Archive pour le 27 octobre, 2009

Pope Benedict XVI leads a mass for the closing of the African Synod in St. Peter’s Basilica

Pope Benedict XVI leads a mass for the closing of the African Synod in St. Peter's Basilica  dans immagini

Pope Benedict XVI leads a mass for the closing of the African Synod in St. Peter’s Basilica at the Vatican October 25, 2009. Pope Benedict on Saturday appointed a Ghanaian cardinal to one of the most influential jobs in the Vatican, increasing the possibility that the next pontiff might be a black man.
REUTERS/Tony Gentile (VATICAN RELIGION)

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Carlo Maria Martini: « Santi del nuovo Millennio »

dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/laity/documents/rc_pc_laity_doc_20000818_xv-youth-day_catechesi-martini_it.html

CATECHESI DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI,

ARCIVESCOVO DI MILANO, NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO

Venerdì 18 agosto 2000

« Santi del nuovo Millennio »

Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del Nuovo Millennio! Essere santi vuol dire essere divini, entrare nella sfera del divino.

La santità è una dimensione anzitutto ontologica prima di essere una dimensione morale. Essere in Dio, essere figli, essere in Gesù, ecco ciò che siamo chiamati ad essere, come pure, ad essere immacolati, cioè senza macchia.

San Paolo nel capitolo quinto della Lettera agli Efesini parla della Chiesa e dice che Cristo ha amato la Chiesa, ha dato se stesso per Lei, per renderla santa purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua, accompagnata dalla Parola, al fine di farci comparire davanti alla sua Chiesa tutta gloriosa senza macchia, né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.

E noi siamo chiamati a essere santi ed immacolati in Gesù; la Chiesa è chiamata ad essere in Gesù santa e immacolata. Ecco, dunque, l’intenzione di Dio nella storia, che traspare da questa pagina di San Paolo.

L’intenzione di Gesù è di fare di ciascuno di voi qui presenti, di me che vi parlo, una sola cosa in Cristo e di fare di noi una sola cosa santa, cioè la Chiesa, di renderci divini, di purificarci da ogni macchia di egoismo, di odio, di amor proprio, di renderci figli nel figlio Gesù, come dice il versetto quinto di questo capitolo primo, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo secondo il beneplacito della Sua volontà.

Ecco l’intenzione di Dio, che appare da questo brano:  essere santi, essere divini, cioè essere in Cristo, essere amati come figli, essere come Gesù, portare nel mondo la presenza e l’irradiazione stessa di Gesù.

Ecco fin qui ho cercato di leggere con voi questi versetti di San Paolo molto ricchi, molto superiori a quanto lui riesca a spiegare, ma ho cercato con voi di rendermi conto della immensità di questa chiamata ad essere santi.

Che cosa dice questa pagina a ciascuno di noi, oggi, che siamo qui in ascolto? e che cosa vuol dire, dunque, secondo la parola di San Paolo essere santi?

Quando noi ascoltiamo questa parola subito proviamo come un brivido di timore che essere santi significa essere molto bravi, fare chissà quali sforzi, ma questa pagina ci dice che tutto è molto più semplice:  essere santi vuol dire lasciarsi amare da Dio, lasciarsi guardare da Dio come Lui stesso guarda Gesù Cristo, significa essere figli in Gesù e con Gesù, vuol dire essere amati, lavati e perdonati da Gesù.

Essere santi, quindi, è un problema di Dio, prima che nostro, è un problema che tocca a Lui risolvere, per noi è importante lasciarci amare, non irrigidirci, non spaventarci, ma meravigliarci, quanto più ci ami o mio Dio e vuoi essere tutto in me, che vuoi fare una cosa sola con me, per insegnarmi a vivere ad amare, a soffrire e a morire come Te.

Ecco cosa vuol dire essere santi:  lasciare che Gesù viva in noi, lasciare che lo Spirito Santo formi l’immagine e la vita di Gesù in noi, così che giorno dopo giorno Gesù ci insegni a vivere, ad amare, a perdonare, a soffrire, a morire come Lui.

Ecco cosa vuol dire essere santi:  lasciare che Dio operi in noi e lasciare che da questa opera di Dio emergano anche poco a poco i passi, le caratteristiche i momenti, che ritmano la nostra santità.
Qui ritorno al messaggio del Santo Padre, di cui ho letto le prime parole:  « Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del Nuovo Millennio! ». Il Santo Padre descrive concretamente le caratteristiche di questa santità, che sono cinque.

« Siate – Lui dice – contemplativi e amanti della preghiera, coerenti con la vostra fede, generosi nel sevizio dei fratelli, membra attive della Chiesa, artefici di pace ».

Ecco che Egli ci traduce come mettere Gesù al centro del nostro cuore e della nostra vita.
Essere contemplativi si esplica in un qualcosa di molto semplice, per me sarebbe già molto, se ognuno iniziasse col prendersi dieci minuti al giorno di silenzio con il Vangelo, per pregustare la gioia del momento e allargare il tempo secondo le proprie possibilità.

Essere coerenti, cioè dare quello spettacolo che voi tutti date in questi giorni alla città di Roma, dimostrando che siete gente che ha speranza, gente che sorride, gente che affronta i sacrifici con serenità.

Essere generosi nel servizio dei fratelli consiste nei tanti atti di solidarietà. Ecco voi state dando al mondo questa immagine semplice di santità, che viene registrata con sorpresa dai mass-media, ma che eppure è qui ed è possibile. Nell’essere membra attiva della Chiesa volete esprimere la vivacità, la disponibilità, l’amore, la capacità di perdono della Chiesa. Ciascuno di voi, poi, vuole ed è chiamato ad essere artefice di pace, cominciando dalla famiglia, dalla parrocchia, dal proprio gruppo, a portare parole di benevolenza, di comprensione e di accoglienza.

Dopo avere descritto queste caratteristiche della santità, il Santo Padre dice anche come fare concretamente perché esse non siano proprie soltanto di questo giorno, ma diventino vita vissuta nella quotidianità. Dice il Santo Padre:  « Per realizzare questo impegnativo progetto, di vita rimanete nell’ascolto della Sua parola, attingete vigore dai sacramenti, specialmente dalla Eucaristia e dalla Penitenza ». Sono due atteggiamenti fondamentali, che nutrono la nostra santità, anzitutto l’ascolto della Parola. Queste ancora le parole del Santo Padre, che esprimono più concretamente che cosa aspetta da ciascuno di noi:  « Diventi il Vangelo il vostro tesoro più prezioso nello studio attento e nell’accoglienza generosa, nella Parola del Signore troverete alimento e forza per la vita di ogni giorno, troverete le ragioni di un impegno senza soste nell’edificazione della civiltà dell’amore ».

Se essere santi vuol dire essere come Gesù, in Gesù, è il Vangelo meditato e letto ogni giorno, che mette dentro di noi la vita, i sentimenti, i giudizi, i pensieri, le reazioni di Gesù. Rimanere, dunque, nell’ascolto della Parola e attingere vigore dai sacramenti soprattutto della Eucaristia e della Penitenza. Vorrei sottolineare come sia stato notato in questi giorni anche dai mass-media, con sorpresa, il rivivere della Confessione. Queste migliaia di confessioni fatte con fiducia nel Circo Massimo e altrove e qui; vorrei dirvi di non dimenticare questa straordinaria esperienza del sacramento della Penitenza. Portatela con voi, perché è attraverso questo sacramento che noi ritroviamo pur nella nostra debolezza, la forza ogni giorno di essere come Gesù, cioè essere santi.

A noi sembra molto duro e difficile tendere alla santità ogni giorno, è qualcosa che ci spaventa, eppure noi sperimentiamo continuamente che essere in Gesù e come Gesù, è molto bello ed è molto più bello del contrario, come diceva un autore recente:  « Non c’è che una tristezza, quella di non essere santi, la negligenza, la pigrizia, la svogliatezza, il cercare sempre e soltanto i propri comodi è la cosa più triste che ci sia. La santità, l’essere in Gesù, il cercare di avvicinarci a Lui, è la cosa più bella ». Vale la pena, dunque, provare ed è possibile realizzare questo ideale.

Mi vengono, così, in mente, tanti santi, che ho conosciuto, ammirato, e frequentato personalmente, persone, che hanno operato in più settori, dalla politica all’università, dall’imprenditoria a donne, madre di famiglia che hanno dato la propria vita per quella dei figli.

Tutti loro ci fanno vedere che i santi sono tanti oggi e che quindi la santità è in mezzo a noi. Ci sono nel nostro tempo non solo moltissimi santi, ma anche molti martiri del nostro tempo. Martiri della missione, martiri dell’aiuto agli ebrei, martiri delle stragi di popoli, martiri della dignità della persona umana, martiri della carità e martiri della giustizia. Non c’è stato mai nella storia della Chiesa un secolo così ricco di martiri come il secolo ventesimo, quindi la santità eroica soprattutto in mezzo a noi, da persone deboli, fragili come noi, ma capaci di lasciarsi possedere da Cristo Gesù.

Il 7 maggio scorso il Santo Padre ha voluto ha voluto fare memoria dei martiri ecumenici, cioè di tutte le chiese e confessioni cristiane, che hanno testimoniato la fede sotto un totalitarismo sovietico, ortodossi vittime comunismo, in tante nazioni europee.

Penso, così, all’Albania, alle persone che per decenni hanno vissuto ai lavori forzati o nei carceri, ai confessori della fede, vittime del nazismo e del fascismo, ai confessori che hanno dato la vita per la fede del Vangelo in Asia, in Oceania, fedeli della Spagna e del Messico, del Magadascar e dell’Africa, perseguitati, fedeli in America Latina. Ecco la presenza dei santi, oggi! La forza di Gesù che nessuno di noi ha, che nessuno di noi può pretendere di avere, ma che il Signore ha concesso in abbondanza a questo nostro secolo, che appare così pagano ma che è ricco più di tutti gli altri tempi di martiri e di santi.

Vorrei concludere con una testimonianza, che è forse una delle più sconvolgenti. Scritta qualche anno fa, nel 1994 il 1° dicembre, dal Priore di un monastero algerino, rapito e ucciso con altri sei monaci trappisti il 7 maggio del 1996. Ebbene scriveva, prevedendo cosa stava succedendo attorno a lui:  « Se un giorno mi capitasse, e potrebbe essere oggi, di essere vittima del terrorismo, che sembra voler coinvolgere attualmente tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era stata donata a Dio e a questo popolo. Vorrei che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa brutalità. Vorrei che essi pregassero per me. Come essere degno di una tale offerta! Vorrei che essi sapessero associare questa morte a tante altre, ugualmente, violente, lasciate nell’indifferenza e nell’anonimato. La mia vita non ha più valore di un’altra, non ne ha neanche meno, in ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male, che sembra in me prevalere nel mondo e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento vorrei avere quell’attimo di lucidità, che mi permettesse di chiedere il perdono di Dio a quello dei miei fratelli, perdonando con tutto cuore, nello stesso momento, a chi mi avesse colpito ed anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì anche per te voglio dire questo grazie a Dio, nel cui volto ti contemplo, e ci sia dato di incontrarci di nuovo ladroni colmati di gioia in paradiso, se piace a Dio Padre nostro, Padre di tutti e due ».

È andato così con i compagni incontro ad una morte violenta, tenendo nel cuore la parola del perdono. Ecco la santità di oggi, quella che Gesù compie, quella che lo Spirito Santo della nostra debolezza esprime e nessuno di noi può presumere di avere questa forza, ma possiamo fidarci di Dio e di Gesù che opera in noi.

Vorrei concludere, proponendovi alcune domande per la vostra riflessione:  mi interrogo, ho voglia di essere santo, oppure ho paura di esserlo? Quale il più grande ostacolo per la santità? Quale, invece, il più grande stimolo, oggi, per la santità?

Benedetto XVI: « Alzati, Chiesa in Africa », « non sei sola! »

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20059?l=italian

Benedetto XVI: « Alzati, Chiesa in Africa », « non sei sola! »

Omelia del Papa per la chiusura del Sinodo

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 25 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata questa domenica da Papa Benedetto XVI nell’Eucaristia in occasione della chiusura della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

* * *

Venerati Fratelli!
Cari fratelli e sorelle!

Ecco un messaggio di speranza per l’Africa: l’abbiamo ascoltato or ora dalla Parola di Dio. E’ il messaggio che il Signore della storia non si stanca di rinnovare per l’umanità oppressa e sopraffatta di ogni epoca e di ogni terra, da quando rivelò a Mosè la sua volontà sugli israeliti schiavi in Egitto: « Ho osservato la miseria del mio popolo… ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo… e per farlo salire verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele » (Es 3,7-8). Qual è questa terra? Non è forse il Regno della riconciliazione, della giustizia e della pace, a cui è chiamata l’umanità intera? Il disegno di Dio non muta. E’ lo stesso che fu profetizzato da Geremia, nei magnifici oracoli denominati « Libro della consolazione », da cui oggi è tratta la prima lettura. E’ un annuncio di speranza per il popolo d’Israele, prostrato dall’invasione dell’esercito di Nabucodonosor, dalla devastazione di Gerusalemme e del Tempio e dalla deportazione in Babilonia. Un messaggio di gioia per il « resto » dei figli di Giacobbe, che annuncia un futuro per essi, perché il Signore li ricondurrà nella loro terra, attraverso una strada diritta e agevole. Le persone bisognose di sostegno, come il cieco e lo zoppo, la donna gravida e la partoriente, sperimenteranno la forza e la tenerezza del Signore: Egli è un padre per Israele, pronto a prendersene cura come del primogenito (cfr Ger 31,7-9).

Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate. Questi figli prediletti del Padre celeste sono come il cieco del Vangelo, Bartimeo, che « sedeva lungo la strada a mendicare » (Mc 10,46), alle porte di Gerico. Proprio per quella strada passa Gesù Nazareno. E’ la strada che conduce a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua, la sua Pasqua sacrificale, alla quale il Messia va incontro per noi. E’ la strada del suo esodo che è anche il nostro: l’unica via che conduce alla terra della riconciliazione, della giustizia e della pace. Su quella via il Signore incontra Bartimeo, che ha perduto la vista. Le loro vie si incrociano, diventano un’unica via. « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! », grida il cieco con fiducia. Replica Gesù: « Chiamatelo! », e aggiunge: « Che cosa vuoi che io faccia per te? ». Dio è luce e creatore della luce. L’uomo è figlio della luce, fatto per vedere la luce, ma ha perso la vista, e si trova costretto a mendicare. Accanto a lui passa il Signore, che si è fatto mendicante per noi: assetato della nostra fede e del nostro amore. « Che cosa vuoi che io faccia per te? ». Dio sa, ma chiede; vuole che sia l’uomo a parlare. Vuole che l’uomo si alzi in piedi, che ritrovi il coraggio di domandare ciò che gli spetta per la sua dignità. Il Padre vuole sentire dalla viva voce del figlio la libera volontà di vedere di nuovo la luce, quella luce per la quale lo ha creato. « Rabbunì, che io veda di nuovo! ». E Gesù a lui: « Va’, la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada » (Mc 10,51-52).

Cari Fratelli, rendiamo grazie perché questo « misterioso incontro tra la nostra povertà e la grandezza » di Dio si è realizzato anche nell’Assemblea sinodale per l’Africa che oggi si conclude. Dio ha rinnovato la sua chiamata: « Coraggio! Alzati… » (Mc 10,49). E anche la Chiesa che è in Africa, attraverso i suoi Pastori, venuti da tutti i Paesi del Continente, dal Madagascar e dalle altre isole, ha accolto il messaggio di speranza e la luce per camminare sulla via che conduce al Regno di Dio. « Va’, la tua fede ti ha salvato » (Mc 10,52). Sì, la fede in Gesù Cristo – quando è bene intesa e praticata – guida gli uomini e i popoli alla libertà nella verità, o, per usare le tre parole del tema sinodale, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Bartimeo che, guarito, segue Gesù lungo la strada, è immagine dell’umanità che, illuminata dalla fede, si mette in cammino verso la terra promessa. Bartimeo diventa a sua volta testimone della luce, raccontando e dimostrando in prima persona di essere stato guarito, rinnovato, rigenerato. Questo è la Chiesa nel mondo: comunità di persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; « sale e luce » in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni. Perciò il Sinodo ha ribadito con forza – e lo ha manifestato – che la Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale. Testimonianze commoventi ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all’opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli. La Chiesa riconciliata è potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il Continente africano.

La seconda lettura ci offre un’ulteriore prospettiva: la Chiesa, comunità che segue Cristo sulla via dell’amore, ha una forma sacerdotale. La categoria del sacerdozio, come chiave interpretativa del mistero di Cristo e, di conseguenza, della Chiesa, è stata introdotta nel Nuovo Testamento dall’Autore della Lettera agli Ebrei. La sua intuizione prende origine dal Salmo 110, citato nel brano odierno, là dove il Signore Dio, con solenne giuramento, assicura al Messia: « Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek » (v. 4). Riferimento che ne richiama un altro, tratto dal Salmo 2, nel quale il Messia annuncia il decreto del Signore che dice di lui: « Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato » (v. 7). Da questi testi deriva l’attribuzione a Gesù Cristo del carattere sacerdotale, non in senso generico, bensì « secondo l’ordine di Melchisedek », vale a dire il sacerdozio sommo ed eterno, di origine non umana ma divina. Se ogni sommo sacerdote « è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio » (Eb 5,1), solo Lui, il Cristo, il Figlio di Dio, possiede un sacerdozio che si identifica con la sua stessa Persona, un sacerdozio singolare e trascendente, da cui dipende la salvezza universale. Questo suo sacerdozio Cristo l’ha trasmesso alla Chiesa mediante lo Spirito Santo; pertanto la Chiesa ha in se stessa, in ogni suo membro, in forza del Battesimo, un carattere sacerdotale. Ma – qui c’è un aspetto decisivo – il sacerdozio di Gesù Cristo non è più primariamente rituale, bensì esistenziale. La dimensione del rito non viene abolita, ma, come appare chiaramente nell’istituzione dell’Eucaristia, prende significato dal Mistero pasquale, che porta a compimento i sacrifici antichi e li supera. Nascono così contemporaneamente un nuovo sacrificio, un nuovo sacerdozio ed anche un nuovo tempio, e tutti e tre coincidono con il Mistero di Gesù Cristo. Unita a Lui mediante i Sacramenti, la Chiesa prolunga la sua azione salvifica, permettendo agli uomini di essere risanati mediante la fede, come il cieco Bartimeo. Così la Comunità ecclesiale, sulle orme del suo Maestro e Signore, è chiamata a percorrere decisamente la strada del servizio, a condividere fino in fondo la condizione degli uomini e delle donne del suo tempo, per testimoniare a tutti l’amore di Dio e così seminare speranza.

Cari amici, questo messaggio di salvezza la Chiesa lo trasmette coniugando sempre l’evangelizzazione e la promozione umana. Prendiamo ad esempio la storica Enciclica Populorum progressio: ciò che il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l’hanno realizzato e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture locali e dell’ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l’unica in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie. Questo significa trasmettere l’annuncio di speranza secondo una « forma sacerdotale », cioè vivendo in prima persona il Vangelo, cercando di tradurlo in progetti e realizzazioni coerenti con il principio dinamico fondamentale, che è l’amore. In queste tre settimane, la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha confermato ciò che il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II aveva già messo bene a fuoco, e che ho voluto anch’io approfondire nella recente Enciclica Caritas in veritate: occorre, cioè, rinnovare il modello di sviluppo globale, in modo che sia capace di « includere tutti i popoli e non solamente quelli adeguatamente attrezzati » (n. 39). Quanto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto a partire dalla sua visione dell’uomo e della società, oggi è richiesto anche dalla globalizzazione (cfr ibid.). Questa – occorre ricordare – non va intesa fatalisticamente come se le sue dinamiche fossero prodotte da anonime forze impersonali e indipendenti dalla volontà umana. La globalizzazione è una realtà umana e come tale è modificabile secondo l’una o l’altra impostazione culturale. La Chiesa lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione (cfr ibid., n. 42).

« Coraggio, alzati!… ». Così quest’oggi il Signore della vita e della speranza si rivolge alla Chiesa e alle popolazioni africane, al termine di queste settimane di riflessione sinodale. Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio, perché ti chiama il Padre celeste che i tuoi antenati invocavano come Creatore, prima di conoscerne la vicinanza misericordiosa, rivelatasi nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Intraprendi il cammino di una nuova evangelizzazione con il coraggio che proviene dallo Spirito Santo. L’urgente azione evangelizzatrice, di cui molto si è parlato in questi giorni, comporta anche un appello pressante alla riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di ogni popolo; una pace che ha bisogno e si apre all’apporto di tutte le persone di buona volontà al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali. In tale impegnativa missione tu, Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio, non sei sola. Ti è vicina con la preghiera e la solidarietà fattiva tutta la Chiesa cattolica, e dal Cielo ti accompagnano i santi e le sante africani, che, con la vita talora sino al martirio, hanno testimoniato piena fedeltà a Cristo.

Coraggio! Alzati, Continente africano, terra che ha accolto il Salvatore del mondo quando da bambino dovette rifugiarsi con Giuseppe e Maria in Egitto per aver salva la vita dalla persecuzione del re Erode. Accogli con rinnovato entusiasmo l’annuncio del Vangelo perché il volto di Cristo possa illuminare con il suo splendore la molteplicità delle culture e dei linguaggi delle tue popolazioni. Mentre offre il pane della Parola e dell’Eucaristia, la Chiesa si impegna anche ad operare, con ogni mezzo disponibile, perché a nessun africano manchi il pane quotidiano. Per questo, insieme all’opera di primaria urgenza dell’evangelizzazione, i cristiani sono attivi negli interventi di promozione umana.

Cari Padri Sinodali, al termine di queste mie riflessioni, desidero rivolgervi il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per la vostra edificante partecipazione. Tornando a casa, voi, Pastori della Chiesa in Africa, portate la mia benedizione alle vostre Comunità. Trasmettete a tutti l’appello risuonato sovente in questo Sinodo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Mentre si chiude l’Assemblea sinodale non posso non rinnovare la mia viva riconoscenza al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e a tutti i suoi collaboratori. Un grato pensiero esprimo ai cori della comunità nigeriana di Roma e del Collegio Etiopico, che contribuiscono all’animazione di questa liturgia. E infine voglio ringraziare quanti hanno accompagnato i lavori sinodali con la preghiera. La Vergine Maria ricompensi tutti e ciascuno, e ottenga alla Chiesa in Africa di crescere in ogni parte di quel grande Continente, diffondendo dappertutto il « sale » e la « luce » del Vangelo.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, Sinodo |on 27 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

Il Papa: il Sinodo per l’Africa, momento di ascolto dello Spirito

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20052?l=italian

Il Papa: il Sinodo per l’Africa, momento di ascolto dello Spirito

Discorso del Pontefice per l’Angelus domenicale

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 25 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita della preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in Piazza San Pietro in Vaticano, al termine della Messa per la conclusione del Sinodo dei Vescovi per l’Africa.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Poco fa, con la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, si è conclusa la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Tre settimane di preghiera e di ascolto reciproco, per discernere ciò che lo Spirito Santo dice oggi alla Chiesa che vive nel Continente africano, ma al tempo stesso alla Chiesa universale. I Padri sinodali, venuti da tutti i Paesi dell’Africa, hanno presentato la ricca realtà delle Chiese locali. Insieme abbiamo condiviso le loro gioie per il dinamismo delle comunità cristiane, che continuano a crescere in quantità e qualità. Siamo grati a Dio per lo slancio missionario che ha trovato terreno fertile in numerose diocesi e che si esprime nell’invio di missionari in altri Paesi africani e in diversi Continenti. Particolare rilievo è stato dato alla famiglia, che anche in Africa costituisce la cellula primaria della società, ma che oggi viene minacciata da correnti ideologiche provenienti anche dall’esterno. Che dire, poi, dei giovani esposti a questo tipo di pressione, influenzati da modelli di pensiero e di comportamento che contrastano con i valori umani e cristiani dei popoli africani? Naturalmente sono emersi in Assemblea i problemi attuali dell’Africa e il suo grande bisogno di riconciliazione, di giustizia e di pace. Proprio a questo la Chiesa risponde riproponendo, con rinnovato slancio, l’annuncio del Vangelo e l’azione di promozione umana. Animata dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, essa si sforza di far sì che nessuno sia privo del necessario per vivere e che tutti possano condurre un’esistenza degna dell’essere umano.

Ricordando il viaggio apostolico che ho compiuto in Camerun e Angola nello scorso mese di marzo, e che aveva anche lo scopo di avviare la preparazione immediata del secondo Sinodo per l’Africa, oggi desidero rivolgermi a tutte le popolazioni africane, in particolare a quanti condividono la fede cristiana, per consegnare loro idealmente il Messaggio finale di questa Assemblea sinodale. E’ un Messaggio che parte da Roma, sede del Successore di Pietro, che presiede alla comunione universale, ma si può dire, in un senso non meno vero, che esso ha origine nell’Africa, di cui raccoglie le esperienze, le attese, i progetti, e adesso ritorna all’Africa, portando la ricchezza di un evento di profonda comunione nello Spirito Santo. Cari fratelli e sorelle che mi ascoltate dall’Africa! Affido in modo speciale alla vostra preghiera i frutti del lavoro dei Padri sinodali, e vi incoraggio con le parole del Signore Gesù: siate sale e luce nell’amata terra africana!

Mentre si conclude questo Sinodo, desidero ora ricordare che per il prossimo anno è prevista un’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. In occasione della mia Visita a Cipro, avrò il piacere di consegnare l’Instrumentum laboris di tale assise. Ringraziamo il Signore, che non si stanca mai di edificare la sua Chiesa nella comunione, e invochiamo con fiducia la materna intercessione della Vergine Maria.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo anzitutto uno speciale saluto alle migliaia di fedeli radunati a Milano, in Piazza del Duomo, dove stamani è stata celebrata la liturgia di beatificazione del sacerdote Don Carlo Gnocchi. Egli fu dapprima valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli Alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, Don Gnocchi lavorò per « restaurare la persona umana » raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La sua opera ha continuato a svilupparsi ed oggi la Fondazione Don Gnocchi è all’avanguardia nella cura di persone di ogni età che necessitano di terapie riabilitative. Mentre saluto il Cardinale Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, e mi rallegro con l’intera Chiesa ambrosiana, faccio mio il motto di questa beatificazione: « Accanto alla vita, sempre ».

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di catechisti della Diocesi di Rimini e i fedeli provenienti da Lamezia Terme, Altamura e Caselle in Pittari. Saluto inoltre l’Istituto Europeo « Marcello Candia » di Seregno, i dipendenti dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e il Cooper Club Roma. Auguro a tutti una buona domenica.

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buona notte…se ci riuscite….eheheh!

buona notte...se ci riuscite....eheheh! dans immagini buon...notte, giorno

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San Giovanni Crisostomo: « Finché sia tutta fermentata »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091027

Martedì della XXX settimana del Tempo Ordinario : Lc 13,18-21
Meditazione del giorno
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul Vangelo di Matteo, 46, 2

« Finché sia tutta fermentata »

      Il Signore presenta poi l’immagine del lievito… Come il lievito diffonde la sua forza in tutta la pasta, così anche voi trasformerete tutto il mondo. (Considerate la sapienza del Salvatore. Egli vuol far intendere questo: come è impossibile che i fatti naturali non si realizzino, così quanto io ho preannunciato avverrà infallibilmente)… Il lievito fermenta la massa quando lo si accosta alla farina; e non semplicemente lo si accosta, ma lo si mescola. Gesù non dice che la donna mette il lievito nella farina, ma che lo nasconde dentro, impastandolo con essa.

      Così anche voi, quando sarete spinti dentro e vi troverete in mezzo alle folle che da ogni parte vi faranno guerra, allora le vincerete. Il lievito si nasconde nella massa, ma non va perduto; anzi, a poco a poco, le comunica la sua forza: lo stesso avviene per il messaggio evangelico. Non abbiate quindi timore delle numerose difficoltà che vi ho preannunciato: è in questo modo che risplenderà la vostra forza e vincerete

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 27 octobre, 2009 |Pas de commentaires »

Dalle omelie di San Giovanni Maria Vianney

dal sito:

http://www.curatodars.com/preghiere.html

Dalle omelie di San Giovanni Maria Vianney,

Un cristiano guidato dallo Spirito Santo non fa fatica a lasciare i beni di questo mondo per inseguire i beni del cielo. Egli sa fare la differenza.

Chi è guidato dallo Spirito Santo ha idee rette. Ecco perché ci sono tanti ignoranti che la sanno più lunga dei sapienti. Quando si è guidati da un Dio di forza e di luce, non ci si può sbagliare.

Lo Spirito Santo è luce e forza. E’ lo Spirito Santo che ci fa distinguere il vero dal falso e il bene dal male. Lo Spirito Santo è come quelle lenti che ingrandiscono gli oggetti: ci fa vedere il bene e il male ingranditi. Con l’aiuto dello Spirito Santo, tutto viene ingrandito: sia le azioni apparentemente insignificanti fatte per amore di Dio che i minimi errori. Con le sue lenti, un orologiaio distingue i più piccoli ingranaggi di un orologio: allo stesso modo noi, illuminati dallo Spirito Santo, possiamo distinguere tutti i dettagli della nostra povera vita.

In quest’ottica le più piccole imperfezioni sembrano enormi e i più piccoli peccati fanno orrore.

Il buon Dio, mandandoci lo Spirito Santo, si è comportato con noi come un grande re che incaricasse il suo ministro di guidare uno dei suoi sudditi dicendogli: “Accompagnerai quest’uomo ovunque, e lo ricondurrai a me sano e salvo”. Che bello essere accompagnati dallo Spirito Santo! E’ una buona guida, Lui…. E pensare che ci sono persone che non ne vogliono sapere di seguirlo!…

Se chiedessimo ai dannati: “Perché vi trovate all’inferno?”, risponderebbero: “Perché abbiamo opposto resistenza allo Spirito Santo”. Al contrario, se dicessimo ai santi: “Perché siete in paradiso?”, risponderebbero: “Perché abbiamo ascoltato lo Spirito Santo…”. Chi si lascia guidare dallo Spirito Santo prova dentro di sé un senso di felicità che investe tutti gli aspetti della sua vita; il cattivo cristiano, invece, è come se rotolasse su un terreno di spine e pietre.

Senza lo Spirito Santo, siamo come un sasso… Provate a prendere in una mano una spugna imbevuta d’acqua e nell’altra un ciottolo, poi strizzateli con la stessa forza. Dal ciottolo non uscirà nulla; dalla spugna, al contrario, uscirà acqua in abbondanza. La spugna è l’anima piena di Spirito Santo, mentre il sasso è il cuore duro e freddo nel quale non abita lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo ci guida come una madre guida il figlioletto di due anni tenendolo per mano o come una persona che vede guida un cieco. Ogni mattina bisognerebbe dire: “Mio Dio, mandami il tuo Spirito; possa egli farmi capire chi sono io e chi sei tu…”.Un’anima che possiede lo Spirito Santo gusta la dolcezza della preghiera, tanto che il tempo che vi dedica non sembra mai abbastanza; essa sente che Dio le è sempre vicino; la sua santa presenza non l’abbandona mai.

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