Mary visits Elizabeth
Luk-01,39_Mary visits Elizabeth_La visitation, vedere la pagina originale per tutte le spiegazioni:
http://www.artbible.net/3JC/-Luk-01,39_Mary%20visits%20Elizabeth_La%20visitation/index3.html

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dal sito:
http://www.diocesi.milano.it/istituzionale/assoc_lavoro/foglio/foglio80_02.htm
L’OMELIA: IL TEMPO DELLA SAPIENZA DELLO SPIRITO
Libero adattamento dal diario di un operaio a cura di Raffaello Ciccone – quarta parte.
Ci sediamo, a Messa, dopo aver letto i tre brani biblici della Parola del Signore. C’è anche il salmo, che pure fa parte della Scrittura, ma mai considerato: però è prezioso fermarsi in questa preghiera lontana di secoli e vicina per le fatiche e i sentimenti che il popolo esprime e parteciparvi con il canto.
2. Sono curioso ogni volta della predica che sentirò e mi aspetto molto dal sacerdote: forse è una pretesa ma mi sembra una delle occasioni grandiose in cui tutti noi possiamo rifarci la speranza e ricuperare la voglia della novità del Signore. Vedo troppe facce meste, troppi passi stanchi, troppi saluti affrettati e senza calore. Leggo sulla faccia di ciascuno la fatica e la pena della settimana passata. Insomma spero nel miracolo della « lieta novella ».
3. Noto che i vicini hanno in mano i foglietti e continuano a scorrerli. Si direbbe che sono in attesa anche loro: e da questa piccola percezione mi scopro a pensare quanto nella chiesa ciascun fedele deve alle prediche. In fondo nessuno di noi si preoccupa molto di aprire la Scrittura e di studiare teologia. Tutto quello che abbiamo di fede e di valori legati alla fede ci è stato alimentato dalle prediche dei sacerdoti della domenica. E’ come il pane che nutre ed alimenta: a volte fresco e croccante, a volte insipido e a volte duro e acido. Ma è pane che ci aiuta.
4. Vorrei che il sacerdote ci guardasse in faccia prima di cominciare. Addirittura sarebbe interessante se in cinque minuti qualcuno di noi dicesse qualche problema della settimana: quelli del lavoro, della famiglia, del futuro dei figli, della salute, delle tasse, delle strade e dei trasporti, dello sfruttamento e della disonestà, dei politici onesti e di quelli corrotti, della magistratura che è in prima linea ed ha bisogno di un supplemento di coraggio e di solidarietà, dei poliziotti che rischiano la vita, dei sindacalisti che fanno fatica a fare un’assemblea. Certo le riflessioni debbono nascere da questi testi per allusione, per richiami, per assonanza. E lo so che a messa viene il 10 o il 15% della gente, eppure questi problemi sono nella testa di tutti e la predica va agli ascoltatori, passa oltre e si diffonde nel quartiere con una influenza curiosa ma intrigante.
5. Qualcuno ha scritto che il cristiano ha in una mano la Bibbia e nell’altra il quotidiano: da una parte la Parola di Dio che ci traduce il pensiero del Padre nel nostro linguaggio e nell’altra mano il giornale che riporta la sofferenza, le scelte, la povertà e la vita della mondo che ha bisogno di essere liberata e salvata. Qualche volta è proprio andata così: il sacerdote ha incominciato con un episodio della settimana e vedevo che istintivamente la gente si orientava a lui come in tensione per cercare soluzione e contemporaneità. E così capita con il lavoro. Nessuno ne vuol parlare eppure vedi che tutti si fanno improvvisamente attenti. Abbiamo sempre con noi la paura istintiva di ritrovarci una religione astratta o rassegnata, una specie di « oppio dei popoli » e quindi di doverci adattare ad una religione per inetti. Era una critica contro cui abbiamo combattuto tanto, soprattutto in ditta ma in fondo ci è rimasto il dubbio: non certo su Gesù né sul Vangelo ma su qualche predica, su qualche sacerdote, su qualche operazione ecclesiastica e quindi su tutto l’impianto, sulla « ditta » come diceva Milani. Per fortuna anche nella chiesa come nella società ci sono la Parola di Dio e la libertà dei figli di Dio; quindi ci è possibile aiutare a chiarire e capire.
6. Qualche volta però mi sono messo nei panni del prete per capire che compito gli è stato affidato dal Signore visto che tra le preoccupazioni più importanti e i compiti più urgenti sono stati messi quelli del predicare e guarire. « Andate, annunciate, guarite, scacciate i demoni ». La missione di Gesù infatti è stata soprattutto questa: radunare gente a cui parlare e la gente ne era affascinata e gli portava i malati, insegnare ai discepoli, vivere con loro, sostenerli e aiutarli a incominciare una missione anche loro, a due a due. Infine, il loro compito è risultato così chiaro che, finito il tremore della paura con la Pentecoste, come prima cosa incominciarono a predicare.
7. Il sacerdote ha tra le mani una parola scritta, morta, che può essere fatta diventare viva se qualcuno l’assume come nutrimento, soffio dello Spirito. Il sacerdote è il mediatore tra il dono di Dio offerto ma inerme finché resta scritto e l’attesa della gente che ha bisogno di speranza. Qui lo Spirito entra con i suoi miracoli di grazia e di fede.
8. Tante volte ho sperato che nella predica si riprendessero i tre testi. Altrimenti perché ci vengono proposti? C’è il pericolo di un formalismo assurdo: si legge la Scrittura, la si valorizza formalmente ma poi non la si prende in considerazione e ci si limita a parlare del Vangelo. Quanto vorrei invece che i testi siano affrontati e spiegati: non chiedo una lezione di esegesi sulla Sacra Scrittura ma una lettura sapiente che mi aiuti a capire il senso, il contesto, le immagini, la storia e la cultura che stanno alla base. Per quel poco che conosco della Scrittura, si scoprono significati profondi e nuovi se solo si inquadrano. Spesso anche solo una spiegazione fa esplodere il messaggio che poi riesce a parlare da sé: basta poco per attualizzarla, per scoprire aderenza e presenza, misericordia e fiducia di Dio per noi. E’ forse una croce ma il sacerdote dovrebbe diventare così esperto in Scrittura da farci innamorare della bellezza e della ricchezza dello Spirito che è in essa.
9. Quando il sacerdote parla è un credente, fratello tra fratelli. Di lui il Signore si fida. Rappresenta i secoli di storia e di fede della Chiesa che insegna, che crede e che lotta. Egli dovrebbe dire quello che Gesù direbbe al suo posto in questa assemblea e in questo tempo. Tradurrebbe il suo messaggio con le immagini e gli esempi di oggi, incoraggerebbe ad una fede che apre gli orizzonti verso la paternità di Dio, sosterrebbe uno stile di comunione e di responsabilità, di condivisione e sobrietà, aiuterebbe la povertà a diventare esigenza di solidarietà e garantirebbe la libertà per costruire migliore giustizia.
10. Ho capito col tempo che non è difficile scoprire se un prete crede alle cose che dice. Non sempre urlare è segno di chiarezza e non sempre i « pugni sul tavolo » (in questo caso sull’ambone) sono un segno di convinzione. Anzi spesso nascondono insicurezza e rassegnazione: non dire i « perché » e non aiutare a trovare soluzioni rendono insignificanti la denuncia.
11. A volte bisogna saper dire che la motivazione più profonda è Gesù: « Questo non è giusto perché Gesù ha detto così »; occorre però avere ben chiaro quello che Gesù ha detto e bisogna aver chiaro come va tradotto nel nostro tempo. Tutti corriamo il rischio del fondamentalismo: non si può leggere nessun testo senza tradurlo. E il Vangelo è più una traccia e un itinerario su cui procedere maturando, piuttosto che un atto perentorio per decidere chi è dentro e chi è fuori. Quante disperazioni e quante crisi, quante ribellioni e quanti rifiuti davanti a un Dio giudice! La parabola del « Figliol prodigo » viene presa in considerazione per la conclusione e non per l’inizio, quando il Padre, in silenzio, accetta di spartire l’eredità con il figlio minore. E’ sempre attuale anche la parabola della zizzania che manifesta il fervore di Dio e la sua pazienza che aspetta che nel tempo si possa perfino verificare il miracolo botanico di far diventare buon grano la zizzania. E comunque è solo nel tempo che si chiarisce che cosa è grano e che cosa è zizzania.
12. Predica lunga o corta? Non so misurare e mi dà fastidio. A volte una predica di 10 minuti sembra eterna e a volte una di 20 passa come un soffio. Importante è che si abbia qualcosa di serio da dire e che lo si leghi ai testi della Scrittura. E debbo dire che c’è stato un miglioramento da alcuni anni a questa parte: una volta solo rimproveri oppure brevi trattati di teologia senza agganci ai testi biblici. Oggi c’è più attenzione alla liturgia, al messaggio di Gesù, allo stile del credente.
13. Ho paura che i sacerdoti istintivamente sentano il ricatto: « Vengo a messa se la predica è corta » e il messaggio si può leggere così. « Vengo se le cose che mi dici non sono troppo serie, se mi lasci tranquillo, se non mi disturbi più di tanto. Ho già molti guai: ci manca anche che ci si metta la religione ». Spero che la predica non si assoggetti alle leggi del mercato con gli sconti del 3×2.
14. La predica vive lo stesso splendore e la stessa povertà dell’incarnazione di Gesù: senza questa parola povera non entrerebbe nulla in me. L’ho sperimentato qualche giorno fa, parlando con un collega di lavoro. Sa che vado in chiesa ed è venuto a dirmi che domenica scorsa è entrato in chiesa per la comunione del suo bambino. Ne avevamo parlato qualche volta e gli avevo posto la questione dell’opportunità: « Se tu che sei il padre non frequenti, che senso ha per tuo figlio? ». I soliti discorsi del « lo lascio libero, deve fare come tutti altrimenti sarà segnato dagli altri, quando sarà grande capirà… ». Avevo proprio pregato per lui e per quel suo bambino intelligente che spesso lo metteva alle corde con domande grandi. Il padre me le riferiva. Lunedì mi ha detto: « Lo sai che il prete, domenica, ha detto delle cose interessanti? Ha parlato della comunione come un banchetto, tra amici, in casa dove ci si vuole bene e si impara ad essere attenti gli uni verso gli altri. E se gli altri non capiscono, non bisogna avere paura poiché Gesù fece la sua cena tra amici che lo avrebbero tradito ma si fidò ugualmente di loro. E i grandi fanno la comunione per avere la forza di essere amici e generosi dove lavorano ». « Tu lo sapevi che la comunione si fa per questo? ». Gli ho risposto che era vero anche se non sempre si riesce ad essere responsabili e fedeli. « Allora, una volta sbagliato, non puoi più fare la comunione? »: « Beh, chiedo perdono e la forza di fare meglio e poi la comunione la si fa per questo ». Ho visto che se n’è andato pensoso. Ho ringraziato il Signore per la predica di quel sacerdote.
15. Gli stessi brani, ho scoperto, danno messaggi diversi a secondo delle circostanze e il fatto di leggerli spesso non disturba se qualcuno sa leggere nel cuore della gente le esigenze e le attese.
16. So che si deve aiutare il sacerdote con qualche suggerimento. Non sono un professore ma temo che nessuno dica al sacerdote le impressioni, le cose positive o negative: non si tratta di criticare ma di fare una verifica insieme. Soprattutto temo che nessuno gli racconti quello che capita in fabbrica e nei luoghi di lavoro, dove la gente si forma una cultura, un carattere, uno stile, un comportamento che poi porterà in tutta la sua vita anche famigliare So che qualcuno si ritrova a preparare con i sacerdoti l’omelia della domenica. Credo che sia un’occasione preziosa. Se mi capiterà, proverò anch’io.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-19898?l=italian
Riflessione di Benedetto XVI su Pietro il Venerabile, Abate di Cluny
Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nell’incontrare i fedeli e i pellegrini in piazza San Pietro per la tradizionale Udienza generale.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Pietro il Venerabile (1094-56).
* * *
Cari fratelli e sorelle,
la figura di Pietro il Venerabile, che vorrei presentare nell’odierna catechesi, ci riconduce alla celebre abbazia di Cluny, al suo «decoro» (decor) e al suo «nitore» (nitor) – per usare termini ricorrenti nei testi cluniacensi – decoro e splendore, che si ammirano soprattutto nella bellezza della liturgia, via privilegiata per giungere a Dio. Più ancora che questi aspetti, però, la personalità di Pietro richiama la santità dei grandi abati cluniacensi: a Cluny « non ci fu un solo abate che non sia stato un santo », affermava nel 1080 il Papa Gregorio VII. Tra questi si colloca Pietro il Venerabile, il quale raccoglie in sé un po’ tutte le virtù dei suoi predecessori, sebbene già con lui Cluny, di fronte agli Ordini nuovi come quello di Cîteaux, inizi a risentire qualche sintomo di crisi. Pietro è un esempio mirabile di asceta rigoroso con se stesso e comprensivo con gli altri. Nato attorno al 1094 nella regione francese dell’Alvernia, entrò bambino nel monastero di Sauxillanges, ove divenne monaco professo e poi priore. Nel 1122 fu eletto Abate di Cluny, e in tale carica rimase fino alla morte, avvenuta nel giorno di Natale del 1156, come egli aveva desiderato. « Amante della pace – scrive il suo biografo Rodolfo – ottenne la pace nella gloria di Dio il giorno della pace » (Vita, I,17; PL 189,28).
Quanti lo conobbero ne esaltarono la signorile mitezza, il sereno equilibrio, il dominio di sé, la rettitudine, la lealtà, la lucidità e la speciale attitudine a mediare. « È nella mia stessa natura – scriveva – di essere alquanto portato all’indulgenza; a ciò mi incita la mia abitudine a perdonare. Sono assuefatto a sopportare e a perdonare » (Ep. 192, in: The Letters of Peter the Venerable, Harvard University Press, 1967, p. 446). Diceva ancora: « Con quelli che odiano la pace vorremmo, possibilmente, sempre essere pacifici » (Ep. 100, l.c., p. 261). E scriveva di sé: « Non sono di quelli che non sono contenti della loro sorte, … il cui spirito è sempre nell’ansia o nel dubbio, e che si lamentano perché tutti gli altri si riposano e loro sono i soli a lavorare » (Ep. 182, p. 425). Di indole sensibile e affettuosa, sapeva congiungere l’amore per il Signore con la tenerezza verso i familiari, particolarmente verso la madre, e verso gli amici. Fu un cultore dell’amicizia, in modo speciale nei confronti dei suoi monaci, che abitualmente si confidavano con lui, sicuri di essere accolti e compresi. Secondo la testimonianza del biografo, « non disprezzava e non respingeva nessuno » (Vita, I,3: PL 189,19); « appariva a tutti amabile; nella sua bontà innata era aperto a tutti » (ibid., I,1: PL, 189,17).
Potremmo dire che questo santo Abate costituisce un esempio anche per i monaci e i cristiani di questo nostro tempo, segnato da un ritmo di vita frenetico, dove non rari sono gli episodi di intolleranza e di incomunicabilità, le divisioni e i conflitti. La sua testimonianza ci invita a saper unire l’amore a Dio con l’amore al prossimo, e a non stancarci nel riannodare rapporti di fraternità e di riconciliazione. Così in effetti agiva Pietro il Venerabile, che si trovò a guidare il monastero di Cluny in anni non molto tranquilli per varie ragioni esterne e interne all’Abbazia, riuscendo ad essere al tempo stesso severo e dotato di profonda umanità. Soleva dire: « Da un uomo si potrà ottenere di più tollerandolo, che non irritandolo con le lamentele » (Ep. 172, l.c., p. 409). In ragione del suo ufficio dovette affrontare frequenti viaggi in Italia, in Inghilterra, in Germania, in Spagna. L’abbandono forzato della quiete contemplativa gli pesava. Confessava: « Vado da un luogo all’altro, mi affanno, mi inquieto, mi tormento, trascinato qua e là; ho la mente rivolta ora agli affari miei ora a quelli degli altri, non senza grande agitazione del mio animo » (Ep. 91, l.c., p. 233). Pur dovendosi destreggiare tra poteri e signorie che circondavano Cluny, riuscì comunque, grazie al suo senso della misura, alla sua magnanimità e al suo realismo, a conservare un’abituale tranquillità. Tra le personalità con cui entrò in relazione ci fu Bernardo di Clairvaux con il quale intrattenne un rapporto di crescente amicizia, pur nella diversità del temperamento e delle prospettive. Bernardo lo definiva: « uomo importante, occupato in faccende importanti » e aveva grande stima di lui (Ep. 147, ed. Scriptorium Claravallense, Milano 1986, VI/1, pp. 658-660), mentre Pietro il Venerabile definiva Bernardo « lucerna della Chiesa » (Ep. 164, p. 396), « forte e splendida colonna dell’ordine monastico e di tutta la Chiesa » (Ep. 175, p. 418).
Con vivo senso ecclesiale, Pietro il Venerabile affermava che le vicende del popolo cristiano devono essere sentite nell’ »intimo del cuore » da quanti si annoverano « tra i membri del corpo di Cristo » (Ep. 164, l.c., p. 397). E aggiungeva: « Non è alimentato dallo spirito di Cristo chi non sente le ferite del corpo di Cristo », ovunque esse si producano (ibid.). Mostrava inoltre cura e sollecitudine anche per chi era al di fuori della Chiesa, in particolare per gli ebrei e i musulmani: per favorire la conoscenza di questi ultimi provvide a far tradurre il Corano. Osserva al riguardo uno storico recente: « In mezzo all’intransigenza degli uomini del Medioevo – anche dei più grandi tra essi –, noi ammiriamo qui un esempio sublime della delicatezza a cui conduce la carità cristiana » (J. Leclercq, Pietro il Venerabile, Jaca Book, 1991, p. 189). Altri aspetti della vita cristiana a lui cari erano l’amore per l’Eucaristia e la devozione verso la Vergine Maria. Sul Santissimo Sacramento ci ha lasciato pagine che costituiscono « uno dei capolavori della letteratura eucaristica di tutti i tempi » (ibid., p. 267), e sulla Madre di Dio ha scritto riflessioni illuminanti, contemplandola sempre in stretta relazione con Gesù Redentore e con la sua opera di salvezza. Basti riportare questa sua ispirata elevazione: « Salve, Vergine benedetta, che hai messo in fuga la maledizione. Salve, madre dell’Altissimo, sposa dell’Agnello mitissimo. Tu hai vinto il serpente, gli hai schiacciato il capo, quando il Dio da te generato lo ha annientato… Stella fulgente dell’oriente, che metti in fuga le ombre dell’occidente. Aurora che precede il sole, giorno che ignora la notte… Prega il Dio che da te è nato, perché sciolga il nostro peccato e, dopo il perdono, ci conceda la grazia e la gloria » (Carmina, PL 189, 1018-1019).
Pietro il Venerabile nutriva anche una predilezione per l’attività letteraria e ne possedeva il talento. Annotava le sue riflessioni, persuaso dell’importanza di usare la penna quasi come un aratro per « spargere nella carta il seme del Verbo » (Ep. 20, p. 38). Anche se non fu un teologo sistematico, fu un grande indagatore del mistero di Dio. La sua teologia affonda le radici nella preghiera, specie in quella liturgica e tra i misteri di Cristo, egli prediligeva quello della Trasfigurazione, nel quale già si prefigura la Risurrezione. Fu proprio lui ad introdurre a Cluny tale festa, componendone uno speciale ufficio, in cui si riflette la caratteristica pietà teologica di Pietro e dell’Ordine cluniacense, tesa tutta alla contemplazione del volto glorioso (gloriosa facies) di Cristo, trovandovi le ragioni di quell’ardente gioia che contrassegnava il suo spirito e si irradiava nella liturgia del monastero.
Cari fratelli e sorelle, questo santo monaco è certamente un grande esempio di santità monastica, alimentata alle sorgenti della tradizione benedettina. Per lui l’ideale del monaco consiste nell’ »aderire tenacemente a Cristo » (Ep. 53, l.c., p. 161), in una vita claustrale contraddistinta dalla « umiltà monastica » (ibid.) e dalla laboriosità (Ep. 77, l.c., p. 211), come pure da un clima di silenziosa contemplazione e di costante lode a Dio. La prima e più importante occupazione del monaco, secondo Pietro di Cluny, è la celebrazione solenne dell’ufficio divino – « opera celeste e di tutte la più utile » (Statuta, I, 1026) – da accompagnare con la lettura, la meditazione, l’orazione personale e la penitenza osservata con discrezione (cfr Ep. 20, l.c., p. 40). In questo modo tutta la vita risulta pervasa di amore profondo per Dio e di amore per gli altri, un amore che si esprime nella sincera apertura al prossimo, nel perdono e nella ricerca della pace. Potremmo dire, concludendo, che se questo stile di vita unito al lavoro quotidiano, costituisce, per san Benedetto, l’ideale del monaco, esso concerne anche tutti noi, può essere, in grande misura, lo stile di vita del cristiano che vuole diventare autentico discepolo di Cristo, caratterizzato proprio dall’adesione tenace a Lui, dall’umiltà, dalla laboriosità e dalla capacità di perdono e di pace.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo il mio cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i delegati della Famiglia di Radio Maria, provenienti dai vari Continenti e li incoraggio a proseguire la loro importante opera a servizio della diffusione del Vangelo. Saluto i rappresentanti del Villaggio don Bosco di Tivoli, accompagnati dal Vescovo Mons. Mauro Parmeggiani; cari amici, il centenario della nascita del vostro fondatore, il compianto don Nello Del Raso, sia occasione propizia per continuare fedelmente la sua intuizione educativa. Saluto il gruppo dei Consoli di Milano e della Lombardia e li incoraggio ad operare con rinnovato impegno in favore dell’uomo e della sua dignità.
Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Carissimi, celebreremo domani la festa di santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa. Questa grande Santa testimoni a voi, cari giovani, che l’amore autentico non può essere scisso dalla verità; aiuti a voi, cari malati, a comprendere che la croce di Cristo è mistero di amore che redime l’umana sofferenza. Per voi, cari sposi novelli, sia modello di fedeltà a Dio, che affida ad ognuno una speciale missione.