L’Annonce a Marie
Luk-01,26_Annunciation_L Annonce a Marie
http://www.artbible.net/3JC/-Luk-01,26_Annunciation_L%20Annonce%20a%20Marie/index3.html

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dal sito:
http://www.esarcato.it/index.html
ARCIVESCOVADO PER LE CHIESE ORTODOSSSE RUSSE IN EUROPA OCCIDENTALE
DECANATO D’ITALIA
Il cuore materno dell’Ortodossia
Una piccola introduzione al culto mariano
di p. Vladimir Zelinskij
I volti di Maria
«Il cuore dell’ortodossia (soprattutto dell’ortodossia russa), forse, non si è mai espresso così pienamente, come nella venerazione della Madre di Dio e dei santi», dice il filosofo del XX secolo Vladimir Iliyn. «Tutta la nostalgia dell’umanità sofferente che non ha l’audacia di aprire il proprio animo davanti a Cristo per il timore di Dio, – fa eco un altro grande pensatore, Georgij Fedotov, – liberamente e con amore si versa sulla Madre di Dio. Assunta nel ramo divino fino alla dissoluzione con l’Altissimo, lei rimane, a differenza di Cristo, legata con il mondo umano, una madre compassionevole e protettrice».
Il volto ortodosso di Maria ha tante immagini che si trovano in una permanente correlazione. La Sua presenza riempie tutta la vita liturgica della Chiesa, ma anche la devozione personale dei fedeli. Sono davvero innumerevoli le espressioni della pietà mariana nell’anima ortodossa che con tante sfaccettature e sfumature portano verso lo stesso mistero: l’Incarnazione del Figlio di Dio. La Madre rivela che il senso del Verbo che si è fatto carne è davvero inesauribile e Lei fa vedere nella Sua persona la santità della carne della Creazione. La radice della venerazione di Maria è centrata nella fede e nell’amore verso il Suo Figlio, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), ma in mezzo agli uomini la luce assume la sostanza «materiale» di questo mondo. E la sua prima «materia» è stata la carne di sua Madre, piena dello Spirito. La luce di Cristo arriva come mistero insondabile, come Buona Notizia, come Volto di Cristo tornato a noi, ma anche come purezza della Vergine, tenerezza e protezione della Madre, Sua intercessione ed amore. Tutte queste sono le «sostanze» della Parola (o «impronte» dello Spirito) che entrano nell’anima e nel senso primordiale si fanno carne nell’anima come nella Chiesa.
«La maternità di Dio»
Maria è sempre presente accanto a Gesù ed illumina ciò che il grande teologo russo Sergej Bulgakov chiamò «la maternità di Dio». La rivelazione della maternità di Dio è un altro volto dell’amore di Dio. Maria è come «il canale» privilegiato dell’amore che sgorga sugli uomini. Perciò il fiume della lode e della gratitudine nei confronti di Maria non si esaurisce, anzi, con il tempo trova espressioni sempre nuove; di volta in volta si fa più ricco, più abbondante. Così i nomi delle icone esprimono a modo loro le varie sfaccettature dell’amore di Dio che parla attraverso la Vergine-Madre. Sembra che questi nomi cerchino di indovinare il Suo segreto : «La gioia inaspettata», «La ricerca dei perduti», «La Sollecitatrice per i peccatori», «Il fiume divino d’acqua viva»; «Odighitria» (Colei che guida), «Orante» (Colei che prega), «La Regina dei cieli»… e cosi via. La «fonte vivificante» delle immagini e delle parole nate in seno della fede ortodossa rivela il rapporto intimo con Dio che prende origine nella parola della Scrittura e ci porta altre immagini, che da secoli sono legate indissolubilmente con profezia a Maria : «il paradiso terrestre» (Gn 2,8-10), «il roveto ardente» (Es 3,1-8), «l’acqua dalla roccia» (Es 17,5-7) e tante altre. La fede ortodossa riconosce la Sua presenza ovunque il mistero del Dio Vivente e Misericordioso ci avvicina veramente.
Nella più profonda vita con Dio c’è un rapporto segreto fra il Figlio e la Madre, fra la Parola ed il silenzio, fra la fede fissata e conservata nelle formule conciliari ed il mistero, nascosto nella fonte stessa della fede. Dalla Parola andiamo al silenzio, da Cristo a Maria, dalla Chiesa all’anima e torniamo indietro perché lo Spirito della verità unisce queste realtà in sé come qualche cosa di inseparabile, ma anche di distinto. Il Padre stesso manda il Suo Spirito «che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3,17) e Gesù diventa concepito nei nostri cuori per mezzo della maternità di Maria. In Maria ogni cuore che «vive mediante la fede» (Rom 1,17) diventa madre e dimora della Parola.
Come dice San Massimo il Confessore: «Ogni anima che crede, concepisce e partorisce il Verbo di Dio, secondo la fede. Il Cristo è il frutto e noi tutti, siamo madri del Cristo».
La gioia del creato
Tutti i credenti hanno Maria come Madre e Cristo come fratello, ma questa maternità e questa fratellanza si aprono nella rivelazione dello Spirito Santo. È lo Spirito che fa vedere anche il miracolo della creazione nella figura umana di Maria.
«In Te gioisce, Colmata di grazia, tutto il creato, la compagine degli Angeli e la progenie degli uomini, o Tempio santificato e Paradiso razionale…» (Liturgia di San Basilio). Nel pensiero liturgico Maria è vista anche come incarnazione della gioia del creato. Ella porta sempre nella Sua memoria il momento eterno quando la creazione fu proclamata dalle labbra del Signore: «la cosa buona» – e il peccato non ancora l’aveva toccata. In Maria tutto il creato si ricapitola, torna alla sua bontà iniziale, sapienziale, quella dello Spirito. In Lei il mondo appare trasfigurato.
Perciò, oltre la preghiera, una delle espressioni principali della sapienza della fede è quella dell’icona. L’icona è l’autentica voce di Maria, l’immagine di ciò che è stato veramente visto e vissuto dalla Chiesa. L’icona è un ricordo escatologico di quel Regno che Dio ci ha preparato, di quelle cose «che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo…» (1 Cor. 2,9). Queste cose si scoprono con amore e l’icona cerca di vederle. L’icona in sostanza deve divenire il luogo visibile dell’abitazione dello Spirito che entra nel cuore degli uomini. Pregare con le icone vuol dire entrare in dialogo interiore con l’immagine – nel nostro caso quella della Madre di Dio. In altre parole: con il Verbo che parla tramite il Suo silenzio, con lo Spirito che si manifesta nel volto umano. E quel volto lascia il proprio sigillo nell’esistenza di colui che entra in rapporto con Dio.
L’icona è una «teofania» che procede dalla fonte sempre nascosta della fede; essa rende testimonianza di questa fonte con la luce che essa risveglia in noi e con la quale caccia «la tristezza dei peccati». La vera immagine di Maria è quella che fa scoprire il «progetto» di Dio su di noi. Quel «progetto» è di creare un uomo aperto a Dio, trasparente per Lui stesso, un «essere deificato» – e si realizza nella santità.
Il modello della santità
La santità nella visione ortodossa, se cerchiamo di esprimerla con la formula trinitaria, è anzitutto l’adozione nel Padre, la vita in Cristo, l’acquisizione dello Spirito Santo, ma anche la parentela con la Santa Vergine.
Uno che era davvero «carne della propria Madre», fu San Serafino di Sarov, uno dei più grandi mistici e santi russi. La figura di San Serafino porta in sé il suo segreto teologico. Egli conosceva non per sentito dire la presenza e la protezione di Maria: tante volte durante la sua vita, Ella stessa, circondata da molti santi, entrava nella sua cella (fatto attestato da molti testimoni oculari), per parlare con lui o per guarirlo. In ogni momento della sua vita Ella gli era sempre vicino.
In San Serafino dire «vita» equivaleva dire «la preghiera». La sua preghiera fu sempre «triado-centrica» e, secondo la tradizione ortodossa, con moltissime invocazioni mariane. San Serafino pregava il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma sempre davanti ad un’immagine della Madre, come se Ella dovesse portare la sua preghiera alla Santissima Trinità, come se Lei fosse mediatrice della sua supplica. Egli ha pregato per anni davanti alla sola icona chiamata «tenerezza» («u m i l e n i e» – La Vergine con le mani conserte, con gli occhi abbassati e senza il Bambino divino) e davanti ad essa morì. Un giorno la Madre di Dio apparve a Serafino in compagnia di San Giovanni Teologo e di altri santi. Rivolgendosi all’Evangelista definì il santo monaco come uno «della nostra razza» (o della nostra stirpe). La stirpe dei santi e della Madre di Dio era quella dello Spirito. Perciò tutti i doni dello Spirito – e per primo quello della fede –, sono portati o piuttosto «riempiti» da Maria, soprattutto nella vita dei santi.
Non si può neanche contare tutte le apparizioni di Maria ai santi, tutti i miracoli legati alle sue immagini nella storia della Chiesa ortodossa. A volte queste immagini nascono da un miracolo, come la salvezza inaspettata da un pericolo imminente. Le icone miracolose, quelle di Vladimir, di Kazan, di Pociaev, di Tichvin (solo in Russia si trovano alcune centinaia d’icone miracolose), tutte esprimono – in modo ogni volta diverso – il «messaggio» dell’intercessione, il segno della protezione, il mistero della mediazione.
La protezione
«La protezione», in russo «Pokrov», non è soltanto la memoria di un miracolo accaduto in passato, ma è la protezione materna – la quale fa parte della fede stessa che ci mette davanti l’occhio di Dio. Come tutte le feste, essa si ricollega ad un avvenimento mistico e storico: l’apparizione della Madre di Dio nella chiesa di Blacherne, nella Costantinopoli del X secolo. Accompagnata da una nutrita schiera di santi guidati da Giovanni Battista, Maria sarebbe stata vista da un «folle in Cristo», Andrea, e dal suo compagno Ephraim. Sollevato il suo velo (Pokrov), l’avrebbe poi disteso sui due uomini e sulla città di Costantinopoli in segno della protezione contro un attacco imminente delle nave nemiche.
L’idea della protezione è particolare nell’anima dell’ortodossia russa. Fra tutte le feste mariane (la Natività della Madre di Dio, l’Ingresso nel Tempio, L’Annunciazione, la Dormizione) anche dogmaticamente più importanti, «Pokrov» rimane una delle più amate. Nella maggior parte della Russia del Nord il «Pokrov», festeggiato il 14 ottobre (1 ott. secondo il calendario giuliano) coincide spesso con la prima nevicata. La terra si copre di un lenzuolo bianco. La bianchezza del manto di neve è come icona della purezza, di Colei che è senza macchia. Ma nello stesso tempo l’arrivo dell’inverno cela in sé una vaga angoscia: il freddo, la fame (il contadino russo doveva sempre pensare a come sopravvivere durante l’inverno). E questa angoscia si fonde con l’immagine della purezza e insieme danno origine ad una terza immagine, quella della morte. La neve è come negazione della vita precedente, un’altra vita nella prova. Ma il mistero della protezione è ancora più profondo, e la logica razionale non può esprimerlo che con il paradosso. Una delle preghiere mariane più amate nella Chiesa ortodossa, che il popolo canta spesso spontaneamente dopo il vespro, quando l’ufficio è finito, contiene la confessione: «Non abbiamo un altro aiuto, non abbiamo un’altra speranza oltre Te, la nostra Signora, speriamo in Te, lodiamo Te, siamo i tuoi servitori e non ne abbiamo vergogna.» Unico aiuto, unica speranza? Si può chiedere: ma dov’è il Cristo? Il Cristo è visto in Maria e Maria appare nel Cristo, senza confusione e senza divisione, nello stesso mistero della salvezza.
L’Eucarestia ed il tempo liturgico
Il mistero della protezione non si spiega, ma si chiarisce in un altro, quello dell’Eucaristia. La comunione con il Figlio nello Spirito Santo è rivolta a Dio-Padre e si svolge nella memoria e nel cuore di Maria, in cui l’unione perfetta con Dio, fu e rimane pienamente realizzata. Come dice la preghiera: «Facendo memoria della Tuttasanta, intemerata, più che benedetta, gloriosa Sovrana nostra la Madre di Dio e Semprevergine Maria insieme con tutti i santi, affidiamo noi stessi gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo Dio».
Gli ortodossi affidano a Maria anche il tempo della Chiesa con i suoi confini ben delineati. Quel tempo serve (diciamo con le parole di Platone) come «immagine mobile dell’eternità». È Maria che apre la finestra all’eternità condensata nella storia del Dio-uomo. Lei è l’accompagnatrice alla salvezza, perciò ogni preghiera indirizzata a Dio si rivolge anche a Maria, come se fosse Lei a fare sempre la mediazione di questa preghiera – che a volte può dire cose che il fedele non ha il coraggio di confessare al suo Giudice e Salvatore. Per questo motivo le preghiere, che dogmaticamente possono essere rivolte solo al Cristo, vanno spesso a Maria. In generale nell’ortodossia il linguaggio del cuore è più eloquente, più impegnativo di quello della ragione e la preghiera liturgica si azzarda spesso a pronunciare cose su cui la dogmatica tace o si esprime in modo un po’ diverso o più discreto. Questa piccola «divergenza» non è mai proclamata come principio, ma è vissuta proprio nel foro interno dell’esperienza spirituale e dà spazio al mistero mariano.
L’anno liturgico che inizia il primo settembre si apre con la prima festa mariana, quella della nascita della Madre di Dio (celebrata l’8 settembre) e finisce con la festa della Dormizione (il 15 agosto). Fra queste due feste passa tutta la storia della nascita, della vita terrestre, della Passione e della Risurrezione di Gesù Cristo. Liturgicamente tutto il tempo della Chiesa ortodossa ed il dramma della Redenzione si svolgono nell’ambito mariano creato dalle feste, dalle preghiere e dalle immagini. La preghiera e l’immagine sono i due modi umani per creare il mondo dove Dio manifesta la Sua presenza all’uomo, il tempio dell’incontro in cui il mistero dell’Incarnazione continua a vivere nella moltitudine delle sue dimore umane.
«Dimora santa», porta della salvezza
Fra di esse Maria è vista sempre come prima immagine dell’ineffabile presenza di Dio, l’abitazione splendida della divina Trinità:
«Vergine pura, – dice un inno bizantino, – noi ti esaltiamo con cantici, quale castissima dimora del Verbo, ricettacolo dello Spirito Santo e oggetto della compiacenza del Padre: per tuo mezzo, infatti, avvenne il contratto della nostra salvezza».
Questa dimora è anche un luogo dove l’uomo scopre sempre il mistero dell’amore di Dio rivolto a noi uomini. Di più: questo amore ci salva fino al punto che il nome di Maria diventa il nome della salvezza:
«Maria venerabile dimora del Signore, risolleva noi caduti nell’abisso di paurosa disperazione, di colpe e di afflizioni, perché Tu sei la salvezza dei peccatori, loro aiuto e sicura difesa, e Tu salvi i Tuoi servi» (Icona «Gioia inaspettata»).
La parola «dimora» cela in sé un triplice senso: cristocentrico, escatologico e soteriologico. Cristocentrico: perché «in Cristo… abita tutta la pienezza della divinità» (Col.2, 9) e noi adoriamo la Madre di Dio come abitazione, come luogo sacro di questa pienezza. Escatologico: perché «la pienezza della divinità» è il destino del «mondo che verrà» e noi vediamo in Maria il segno e la promessa di questa deificazione della stirpe umana quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor. 15,28). Soteriologico: perché «non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (Atti, 4,12), ma il tempio dove questo nome è venerato «nello Spirito» è Maria.
Nel mondo liturgico ortodosso Maria ha tantissimi nomi che riflettono non soltanto il miracolo inesauribile della Sua presenza, ma tramite i Suoi nomi tutta la Chiesa di Cristo si fa intravedere. Così Cristo dice nel Vangelo : «Io sono la via» (cf. Gv 14,6), e la Chiesa si riversa in Maria: «Salve, o Priva di macchia, che hai generato la via della vita….» Cristo dice : «Io sono la verità» e la Chiesa in uno dei suoi inni ricorda le parole paoline (cf. Col 1,26): «Il mistero da secoli nascosto ed agli angeli stessi sconosciuto, per Te, o Madre di Dio, è stato manifestato agli uomini…». Cristo dice: «Io sono la vita» e la Chiesa canta : «Sappiamo Vergine, che sei l’albero della vita…». Alla verità aperta, proclamata rispetto al Cristo ed alla Redenzione si aggiunge un’altra verità che riguarda Maria. E spesso si tratta della stessa verità, ma che trova la sua espressione nelle preghiere mariane, poiché solo in questo modo discreto ed intimo si può esprimere la profondissima certezza della fede. Questa fede, a volte, venera Maria come un «alter ego» materno del Suo Figlio. Cristo dice: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv. 10,9), e la Chiesa glorifica continuamente Maria come porta mistica:
«Salve, unica porta per la quale solo il Verbo è passato…»
«O mistica porta della vita, purissima genitrice di Dio…»
«Madre di Dio, porta del cielo, aprici la porta della Tua misericordia…».
La salvezza entra per questa porta che è nello stesso tempo il dono fatto a Dio dagli uomini, come dice un inno del mattutino ortodosso.
«Cosa Ti offriremo, o Cristo, per esserTi mostrato sulla terra? Ognuna delle creature create da Te, Ti offre infatti la Sua riconoscenza: gli Angeli il canto; i cieli la stella; la terra una grotta; il deserto un presepio; ma noi una Vergine Madre!»
dal sito:
http://www.stpauls.it/madre06/0603md/0603md20.htm
di SIMONE MORENO
Il « racconto familiare » dell’Annunciazione
Un modo « domestico » di immaginare il mistero dell’Annuncio dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, chiamata a diventare Madre del Figlio di Dio, ambientato nel contesto del paese di Nazareth.
Cerchiamo di recuperare, in questa rubrica significativamente titolata: Piccole cronache di Maria di Nazareth, la dimensione umana della Madonna, donna del suo tempo e di ogni tempo, prendendo ancora spunto da « tasselli » che compongono il mosaico di alcuni volumetti di ispirazione « popolare », integrandoli con « fonti apocrife » e con riferimenti ad analoghe « testimonianze » di devozione mariana vissuta dalla gente comune.
E continuiamo a mutuare da « Maria donna dei nostri giorni » di Tonino Bello ispirazione per le preghiere più semplici e più vere alla Santa Vergine, che chiuderanno le nostre riflessioni.
Come Maria racconta la sua maternità al piccolo Gesù
Ci sono modi « familiari » di immaginare il grande mistero dell’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, chiamata a diventare Madre del Figlio di Dio che in lei prende umana carne.
Ci ha provato Lia Cerrito [cfr. pp. 28-32 del suo gustoso libretto ‘apocrifo’ "I fioretti di Maria", Ed. San Paolo, 2000], che inizia narrando come Gesù chiese a sua madre: « Mamma, mi racconti come sono venuto dentro di te? » – « Me lo chiedi sempre, Gesù… », gli rispose, tranquilla, Maria.
« A me piace », ribatté Gesù. « Raccontamelo sempre. È così bello! ».
« Ti ho detto, piccolo mio, che io stavo nella mia stanzetta, attenta al mio lavoro, quando ad un tratto una grande luce la riempì tutta. Era venuto a trovarmi un Angelo mandato dal Signore… ».
Il piccolo Gesù, appoggiato alle ginocchia della madre, seguiva con gli occhi sgranati e aveva piccoli sussulti di gioia.
« E come era l’Angelo? » – « Era tutto luce ». – « E aveva le ali?! » – « Non so ». – « E aveva una veste bianca ricamata d’oro? » – Non so ». – « Ma era un Angelo?! » – « Sì, era veramente un Angelo mandato dal Signore ». – « E che ti ha detto l’Angelo? » – « Mi ha detto: ‘Rallegrati, o piccola Maria; io vengo a dirti che tu sei molto cara a Dio e che stai per diventare mamma di un bambino fatto di terra e di cielo’ ». – « Ero io? » – « Certo, eri tu ». – « E tu che cosa gli hai risposto? » – « Ho detto: ‘Come è possibile questo? Io sono sola soletta… Giuseppe non è ancora venuto a prendermi per portarmi nella sua casa… Ogni bambino ha bisogno di un papà e anche di una casa’ ». – « E l’Angelo, che ti rispose? » – « Mi disse: ‘Non temere, Maria. Il bimbo che sta per venire dentro di te è come un raggio di luce che esce dal cuore di Dio per venire a stare vicino al tuo cuore, e ci starà finché tu non avrai dato a quel raggio di luce…’ il bel faccino che hai », concluse Maria, dandogli un amoroso colpettino sulla guancia rotondetta.
Gesù sospirò di gioia. Disse: « Com’è bello! E poi? ». – « E poi io gli dissi che tu ed io, così soli, avremmo potuto avere qualche problema. Ma l’Angelo mi rispose – e qui Maria scandì bene le parole, prendendo tra le mani il volto del figlio e fissandolo negli occhi – che niente è impossibile a Dio ».
« Oh… », fece Gesù. . « E mi disse ancora – riprese Maria – che anche Giuseppe sarebbe stato contento di essere l’abbà di questo bambino che veniva dal Cielo e che si sarebbe preso cura di noi con tanto amore, e che avremmo fatto di tre cuori un cuore solo ».
– « Avanti… », insistette Gesù. – « E poi mi disse che il nome di questo bambino sarebbe stato Gesù, che significa: ‘Dio salva’ ». – « Gesù! È il mio nome! ». – « Certo, tu sei Gesù ». – « Mi piace questo nome… E allora? ». – « Allora io dissi tutta rincuorata: ‘E va bene; io sono molto contenta di fare quello che piace a Dio e sono molto contenta di essere la madre di questo bambino che si chiamerà Gesù, ‘Dio salva’ ».
Gesù le saltò sulle ginocchia, gettandole le braccia al collo e mettendo la sua guancia contro la guancia di lei, con quel trasporto e con quella tenerezza che oggi possiamo ‘leggere’ nelle icone dell’Oriente cristiano…
« Oh, mamma – le disse infine Gesù -, tu eri contenta di diventare la mia mamma e io sono così contento di essere il tuo bambino!… ».
« Nella casa che fu di Maria c’era un albero di alloro… »
Se Lia Cerrito immagina che la Vergine Maria abbia raccontato a Gesù « in cronaca diretta » il mistero dell’Annunciazione dell’Angelo, Giuliano Patelli ne ambienta, per così dire, il contesto domestico [cfr. pp. 24-26 del libro "Una Madonna nuova", Edizione S. P. Self-Pubblished, 1998].
« Sarà presunzione – si domanda – tentare di ricostruire quell’avvenimento, quel ‘sì’ di Maria all’Angelo che doveva cambiare la storia del mondo? ». E ci prova, avvertendo che, per farlo, « occorre, con modestia e semplicità, allontanarsi dal mistero raccontato da Luca (cfr. Lc 1, 26-36), e immaginare di essere nel trascurabile Villaggio di Nazareth ».
E scrive, lavorando di fervida immaginazione e di altrettanto fervida e ‘familiare’ devozione.
« … attoniti davanti nel maestoso silenzio che regna su quell’angolo di mondo che è Nazareth, non ci aspettiamo che venga il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe a svelarci il grande mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Il Padre Eterno, forse stanco della stupidità degli uomini, manderà un messaggero, un Angelo straordinario di nome Gabriele.
Quello che ha detto a Maria tutti lo sappiamo. Quello che Maria ha risposto, anche. È materia di fede, per chi vuol credere. Le campane di tutta la Cristianità, due volte al giorno [e prima anche tre volte: all’Angelus del mattino, di mezzogiorno e della sera], danno alcuni rintocchi a ricordo dell’avvenimento […].
Nella casa che fu di Maria fanciulla c’era un albero di alloro, con le sue foglie sempre verdi e coriacee, il cui profumo aromatico a tutti è noto.
Era, quella casetta, per gli abitanti del Paradiso, più importante dell’ « Erechtheion » in marmo pantelico che è nell’acropoli di Atene. Cinguettavano i passeri e c’era il bisbiglio di un Angelo che nessuno udiva, tranne lei, la ragazza ebrea Maria, tremante come una foglia, perché qualcuno le stava chiedendo di diventare la Madre di Dio.
Alle spalle del messaggero c’era la Corte celeste, Profeti, Santi, eletti alla gloria eterna nel crepitìo di quella luce di Dio che, per breve tempo, avrebbe soffocato l’esile barlume della lampada d’argilla posta su un mobile dell’abituro. Intorno il profumo del Paradiso che, per breve tempo, avrebbe cancellato l’odore pungente del pollaio ed il lezzo delle capre e delle pecore.
Luci e profumi non di questa terra in quel modestissimo luogo dove Dio stava costruendo un momento d’amore vertiginoso.
Negli scritti che raccontano quegli istanti non c’è traccia di nulla; nessuno ha visto nulla o sentito nulla. Il profumo dell’amore non si può descrivere, come non si può raccontare il profumo dei fiori o la luminosità della folgore. Però c’erano.
Luca non l’ha vista in sogno l’Annunciazione dell’Angelo a Maria. Lei, l’umile ragazza ebrea gliel’ha riferita, ma senza calcare sui toni.
Si sarà resa conto di quell’incendio della storia? Poi si apriranno molte bocche e le parole, quelle sì, saranno come il crepitare del fuoco nella sterpaglia.
A coloro che chiedono a Dio o alla ragione il perché di tutto questo, bisogna sussurrare di essere modesti e di rassegnarsi a rispettare il mistero che poggia su una cosa solida come il granito ed è la nostra ignoranza, nel senso di quella variante greca della saggezza che fece dire a Socrate che è « il sapere di non sapere ».
Forse domani, le nostre conoscenze provvisorie si evolveranno. Ma intanto ci restano i passeri con il loro cinguettare e tutti li possono udire e vedere come svolazzano, e ancora lo fanno come se il tempo si fosse fermato…
Ci rimane il ricordo indelebile di una pianta d’alloro che non è servita soltanto come ricovero agli uccelli e aroma per il capretto alle braci. Le sue fronde verdi hanno vibrato nel turbine delle creature invisibili del Paradiso che avevano imparato una preghiera nuova: « Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con Te! » « .
Preghiera a Maria, donna del « sì »
Dal commento di Luigi Santucci al saluto dell’Angelo Gabriele rivolto a Maria, riportiamo la seguente bella riflessione: « Di tanti miliardi di parole che miliardi di volte sono state ripetute sulla terra, nessun’altra – forse – è stata ripetuta come questa: « Ave, Maria! ».
La parola best-seller [uso questo fastidiosissimo e invadentissimo americanismo per intenderci, chiedendone scusa al Paradiso] da più di Duemila anni è forse, insuperabilmente, questa: le cinque sillabe musicali e lente, magiche e poliglotte, che l’uso invece di consumare ha sfaccettato nello splendore di un tersissimo diamante.
Vien voglia allora di scendere alla prima origine di questa frase, che è un saluto; di calarsi nel tempo e nel luogo in cui risuonò per la prima volta, fortunatissimo miracolo di parole. E si torna con la fantasia a Nazareth, venti secoli fa.
Era entrato, Gabriele, forse all’ora della rugiada, quando chi si è levato di buon’ora si aggira per la casa ove ancora altri dorme, e sosta alle finestre in un sentimento di furtiva complicità con l’aria e gli uccelli. Faccende quasi impercettibili, quelle che solo una donna che viva perpetuamente in casa sa scegliere, per le ore morte: quel muoversi che non è ancora lavoro ma ozio non più, fra l’attento e il trasognato, fra mani e anima.
È l’ora più propizia per ricevere un messaggio. E Gabriele è accanto alla fanciulla, nello spazio della stanza; ha scelto, con angelica infallibilità, l’istante più sospeso di questa solitudine, come chi tenta un agguato e apposti la vittima nel punto più deserto della boscaglia… ».
E a Maria, « donna del ‘sì’ « , rivolgiamo allora la preghiera composta dal Vescovo santo Tonino Bello:
« Santa Maria, donna senza retorica, la cui sovrana grandezza è sospesa al rapidissimo fremito di un « fiat », prega per noi peccatori, perennemente esposti, tra convalescenze e ricadute, all’intossicazione di mille parole.
Fa’ che le nostre voci, ridotte all’essenziale, partano sempre dai recinti del mistero e rechino il profumo del silenzio.
Rendici come te, sacramento della trasparenza.
E aiutaci, finalmente, perché nella brevità di un ‘sì’ detto a Dio, ci sia dolce naufragare: come in un mare sterminato! ».
Simone Moreno
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11042?l=italian
Nella preghiera Dio ascolta il cuore non la voce, afferma Benedetto XVI
Intervenendo all’Udienza generale del mercoledì
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 6 giugno 2007 (ZENIT.org).- Dio non presta attenzione alle parole, ma al cuore che è “il luogo privilegiato della preghiera”, ha affermato Benedetto XVI all’Udienza generale di questo mercoledì.
Così ha detto il Santo Padre nel soffermarsi, a continuazione del suo ciclo di catechesi sui Padri Apostolici, sulla figura e l’insegnamento di San Cipriano, (199-258), il famoso poeta, scrittore e retore originario di Cartagine, nonché primo Vescovo africano a conseguire “la corona del martirio”.
Di nobili e ricche origini, fu allievo di Tertulliano e insegnò retorica fino al 246, anno in cui si convertì al Cristianesimo, quando – come ha ricordato il Papa citando lo scritto apologetico “Ad Donatum” di questo Padre della Chiesa – “fu lavata la miseria della mia vita precedente”.
Eletto Vescovo di Cartagine nel 249, fu costretto a fuggire dalla città dopo breve tempo a seguito delle persecuzioni dell’imperatore Decio (250). Terminata la persecuzione, la Chiesa discusse del trattamento da destinarsi a quanti erano scesi a compromessi con le autorità nel corso delle persecuzioni.
Nel corso di una nuova ondata di persecuzioni, ad opera di Valeriano (257-258), Cipriano prima fu condannato all’esilio, poi incarcerato, e successivamente, il settembre del 258, venne condannato alla decapitazione e subì il martirio a Sesti, nei pressi di Cartagine.
Durante la suo catechesi, il Papa si è soffermato in maniera particolare sull’insegnamento di Cipriano sulla preghiera: “Io amo particolarmente il suo libro sul ‘Padre Nostro’, che mi ha aiutato molto a capire meglio e a recitare meglio la ‘preghiera del Signore’”, ha confessato il Santo Padre.
“Cipriano insegna come proprio nel ‘Padre Nostro’ è donato al cristiano il retto modo di pregare; e sottolinea che tale preghiera è al plurale, ‘affinché colui che prega non preghi unicamente per sé’”, ha continuato.
“La nostra preghiera – scrive – è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola”.
“Così preghiera personale e liturgica appaiono robustamente legate tra loro. La loro unità proviene dal fatto che esse rispondono alla medesima Parola di Dio”, ha spiegato il Vescovo di Roma.
“Il cristiano non dice ‘Padre mio’, ma ‘Padre nostro’, fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo”, ha aggiunto.
Scriveva Cipriano: “Quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore”.
“In definitiva, Cipriano si colloca alle origini di quella feconda tradizione teologico-spirituale che vede nel ‘cuore’ il luogo privilegiato della preghiera. Stando alla Bibbia e ai Padri, infatti, il cuore è l’intimo dell’uomo, il luogo dove abita Dio”, ha spiegato Benedetto XVI.
“In esso si compie quell’incontro nel quale Dio parla all’uomo, e l’uomo ascolta Dio; l’uomo parla a Dio, e Dio ascolta l’uomo: il tutto attraverso l’unica Parola divina”.
“Carissimi, facciamo nostro questo ‘cuore in ascolto’, di cui ci parlano la Bibbia e i Padri: ne abbiamo tanto bisogno! Solo così potremo sperimentare in pienezza che Dio è il nostro Padre, e che la Chiesa, la santa Sposa di Cristo, è veramente la nostra Madre”, ha infine concluso.