dal sito:
http://www.cristomaestro.it/discepolato/ritratto_discepolo/affidamento_causa.html
Il tema del giudizio e della corretta posizione che il discepolo deve assumere dinanzi all’ingiustizia umana è trattato ai vv. 1-6 del capitolo sette.
E’ molto chiaro l’enunciato generale di partenza: “Non giudicate per non essere giudicati” (v. 1). Ciò implica uno stretto legame tra il giudizio dell’uomo verso l’uomo e il giudizio di Dio. Il versetto successivo, “col giudizio con cui giudicate sarete giudicati” (v. 2), precisa che Dio non applica un criterio “standard” per giudicare gli uomini, ma utilizza lo stesso criterio che l’uomo aveva utilizzato per giudicare il suo prossimo. Il concetto viene poi ripetuto, nella seconda parte del v. 2, con altre parole: “con la misura con la quale misurate sarete misurati”. Il senso è praticamente lo stesso.L’affermazione di partenza, che suona “non giudicare”, viene fondata su un dato antropologico espresso in forma di similitudine: “non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio” (v. 3). L’immagine della trave nell’occhio intende sottolineare innanzitutto i limiti della facoltà umana di giudizio e di valutazione delle cose e delle persone. La “pagliuzza nell’occhio del fratello” suggerisce invece l’idea che, spesso, colui che si sente autorizzato a giudicare ci vede meno, cioè ha la coscienza meno illuminata, della persona che è oggetto del suo giudizio. In realtà, più è illuminata la nostra coscienza e meno siamo portati a giudicare; più cresciamo nella santità cristiana e meno tendiamo a colpevolizzare gli altri in ciò che a noi sembra consista la loro colpa. La tendenza a colpevolizzare gli altri, infatti, non viene dallo Spirito di Dio. Si tratta piuttosto di una assimilazione al ministero di Satana, che accusa “i nostri fratelli giorno e notte” (Ap 12,10). Chi accusa i propri fratelli si comporta quindi come il Maligno e, così facendo, si espone al suo potere.Cosa deve fare, allora, il discepolo quando subisce l’ingiustizia, visto che non può giudicare né può farsi giustizia da sé?Quando l’ingiustizia che si subisce rischia di colpire gli equilibri sociali, allora è lecito agire per vie legali, facendo ricorso all’autorità istituzionale preposta alla custodia della legalità come si vede da Is 28,6, Rm 13,1, Mt 18,17, e ciò vale sia nel campo civile che in quello ecclesiastico. Non è virtù evangelica il fatto di tacere dinanzi a un’ingiustizia che penalizza molte persone. Si può tacere, se si vuole, dinanzi a un’ingiustizia che non penalizza nessuno, se non se stessi. In cose di minore portata, esiste anche la possibilità della correzione fraterna (1 Tm 5,20 e Lc 17,3-4). Se poi colui che ha mancato non vuole ascoltare nessuno, si lascia andare per la sua strada: “sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18,17).Va inoltre precisato che l’esortazione “non giudicare” non equivale a “non discernere”; al contrario, il discepolo riceve da Dio una luce intellettiva per distinguere uomo da uomo. “Non giudicare” significa solo non assumere l’atteggiamento del “giustiziere” in tutti quegli ambiti in cui uno si può sentire ingiustamente penalizzato. Non significa però chiudere gli occhi sul bene e sul male, col rischio di cadere nelle mani di uomini furbi e senza scrupoli, o addirittura di profanare le cose sante, mettendole a portata di mano di chi non ha le giuste disposizioni per riceverle (cfr. 7,6). In questo senso è detto: “Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Il discepolo è tenuto insomma a custodire se stesso, tenendosi lontano dalle situazioni e dalle persone che possono seriamente minacciare il suo cammino. Se è vero che il discepolo è “il sale della terra”, e come tale deve entrare anche in contatto con le situazioni umane di degrado per portarvi la luce di Cristo, è pure vero che non in tutte le fasi del proprio cammino di fede si è abbastanza forti per affrontare i rischi dell’apostolato. Bisogna perciò in primo luogo saper valutare se stessi, secondo l’insegnamento del Maestro in Lc 14,18ss. Ma bisogna anche valutare i destinatari dell’annuncio, perché la Parola di Dio non sia oggetto di scherno e di beffa da parte di uomini superficiali e desiderosi solo di soddisfazioni materiali, secondo l’insegnamento di 2 Tm 2,2: “Le cose che hai udito da me… trasmettile a persone fidate”.