Archive pour le 17 décembre, 2008

L’albero di Jesse, si riferisce al vangelo di Mat 1,1-17…

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http://www.artbible.net/3JC/-Mat-01,01-Genealogy,Tree,Arbre/slides/14%20ENLUMINURE%20WITTERT%20L%20ARBRE%20DE%20JESSE.htmlossia il vangelo di oggi, la storia dell’Albero di Jesse io l’ho trovata solo in inglese (io me la sono tradotta con Google), vi metto il link:

http://www.cresourcei.org/jesse.html

di Sandro Magister : Avvento in musica. Sette antifone tutte da riscoprire

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/213008

Avvento in musica. Sette antifone tutte da riscoprire


Si cantano una al giorno, al Magnificat dei vespri. Sono molto antiche e ricchissime di riferimenti alle profezie del Messia. Le loro iniziali formano un acrostico. Eccole trascritte, con la chiave di lettura

di Sandro Magister 

ROMA, 17 dicembre 2008 – Da oggi fino all’antivigilia di Natale, al Magnificat dei vespri di rito romano si cantano sette antifone, una per giorno, che cominciano tutte con un’invocazione a Gesù, pur mai chiamato per nome.

Questo settenario è molto antico, risale al tempo di papa Gregorio Magno, attorno al 600. Le antifone sono in latino e si ispirano a testi dell’Antico Testamento che annunciano il Messia.

All’inizio di ciascuna antifona, nell’ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell’originale latino: Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel.

Lette a partire dall’ultima, le iniziali latine di queste parole formano un acrostico: « Ero cras », cioè: « [Ci] sarò domani ». Sono l’annuncio del Signore che viene. L’ultima antifona, che completa l’acrostico, si canta il 23 dicembre. E l’indomani, con i primi vespri, comincia la festività del Natale.

A trarre queste antifone fuori dall’oblio è stata, inaspettatamente, « La Civiltà Cattolica », la rivista dei gesuiti di Roma che si stampa con il previo controllo della segreteria di stato vaticana.

Inusitato anche il posto d’onore dato all’articolo che illustra le sette antifone, scritto da padre Maurice Gilbert, direttore della sede di Gerusalemme del Pontificio Istituto Biblico. L’articolo apre il quaderno prenatalizio della rivista, dove di solito c’è l’editoriale.

Nell’articolo, padre Gilbert illustra ad una ad una le antifone. Ne mostra i ricchissimi riferimenti ai testi dell’Antico Testamento. E fa rimarcare una particolarità: le ultime tre antifone – quelle del « Ci sarò » dell’acrostico – comprendono alcune espressioni che si spiegano unicamente alla luce del Nuovo Testamento.

L’antifona « O Oriens » del 21 dicembre include un chiaro riferimento al cantico di Zaccaria nel capitolo primo del Vangelo di Luca, il « Benedictus »: « Ci visiterà un sole che sorge dall’alto per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte ».

L’antifona « O Rex » del 22 dicembre include un passaggio dell’inno a Gesù del capitolo secondo della lettera di Paolo agli Efesini: « Colui che di due [cioè di ebrei e pagani] ha fatto una cosa sola ».

L’antifona « O Emmanuel » del 23 dicembre si conclude infine con l’invocazione « Dominus Deus noster »: un’invocazione esclusivamente cristiana poiché soltanto i seguaci di Gesù riconoscono nell’Emmanuele il loro Signore Dio.

Ecco dunque qui di seguito i testi integrali delle sette antifone, in latino e tradotte, con evidenziate le iniziali che formano l’acrostico « Ero cras » e con tra parentesi i principali riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento:

I – 17 dicembre

O SAPIENTIA, quae ex ore Altissimi prodiisti,
attingens a fine usque ad finem fortiter suaviterque disponens omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.

O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo (Siracide 24, 5),
ti estendi ai confini del mondo e tutto disponi con forza e dolcezza (Sapienza 8, 1):
vieni a insegnarci la via della saggezza (Proverbi 9, 6).

II – 18 dicembre

O ADONAI, dux domus Israel,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extenso.

O Signore (Esodo 6, 2 Vulgata), guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco di fiamma del roveto (Esodo 3, 2) e sul monte Sinai gli hai dato la legge (Esodo 20):
vieni a liberarci con braccio potente (Esodo 15, 12-13).

III – 19 dicembre

O RADIX Iesse, qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos, iam noli tardare.

O Germoglio di Iesse, che ti innalzi come segno per i popoli (Isaia 11, 10),
tacciono davanti a te i re della terra (Isaia 52, 15) e le nazioni ti invocano:
vieni a liberarci, non tardare (Abacuc 2, 3).

IV – 20 dicembre

O CLAVIS David et sceptrum domus Israel,
qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit:
veni et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis.

O Chiave di Davide (Isaia 22, 22), scettro della casa d’Israele (Genesi 49. 10),
che apri e nessuno può chiudere; chiudi e nessuno può aprire:
vieni, libera dal carcere l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Salmo 107, 10.14).

V – 21 dicembre

O ORIENS, splendor lucis aeternae et sol iustitiae:
veni et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis.

O Astro che sorgi (Zaccaria 3, 8; Geremia 23, 5), splendore della luce eterna (Sapienza 7, 26) e sole di giustizia (Malachia 3, 20):
vieni e illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte (Isaia 9, 1; Luca 1, 79).

VI – 22 dicembre

O REX gentium et desideratus earum,
lapis angularis qui facis utraque unum:
veni et salva hominem quel de limo formasti.

O Re delle genti (Geremia 10, 7), atteso da tutte le nazioni (Aggeo 2, 7),
pietra angolare (Isaia 28, 16) che riunisci ebrei e pagani in uno (Efesini 2, 14):
vieni, e salva l’uomo che hai formato dalla terra (Genesi 2, 7).

VII – 23 dicembre

O EMMANUEL, rex et legifer noster,
expectatio gentium et salvator earum:
veni ad salvandum nos, Dominus Deus noster.

O Emmanuele (Isaia 7, 14), nostro re e legislatore (Isaia 33, 22),
speranza e salvezza dei popoli (Genesi 49, 10; Giovanni 4, 42):
vieni a salvarci, o Signore nostro Dio (Isaia 37, 20).

Riflessione di Benedetto XVI sul mistero del Natale

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16545?l=italian

Riflessione di Benedetto XVI sul mistero del Natale

Intervento in occasione dell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 17 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale svoltasi nell’aula Paolo VI.

Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre si è soffermato sul mistero del Natale ormai prossimo.

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Iniziano proprio oggi i giorni dell’Avvento che ci preparano immediatamente al Natale del Signore: siamo nella Novena di Natale che in tante comunità cristiane viene celebrata con liturgie ricche di testi biblici, tutti orientati ad alimentare l’attesa per la nascita del Salvatore. La Chiesa intera in effetti concentra il suo sguardo di fede verso questa festa ormai vicina predisponendosi, come ogni anno, ad unirsi al cantico gioioso degli angeli, che nel cuore della notte annunzieranno ai pastori l’evento straordinario della nascita del Redentore, invitandoli a recarsi nella grotta di Betlemme. Là giace l’Emmanuele, il Creatore fattosi creatura, avvolto in fasce e adagiato in una povera mangiatoia (cfr Lc 2,13-14).

Per il clima che lo contraddistingue, il Natale è una festa universale. Anche chi non si professa credente, infatti, può percepire in questa annuale ricorrenza cristiana qualcosa di straordinario e di trascendente, qualcosa di intimo che parla al cuore. E’ la festa che canta il dono della vita. La nascita di un bambino dovrebbe essere sempre un evento che reca gioia; l’abbraccio di un neonato suscita normalmente sentimenti di attenzione e di premura, di commozione e di tenerezza. Il Natale è l’incontro con un neonato che vagisce in una misera grotta. Contemplandolo nel presepe come non pensare ai tanti bambini che ancora oggi vengono alla luce in una grande povertà, in molte regioni del mondo? Come non pensare ai neonati non accolti e rifiutati, a quelli che non riescono a sopravvivere per carenza di cure e di attenzioni? Come non pensare anche alle famiglie che vorrebbero la gioia di un figlio e non vedono colmata questa loro attesa? Sotto la spinta di un consumismo edonista, purtroppo, il Natale rischia di perdere il suo significato spirituale per ridursi a mera occasione commerciale di acquisti e scambi di doni! In verità, però, le difficoltà, le incertezze e la stessa crisi economica che in questi mesi stanno vivendo tantissime famiglie, e che tocca l’intera l’umanità, possono essere uno stimolo a riscoprire il calore della semplicità, dell’amicizia e della solidarietà, valori tipici del Natale. Spogliato delle incrostazioni consumistiche e materialistiche, il Natale può diventare così un’occasione per accogliere, come regalo personale, il messaggio di speranza che promana dal mistero della nascita di Cristo.

Tutto questo però non basta per cogliere nella sua pienezza il valore della festa alla quale ci stiamo preparando. Noi sappiamo che essa celebra l’avvenimento centrale della storia: l’Incarnazione del Verbo divino per la redenzione dell’umanità. San Leone Magno, in una delle sue numerose omelie natalizie, così esclama: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura. Perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso, all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Homilia XXII). Su questa verità fondamentale ritorna più volte san Paolo nelle sue lettere. Ai Galati, ad esempio, scrive: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge…perché ricevessimo l’adozione a figli» (4,4). Nella Lettera ai Romani evidenzia le logiche ed esigenti conseguenze di questo evento salvifico: «Se siamo figli (di Dio), siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (8,17). Ma è soprattutto san Giovanni, nel Prologo del quarto Vangelo, a meditare profondamente sul mistero dell’Incarnazione. Ed è per questo che il Prologo fa parte della liturgia del Natale fin dai tempi più antichi: in esso si trova infatti l’espressione più autentica e la sintesi più profonda di questa festa e del fondamento della sua gioia. San Giovanni scrive: «Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis / E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

A Natale dunque non ci limitiamo a commemorare la nascita di un grande personaggio; non celebriamo semplicemente ed in astratto il mistero della nascita dell’uomo o in generale il mistero della vita; tanto meno festeggiamo solo l’inizio della nuova stagione. A Natale ricordiamo qualcosa di assai concreto ed importante per gli uomini, qualcosa di essenziale per la fede cristiana, una verità che san Giovanni riassume in queste poche parole: « il Verbo si è fatto carne ». Si tratta di un evento storico che l’evangelista Luca si preoccupa di situare in un contesto ben determinato: nei giorni in cui fu emanato il decreto per il primo censimento di Cesare Augusto, quando Quirino era già governatore della Siria (cfr Lc 2,1-7). E’ dunque in una notte storicamente datata che si verificò l’evento di salvezza che Israele attendeva da secoli. Nel buio della notte di Betlemme si accese, realmente, una grande luce: il Creatore dell’universo si è incarnato unendosi indissolubilmente alla natura umana, sì da essere realmente « Dio da Dio, luce da luce » e al tempo stesso uomo, vero uomo. Quel che Giovanni, chiama in greco « ho logos » – tradotto in latino « Verbum » e in italiano « il Verbo » – significa anche « il Senso ». Quindi potremmo intendere l’espressione di Giovanni così: il « Senso eterno » del mondo si è fatto tangibile ai nostri sensi e alla nostra intelligenza: ora possiamo toccarlo e contemplarlo (cfr 1Gv 1,1). Il « Senso » che si è fatto carne non è semplicemente un’idea generale insita nel mondo; è una « Parola » rivolta a noi. Il Logos ci conosce, ci chiama, ci guida. Non è una legge universale, in seno alla quale noi svolgiamo poi qualche ruolo , ma è una Persona che si interessa di ogni singola persona: è il Figlio del Dio vivo, che si è fatto uomo a Betlemme.

A molti uomini, ed in qualche modo a noi tutti, questo sembra troppo bello per essere vero. In effetti, qui ci viene ribadito: sì, esiste un senso, ed il senso non è una protesta impotente contro l’assurdo. Il Senso ha potere: è Dio. Un Dio buono, che non va confuso con un qualche essere eccelso e lontano, a cui non ci sarebbe mai dato di arrivare, ma un Dio che si è fatto nostro prossimo e ci è molto vicino, che ha tempo per ciascuno di noi e che è venuto per rimanere con noi. E’ allora spontaneo domandarsi: « E’ mai possibile una cosa del genere? E’ cosa degna di Dio farsi bambino? ». Per cercare di aprire il cuore a questa verità che illumina l’intera esistenza umana, occorre piegare la mente e riconoscere la limitatezza della nostra intelligenza. Nella grotta di Betlemme, Dio si mostra a noi umile « infante » per vincere la nostra superbia. Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza; ma Lui non vuole la nostra resa; fa piuttosto appello al nostro cuore e alla nostra libera decisione di accettare il suo amore. Si è fatto piccolo per liberarci da quell’umana pretesa di grandezza che scaturisce dalla superbia; si è liberamente incarnato per rendere noi veramente liberi, liberi di amarlo.

Cari fratelli e sorelle, il Natale è un’opportunità privilegiata per meditare sul senso e sul valore della nostra esistenza. L’approssimarsi di questa solennità ci aiuta a riflettere, da una parte, sulla drammaticità della storia nella quale gli uomini, feriti dal peccato, sono perennemente alla ricerca della felicità e di un senso appagante del vivere e del morire; dall’altra, ci esorta a meditare sulla bontà misericordiosa di Dio, che è venuto incontro all’uomo per comunicargli direttamente la Verità che salva, e per renderlo partecipe della sua amicizia e della sua vita. Prepariamoci, pertanto, al Natale con umiltà e semplicità, disponendoci a ricevere in dono la luce, la gioia e la pace, che da questo mistero si irradiano. Accogliamo il Natale di Cristo come un evento capace di rinnovare oggi la nostra esistenza. L’incontro con il Bambino Gesù ci renda persone che non pensano soltanto a se stesse, ma si aprono alle attese e alle necessità dei fratelli. In questa maniera diventeremo anche noi testimoni della luce che il Natale irradia sull’umanità del terzo millennio. Chiediamo a Maria Santissima, tabernacolo del Verbo incarnato, e a san Giuseppe, silenzioso testimone degli eventi della salvezza, di comunicarci i sentimenti che essi nutrivano mentre attendevano la nascita di Gesù, in modo che possiamo prepararci a celebrare santamente il prossimo Natale, nel gaudio della fede e animati dall’impegno di una sincera conversione.

Buon Natale a tutti!

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno autumn-leaves-2

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 17 décembre, 2008 |Pas de commentaires »

Ruperto di Deutz: « Sarano benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra » (Gen 28,14)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/17/2008#

Ruperto di Deutz (circa 1075-1130), monaco benedettino
De Divinis Officiis, 3, 18

« Sarano benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra » (Gen 28,14)

Ci viene letta la genealogia di Cristo nel vangelo di san Matteo. Questo uso, tradizionale nella santa Chiesa, è ricca di motivi belli e misteriosi. In verità infatti, questa lettura ci presenta la scala che di notte vide Giacobbe, durante il sonno (Gen 28,11s). In cima a questa scala che raggiungeva il cielo, il Signore appoggiato su di essa apparve a Giacobbe e gli promise in eredità la terra… Ora, lo sappiamo, «tutte queste cose accaddero a loro come esempio» (1 Cor 10,11). Cosa dunque prefigurava questa scala se non la stirpe dalla quale Gesù Cristo sarebbe dovuto nascere, stirpe che il santo evangelista, per bocca divina, ha fatto elevarsi in modo che raggiungesse Cristo passando attraverso Giuseppe? Su Giuseppe, il Signore bambino è appoggiato. Per la «porta del cielo» (Gen 28,17)… cioè per la Beata Vergine, il nostro Signore fattosi per noi bambino, esce piangendo. Nel suo sonno, Giacobbe ha udito il Signore dirgli: «Per la tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra», e ora questo fatto è adempiuto nella nascità di Cristo.

Proprio questo aveva in vista l’evangelista, quando inseriva nominalmente nella sua genealogia Racab la prostituta e Rut la moabita; vedeva bene infatti che Cristo non era venuto nella carne per i soli giudei, ma anche per i pagani, lui che si è degnato di ricevere delle pagane tra i suoi antenati. Venuti dunque da tutti e due popoli, cioè dai giudei e dai pagani, come dai due lati della scala, gli antichi padri, posti ai differenti gradi, sostengono Cristo Signore che esce dall’alto del cielo. E tutti i santi angeli scendono e salgono lungo questa scala, e tutti gli eletti sono presi nel moto di discesa, per ricevere umilmente la fede nell’incarnazione del Signore, e sono poi elevati per contemplare la gloria della sua divinità.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 17 décembre, 2008 |Pas de commentaires »

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