buona notte (non mi chiedete che cosa è, o…chi è, non l’ho capito)

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091006
Martedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario : Lc 10,38-42
Meditazione del giorno
Giovanni Paolo II
Lettera apostolica « Spes aedificandi », § 2-3
La santità dal volto femminile
Nell’imminenza del Grande Giubileo dell’anno 2000, mi è parso che i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall’invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia… Ritengo tuttavia particolarmente significativa l’opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna.
In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, pur risentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l’attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo. Un impulso costante è stato offerto dall’icona di Maria, la « donna ideale », la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente forza d’animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella « Chiesa domestica » che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno offerto alla Chiesa un’indicazione preziosa per cogliere pienamente il disegno di Dio sulla donna. Esso del resto ha già in alcune pagine della Scrittura, e in particolare nell’atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche l’opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d’Europa.
dal sito:
http://www.gesuiti.it/moscati/Ital4/Galot_Maria2.html
La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra
Madre di Dio
Jean Galot s.j.
Un titolo audace
Quando l’angelo si era rivolto a Maria per rivelarle il disegno del Padre e chiedere il suo consenso alla venuta del Salvatore nel mondo, l’aveva chiamata « colmata di grazia ». Riconosceva in lei una dignità singolare, altissima, che non avrebbe potuto appartenere a un’altra creatura. In un primo momento, non la chiamava con il suo nome, perché il suo vero nome consisteva nella grazia eccezionale che aveva ricevuto e che, agli occhi di Dio e di tutto il cielo, la distingueva da tutte le altre persone umane.
Quando riprendiamo nella nostra preghiera l’espressione formulata dall’angelo, dicendo a Maria « piena di grazia », alziamo il nostro sguardo verso una donna in cui si è sviluppata la grazia con una totale pienezza. In Maria lo Spirito Santo ha spinto all’estremo la sua potenza santificatrice e ha fatto sorgere nella più segreta profondità dell’anima un amore puro e perfetto. Scoprendo in lei questo capolavoro di grazia, possiamo entrare più facilmente nel vasto universo della grazia e partecipare allo sviluppo del più autentico amore.
Eppure il vertice che costituisce Maria nell’universo spirituale è ancora più alto. Questo vertice, lo raggiungiamo quando chiamiamo Maria « Madre di Dio ». Il titolo è molto audace, perché se Dio designa l’Essere supremo, che gioisce di una autorità sovrana su tutti gli esseri, come ammettere che possa avere una madre? Attribuire a una donna la dignità di Madre di Dio sembra collocare una creatura al di sopra del Creatore, riconoscere una certa superiorità di una donna su Dio stesso.
Si capisce che un titolo così audace non sia stato accettato facilmente da tutti. All’inizio non fu in uso nella pietà cristiana e non fu adoperato nel linguaggio di coloro che nel primo secolo si dedicarono alla diffusione della buona novella. Nella Scrittura, e più precisamente nei testi evangelici, è assente. E’ dunque ignorato nei primi tempi della Chiesa. Questo fatto sembra essere il segno che tale titolo non era necessario per esprimere la dottrina cristiana.
Il titolo più necessario sarebbe stato « Madre di Gesù » o « Madre di Cristo ». Era inseparabilmente affermato nel mistero dell’Incarnazione. Per affermare che il Figlio di Dio è venuto sulla terra per vivere come uomo e con gli uomini, si deve ammettere che è nato dalla Vergine Maria e che una donna è madre di questo Figlio. L’intervento di una donna è stato necessario per una nascita veramente umana; la maternità di questa donna appartiene al mistero dell’Incarnazione.
Gesù è un uomo, di sesso maschile, ma indissolubilmente legato al sesso femminile, perché una donna l’ha partorito e perché questa donna ha pienamente svolto il ruolo di madre nei suoi riguardi.
S. Paolo ha sottolineato la portata del mistero, ricordando il grande gesto del Padre che ha mandato il Figlio all’umanità: « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… » (Galati 4,4). Il nome di Maria non è pronunziato, ma l’importanza essenziale del contributo della donna è posta in luce. Senza questa donna, il Padre non avrebbe potuto dare il suo Figlio come egli l’ha fatto con la nascita di Gesù. « Nato da donna » è una proprietà caratteristica dell’identità del Salvatore, che fa scoprire in un uomo, con la debolezza della carne, la personalità di colui che prima, nell’eternità, era nato dal Padre.
In questa nascita « da donna », Paolo discerne l’umiltà della venuta del Figlio, che ha accettato le condizioni abituali della nascita umana. Non considera esplicitamente la grandezza della donna che interviene in una nascita di carattere straordinario. Ma fa capire che questa donna è stata associata in virtù della sua maternità, al progetto divino di comunicazione ella filiazione divina a tutti gli uomini: il Figlio è nato da donna « perché ricevessimo, l’adozione a figli ».
Così, la maternità di Maria viene elevata a un livello divino, dal punto di vista del suo orientamento fondamentale. La dignità di Maria come madre appare più chiaramente: il Figlio che la donna ha partorito è destinato a condividere la sua figliolanza divina personale con tutti gli uomini. Il Padre che, mandando il suo Figlio nel mondo, ha suscitato questa maternità eccezionale, si serve di essa per diffondere nell’umanità la propria paternità, che fa sorgere i figli adottivi. Mai una maternità avrebbe potuto rivendicare una efficacia così alta e così universale.
Questo livello divino attribuito alla maternità di Maria non esprime ancora il vertice della sua dignità. Solo il titolo « Madre di Dio » può definire questo vertice. S.Paolo non ha mai usato questo titolo, perché la sua attenzione non si portava sulla dignità propria a Maria nella nascita di Cristo, ma sull’abbassamento di Dio che manifestava così un estremo amore verso gli uomini.
Un salto era necessario se la comunità cristiana voleva raggiungere questo vertice significato dal titolo « Madre di Dio ». Il titolo esprime una verità che viene enunciata nella rivelazione evangelica: se Gesù, essendo il Figlio di Dio, è Dio lui stesso, dobbiamo affermare che questo Dio è nato da Maria, e in conseguenza Maria è madre di Dio. Maria non è madre del Dio Padre; è madre di Dio Figlio. Pur essendo evidente agli occhi della fede cristiana, l’attribuzione del titolo ha richiesto un tempo prima che fosse avvenuto il salto, perché in se stesso il titolo appare molto audace. Una riflessione sul dato rivelato è stata necessaria per giustificare il suo uso.
Il titolo sembra in un senso attribuire a Maria una certa superiorità su Dio stesso. Abbiamo già notato che non poteva essere una superiorità su Dio Padre, perché Maria non è madre di lui. La superiorità deve essere anche esclusa riguardo al Figlio, se viene considerato nella sua natura divina, identica a quella del Padre. Il Figlio è soltanto figlio di Maria nella sua natura umana. In questa natura « era sottomesso » a Maria e Giuseppe, come dice il vangelo (Luca 2,51).
La maternità di Maria viene spesso chiamata « maternità divina », perché è una maternità in relazione con la persona divina del Figlio; ma in realtà è una maternità umana, maternità che si è prodotta e sviluppata nella natura umana della Vergine di Nazaret. A questa maternità appartiene la ricchezza dei sentimenti umani: il cuore materno di Maria è un cuore umano, molto sensibile a tutti gli avvenimenti che toccavano o colpivano il proprio Figlio. Il carattere verginale della sua maternità non ha tolto niente alla tenerezza del suo affetto materno; anzi l’ha reso più ardente, più puro, più perfetto.
L’espressione « Madre di Dio » pone in luce la relazione stupenda di una persona umana con Dio. La maternità è una relazione di persona a persona. Una madre è madre della persona del suo figlio; siccome nel caso di Gesù la persona è divina in una natura umana, Maria è madre di una persona divina, persona che in virtù della generazione umana verginale è suo Figlio.
Sull’origine dell’attribuzione del titolo « Madre di Dio » a Maria nella preghiera cristiana e nel culto cristiano, abbiamo poca informazione. È pure significativo che la più antica preghiera mariana che conosciamo sia rivolta alla Madre di Dio. La preghiera è stata scoperta su un papiro egiziano che è stato datato del terzo secolo; il papiro era molto danneggiato, ma portava chiaramente l’invocazione Theotokos: « Sotto il tuo patrocinio cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio… ».
La preghiera, formulata in somiglianza di altre preghiere rivolte a Dio, chiede il soccorso di Maria nei pericoli. Essa testimonia che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo « Madre di Dio » era in uso in alcuni ambienti cristiani.
Questo uso viene confermato per un ambiente più dottrinale: sappiamo che nel suo commento della lettera ai Romani, il grande teologo Origene (253-255) aveva dato una lunga spiegazione del termine Theotokos. Non possediamo il testo di questo commento, ma è il segno che in Egitto, nel terzo secolo, il titolo era in uso nell’esposizione della dottrina.
Gli storici hanno cercato di determinare i motivi per i quali il titolo ha avuto una diffusione particolare in Egitto. Sembra infatti che l’Egitto sia stato il luogo di origine dell’uso del titolo. Nella religione pagana esisteva il culto della dea Isis. Questa dea era venerata, sotto il titolo di « madre del dio », perché era considerata come la madre del dio Oro. Clemente d’Alessandria usa a questo proposito l’espressione: « madre degli dei ». I cristiani dell’Egitto vedevano nel linguaggio dei pagani un omaggio alla « madre del dio ». Come non avrebbero reagito, pensando che loro conoscevano l’unica Madre di Dio, che non era una dea, ma una donna? Possiamo supporre che sotto l’influsso del culto pagano hanno affermato il loro proprio culto di venerazione della Madre di Dio. La religione pagana, in cui si esercitava l’azione dello Spirito Santo, aveva preparato gli Egiziani alla venuta del cristianesimo e al culto della vera « Madre di Dio ».
Il salto che si è prodotto per rivolgersi a Maria, chiamandola « Madre di Dio », non è stato l’effetto di un ragionamento dottrinale. È venuto da un bisogno popolare di riconoscere in una donna, secondo la rivelazione, la vera madre di Dio, madre del Figlio incarnato, che apriva la porta a tutte le speranze. Il valore del ruolo di Maria era stato capito e accolto dal popolo cristiano, che, invocando la madre di Dio, poteva aspettare la migliore risposta ai suoi problemi e l’aiuto nei pericoli.
Obiezione e risposta
Quando, nell’anno 428, Nestorio diventò Patriarca di Costantinopoli, la controversia a proposito del titolo « Madre di Dio » era scoppiata. Diversi pareri si erano manifestati; alcuni volevano riconoscere Maria come madre dell’uomo Gesù e non come madre di Dio. Nestorio si limitava al titolo: « Madre di Cristo ». Egli non ammetteva il titolo « Madre di Dio », perché pensava che Maria non poteva essere madre di una persona divina.
Abbiamo osservato che il titolo è audace e che un salto è stato necessario, nel terzo secolo, per introdurre l’invocazione nella preghiera cristiana. Nestorio non ha voluto fare questo passo avanti, non ha accettato un titolo che si era diffuso ampiamente nel linguaggio della Chiesa e che costituiva un progresso nell’espressione della fede. Infatti non accoglieva il valore della tradizione che si era formata per invocare Maria sotto il nome di « Madre di Dio ».
Rifiutando questo titolo, doveva ammettere in Cristo una divisione fra l’uomo generato da Maria e il soggetto divino che era il Figlio; questa divisione avrebbe implicato l’esistenza di due persone in Cristo, cioè un dualismo che non poteva essere compatibile con l’unità di Cristo secondo la verità rivelata nel vangelo.
La Chiesa aveva sempre creduto che l’uomo Gesù era Dio, secondo la dimostrazione che Gesù stesso aveva fatto della propria identità. Nel vangelo, non ci sono due personaggi, uno che fosse l’uomo e l’altro che fosse il Figlio di Dio. La meraviglia dell’Incarnazione consiste nel fatto che il Figlio di Dio è divenuto personalmente uomo, nascendo da una donna.
Al momento dell’Incarnazione, questo Figlio non si è spaccato in due persone. Rimanendo persona divina, è divenuto uomo, assumendo una natura umana; non si è associato una persona umana. La sua unica persona è persona divina, persona che esiste dall’eternità e non può cambiare nel suo essere eterno. Questo spiega che Maria, diventando madre di Gesù, sia madre della persona divina del Figlio e dunque Madre di Dio.
La Vergine Maria « Theotokos », cioè « Madre di Dio », come l’ha proclamata
il Concilio di Efeso.
Così l’affermazione di Maria come Madre di Dio è la garanzia dell’affermazione della persona divina di Cristo. Il problema posto dalla crisi nestoriana non era soltanto mariologico; era più fondamentalmente cristologico. La verità contestata era l’unità di Cristo.
Questa unità fu riconosciuta dal concilio di Efeso, che condannò Nestorio. In base alla seconda lettera di Cirillo di Alessandria a Nestorio, che fu approvata dal concilio, il Figlio eterno del Padre è colui che, secondo la generazione carnale, è nato dalla Vergine Maria. Da questa verità su Cristo, deriva la conseguenza per Maria: « Per questo, Maria è legittimamente chiamata Theotokos, Madre di Dio ».
Dopo la proclamazione di questa dottrina, i Padri del concilio furono accolti con entusiasmo dalla popolazione di Efeso. Il popolo cristiano si rallegrava dell’onore reso alla Madre di Dio.
Quattro secoli prima, la città pagana di Efeso aveva manifestato il suo attaccamento alla dea Artemide. Gli Atti degli Apostoli ci riferiscono l’episodio in cui Paolo aveva incontrato ad Efeso una forte ostilità della folla, che l’accusava di aver voluto porre fine al culto della dea. Le grida « grande è l’Artemide degli Efesini! » (Atti 19,28) mostravano la potenza di un culto che ha indotto Paolo a lasciare la città. Ma il loro ricordo fa anche capire la preparazione adoperata dallo Spirito Santo alla proclamazione di una donna come Madre di Dio. Il culto alla dea Artemide era una via che finalmente doveva porre in luce il volto della Madre di Dio.
In quattro secoli, il culto reso a una dea pagana si è trasformato in culto reso a Maria. Nella religione pagana si era rivelato il bisogno fondamentale degli uomini di avere una donna veramente ideale per aprire la via della salvezza. Nel cristianesimo, questa donna ideale è stata riconosciuta in tutta la sua perfezione a un livello molto superiore, come quella che meritava il nome di Madre di Dio.
Dimostrazione del più alto amore divino
Il titolo che dal terzo secolo è stato pronunziato dalla pietà cristiana nel culto mariano porta con sé la dimostrazione del più alto amore divino. Maria è Madre di Dio perché Dio ha voluto una madre. Il Dio che l’ha voluto è prima di tutto il Padre: la sua intenzione era di esprimere, con questa maternità, in un volto umano, la propria paternità divina. Anche il Figlio di Dio l’ha voluto, perché voleva essere integralmente uomo simile agli altri uomini, nascere da una madre e crescere con l’aiuto e la cura di una madre.
Il vocabolo greco usato per designare la maternità di Maria ha un significato che secondo la sua origine è abbastanza ristretto. « Theotokos » significa « quella che ha generato Dio ». L’atto di generazione ha un valore essenziale per la maternità, ma è soltanto un inizio. La madre ha il compito di contribuire alla crescita del figlio e di educarlo in vista della sua vita futura di adulto. Maria è stata impegnata in questo compito, con questo aspetto stupendo della sua maternità che consisteva in una educazione di colui che era Dio.
Educare Dio sembra un compito paradossale. Dobbiamo precisare che si tratta del Figlio di Dio nella sua natura umana: è l’uomo Gesù che Maria ha educato, aiutandolo a crescere e a svilupparsi. Ma siccome questo uomo era Dio, con una persona divina, l’educazione che concerneva tutti gli aspetti umani della sua esistenza era una educazione di Dio, di un Dio fatto uomo.
Quella che era stata la generatrice di Dio era anche, in tutta verità, l’educatrice di Dio. Questo compito fa meglio scoprire la grandezza singolare della maternità di Maria.
Dobbiamo osservare che nell’attività educatrice, Maria condivideva con Giuseppe la responsabilità. L’evangelista Luca lo ricorda quando dice, per descrivere la vita di Gesù a Nazaret: « Stava loro sottomesso » (2,51). Gesù cresceva sotto la duplice autorità di Giuseppe e di Maria. La loro unione era un contributo all’efficacia dell’educazione di colui che avrebbe insegnato più tardi il valore dell’amore mutuo.
Conosciamo un frutto dell’educazione data da Giuseppe. Gesù che era « figlio del carpentiere » (Matteo 13,55) è divenuto « il carpentiere » (Marco 6, 3) di Nazaret, perché aveva imparato da Giuseppe questo mestiere. I frutti dell’educazione data da Maria non sono così evidenti, perché non conosciamo gli umili segreti della vita di Gesù a Nazaret.
Nel suo compito di educazione, Maria ha avuto molti contatti intimi con Gesù, che hanno contribuito allo sviluppo di tutte le sue qualità umane. Infatti riceviamo nei racconti evangelici i frutti di questa educazione nascosta, data da quella che fu la più perfetta educatrice e che preparò il Salvatore al compimento della sua missione.
La donna che, essendo Madre di Dio, ha educato il Figlio di Dio, esercita ancora un influsso sulla vita spirituale dell’umanità con i frutti prodotti in Cristo dalla sua educazione materna.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-19703?l=italian
La vita è un matrimonio indissolubile
XXVII Domenica del Tempo Ordinario, 4 ottobre 2009
di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 2 ottobre 2009 (ZENIT.org).-“Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: ‘Che cosa vi ha ordinato Mosè?’. Dissero: ‘Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla’. Gesù disse loro: ‘Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto’. A casa i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: ‘Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso. E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro’ (Mc 10,1-16).
“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Ecco come è benedetto l’uomo che teme il Signore” (Salmo 127,1-6).
Il Vangelo di oggi potrebbe avere questo titolo: “Il matrimonio è indissolubile come la vita che Dio crea congiungendo l’anima e il corpo”. Solo la morte separa l’anima dal corpo, solo la morte può separare gli sposi. Il vincolo coniugale, infatti, non è un nodo che Dio stringe e l’uomo può sciogliere di sua iniziativa; è piuttosto una trasformazione personale irreversibile operata dall’unione nuziale: un “io” che diventa “noi”, rimanendo “io”: “…e i due diventeranno una carne sola”. Anche prima delle nozze ognuno era, in se stesso, una carne sola, sola e solitaria; ma con le nozze ha mutato il proprio statuto ontologico ed è diventato “persona-sposa”, cioè carne-non-più-solitaria, inseparabilmente unita all’altra, come due pezzi di cera fusi insieme.
Questo mistero d’amore è già inscritto nell’evento mirabile della fecondazione umana: il pro-nucleo maschile, appena penetrato nell’ovocita, è attivato geneticamente e si dirige verso il pro-nucleo femminile per completarlo con il proprio apporto cromosomico. Il percorso verso la fusione richiederà una ventina di ore, ma il nuovo essere umano è già concepito allo start. La vita umana inizia in partenza: adesso esiste “una carne sola”, un nuovo essere umano. E’ qui ed ora che Dio dona la vita al figlio, è qui ed ora che l’anima indissolubilmente si unisce al corpo, ed è concepito un uomo. Solo la morte scioglierà “temporaneamente” l’anima da questo corpo, fino al giorno primo e ultimo della risurrezione della persona integrale. Vengo al Vangelo.
La disputa sul divorzio concesso da Mosè, manifesta la malizia dei farisei, che vogliono far cadere in fallo Gesù sul terreno della Legge. Evidentemente il Signore aveva spesso richiamato ed insegnato la bellezza divina della fedeltà coniugale, suscitando commenti e riserve nell’uditorio maschile, visto che a quel tempo era solo l’uomo ad avere il diritto legale di ripudiare la propria moglie. Ma Gesù fa del trabocchetto una pedana di lancio, poiché non si limita a condannare il divorzio, ma rivela la bellezza perfetta del disegno divino sul matrimonio, bellezza che si chiama santità, ed indica la via per vanificare anche solo l’idea della separazione dei coniugi.
I farisei avevano posto ad arte la questione sul livello sterile della casistica. La loro comprensione del matrimonio era ferma…al livello dei sintomi. Gesù invece li conduce alla diagnosi della malattia di base. Il riferimento alla clinica non è casuale. In effetti, come la sindrome cardiologica detta “sclerocardia” può essere tanto grave da non consentire ad un uomo di lavorare (giustificando la dichiarazione di invalidità), così la “sclerocardia” spirituale (alla lettera: “durezza del cuore”) fu la causa della concessione del divorzio da parte di Mosè, attuato mediante la consegna della dichiarazione di ripudio alla donna (Dt 24,1ss). Ripudio significa perciò l’allontanamento della moglie dalla casa.
Trasferito all’oggi, il concetto di ripudio, al di là dell’immediato ed ovvio significato di rifiuto deciso e sprezzante, è più esteso, riconducibile a “usa e getta”: “Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta del tutto errata e micidiale. Il matrimonio non è come un vaso di porcellana che si può solo sciupare con il passare del tempo, mai migliorare, e, una volta che ha avuto un piccolo screzio, anche se incollato, perde metà del suo pregio. Esso appartiene all’ambito della vita e ne segue la legge. Come si conserva e si sviluppa la vita? Forse mantenendola staticamente sotto una campana di vetro, al riparo da urti, cambiamenti e agenti atmosferici? La vita è fatta di continue perdite che l’organismo impara a riparare quotidianamente, di attacchi di agenti e virus di ogni tipo che l’organismo intelligentemente prevede e sconfigge, facendo entrare in azione i propri anticorpi. Almeno finchè esso è sano. Il matrimonio dovrebbe essere come il vino, che, invecchiando, migliora, non peggiora.
Il processo che porta ad un matrimonio riuscito è dello stesso tipo di quello che porta alla santità. Forse che la santità si acquista non facendo niente, non compromettendosi, non sporcandosi le mani, nascendo già santi e mantenendosi tali per tutta la vita, come certe statuine di marmo e di plastica? No, è fatta di cadute, da cui ci si rialza, a volte di traviamenti profondi, peccati anche terribili, dai quali però un giorno ci si è ripresi, per cominciare una nuova vita. La santità è frutto di continua conversione e di crescita” (p. R. Cantalamessa, Riflessione sui Vangeli, Anno B, p. 300).
Una conversione che consiste anzitutto nell’accoglienza e nel perdono reciproco continuamente rinnovati, una crescita che è operata dalla grazia santificante, come il sole fa crescere il germoglio dalla terra.
La finale evangelica dei bambini toccati, abbracciati e benedetti da Gesù è icona semplice e perfetta della verità e della bellezza del matrimonio. In ogni bambino che stringe a sé Gesù abbraccia e benedice gli stessi suoi genitori, il loro matrimonio, e il loro non facile cammino quotidiano di fedeltà alla volontà di Dio, specialmente nell’educazione dei figli mediante l’amore. Quest’abbraccio benedicente del Signore (che ogni giorno avviene nell’Eucaristia) ha il potere di santificare la famiglia intera, poiché comunica la grazia dall’Alto: “Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli” (Eb 2,11).
In maniera semplice ed affascinante, santa Teresa di Gesù Bambino, la monaca carmelitana definita da san Pio X “la più grande santa dei tempi moderni”, Dottore della Chiesa e Patrona delle missioni, ha detto: “La santità è una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli fra le braccia di Dio, consci della nostra debolezza, e fiduciosi fino all’audacia nella sua bontà di Padre” (cfr Novissima verba, 3 agosto 1897).
Teresa avrebbe anche potuto affermare che la santità è una disposizione familiare, dato che entrambi i suoi genitori sono stati dichiarati Beati un anno fa. Tuttavia, se è vero che i genitori santi meritano di generare dei santi, è anche vero che: “Nessuno nasce santo: non lo erano gli apostoli, segnati da limiti umani anche gravi. Come noi. Come tutti i cristiani… Gesù chiama gli uomini perché diventino santi e non perché lo siano già” (Benedetto XVI, Brindisi, 15/06/2008).
E’ una chiamata che spesso avviene nell’ambito familiare, inteso non solo come appartenenza, ma come immagine e testimonianza dell’amore e della santità di Dio, come fu il caso della santa di Lisieux, ultima di nove figli: “Teresa realizza nel soprannaturale soltanto ciò che in qualche modo ha vissuto nel naturale. E nulla ella ha forse sperimentato in modo più intimo e travolgente dell’amore del padre e della madre. Per questo la sua immagine di Dio è determinata dall’amore filiale. In ultima analisi è a Luigi e Zelia Martin che dobbiamo la dottrina della piccola via, dell’infanzia spirituale, perché furono loro a rendere vivo e palpitante nel cuore di Teresa di Gesù Bambino il Dio che è più del padre e della madre” (H.U.von Balthasar, Sorelle nello spirito).
Luigi e Zelia, nell’unità e fedeltà del loro matrimonio, hanno offerto ai loro figli la testimonianza di una vita cristiana esemplare, compiendo i loro doveri quotidiani secondo lo spirito del Vangelo. Allevando una famiglia numerosa, segnata da prove, lutti (tre bambini volati in cielo nel primo anno di età, la madre morta quando Teresa ha solo quattro anni) e gravi sofferenze (il padre affetto da demenza cerebrale), questi santi genitori hanno manifestato la loro fiducia in Dio aderendo generosamente alla sua volontà.
Per questo Dio benedisse la loro grande famiglia, che la Chiesa ha posto sugli altari come un segno per tutte le famiglie: perché non abbiano paura di avere i bambini che Dio vorrà loro donare, ma abbiano piuttosto paura della decisione di non averne.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091005
Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario : Lc 10,25-37
Meditazione del giorno
San Severio di Antiochia (circa 465-538), vescovo
Dicorsi, 89
Cristo cura l’umanità ferita
Alla fine passò un Samaritano… Cristo dà apposta a se stesso il nome di Samaritano… infatti di lui era stato detto, per oltraggiarlo : «Sei un Samaritano e hai un demonio» (Gv 8,48)… Il Samaritano viaggiatore, che quindi era Cristo – perché egli veramente viaggiava – ha visto l’umanità che giaceva a terra. Non è andato oltre, poiché lo scopo che aveva dato al suo viaggio era quello di ‘visitarci’» (Lc 1,68.78) ; per noi infatti egli è disceso sulla terra e presso di noi ha abitato. Infatti non solo «è apparso sulla terra», ma «ha vissuto fra gli uomini» (Ba 3,38)…
Sulle nostre piaghe egli ha versato il vino, il vino della Parola ; e poiché la gravità delle ferite non sopportava tutta la sua forza, vi ha aggiunto dell’olio, la sua dolcezza e il «suo amore per gli uomini» (Tt 3,4)… Poi ha portato l’uomo a una locanda. Egli dà il nome di locanda alla Chiesa, divenuta la dimora e il rifugio di tutti i popoli… Giunti alla locanda, il buon Samaritano ha mostrato nei confronti dell’uomo che aveva salvato una sollecitudine ancora più grande : Cristo in persona era nella Chiesa e concedeva ogni grazia… Al padrone della locanda, simbolo degli apostoli e dei pastori e dottori che sono succeduti loro, al momento di partire, cioè di salire in cielo, egli dona due denari, perché abbia cura del malato. Con questi due denari intendiamo i due Testamenti, l’Antico e il Nuovo : quello della Legge e dei Profeti, e quello che ci è stato dato dai vangeli e dagli scritti degli apostoli. Tutti e due sono dello stesso Dio e portano l’immagine unica dell’unico Dio del Cielo ; così come le monete d’argento portano l’immagine del re, e imprimono nei nostri cuori la stessa immagine regale mediante le parole sacre, poiché un solo e medesimo Spirito le ha pronunciate… Sono le due monete di un unico re, date da Cristo nello stesso tempo e con la stessa importanza al padrone della locanda…
L’ultimo giorno, i pastori delle sante chiese diranno al Maestro, quando egli tornerà : «Signore, mi hai consegnato due monete, vedi che, spendendole, ne ho guadagnate altre due» con le quali ho fatto crescere il gregge. E il Signore risponderà : «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto ; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,23).