18
«È venuto a piantare la sua tenda in mezzo a noi» (cf Gv 1,14).
Il canto della divina Sapienza
Il testo della prima lettura vuole renderci attenti, soprattutto, alla presenza della sapienza sulla terra e, più precisamente, in mezzo al popolo d’Israele. Il capitolo 24 del libro del Siracide, qui offerto in versione abbreviata, antologica, appartiene ad un gruppo ristretto, ma importante di brani dell’Antico Testamento in cui la sapienza non viene descritta come un’abilità tecnica o artigianale, ma come una sorta di figura poetica che parla di sè. In questo inno, la sapienza «apre la bocca» e si autopresenta: «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e ho ricoperto come nube la terra». Da subito la sapienza si definisce come intima di Dio, e nello stesso tempo come colei che è in relazione con gli uomini. Viene richiamato un simbolo importante dell’Antico Testamento: la nube che ha guidato il popolo di Dio nel deserto, ha riempito il tempio di Gerusalemme costruito da Salomone, ha sempre evocato la presenza di Dio nella storia del popolo, e nei suoi momenti più salienti. La nube segnala che Dio è presente, ma nello stesso tempo lo nasconde, è luminosa e insieme oscura, secondo il racconto dell’Esodo. È dunque un simbolo importante per esprimere la vicinanza di Dio che però non si consegna nelle mani dell’uomo, ma resta, in qualche modo, avvolto nel suo mistero. Nel racconto dell’Esodo si dice che il popolo seguiva la nube, ma, se la nube non si alzava, il popolo non poteva partire. Israele non aveva la possibilità di far muovere la nube quando lui voleva, e nemmeno di farla andare dove lui voleva. Quindi, fin dall’inizio di questa pericope, si richiama il momento fondatore della storia d’Israele. La nube, poi, è un simbolo di fecondità perché porta la pioggia, il bene per eccellenza in un paese caldo e arido come Israele. Dio si presenta non solo come colui che guida il cammino del popolo, ma anche come colui che dà la vita al popolo. Tutto questo è collegato alla sapienza, nella prima lettura odierna. Uscita da Dio, sempre presente davanti a lui, la sapienza, che ha assistito all’opera della creazione e ha partecipato alle vicende dell’Esodo, adesso pone la sua tenda in mezzo al popolo dell’alleanza, Israele. È sotto la forma concreta della legge che la sapienza divina si è manifestata ad Israele, ed è la pratica di questa legge donata da Dio che fa di Israele un popolo saggio fra tutti i popoli. L’osservanza della legge permette a Israele di vivere come un popolo libero, attualizzando ogni giorno la relazione di alleanza stipulata presso il monte Sion. L’osservanza della legge permette a Israele di costruire una società armoniosa in cui si riproduce l’ordine voluto da Dio al momento della creazione. Dieci volte Dio parla nella creazione, e il caos primordiale si organizza in mondo ordinato. Dieci volte Dio parla nella legge, e chi aderisce a queste parole mette ordine nel suo mondo personale e sociale, realizzando così l’utopia descritta in Gen 1: un mondo non violento e armonioso, bello e buono in tutte le sue parti e nel suo complesso.
Ha posto la sua tenda in mezzo a noi
La sapienza, secondo il testo del Siracide, ha presieduto sia alla creazione del mondo che alla storia dell’Esodo, centrata sul dono dell’alleanza e della legge, e oggi diventa il principio a partire dal quale ogni israelita può aderire a quel progetto originario. Questa adesione non è più riservata esclusivamente ad Israele, dal momento che il Signore Gesù, nella sua predicazione, ha ripreso gli inviti della sapienza e li ha resi universali, accessibili ad ogni persona. Egli ha detto: «Venite a me», e si è presentato come la Sapienza e la Parola del Padre. Rivela il Padre a coloro che si mettono alla sua scuola. Infatti il Verbo incarnato è l’Emmanuele, Dio in persona, con noi. Giovanni, nel Vangelo, presenta Gesù come la tenda dell’Esodo o come il tempio di Gerusalemme, cioè come la dimora di Dio in mezzo agli uomini. Il prologo del quarto Vangelo evoca anche la nube che nascondeva e rivelava la presenza di Dio (v 14). Alla tenda dell’Esodo e al tempio di Gerusalemme, succede ora il Verbo incarnato: nella sua persona Dio è ormai presente definitivamente. La sapienza, che ha svolto un ruolo di mediazione nell’Antico Testamento, è essenziale anche per noi. Il suo compito è di aiutarci a discernere la presenza definitiva di Dio in Gesù di Nazaret, vincendo quelle resistenze interiori che ognuno di noi avverte nei confronti di un’adesione totale al Signore. Il prologo stesso evoca il mistero del rifiuto di Gesù: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo … eppure il mondo non lo riconobbe». La presenza di Dio non s’impone, si propone come luce, ma è sempre possibile chiudere gli occhi di fronte ad essa. È possibile, eppure è inspiegabile che gli uomini preferiscano le tenebre alla luce, simbolo di vita, con tutto ciò che ad essa è collegato. È come se nel mondo esistessero forme di rifiuto della vita, che assumono vari aspetti. A volte si tratta di autolesionismo, a volte, di un desiderio di vita orientato male. Non stiamo parlando di situazioni lontane da noi, perché anche noi, forse, aderiamo al Vangelo, ma facciamo pure l’esperienza di chiusure, rifiuti, peccati, che non ci spieghiamo sempre in modo razionale. Perché facciamo tanta fatica ad aderire a ciò che il nostro cuore desidera? Qui entra in gioco la sapienza che può aiutarci a fare discernimento e a sostenere le scelte di bene, che ogni giorno vanno riconfermate. La liturgia odierna non si pone su un versante immediatamente operativo, non riflette cioè sulla risposta umana e sulle sue dinamiche, ma in vari modi canta l’intervento di Dio nella storia. Anche la seconda lettura s’inserisce nello stesso contesto del cammino tracciato dal Vangelo e dalla prima lettura, proponendo alla nostra riflessione una parte dell’inno cristologico della lettera agli Efesini. Questo inno canta l’intervento di Dio nella nostra storia, nella persona di Gesù: egli è la sapienza di Dio, annunciata e attesa dall’Antico Testamento, è la Parola di Dio, il Verbo incarnato. È in lui e per mezzo di lui che Dio ha realizzato il suo progetto di salvezza nei confronti degli uomini. L’inno di san Paolo rilegge tutta la nostra storia ponendola sotto il segno della benevolenza di Dio, che ci ha predestinati, cioè ci ha reso oggetto di una preferenza. «Benedetto sia Dio che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo»: il momento iniziale di questa benedizione si trova nei cieli, nel Cristo pre-esistente, che ha dei legami con la sapienza di cui parla la prima lettura e con la teologia del quarto Vangelo. Noi siamo stati benedetti e la nostra risposta consiste essenzialmente nel benedire a nostra volta. Non si tratta prima di tutto di fare gesti morali, ma di benedire, cioè di dire bene di Dio che ha elaborato, fin dal principio questo progetto di salvezza. Noi siamo chiamati a vivere nella perfezione e nella santità di questo amore. È interessante, a nostro avviso, che la liturgia odierna adotti la forma dell’inno. Le tre letture sono inni e testi di tipo liturgico e di andamento contemplativo. La teologia successiva avrà il compito di esprimere questi concetti in termini formali, ma intanto la liturgia educa e forma il popolo di Dio, affinché comprenda se stesso e la sua vocazione sullo sfondo di questo quadro così ampio. In primo luogo si tratta di contemplare il mistero, cogliendo la sua dinamica di rivelazione. Verrà poi il momento di rispondere e insistere sulla ricaduta umana e sulle sue contraddizioni. Ma adesso, in questa seconda domenica dopo Natale, il clima è ancora meditativo, contemplativo, silenzioso. Solo la parola della benedizione risuona, e si delinea un accordo tra la benedizione che Dio pronuncia fin dal principio e quella che l’uomo si sforza di rendere attuale nella sua vita. Il contenuto di tale parola di bene è Gesù, Verbo incarnato, esistente prima della creazione del mondo. Di fronte a tali realtà, possiamo solo far nostre le parole della colletta: «Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del tuo regno».
dal sito:
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=346187
01/01/2010 10.51.59
Papa Benedetto: Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Testo integrale
Nel primo giorno del nuovo anno abbiamo la gioia e la grazia di celebrare la Santissima Madre di Dio e, al tempo stesso, la Giornata Mondiale della Pace. In entrambe le ricorrenze celebriamo Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine e nostra vera pace! A tutti voi, che siete qui convenuti: Rappresentanti dei popoli del mondo, della Chiesa romana e universale, sacerdoti e fedeli; e a quanti sono collegati mediante la radio e la televisione, ripeto le parole dell’antica benedizione: il Signore rivolga a voi il suo volto e vi conceda pace (cfr Nm 6,26). Proprio il tema del Volto e dei volti vorrei sviluppare oggi, alla luce della Parola di Dio – Volto di Dio e volti degli uomini – un tema che ci offre anche una chiave di lettura del problema della pace nel mondo.
Abbiamo ascoltato, sia nella prima lettura – tratta dal Libro dei Numeri – sia nel Salmo responsoriale, alcune espressioni che contengono la metafora del volto riferita a Dio: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto / e ti faccia grazia” (Nm 6,25); “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via, / la tua salvezza fra tutte le genti” (Sal 66/67,2-3). Il volto è l’espressione per eccellenza della persona, ciò che la rende riconoscibile e da cui traspaiono sentimenti, pensieri, intenzioni del cuore. Dio, per sua natura, è invisibile, tuttavia la Bibbia applica anche a Lui questa immagine. Mostrare il volto è espressione della sua benevolenza, mentre il nasconderlo ne indica l’ira e lo sdegno. Il Libro dell’Esodo dice che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11), e sempre a Mosè il Signore promette la sua vicinanza con una formula molto singolare: “Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo” (Es 33,14). I Salmi ci mostrano i credenti come coloro che cercano il volto di Dio (cfr Sal 26/27,8; 104/105,4) e che nel culto aspirano a vederlo (cfr Sal 42,3), e ci dicono che “gli uomini retti” lo “contempleranno” (Sal 10/11,7).
Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo. “Quando venne la pienezza del tempo – ci ha ricordato anche oggi l’apostolo Paolo – Dio mandò il suo Figlio” (Gal 4,4). E subito aggiunge: “nato da donna, nato sotto la legge”. Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi vedere e riconoscere nel figlio della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di “Madre di Dio”. Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo. La madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un “figlio della pace” (Lc 10,6). Tra le molte tipologie di icone della Vergine Maria nella tradizione bizantina, vi è quella detta “della tenerezza”, che raffigura Gesù bambino con il viso appoggiato – guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in Lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio. In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile che lo ha spinto a “dare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16). Ma quella stessa icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la buona notizia: “Non sei più schiavo, ma figlio” (Gal 4,7) – come leggiamo ancora in san Paolo.
Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Signori Ambasciatori, cari amici! Meditare sul mistero del volto di Dio e dell’uomo è una via privilegiata che conduce alla pace. Questa, infatti, incomincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione. Ma chi, se non Dio, può garantire, per così dire, la “profondità” del volto dell’uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano. La nostra percezione del mondo e, in particolare, dei nostri simili, dipende essenzialmente dalla presenza in noi dello Spirito di Dio. E’ una sorta di “risonanza”: chi ha il cuore vuoto, non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uomini, benché a volte proprio il volto umano, segnato dalla durezza della vita e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epifania di Dio. A maggior ragione, dunque, per riconoscerci e rispettarci quali realmente siamo, cioè fratelli, abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori.
Fin da piccoli, è importante essere educati al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi. Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli. Più sono piccoli questi bambini, e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo. Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori? Purtroppo, l’icona della Madre di Dio della tenerezza trova il suo tragico contrario nelle dolorose immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi, rifugiati, migranti forzati. Volti scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati dal dolore e dalla disperazione. I volti dei piccoli innocenti sono un appello silenzioso alla nostra responsabilità: di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo.
Il mio Messaggio per l’odierna XLIII Giornata Mondiale della Pace: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, si pone all’interno della prospettiva del volto di Dio e dei volti umani. Possiamo, infatti, affermare che l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato. Chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato ad avere maggiore amore per le creature, maggiore sensibilità per il loro valore simbolico. Specialmente il Libro dei Salmi è ricco di testimonianze di questo modo propriamente umano di relazionarsi con la natura: con il cielo, il mare, i monti, le colline, i fiumi, gli animali… “Quante sono le tue opere, Signore! – esclama il Salmista – / Le hai fatte tutte con saggezza; / la terra è piena delle tue creature” (Sal 104/103,24).
In particolare, la prospettiva del “volto” invita a soffermarsi su quella che, anche in questo Messaggio, ho chiamato “ecologia umana”. Vi è infatti un nesso strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato. “I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri” (ivi, 12). Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze. Si può, in effetti, constatare un reciproco influsso tra volto dell’uomo e “volto” dell’ambiente: “quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibid.; cfr Enc. Caritas in veritate, 51). Rinnovo, pertanto, il mio appello ad investire sull’educazione, proponendosi come obiettivo, oltre alla necessaria trasmissione di nozioni tecnico-scientifiche, una più ampia e approfondita “responsabilità ecologica”, basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali. Solo così l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione della pace.
Cari fratelli e sorelle, nel Tempo di Natale ricorre un Salmo che contiene, tra l’altro, anche un esempio stupendo di come la venuta di Dio trasfiguri il creato e provochi una specie di festa cosmica. Questo inno inizia con un invito universale alla lode: “Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore, uomini di tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome” (Sal 95/96,1). Ma a un certo punto questo appello all’esultanza si estende a tutto il creato: “Gioiscano i cieli, esulti la terra, / risuoni il mare e quanto racchiude; / sia in festa la campagna e quanto contiene, / acclamino tutti gli alberi della foresta” (vv. 11-12). La festa della fede diventa festa dell’uomo e del creato: quella festa che a Natale si esprime anche mediante gli addobbi sugli alberi, per le strade, nelle case. Tutto rifiorisce perché Dio è apparso in mezzo a noi. La Vergine Madre mostra il Bambino Gesù ai pastori di Betlemme, che gioiscono e lodano il Signore (cfr Lc 2,20); la Chiesa rinnova il mistero per gli uomini di ogni generazione, mostra loro il volto di Dio, perché, con la sua benedizione, possano camminare sulla via della pace.
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100103
II Domenica dopo Natale – Anno C : Jn 1,1-18
Meditazione del giorno
San Basilio (circa 330-379), monaco e vescovo di Cesarea in Cappadocia, dottore della Chiesa
Omelie per la nascita di Cristo, 2,6 ; PG 31, 1459-1462, 1471-1474
La nascita del Salvatore, è la morte della morte
Dio sulla terra, Dio in mezzo agli uomini : non un Dio che consegna la Legge tra bagliori di fuoco e suoni di tromba su un monte fumante, o in densa nube fra lampi e tuoni, seminando il terrore tra coloro che lo ascoltano (Es 19,18) ; ma un Dio incarnato, che con soavità e dolcezza parla a creature che hanno la sua stessa natura. Dio nella nostra carne !…
In che modo, per mezzo di uno solo, lo splendore raggiunse tutti ? In che modo la divinità risiede nella carne ? Come il fuoco nel ferro :… per partecipazione. Il fuoco, infatti, non passa nel ferro, ma rimanendo dov’è, gli comunica la sua virtù ; né per questa comunicazione diminuisce, ma pervade di sé tutto quello a cui si comunica. Così, il Dio-Verbo, senza mai separarsi da se stesso, « venne ad abitare in mezzo a noi », senza subire alcun mutamento, « si fece carne » : il cielo che lo conteneva non rimase privo di lui mentre la terra lo accoglieva nel suo seno.
Cerca di penetrare nel mistero : Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno, una volta ingeriti, ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma tosto si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia (Mal 3,20), fu ingoiata dalla vittoria (1Cor 15,54), non potendo coesistere con la vita. O grandezza della bontà e dell’amore di Dio per gli uomini !
Diamogli gloria insieme ai pastori, esultiamo con gli angeli « perché oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore » (Lc 2,11)… Festeggiamo la salvezza del mondo, il giorno della nascita dell’umanità.