IL TAU E LA SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
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IL TAU E LA SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
Il popolo ebreo, come molte antiche culture, ha progressivamente elaborato una teologia o una complementare interpretazione spirituale adattata a ogni lettera del proprio alfabeto.
Poiché la scrittura ebraica, e di conseguenza l’alfabeto ebraico, non venne formalmente codificata fino a quasi 200 anni dopo la nascita di Cristo, molte lettere erano talvolta tracciate in forme diverse a seconda delle regioni dove vivevano gli ebrei, sia in Israele sia nella « diaspora » in luoghi al di fuori di Israele, prevalentemente nel mondo di lingua greca.
L’ultima lettera dell’alfabeto ebraico rappresentava il compimento dell’intera parola rivelata di Dio. Questa lettera era chiamata TAU (o TAW, pronunciato Tav in ebraico), che poteva essere scritta: /\ X + T. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall’Antico Testamento; se ne parla già nel libro di Ezechiele: «Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono…» (EZ. 9,4).
In questo stesso passo il Profeta Ezechiele raccomanda a Israele di restare fedele a Dio fino alla fine, per essere riconosciuto come simbolicamente segnato con il « sigillo » del TAU sulla fronte quale popolo scelto da Dio fino alla fine della vita. Coloro che rimanevano fedeli erano chiamati il resto di Israele; erano spesso gente povera e semplice, che aveva fiducia in Dio anche quando non riusciva a darsi ragione della lotta e della fatica della propria vita.
Sebbene l’ultima lettera dell’alfabreto ebraico non fosse più a forma di croce, come nelle varianti sopra descritte, i primi scrittori cristiani avrebbero utilizzato, nel commentare la Bibbia, la sua versione greca detta dei « Settanta ». In questa traduzione delle scritture ebraiche (che i cristiani chiamano Antico Testamento), il TAU veniva scritto T.
Con questo stesso senso e valore se ne parla anche nell’Apocalisse (Apoc. 7, 2-3). Il Tau è perciò segno di redenzione. È segno esteriore di quella novità di vita cristiana, più interiormente segnata dal Sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo (Ef 1,13).
Il Tau fu adottato prestissimo dai cristiani per un duplice motivo. Esso, appunto come ultima lettera dell’alfabeto ebraico, era una profezia dell’ultimo giorno ed aveva la stessa funzione della lettera greca Omega, come appare ancora dall’Apocalisse: «Io sono l’Alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente dalla fonte dell’acqua della vita… Io sono l’Alfa e »Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (Apoc. 21,6; 22,13).
Ecco perché per i cristiani il TAU cominciò a rappresentare la croce di Cristo come compimento delle promesse dell’Antico Testamento. La croce, prefigurata nell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, rappresentava il mezzo con cui Cristo ha rovesciato la disobbedienza del vecchio Adamo, diventando il nostro Salvatore come « nuovo Adamo ».
Durante il Medioevo, la comunità religiosa di S. Antonio Eremita, con la quale S. Francesco era familiare, era molto impegnata nell’assistenza ai lebbrosi. Questi uomini usavano la croce di Cristo, rappresentata come il TAU greco, quale amuleto per difendersi dalle piaghe e da altre malattie della pelle. Nei primi anni della sua conversione, Francesco avrebbe lavorato con questi religiosi nella zona di Assisi e sarebbe stato ospite nel loro ospizio presso S. Giovanni in Laterano a Roma. Francesco parlò spesso dell’incontro con Cristo, nascosto sotto l’aspetto di un lebbroso, come del punto di svolta della sua conversione. È quindi fuor di dubbio che Francesco, in seguito, avrebbe adottato e adattato il TAU quale distintivo o firma, combinando l’antico significato della fedeltà per tutta la vita con il comandamento di servire gli ultimi, i lebbrosi del suo tempo.
La simbologia del TAU acquistò un significato ancora più profondo per S. Francesco, dal momento in cui nel 1215 Innocenzo III promosse una grande riforma della Chiesa Cattolica ed egli ascoltò [1] il sermone del Papa in apertura del Concilio Laterano IV, contenente la stessa esortazione del profeta Ezechiele nell’Antico Testamento: « Siamo chiamati a riformare le nostre vite, a stare alla presenza di DIO come popolo giusto. Dio ci riconoscerà dal segno Tau impresso sulle nostre fronti ». L’anziano papa, nel riprendere questo simbolo, avrebbe voluto – diceva – essere lui stesso quell’uomo “vestito di lino, con una borsa da scriba al fianco” e passare personalmente per tutta la Chiesa a segnare un Tau sulla fronte delle persone che accettavano di entrare in stato di vera conversione [Innocenzo III, Sermo VI (PL 217, 673-678)].
Questa immagine simbolica, usata dallo stesso Papa che solo 5 anni prima aveva approvato la nuova comunità di Francesco, venne immediatamente accolta come invito alla conversione. Per questo, grande fu in Francesco l’amore e la fede in questo segno. «Con tale sigillo, San Francesco si firmava ogni qualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche sua lettera» (FF 980); «Con esso dava inizio alle sue azioni» (Fr 1347).
Se Francesco adottò il TAU come sigillo personale, « segno manuale » come si diceva ai suoi suoi tempi e con esso firmava ogni suo scritto, Tommaso da Celano ce ne tramanda un altro uso da parte sua: egli lo tracciava sui muri, sulle porte, e sugli stipiti delle celle. Come non pensare in questo caso, non più soltanto ad Ezechiele, dove si trattava di segnare le fronti con il segno della salvezza, ma al libro dell’Esodo, in cui il segno della salvezza altro non era che il sangue dell’agnello pasquale sull’architrave delle porte? Il Tau era quindi il segno più caro per Francesco, il segno rivelatore di una convinzione spirituale profonda che solo nella croce di Cristo è la salvezza di ogni uomo.
L’affermazione del Celano concernente la scritta del Tau sui muri, è confermata dall’archeologia: al tempo del restauro della cappella di Santa Maddalena a Fonte Colombo fu rinvenuto nel vano di una finestra, dal lato del Vangelo, un Tau, dipinto in rosso, ricoperto poi con una tinta del secolo XV. Questo disegno risale allo stesso san Francesco.
San Francesco d’Assisi faceva riferimento in tutto al Cristo, all’ultimo; per la somiglianza che il Tau ha con la croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita come pure nei gesti. Questo comportamento, tenuto da san Francesco, era rimarchevole in una epoca nella quale tutta una corrente catara o neo-manichea, rifuggiva dallo stesso segno di croce, considerandolo indegno dell’opera redentrice di Dio.
Con le braccia aperte, Francesco spesso diceva ai suoi frati che il loro abito religioso aveva lo stesso aspetto del TAU, intendendo che essi erano chiamati a comportarsi come « crocifissi », testimoni di un Dio compassionevole ed esempi di fedeltà fino alla morte.
Fu per questo che Francesco fu talvolta chiamato “l’angelo del sesto sigillo”: l’angelo che reca, lui stesso, il sigillo del Dio vivente e lo segna sulla fronte degli eletti (cf. Ap 7, 2 s.) e San Bonaventura poté dire dopo la sua morte: « Egli ebbe dal cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi… e di imprimere il Tau sulla fronte di coloro che gemono e piangono » [S. Bonaventura, Legenda maior, 2 (FF, 1022)].
Non possiamo non ricordare la Benedizione per frate Leone, custodita nella sacrestia del Sacro Convento di Assisi. Il ramo verticale del Tau tracciato dalla mano di Francesco, attraversa il nome del frate; e questo è un fatto intenzionale. Ci ricorda l’uso tradizionale all’epoca delle catacombe, in cui spesso appare il Tau un grande evidenza in un nome proprio delle cui lettere non fa nemmeno parte.
Oggi i seguaci di Francesco, laici e religiosi, portano il TAU come segno esterno, come « sigillo » del proprio impegno, come ricordo della vittoria di Cristo sul demonio attraverso il quotidiano amore oblativo. Si tratta del segno distintivo del riconoscimento della loro appartenenza alla famiglia o alla spiritualità francescana. Il Tau non è un feticcio, né tanto meno un ninnolo: esso, segno concreto di una devozione cristiana, è soprattutto un impegno di vita nella sequela del Cristo povero e crocifisso.
Il segno di contraddizione è diventato segno di speranza, testimonianza di fedeltà fino al termine della nostra esistenza terrena.
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