Archive pour septembre, 2009

Benedetto XVI presenta la figura di san Pier Damiani

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Benedetto XVI presenta la figura di san Pier Damiani

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nell’incontrare i fedeli ed i pellegrini nell’Aula Paolo VI del Vaticano per la tradizionale Udienza generale.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su san Pier Damiani (1007-1072), monaco.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

durante le catechesi di questi mercoledì sto trattando di alcune grandi figure della vita della Chiesa fin dalle sue origini. Oggi vorrei soffermarmi su una delle più significative personalità del secolo XI, san Pier Damiani, monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo. Nacque a Ravenna nel 1007 da famiglia nobile, ma disagiata. Rimasto orfano di ambedue i genitori, visse un’infanzia non priva di stenti e di sofferenze, anche se la sorella Roselinda si impegnò a fargli da mamma e il fratello maggiore Damiano lo adottò come figlio. Proprio per questo sarà poi chiamato Piero di Damiano, Pier Damiani. La formazione gli venne impartita prima a Faenza e poi a Parma, dove, già all’età di 25 anni, lo troviamo impegnato nell’insegnamento. Accanto ad una buona competenza nel campo del diritto, acquisì una raffinata perizia nell’arte del comporre – l’ars scribendi – e, grazie alla sua conoscenza dei grandi classici latini, diventò « uno dei migliori latinisti del suo tempo, uno dei più grandi scrittori del medioevo latino » (J. Leclercq, Pierre Damien, ermite et homme d’Église, Roma 1960, p. 172).

Si distinse nei generi letterari più diversi: dalle lettere ai sermoni, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi. La sua sensibilità per la bellezza lo portava alla contemplazione poetica del mondo. Pier Damiani concepiva l’universo come una inesauribile « parabola » e una distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. In questa prospettiva, intorno all’anno 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità. Ad edificazione dei monaci egli scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico.

Un particolare va subito sottolineato: l’eremo di Fonte Avellana era dedicato alla Santa Croce, e la Croce sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. « Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo », afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: « Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo » (Ep, 9, 1). Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l’intera storia della salvezza: « O beata Croce – egli esclama – ti venerano, ti predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le schiere di tutti i santi » (Sermo XLVIII, 14, p. 304). Cari fratelli e sorelle, l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza. Per lo svolgimento della vita eremitica, questo grande monaco redige una Regola in cui sottolinea fortemente il « rigore dell’eremo »: nel silenzio del chiostro, il monaco è chiamato a trascorrere una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile. Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale. In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come « parlatorio dove Dio conversa con gli uomini ». La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è « al culmine degli stati di vita », perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve « la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste » (Ep 18, 17; cfr Ep 28, 43 ss.). Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un « parlatorio » dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita.

San Pier Damiani, che sostanzialmente fu un uomo di preghiera, di meditazione, di contemplazione, fu anche un fine teologo: la sua riflessione sui diversi temi dottrinali lo porta a conclusioni importanti per la vita. Così, ad esempio, espone con chiarezza e vivacità la dottrina trinitaria utilizzando già, sulla scorta dei testi biblici e patristici, i tre termini fondamentali, che sono poi divenuti determinanti anche per la filosofia dell’Occidente, processio, relatio e persona (cfr Opusc. XXXVIII: PL CXLV, 633-642; e Opusc. II e III: ibid., 41ss e 58ss). Tuttavia, poiché l’analisi teologica del mistero lo conduce a contemplare la vita intima di Dio e il dialogo d’amore ineffabile tra le tre divine Persone, egli ne trae conclusioni ascetiche per la vita in comunità e per gli stessi rapporti tra cristiani latini e greci, divisi su questo tema. Pure la meditazione sulla figura di Cristo ha riflessi pratici significativi, essendo tutta la Scrittura centrata su di Lui. Lo stesso « popolo dei giudei, – annota san Pier Damiani – attraverso le pagine della Sacra Scrittura, ha come portato Cristo sulle spalle » (Sermo XLVI, 15). Cristo pertanto, egli aggiunge, deve essere al centro della vita del monaco: « Cristo sia udito nella nostra lingua, Cristo sia veduto nella nostra vita, sia percepito nel nostro cuore » (Sermo VIII, 5). L’intima unione con Cristo impegna non solo i monaci, ma tutti i battezzati. Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita.

La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani. Nella lettera 28, che è un geniale trattato di ecclesiologia, Pier Damiani sviluppa una profonda teologia della Chiesa come comunione. « La Chiesa di Cristo – egli scrive – è unita dal vincolo della carità a tal punto che, come è una in più membri, così è tutta intera misticamente nel singolo membro; cosicché l’intera Chiesa universale si denomina giustamente unica Sposa di Cristo al singolare, e ciascuna anima eletta, per il mistero sacramentale, viene considerata pienamente Chiesa ». E’ importante questo: non solo che l’intera Chiesa universale sia unita, ma in ognuno di noi dovrebbe essere presente la Chiesa nella sua totalità. Così il servizio del singolo diventa « espressione dell’universalità » (Ep 28, 9-23). Tuttavia l’immagine ideale della « santa Chiesa » illustrata da Pier Damiani non corrisponde – lo sapeva bene – alla realtà del suo tempo. Per questo non teme di denunziare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo, soprattutto, della prassi del conferimento, da parte delle Autorità laiche, dell’investitura degli uffici ecclesiastici: diversi vescovi e abati si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da pastori d’anime. Non di rado la loro vita morale lasciava molto a desiderare. Per questo, con grande dolore e tristezza, nel 1057 Pier Damiani lascia il monastero e accetta, pur con difficoltà, la nomina a Cardinale Vescovo di Ostia, entrando così pienamente in collaborazione con i Papi nella non facile impresa della riforma della Chiesa. Ha visto che non era sufficiente contemplare e ha dovuto rinunciare alla bellezza della contemplazione per portare il proprio aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa. Ha rinunciato così alla bellezza dell’eremo e con coraggio ha intrapreso numerosi viaggi e missioni.

Per il suo amore alla vita monastica, dieci anni dopo, nel 1067, ottiene il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando alla diocesi di Ostia. Ma la sospirata quiete dura poco: già due anni dopo viene inviato a Francoforte nel tentativo di evitare il divorzio di Enrico IV dalla moglie Berta; e di nuovo due anni dopo, nel 1071, va a Montecassino per la consacrazione della chiesa abbaziale e agli inizi del 1072 si reca a Ravenna per ristabilire la pace con l’Arcivescovo locale, che aveva appoggiato l’antipapa provocando l’interdetto sulla città. Durante il viaggio di ritorno al suo eremo, un’improvvisa malattia lo costringe a fermarsi a Faenza nel monastero benedettino di Santa Maria Vecchia fuori porta, e lì muore nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072.

Cari fratelli e sorelle, è una grande grazia che nella vita della Chiesa il Signore abbia suscitato una personalità così esuberante, ricca e complessa, come quella di san Pier Damiani e non è comune trovare opere di teologia e di spiritualità così acute e vive come quelle dell’eremita di Fonte Avellana. Fu monaco fino in fondo, con forme di austerità, che oggi potrebbero sembrarci persino eccessive. In tal modo, però, egli ha fatto della vita monastica una testimonianza eloquente del primato di Dio e un richiamo per tutti a camminare verso la santità, liberi da ogni compromesso col male. Egli si consumò, con lucida coerenza e grande severità, per la riforma della Chiesa del suo tempo. Donò tutte le sue energie spirituali e fisiche a Cristo e alla Chiesa, restando però sempre, come amava definirsi, Petrus ultimus monachorum servus, Pietro, ultimo servo dei monaci.

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buona notte

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farm

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Beata Teresa di Calcutta: « Fate del bene e prestate senza sperarne nulla »

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Giovedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario : Lc 6,27-38
Meditazione del giorno
Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No Greater Love

« Fate del bene e prestate senza sperarne nulla »

Può darsi che nell’appartamento o nella casa accanto alla tua viva un cieco che sarebbe felice se tu andassi a trovarlo per leggergli il giornale. Può darsi che ci sia una famiglia bisognosa di qualcosa che a te sembra insignificante, qualcosa di semplicissimo come prendersi cura di uno dei loro figli per mezz’ora. Ci sono così tante piccole cose, talmente piccole che una molitudine di persone se le dimentica.

Non pensare che sia necessario avere uno spirito semplice per occuparsi della cucina. Non pensare che il fatto di sedersi, alzarsi, andare e venire, tutto ciò che tu fai, sia senza importanza agli occhi di Dio.

Dio non ti chiederà quanti libri avrai letto, quanti miracoli avrai compiuto. Egli ti chiederà se hai fatto del tuo meglio, per amore suo. Potresti dire, sinceramente: «Ho fatto del mio meglio»? Anche se il meglio dovesse rivelarsi un fallimento, deve essere il nostro meglio.

Se sei veramente innamorato di Cristo, per quanto modesto sia il tuo lavoro, questo verrà svolto al meglio, con tutto il cuore. Il tuo lavoro testimonierà il tuo amore. Puoi esaurirti di lavoro, puoi anche ammazzarti di lavoro; ma finché il tuo lavoro non sarà unito all’amore, esso è inutile.

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SAINT PIERRE CLAVER

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http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

San Pietro Claver, Gesuita (9 settembre, mf)

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San Pietro Claver, Gesuita
(memoria facoltativa)

Pietro (Pedro) Claver Corberó nasce a Verdú (Catalogna) il 25 giugno 1581. Dal 1596 studiò lettere e arti nell’università di Barcellona e nel 1602 entrò nella Compagnia di Gesù. Mentre studiava psicologia a Maiorca nel 1605, il padre portinaio del collegio della Compagnia (Alfonso Rodríguez), pensando di essere ispirato da Dio, ritenne di conoscere quale dovesse essere la missione futura del suo giovane confratello e da quel momento in poi non smise mai di esortarlo a partire per evangelizzare i possedimenti spagnoli in America.
Pietro obbedì e nel 1610 sbarcò a Cartagena (Colombia). Fu ordinato sacerdote nel 1616 nella missione colombiana dove per 44 anni fu missionario tra schiavi afroamericani in un periodo in cui ferveva la tratta degli schiavi africani.
Educato alla scuola del missionario Alfonso de Sandoval, Pietro si rese, con voto, schiavo dei negri per sempre “Aethiopum semper servus” (“sempre schiavo degli Etiopi”). Da persona timida ed insicura delle proprie capacità, diventò un organizzatore caritatevole, ardito ed ingegnoso.
A Cartagena sbarcavano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiavano e morivano presto per la fatica, i maltrattamenti e per l’abbandono quando erano invalidi.
Ogni mese, quando veniva segnalato l’arrivo di nuovi schiavi, stipati nelle stive delle navi, Claver usciva in mare con il suo battello per incontrarli portando loro cibo, soccorso e conforto, guadagnandosi la loro fiducia.
Per insegnare a così tante persone che parlavano dialetti diversi, Claver riunì a Cartagena un gruppo di interpreti di varie nazionalità e li fece diventare dei catechisti.
Mentre gli schiavi stavano rinchiusi a Cartagena, aspettando di essere acquistati e sparpagliati, Claver li istruiva e li battezzava. Nelle domeniche di Quaresima li riuniva, li interrogava riguardo alle loro necessità e li difendeva contro i loro oppressori. Questo lavoro causò a Claver difficili prove: i mercanti di schiavi non erano i suoi soli nemici.
Fu accusato di incauto zelo e di avere profanato i sacramenti, dandoli a creature che “a malapena possedevano un’anima”. Le donne della buona società di Cartagena si rifiutavano di entrare nelle chiese dove Claver aveva riunito i suoi « negri ». I superiori di Claver furono spesso influenzati dalle molte critiche che arrivavano ai loro orecchi.
Nondimeno Claver continuò la sua missione, accettando tutte le umiliazioni e aggiungendo penitenze rigorose alle sue opere di carità. Gli mancava l’aiuto degli uomini, ma riteneva di avere forza da Dio.
Durante la sua vita battezzò e istruì nella fede più di 300.000 neri. Morì a 74 anni a Cartagena l’8 settembre 1654.

Fu beatificato il 16 luglio 1850 da Pio IX e canonizzato il 15 gennaio 1888 da Leone XIII, con Alfonso Rodriguez, il fratello portinaio di Maiorca.

Il 7 luglio 1896 fu proclamato patrono di tutte le missioni cattoliche tra i neri.

Significato del nome Pietro : « pietra, roccia, sasso squadrato » (latino).

Fonti : wikipendia.org; santiebeati.it; gesuiti.it («RIV.»).

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Preghiera

O Dio, con il dono di una carità e pazienza eroica hai reso forte nel servizio degli infelici san Pietro Claver, fattosi schiavo degli schiavi; concedi anche a noi, per sua intercessione, di cercare Gesù Cristo nel nostro prossimo amandolo coi fatti e nella verità.

Publié dans:Santi, santi: biografia |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Messaggio del Papa per la Giornata Missionaria Mondiale 2009

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Messaggio del Papa per la Giornata Missionaria Mondiale 2009

« Le nazioni cammineranno alla sua luce » (Ap 21, 24)

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 7 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la 83a Giornata Missionaria Mondiale, che quest’anno si celebra domenica 18 ottobre sul tema: « Le nazioni cammineranno alla sua luce » (Ap 21, 24).

* * *

In questa domenica, dedicata alle missioni, mi rivolgo innanzitutto a voi, Fratelli nel ministero episcopale e sacerdotale, e poi anche a voi, fratelli e sorelle dell’intero Popolo di Dio, per esortare ciascuno a ravvivare in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare « discepoli tutti i popoli » (Mt 28,19), sulle orme di san Paolo, l’Apostolo delle Genti.

« Le nazioni cammineranno alla sua luce » (Ap 21,24). Scopo della missione della Chiesa infatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione ed il loro compimento. Dobbiamo sentire 1’ansia e la passione di illuminare tutti i popoli, con la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perché tutti si raccolgano nell’unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio.

È in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita. Riaffermo con forza quanto più volte è stato detto dai miei venerati Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata, perché crediamo che « l’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo… è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità » (Evangelii nuntiandi, 1), che « conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza » (Redemptoris missio, 2).

1. Tutti i Popoli chiamati alla salvezza

L’umanità intera, in verità, ha la vocazione radicale di ritornare alla sua sorgente, che è Dio, nel Quale solo troverà il suo compimento finale mediante la restaurazione di tutte le cose in Cristo. La dispersione, la molteplicità, il conflitto, l’inimicizia saranno rappacificate e riconciliate mediante il sangue della Croce, e ricondotte all’unità.

L’inizio nuovo è già cominciato con la risurrezione e l’esaltazione di Cristo, che attrae tutte le cose a sé, le rinnova, le rende partecipi dell’eterna gioia di Dio. Il futuro della nuova creazione brilla già nel nostro mondo ed accende, anche se tra contraddizioni e sofferenze, la speranza di vita nuova. La missione della Chiesa è quella di « contagiare » di speranza tutti i popoli. Per questo Cristo chiama, giustifica, santifica e invia i suoi discepoli ad annunciare il Regno di Dio, perché tutte le nazioni diventino Popolo di Dio. È solo in tale missione che si comprende ed autentica il vero cammino storico dell’umanità. La missione universale deve divenire una costante fondamentale della vita della Chiesa. Annunciare il Vangelo deve essere per noi, come già per l’apostolo Paolo, impegno impreteribile e primario.

2. Chiesa pellegrina

La Chiesa universale, senza confini e senza frontiere, si sente responsabile dell’annuncio del Vangelo di fronte a popoli interi (cfr Evangelii nuntiandi, 53). Essa, germe di speranza per vocazione, deve continuare il servizio di Cristo al mondo. La sua missione e il suo servizio non sono a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che si esauriscono nel quadro dell’esistenza temporale, ma di una salvezza trascendente, che si attua nel Regno di Dio (cfr Evangelii nuntiandi, 27). Questo Regno, pur essendo nella sua completezza escatologico e non di questo mondo (cfr Gv 18,36), è anche in questo mondo e nella sua storia forza di giustizia, di pace, di vera libertà e di rispetto della dignità di ogni uomo. La Chiesa mira a trasformare il mondo con la proclamazione del Vangelo dell’amore, « che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire e… in questo modo di far entrare la luce di Dio nel mondo » (Deus caritas est, 39). È a questa missione e servizio che, anche con questo Messaggio, chiamo a partecipare tutti i membri e le istituzioni della Chiesa.

3. Missio ad gentes

La missione della Chiesa, perciò, è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio tramite il Figlio suo incarnato. È necessario pertanto rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità, di unità e di pace (cfr Ad gentes, 8). Voglio « nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa » (Evangelii nuntiandi, 14), compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancor più urgenti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e compimento stesso della storia umana e dell’universo. Animati e ispirati dall’Apostolo delle genti, dobbiamo essere coscienti che Dio ha un popolo numeroso in tutte le città percorse anche dagli apostoli di oggi (cfr At 18,10). Infatti « la promessa è per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro » (At 2,39).

La Chiesa intera deve impegnarsi nella missio ad gentes, fino a che la sovranità salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata: « Al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a Lui sottomessa » (Eb 2,8).

4. Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martirio

In questa Giornata dedicata alle missioni, ricordo nella preghiera coloro che della loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. Una menzione particolare è per quelle Chiese locali, e per quei missionari e missionarie che si trovano a testimoniare e diffondere il Regno di Dio in situazioni di persecuzione, con forme di oppressione che vanno dalla discriminazione sociale fino al carcere, alla tortura e alla morte. Non sono pochi quelli che attualmente sono messi a morte a causa del suo « Nome ». È ancora di tremenda attualità quanto scriveva il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II: « La memoria giubilare ci ha aperto uno scenario sorprendente, mostrandoci il nostro tempo particolarmente ricco di testimoni che, in un modo o nell’altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino a dare la prova suprema del sangue » (Novo millennio ineunte, 41).

La partecipazione alla missione di Cristo, infatti, contrassegna anche il vivere degli annunciatori del Vangelo, cui è riservato lo stesso destino del loro Maestro. « Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi » (Gv 15,20). La Chiesa si pone sulla stessa via e subisce la stessa sorte di Cristo, perché non agisce in base ad una logica umana o contando sulle ragioni della forza, ma seguendo la via della Croce e facendosi, in obbedienza filiale al Padre, testimone e compagna di viaggio di questa umanità.

Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali.

Alle Pontificie Opere Missionarie va il mio ringraziamento e incoraggiamento per l’indispensabile lavoro che assicurano di animazione, formazione missionaria e aiuto economico alle giovani Chiese. Attraverso queste Istituzioni pontificie si realizza in maniera mirabile la comunione tra le Chiese, con lo scambio di doni, nella sollecitudine vicendevole e nella comune progettualità missionaria.

5. Conclusione

La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr Redemptoris missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione.

Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità.

Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza « sino all’estremità della terra » (At 13,47).

A tutti la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 29 giugno 2009

Benedetto XVI presenta la figura di san Pier Damiani

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Benedetto XVI presenta la figura di san Pier Damiani

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI nell’incontrare i fedeli ed i pellegrini nell’Aula Paolo VI del Vaticano per la tradizionale Udienza generale.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su san Pier Damiani (1007-1072), monaco.

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Cari fratelli e sorelle,

durante le catechesi di questi mercoledì sto trattando di alcune grandi figure della vita della Chiesa fin dalle sue origini. Oggi vorrei soffermarmi su una delle più significative personalità del secolo XI, san Pier Damiani, monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo. Nacque a Ravenna nel 1007 da famiglia nobile, ma disagiata. Rimasto orfano di ambedue i genitori, visse un’infanzia non priva di stenti e di sofferenze, anche se la sorella Roselinda si impegnò a fargli da mamma e il fratello maggiore Damiano lo adottò come figlio. Proprio per questo sarà poi chiamato Piero di Damiano, Pier Damiani. La formazione gli venne impartita prima a Faenza e poi a Parma, dove, già all’età di 25 anni, lo troviamo impegnato nell’insegnamento. Accanto ad una buona competenza nel campo del diritto, acquisì una raffinata perizia nell’arte del comporre – l’ars scribendi – e, grazie alla sua conoscenza dei grandi classici latini, diventò « uno dei migliori latinisti del suo tempo, uno dei più grandi scrittori del medioevo latino » (J. Leclercq, Pierre Damien, ermite et homme d’Église, Roma 1960, p. 172).

Si distinse nei generi letterari più diversi: dalle lettere ai sermoni, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi. La sua sensibilità per la bellezza lo portava alla contemplazione poetica del mondo. Pier Damiani concepiva l’universo come una inesauribile « parabola » e una distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. In questa prospettiva, intorno all’anno 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità. Ad edificazione dei monaci egli scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico.

Un particolare va subito sottolineato: l’eremo di Fonte Avellana era dedicato alla Santa Croce, e la Croce sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. « Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo », afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: « Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo » (Ep, 9, 1). Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l’intera storia della salvezza: « O beata Croce – egli esclama – ti venerano, ti predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le schiere di tutti i santi » (Sermo XLVIII, 14, p. 304). Cari fratelli e sorelle, l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza. Per lo svolgimento della vita eremitica, questo grande monaco redige una Regola in cui sottolinea fortemente il « rigore dell’eremo »: nel silenzio del chiostro, il monaco è chiamato a trascorrere una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile. Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale. In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come « parlatorio dove Dio conversa con gli uomini ». La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è « al culmine degli stati di vita », perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve « la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste » (Ep 18, 17; cfr Ep 28, 43 ss.). Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un « parlatorio » dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita.

San Pier Damiani, che sostanzialmente fu un uomo di preghiera, di meditazione, di contemplazione, fu anche un fine teologo: la sua riflessione sui diversi temi dottrinali lo porta a conclusioni importanti per la vita. Così, ad esempio, espone con chiarezza e vivacità la dottrina trinitaria utilizzando già, sulla scorta dei testi biblici e patristici, i tre termini fondamentali, che sono poi divenuti determinanti anche per la filosofia dell’Occidente, processio, relatio e persona (cfr Opusc. XXXVIII: PL CXLV, 633-642; e Opusc. II e III: ibid., 41ss e 58ss). Tuttavia, poiché l’analisi teologica del mistero lo conduce a contemplare la vita intima di Dio e il dialogo d’amore ineffabile tra le tre divine Persone, egli ne trae conclusioni ascetiche per la vita in comunità e per gli stessi rapporti tra cristiani latini e greci, divisi su questo tema. Pure la meditazione sulla figura di Cristo ha riflessi pratici significativi, essendo tutta la Scrittura centrata su di Lui. Lo stesso « popolo dei giudei, – annota san Pier Damiani – attraverso le pagine della Sacra Scrittura, ha come portato Cristo sulle spalle » (Sermo XLVI, 15). Cristo pertanto, egli aggiunge, deve essere al centro della vita del monaco: « Cristo sia udito nella nostra lingua, Cristo sia veduto nella nostra vita, sia percepito nel nostro cuore » (Sermo VIII, 5). L’intima unione con Cristo impegna non solo i monaci, ma tutti i battezzati. Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita.

La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani. Nella lettera 28, che è un geniale trattato di ecclesiologia, Pier Damiani sviluppa una profonda teologia della Chiesa come comunione. « La Chiesa di Cristo – egli scrive – è unita dal vincolo della carità a tal punto che, come è una in più membri, così è tutta intera misticamente nel singolo membro; cosicché l’intera Chiesa universale si denomina giustamente unica Sposa di Cristo al singolare, e ciascuna anima eletta, per il mistero sacramentale, viene considerata pienamente Chiesa ». E’ importante questo: non solo che l’intera Chiesa universale sia unita, ma in ognuno di noi dovrebbe essere presente la Chiesa nella sua totalità. Così il servizio del singolo diventa « espressione dell’universalità » (Ep 28, 9-23). Tuttavia l’immagine ideale della « santa Chiesa » illustrata da Pier Damiani non corrisponde – lo sapeva bene – alla realtà del suo tempo. Per questo non teme di denunziare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo, soprattutto, della prassi del conferimento, da parte delle Autorità laiche, dell’investitura degli uffici ecclesiastici: diversi vescovi e abati si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da pastori d’anime. Non di rado la loro vita morale lasciava molto a desiderare. Per questo, con grande dolore e tristezza, nel 1057 Pier Damiani lascia il monastero e accetta, pur con difficoltà, la nomina a Cardinale Vescovo di Ostia, entrando così pienamente in collaborazione con i Papi nella non facile impresa della riforma della Chiesa. Ha visto che non era sufficiente contemplare e ha dovuto rinunciare alla bellezza della contemplazione per portare il proprio aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa. Ha rinunciato così alla bellezza dell’eremo e con coraggio ha intrapreso numerosi viaggi e missioni.

Per il suo amore alla vita monastica, dieci anni dopo, nel 1067, ottiene il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando alla diocesi di Ostia. Ma la sospirata quiete dura poco: già due anni dopo viene inviato a Francoforte nel tentativo di evitare il divorzio di Enrico IV dalla moglie Berta; e di nuovo due anni dopo, nel 1071, va a Montecassino per la consacrazione della chiesa abbaziale e agli inizi del 1072 si reca a Ravenna per ristabilire la pace con l’Arcivescovo locale, che aveva appoggiato l’antipapa provocando l’interdetto sulla città. Durante il viaggio di ritorno al suo eremo, un’improvvisa malattia lo costringe a fermarsi a Faenza nel monastero benedettino di Santa Maria Vecchia fuori porta, e lì muore nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072.

Cari fratelli e sorelle, è una grande grazia che nella vita della Chiesa il Signore abbia suscitato una personalità così esuberante, ricca e complessa, come quella di san Pier Damiani e non è comune trovare opere di teologia e di spiritualità così acute e vive come quelle dell’eremita di Fonte Avellana. Fu monaco fino in fondo, con forme di austerità, che oggi potrebbero sembrarci persino eccessive. In tal modo, però, egli ha fatto della vita monastica una testimonianza eloquente del primato di Dio e un richiamo per tutti a camminare verso la santità, liberi da ogni compromesso col male. Egli si consumò, con lucida coerenza e grande severità, per la riforma della Chiesa del suo tempo. Donò tutte le sue energie spirituali e fisiche a Cristo e alla Chiesa, restando però sempre, come amava definirsi, Petrus ultimus monachorum servus, Pietro, ultimo servo dei monaci.

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Natività di Maria

Natività di Maria dans immagini sacre 377d1580

Natività di Maria – Paolo Uccello

Cappella dell’Assunta – Basilica Cattedrale di Santo Stefano – Prato

http://www.pratoartestoria.it/museo/id77.htm

Publié dans:immagini sacre |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Isacco della Stella : « Beati voi che ora piangete »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090909

Mercoledì della XXIII settimana del Tempo Ordinario : Lc 6,20-26
Meditazione del giorno
Isacco della Stella (? – circa 1171), monaco cistercense
Omelia per la solennità di Tutti i Santi (2,13-20)

« Beati voi che ora piangete »

« Beati gli afflitti, perché saranno consolati » (Mt 5,4). Con questa parola il Signore vuole farci intendere che la via per raggiungere la gioia è il pianto. Attraverso la desolazione si va verso la consolazione ; infatti, perdendo la propria vita la si trova, rigettandola la si possiede, odiandola la si ama, disprezzandola la si conserva (Mt 16,24s). Se vuoi conoscere te stesso e dominarti, entra dentro di te, e non cercarti all’esterno… Rientra in te stesso, peccatore, rientra là dove sei, nel tuo animo… L’uomo che rientra in se stesso non scoprirà forse di essere lontano, come il figlio prodigo, in una zona discordante, in una terra straniera, dove sta seduto e piange al ricordo di suo padre e della sua patria ? (Lc 15,17)…

« Adamo, dove sei ? » (Gen 3,9). Forse ancora nell’ombra per non veder te stesso ; stai cucendo insieme foglie di vanità per coprire la tua vergogna, guardando ciò che è attorno a te e ciò che è tuo… Guarda dentro di te, guarda te stesso… Rientra dentro di te, peccatore, torna alla tua anima. Vedi e compiangi quell’anima soggetta alla vanità, all’agitazione, che non può liberarsi dalla cattività… È evidente, fratelli: viviamo al di fuori di noi, siamo dimentichi di noi, ogni volta che ci disperdiamo in sciocchezze o distrazioni, ogni volta che ci deliziamo attraverso futilità. Per questo la Sapienza ha sempre a cuore d’invitare a casa del pentimento piuttosto che a casa della baldoria, cioè di richiamare dentro di sè l’uomo che stava al di fuori di sè, dicendo : « Beati gli afflitti » e altrove : « Guai a voi che ora ridete ».

Fratelli, gemiamo al cospetto del Signore, la cui bontà porta a perdonare ; rivolgiamoci a lui « con digiuni, pianti e lamenti » (Gl 2,12) affinché un giorno… le sue consolazioni rallegrino le nostre anime. Beati infatti gli afflitti, non perché piangono, ma perché saranno consolati. Il pianto è la via ; la consolazione è la beatitudine.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 9 septembre, 2009 |Pas de commentaires »

Festa della Natività della Beata Vergine Maria

Festa della Natività della Beata Vergine Maria dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 8 septembre, 2009 |Pas de commentaires »
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