oggi: La Madonna di Loreto (mf)

dal sito:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/210128
Quelle tre o quattro cose forti che il sinodo sulla « Parola di Dio » ha lasciato in eredità
La prima è che il cristianesimo non è una « religione del libro » ma si identifica in una persona. La seconda è che la Bibbia non è solo passato ma è anche presente e futuro. La terza è che l’esegesi non può fare a meno della teologia, e viceversa… Il bilancio del sinodo nel taccuino di un osservatore speciale
di Sandro Magister
ROMA, 9 dicembre 2008 – A sette settimane dalla sua chiusura, il sinodo dei vescovi tenuto a Roma in ottobre su « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa » sembra quasi non aver lasciato traccia.
Le 55 proposizioni finali sono state consegnate al papa e provvederà lui a darvi corso, nell’esortazione postsinodale che egli promulgherà tra un anno o anche più.
Quanto al messaggio rivolto dal sinodo al « popolo di Dio » al termine dell’assise, è caduto subito nel dimenticatoio. A differenza dei messaggi finali dei precedenti sinodi, questo era scritto con stile più comunicativo. Tradiva la mano sapiente del suo principale estensore, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura e biblista di fama mondiale. Ma la sua lunghezza spropositata ne ha reso difficile il rilancio da parte dei media cattolici di tutto il mondo. E di conseguenza ha impedito che divenisse oggetto di lettura e di riflessione da parte di un consistente numero di vescovi, preti e fedeli.
Ciò non toglie, però, che il sinodo che si è tenuto lo scorso ottobre sulla Parola di Dio possa avere effetti importanti e di lunga durata sulla vita della Chiesa. A condizione che i circa 250 vescovi che vi hanno partecipato sappiano raccoglierne le indicazioni e parteciparle ai rispettivi episcopati e Chiese nazionali.
Ma, appunto, quali sono le indicazioni maggiori che il sinodo ha dato? Quali le linee maestre lungo le quali tradurlo in pratica?
Sul sinodo si è scritto molto. Ma rare sono state le valutazioni sintetiche. Qui di seguito ne è riportata una delle più interessanti e acute. È apparsa su « L’Osservatore Romano » del 27 novembre ed è stata scritta non da un padre sinodale ma da un osservatore esterno, un professore di teologia del Boston College, sacerdote della diocesi di New York, padre Robert Imbelli.
Per tutta la durata del sinodo padre Imbelli ha alloggiato, a Roma, al Collegio Capranica, avendo modo di incontrare quotidianamente vari padri sinodali, e di seguirne i lavori.
Il 14 ottobre egli ha avuto anche la possibilità di entrare nell’aula del sinodo e di assistere a una seduta. Per fortunata combinazione, quello fu il giorno in cui Benedetto XVI prese la parola, pronunciando un intervento di straordinaria importanza.
Ecco dunque che cosa il nostro osservatore ha ricavato dal suo soggiorno romano:
Riflessioni sul sinodo
di Robert Imbelli
Godendo di un anno sabbatico come docente di teologia al Boston College, ho voluto essere presente a Roma durante il sinodo dei vescovi dedicato a un più profondo apprezzamento e a una rinnovata affermazione della « Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ». Pochi altri argomenti, infatti, sono così fondamentali dal punto di vista teologico e pertinenti da quello pastorale. [...]
La mia prima forte impressione è che il sinodo sia stato una profonda esperienza ecclesiale, in primo luogo, com’è ovvio, per i partecipanti, ma sperabilmente, tramite loro e i resoconti dei media, per l’intera Chiesa cattolica. Vescovi e teologi, laici e preti, donne e uomini, come pure rappresentanti di altre comunità cristiane hanno condiviso tre intense settimane. Si sono reciprocamente arricchiti attraverso le loro esperienze, idee, opinioni e interessi. Lo hanno fatto formalmente con dichiarazioni e dibattiti svoltisi in gruppi linguistici più piccoli. Tuttavia lo hanno fatto anche in maniera informale durante le pause per il caffè o i pasti. La Parola di Dio si è riflessa nelle numerose parole della famiglia umana, mostrando la sua variegata ricchezza e forza trasformatrice: « suaviter et fortiter »
Una delle idee più cruciali emerse nel corso del sinodo è stata la necessità di comprendere le multiformi dimensioni della Parola di Dio. Nel linguaggio dei teologi questo è un concetto « analogo ». La Parola di Dio non si può semplicemente identificare con le Sacre Scritture. Queste sono le testimoni privilegiate della Parola di Dio, ma quest’ultima trascende persino la sua incarnazione biblica.
Infatti, in definitiva, la Parola di Dio è una Persona. È Gesù Cristo stesso l’incarnazione piena e definitiva della Parola di Dio. A questo proposito nessun verso biblico è più importante di questo del Vangelo di Giovanni: « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (1, 14). In Gesù Cristo, nella sua vita, morte e resurrezione, la Rivelazione di Dio trova la sua espressione perfetta e ottiene la riconciliazione del mondo.
Significativamente, questo riconoscimento nutrito di fede implica che il cristianesimo può essere definito solo impropriamente una « religione del libro ». Per quanto la testimonianza biblica di Gesù sia preziosa e indispensabile, il cristianesimo è più precisamente la « religione della persona »: la persona di Gesù Cristo che chiama tutti alla comunione personale col Padre, attraverso lui.
Un’ulteriore conseguenza, rilevata da numerosi vescovi, è che Gesù Cristo offre ai cristiani la « chiave ermeneutica » per comprendere le Scritture. La Bibbia non è una raccolta disparata di libri del mondo antico. Essa trova in Gesù il suo « principium »: il suo principio interpretativo perché, in quanto Parola di Dio, egli è anche la sua origine e il suo obiettivo.
Dalla « relatio » di apertura del cardinale Ouellet, passando per l’intervento del papa, fino alle proposizioni conclusive presentate al Santo Padre, questo riconoscimento ha portato a insistere sulla necessità di utilizzare vari metodi di interpretazione delle Scritture. Il metodo cosiddetto storico-critico è indispensabile, perché la Parola di Dio è veramente entrata nella storia umana: nata durante il regno di Cesare Augusto e crocifissa sotto Ponzio Pilato. Come ha affermato il Santo Padre: « La storia della salvezza non è mitologia, ma vera storia, ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica ».
Per lo stesso motivo un metodo esclusivamente storico-critico presenta forti limiti. La Parola di Dio, alla quale la Bibbia reca testimonianza, chiaramente trascende la dimensione storica per accogliere il piano di Dio per il mondo. La Bibbia non è solo relegata al passato, ma sfida il presente e apre a un compimento futuro.
Quindi l’approccio storico-critico deve essere accompagnato da un approccio teologico-spirituale che affermi l’unità delle Scritture e riconosca che, attraverso il mistero pasquale di Cristo, lo Spirito Santo si è effuso ed ha avuto inizio la nuova creazione.
Di conseguenza, il contesto proprio e privilegiato per ascoltare la Parola di Dio è la liturgia della Chiesa, in special modo l’Eucaristia. In essa si compie l’unità dei Testamenti e si celebra la presenza del Cristo vivo, che svela il significato delle Scritture. In essa diviene chiaro che è in seno alla comunità di fede e alla sua tradizione che la Parola di Dio continua a nutrire il popolo di Dio in ogni epoca fino al ritorno del Signore nella gloria.
Da questo punto di vista il sinodo ci ha lanciato due sfide urgenti. La prima è che tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad appropriarsi in modo disciplinato della Parola di Dio nella loro vita quotidiana, facendosi da essa guidare e sostenere. Da qui sono derivate le frequenti esortazioni del sinodo allo sviluppo e alla diffusione di una lettura spirituale della Bibbia che vada oltre il nome generico di « lectio divina ». Sebbene siano necessari modalità e metodi differenti per soddisfare le esigenze dei diversi interlocutori e delle diverse situazioni culturali, un requisito permanente è la necessità per tutti, soprattutto per quanti sono immersi in culture occidentali spesso frenetiche, di acquisire familiarità con il silenzio. Solo con un silenzio vigile possiamo udire la Parola di Dio con rinnovato vigore.
La seconda sfida è il bisogno urgente di compiere sforzi creativi per ricreare i vincoli fra esegesi e teologia sistematica, oppure, più concretamente, fra esegeti e teologi. Questo è particolarmente difficile nel contesto attuale delle università, così protese a una ricerca specialistica che spesso separa invece di unire. Ciononostante, si tratta di un imperativo. Come afferma il Santo Padre nel suo intervento al sinodo: « Dove l’esegesi non è teologica, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento ».
* * *
Un altro argomento che ha suscitato grande interesse al sinodo è stato quello della predicazione. I vescovi sanno bene che la Parola di Dio deve essere spezzata e condivisa con il popolo di Dio, proprio come il pane eucaristico. È evidente che ciò assume forme diverse secondo l’età e la formazione degli uditori, ma una caratteristica comune che scaturisce dalla meditazione sulla Parola di Dio nella sua realtà trascendente è che le omelie dovrebbero essere « mistagogiche », vale a dire condurre l’assemblea a un incontro vivificante con Gesù Cristo, vera Parola incarnata.
Penso che il Papa stesso offra una guida preziosa all’arte di questa predicazione mistagogica. Le sue omelie, così attente alla situazione concreta e alle sensibilità di coloro a cui si rivolgono, cercano sempre di promuovere un rinnovato apprezzamento dell’altezza, dell’ampiezza, della lunghezza e della profondità dell’amore di Cristo per il suo corpo, la Chiesa, e, attraverso di essa, per il mondo intero. Benedetto XVI, nelle sue omelie, mira a introdurre quanti lo ascoltano nel mistero pasquale di Cristo, in cui essi non sono meri osservatori, ma partecipanti.
Questa predicazione mistagogica è in sé potenziata e rafforzata dalla qualità estetica del luogo in cui si compie. Questo tema è emerso spesso al sinodo, ma ha avuto un’importanza particolare nello storico discorso del patriarca ecumenico Bartolomeo I. Nella fede incarnazionale della Chiesa, la Parola di Dio non solo viene udita, ma anche vista. È mediata da icone e immagini. Bartolomeo ha detto delle icone: « Ci incoraggiano a cercare lo straordinario dell’ordinario ».
È stato quindi provvidenziale che, svolgendosi il sinodo in Vaticano, si sia organizzata a Roma, nello splendido spazio espositivo delle Scuderie del Quirinale, una magnifica mostra dell’artista veneziano del primo Rinascimento Giovanni Bellini (1435-1516). Nelle sue meravigliose raffigurazioni della Madonna col Bambino, della crocifissione e della risurrezione di Cristo, lo straordinario e l’ordinario si integrano in modo affascinante, l’uno gettando luce sull’altro. O meglio, la luce di Cristo trasfigura tutto, rivelando l’autentica dignità e il vero destino dell’ordinario.
I dipinti del Bellini, fortemente influenzati dalla tradizione iconica orientale, fanno da splendido commento alla Parola incarnata di Dio, unendo indissolubilmente la lettera e lo spirito. Di fronte a molti suoi dipinti ciascuno può sostare e praticare la « lectio divina », attingendo dalla loro grazia e bellezza acqua per anime assetate.
* * *
Alla fine del sinodo, un vescovo mio amico ha osservato che, a suo parere, esso ha rappresentato da parte della Chiesa una « ricezione » nuova e più profonda della costituzione del Vaticano II sulla divina rivelazione, « Dei Verbum ». Se quel vescovo ha ragione, e penso di sì, questo è un momento di grande significato. Infatti, delle quattro costituzioni, vale a dire dei più importanti documenti del Concilio, la « Dei Verbum » è forse la meno apprezzata e studiata, sebbene sia assolutamente fondamentale.
Nella sua « relatio » di apertura del sinodo, il cardinale Ouellet ha detto molto. Ha parlato della rinnovata comprensione, nella « Dei Verbum », della rivelazione divina come « dinamica e dialogica ». Tuttavia ha ammesso che il documento non è stato « recepito a sufficienza » e non ha ancora dato i frutti sperati.
Quando ci si chiede come questo sia potuto accadere, un possibile indizio è offerto più avanti proprio dal cardinale Ouellet nella sua « relatio », là dove afferma, in modo un po’ provocatorio, che « l’ecclesiocentrismo è estraneo alla riforma del Concilio ». In effetti, è possibile che troppi dibattiti e contrasti conciliari siano stati eccessivamente ecclesiocentrici. Non abbiamo forse avuto la tendenza a dimenticare che Cristo, non la Chiesa, è la luce del mondo (« Lumen gentium »)? Nel sottolineare la necessità della « partecipatio actuosa » alla liturgia, non ci siamo forse accontentati di leggerla solo in termini di funzioni liturgiche da compiere invece che come chiamata a penetrare più in profondità nel mistero pasquale di Cristo? A volte, la legittima insistenza sul ruolo dell’assemblea nell’azione liturgica non ha forse messo in ombra il soggetto primario che è Cristo che si offre al Padre e abilita il popolo di Dio a condividere il suo unico perfetto sacrificio?
La riforma del Concilio è cristocentrica, non ecclesiocentrica. Solo attraverso Cristo la Chiesa è introdotta nella comunione della santissima Trinità che è vita eterna. È questo il cuore del messaggio della « Dei Verbum » e il sinodo da poco conclusosi ci offre la possibilità provvidenziale di ricevere nuovamente questo Vangelo salvifico.
Molto spesso, dopo il Concilio, ci siamo sentiti dire che dovevamo « appropriarci » della Tradizione della Chiesa, che dovevamo farla nostra. Tuttavia, a un livello più profondo ed esigente sarebbe meglio dire: dobbiamo noi far sì che la Tradizione si appropri di noi e consenta alla Parola di Dio di trasformarci. Questo farsi possedere quotidianamente dalla Parola è la vita della Chiesa ed è l’unica base credibile per la sua missione.
un’altra storia a questa pagina
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90946
su questo sito, in francese c’è un’altra storia di Juan Diego, ci sono anche delle immagini molto significative:
dal sito:
http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/San%20Juan%20Diego.htm
San Juan Diego
l’indio che vide la Madonna
Juan Diego: La santità di un umile indio
Alla fine di luglio, di ritorno dal suo viaggio in Canada, Giovanni Paolo II ha in programma una tappa al Santuario della Madonna di Guadalupe a Città del Messico, per la canonizzazione del Beato Juan Diego Cuauhtlatoatzin, l’indio messicano che in quel luogo ebbe le apparizioni della Madonna nel dicembre 1531.
Juan Diego, è vissuto tra il 1400 e il 1500, in un tempo tanto lontano da noi, ma che, per la sua bontà, semplicità potrebbe essere un comune individuo di ogni tempo.
Contadino, proprietario di un piccolo appezzamento di terreno che coltivava per vivere, sposo felice, padre di famiglia, per 57 anni aveva condotto un’esistenza anonima e monotona, priva di qualsiasi evento straordinario e poi, all’improvviso, divenne protagonista di una storia meravigliosa.
Juan Diego era nato a Cuauhtitlan, piccolo villaggio alla periferia dell’odierna Città di Messico, nel 74. Si era sposato giovane con una ragazza di nome Malintzin, ed aveva avuto dei figli. Nel 1521 quelle terre erano state conquistate dai soldati spagnoli. Al seguito dei « conquistadores » erano arrivati anche nove frati francescani che avevano iniziato a far conoscere il Vangelo e la religione cristiana al popolo atzeco.
Fino a quel momento, Cuauhtiatòhuac (= Colui che parla come un’aquila ») e sua moglie Malintzin erano vissuti osservando la religione azteca. Ma appena sentirono parlare del Vangelo di Gesù furono tra i primi ad abbracciarla.
Furono battezzati nel 1524 con i nomi di Juan Diego e di Maria Lucia. La donna morì nel 1529. Juan, rimasto vedovo, condusse un’esistenza tutta dedita al lavoro nei campi, alla preghiera e all’assistenza di uno zio ammalato, Juan Bernardino, anche lui convertitosi al cristianesimo,
La mattina del giorno 9 dicembre 1531 era sabato. E come ogni sabato, Juan Diego si alzò molto presto per andare a Tlatilolco, il centro abitato più importante della zona, dove si trovava la sede dei missionari, per ascoltare la Messa e poi seguire la catechesi.
Quando giunse nei pressi del colle chiamato Tepeyac, albeggiava. Udì allora, sul colle, un canto meraviglioso di uccelli rari. Si fermò meravigliato ad ascoltare, cercando di individuare da dove proveniva. All’improvviso il canto si interruppe e tutto intorno si fece un profondo silenzio. Allora l’indio sentì una voce di donna che lo chiamava per nome, con dolcezza: « Juanito, Juan Dieguito ». Appena giunto sulla sommità, vide una giovane signora, che stava lì in piedi e lo invitava ad avvicinarsi. Juan fu colpito dall’aspetto di quella fanciulla. Intuì di essere alla presenza di un essere soprannaturale e si prostrò. La giovane disse: « Ascolta. Juanito, mio povero figlio amatissimo, dove sei diretto? ». Juan risponde che stava andando alla chiesa per la Messa e la catechesi. E lei gli disse: « Sappi che io sono la Perfetta sempre Vergine Santa Maria, la madre del verissimo e unico Dio, di Colui che è l’autore della vita, del Creatore degli uomini, di Colui nel quale tutte le cose sussistono, del Signore del cielo, del padrone della terra. Desidero ardentemente che in questo luogo venga costruita la mia piccola casa sacra, mi venga eretto un tempio… Qui ascolterò il vostro pianto e i vostri lamenti. Mi prenderò a cuore e curerò tutte le vostre numerose pene, le vostre miserie, i vostri dolori per porvi rimedio. E perché si possa realizzare quanto il mio amore misericordioso desidera, recati al palazzo del vescovo a Città del Messico e digli che io ti mando per rivelargli quanto desidero, e cioè, che mi provveda qui una casa… Gli racconterai tutto ciò che hai visto e ammirato e ciò che hai udito ».
Juan Diego corse a Città di Messico per eseguire l’ordine ricevuto. TI vescovo era Juan de Zumarraga, un francescano spagnolo, nominato vescovo nel 1527 da Carlo V e primo vescovo cattolico della storia del Messico. Era un uomo torte e coraggioso.
Ricevuto dal vescovo, Juan Diego gli raccontò quanto era accaduto quella mattina stessa. Il vescovo lo lasciò parlare ma non gli diede credito. Congedandolo gli disse: »Figlio mio, torna un’altra volta, intanto rifletterò meglio su ciò che mi hai riferito ».
Juan rimase male. Non era riuscito a realizzare il compito che gli era stato affidato.
Tornò verso casa triste e deluso. Giunto ai piedi del colle Tepeyac, vide di nuovo quella meravigliosa creatura che era lì ad aspettarlo. Sfogò con lei la propria amarezza per non essere riuscito a convincere il vescovo e chiese di essere esonerato da quel compito, dichiarandosene indegno e incapace ad eseguirlo. Ma la Vergine gli disse che aveva piena fiducia in lui e gli ordinò di tornare dal vescovo a rinnovare la richiesta.
La mattina dopo era domenica. Dopo aver ascoltato la Messa, Juan tornò dal vescovo e gli ripeté le richieste della Madonna. Il vescovo questa volta gli fece molte domande, ma alla fine rimase scettico e congedò l’indio dicendogli che portasse delle prove concrete e non solo delle parole. Juan se ne andò ancora triste e amareggiato. Il vescovo diede ordine ad alcuni suoi servi di pedinarlo, ma lo persero di vista proprio mentre si avvicinava al colle delle apparizioni. E mentre essi, tornavano indietro, Juan incontrò di nuovo la Vergine. Riferì le parole del vescovo e la sua richiesta di un segno. Chiese ancora di essere esonerato da quel compito, ma la Vergine gli rispose che il giorno successivo gli avrebbe dato il segno richiesto.
Juan era frastornato. Non se la sentiva più di tornare dal vescovo del quale aveva una grande soggezione. Il giorno dopo suo zio anziano, Juan Bernardino, che era ammalato, si aggravò. Diego dovette andare alla ricerca di un medico che, dopo aver visitato l’ammalato, disse che sarebbe morto entro breve tempo. Per tutta la giornata di lunedì, Juan assistette lo zio. Durante la notte, questi chiese di poter confessarsi e ricevere il viatico.
Al mattino presto Juan partì per Tlatilolco per chiamare un sacerdote. temendo di incontrare la misteriosa Signora ai piedi del colle di Tepeyac, fece un’altra strada. Ma ad un certo punto ecco la Signora lì, davanti a lui. Gli chiese come mai avesse tanta fretta. « Mio zio sta morendo », disse Juan Diego « ha bisogno di un confessore ».
La Signora lo rassicurò, gli disse che lo zio era già guarito, e lo invitò a salire sulla sommità del colle per cogliere i fiori che vi avrebbe trovati e di portarli subito al vescovo.
Juan si avviò verso il monte camminando di malavoglia. Conosceva bene quel luogo brullo, pieno di pietre e cardi. La cima era a oltre 2000 metri, e in quella stagione, dicembre, la temperatura non favoriva certo lo sbocciare dei fiori.
Obbedì tuttavia, per compiacere la Signora, e quando fu sul colle, con grande meraviglia vide dei fiori stupendi, freschi come se fossero appena sbocciati. Li raccolse nella sua tilma (= mantello) e corse giù dalla montagna per farli vedere alla Signora. Questa li prese tra le sue mani, li ordinò in un bel mazzo e poi disse a Juan di andare dal vescovo a farglieli vedere e gli raccomandò di aprire la tilma solo in presenza del vescovo.
Juan si mise in viaggio per Città del Messico e giunto al Palazzo chiese di essere ricevuto dal vescovo, ma i servitori non gli diedero retta. Anzi, lo cacciarono via in malo modo. E osservando che teneva qualche cosa nascosto nella tilma, cominciarono a sbirciare. Visti i fiori, volevano prenderglieli e per tre volte tentarono di portarglieli via, ma i fiori non si staccavano dalla tilma, sembrava vi fossero incollati. Meravigliati da questo fenomeno, decisero di avvertire il vescovo. Questi decise di ricevere Juan che gli riferì il nuovo messaggio della Signora e gli disse dei fiori che aveva raccolto sul monte. Aprì la tilma per offrirei fiori, ma questi caddero per terra e sulla parte interno della tilma il vescovo e tutte le persone che erano con lui videro apparire l’immagine di una Madonna con le mani giunte così come è anche oggi l’immagine della Madonna di Guadalupe. Stupefatti, si chiedevano chi l’avesse dipinta. Anche Juan era meravigliato e diceva che fino a poco prima quell’immagine non c’era sul suo mantello. Ma anche i fiori erano oggetto di grande meraviglia. Il vescovo si rendeva conto che in quella stagione e a quell’altitudine è impossibile trovare dei fiori freschi. Inoltre il vescovo riconobbe subito in quei fiori le stupende rose di Castiglia che non potevano essere fiorite su una montagna del Messico. Il vescovo rimase convinto e cadde in ginocchio e pregò la Madonna chiedendole perdono dell’incredulità mostrata nei confronti di Juan Diego.
La mattina dopo, Juan Diego accompagnò il vescovo al Tepeyac per indicare il luogo in cui la Vergine aveva chiesto che venisse costruita una chiesetta e per vedere come stesse lo zio Bernardino. Il vescovo lo fece accompagnare da alcuni suoi collaboratori per constatare se quell’ammalato fosse realmente guarito come aveva promesso la Signora. Giunti a casa di Juan trovarono il vecchio Bernardino completamente guarito, che riferì che a quella stessa ora del giorno prima la Signora era apparsa anche a lui, lo aveva guarito e gli aveva detto di voler essere invocata con il titolo di « Perfetta Vergine Santa Maria di Guadalupe ». Il vescovo trattenne presso di sé zio e nipote per ascoltare da tutti e due ancora una volta la storia dettagliata di quanto era accaduto in quei giorni, e poi diede ordine di costruire immediatamente una capella sul luogo delle apparizioni. Nel frattempo espose l’immagine della Vergine, che era apparsa sulla tilma di Juan Diego nella cattedrale, dove divenne subito oggetto di una grandissima devozione popolare.
Il 26 dicembre 1531 il vescovo poté compiere la solenne traslazione dell’immagine dalla cattedrale alla nuova cappella, completata con incredibile rapidità.In quella occasione, si verificò un nuovo straordinario miracolo.
Ia sacra immagine venne trasportata dalla cattedrale alla nuova chiesetta. Era seguita dal vescovo con lutto il clero, la nobiltà spagnola e azteca e un’incredibile folla di fedeli. Il popolo intonava canti. Gruppi di danzatori indigeni vestiti da guerrieri esternavano la loro gioia mimando scene di battaglia con archi e frecce. Ad un certo momento a uno degli arcieri sfuggì dall’arco la freccia, che trapassò la gola a uno dei suoi compagni, uccidendolo sul colpo. Il corpo dello sventurato venne immediatamente portalo davanti all’immagine della Madonna, mentre tutti i presenti pregavano. Ed ecco che, appena estratta la freccia, la ferita si rimarginò, lasciando solo una profonda cicatrice, e il morto si alzò in piedi risuscitalo.
Juan Diego decise di dedicare il resto della sua esistenza al servizio della Vergine Maria. lasciò la casa e si trasferì in una capanna attigua alla chiesetta della Madonna.
Qui trascorreva il suo tempo pregando e compiendo i lavori più umili necessari a tenere in ordine il luogo.
Morì nel 1548, e fu sepolto nella chiesetta.
Ma l’immagine della Madonna che nel dicembre del 1531 si formò sulla sua tilma e che si venera nel Santuario di Guadalupe in Messico, ha una storia specialissima, che continua a stupire studiosi e ricercatori anche ai nostri giorni.
Renzo Allegri
dal sito:
VIAGGIO APOSTOLICO A TORONTO,
A CIUDAD DE GUATEMALA E A CIUDAD DE MÉXICO
CANONIZZAZIONE DI JUAN DIEGO CUAUHTLATOATZIN
OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Città del Messico
Mercoledì, 31 luglio 2002
1. « Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te » (Mt, 11,25-26).
Carissimi fratelli e sorelle: queste parole di Gesù nel Vangelo di oggi costituiscono per noi un invito speciale a lodare e a rendere grazie a Dio per il dono del primo santo indigeno del Continente americano.
Con grande gioia sono venuto in pellegrinaggio a questa Basilica di Guadalupe, cuore mariano del Messico e dell’America, per proclamare la santità di Juan Diego Cuauhtlatoatzin, l’indio semplice ed umile che contemplò il volto dolce e sereno della Vergine del Tepeyac, tanto caro alle popolazioni del Messico.
2. Ringrazio per le affettuose parole che mi ha rivolto il Signor Cardinale Norberto Carrera Rivera, Arcivescovo di Messico, così come per la calorosa accoglienza degli uomini e delle donne di questa Arcidiocesi Primaziale: a tutti va il mio più cordiale saluto. Saluto con affetto anche il Cardinale Ernesto Corripio Ahumada, Arcivescovo emerito di Messico, e gli altri Cardinali, i Vescovi messicani, dell’America, delle Filippine e di altre parti del mondo. Allo stesso tempo ringrazio in modo particolare il Signor Presidente e le Autorità civili per la loro partecipazione a questa celebrazione.
Rivolgo oggi un saluto particolarmente affettuoso ai numerosi indigeni giunti dalle varie regioni del Paese, rappresentanti delle diverse etnie e culture che costituiscono la ricca e multiforme realtà messicana. Il Papa esprime loro la sua vicinanza, il suo profondo rispetto e ammirazione, e li accoglie fraternamente nel nome del Signore.
3. Come era Juan Diego? Perché Dio fissò il suo sguardo su di lui? Il libro dell’Ecclesiastico, come abbiamo ascoltato, ci insegna che « grande è la potenza del Signore e dagli umili egli è glorificato » (3, 20). Ugualmente, le parole di san Paolo proclamate in questa celebrazione illuminano questo modo divino di realizzare la salvezza: « Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio » (1 Cor 1, 28.29).
È commovente leggere le narrazioni guadalupane, scritte con delicatezza ed intrise di tenerezza. In esse la Vergine Maria, la serva « che glorifica il Signore » (Lc 1, 46), si manifesta a Juan Diego come la Madre del vero Dio. Ella gli dona, come segno, alcune rose preziose e lui, quando le mostra al Vescovo, scopre raffigurata sul suo mantello la benedetta immagine di Nostra Signora.
« L’evento Guadalupano – come ha rilevato l’Episcopato Messicano – significò l’inizio dell’evangelizzazione con una vitalità che superò ogni aspettativa. Il messaggio di Cristo, attraverso sua Madre, riprese gli elementi centrali della cultura indigena, li purificò e diede loro il definitivo significato di salvezza » (14.05.2002, n. 8). Pertanto, Guadalupe e Juan Diego possiedono un profondo significato ecclesiale e missionario e sono un modello di evangelizzazione perfettamente inculturata.
4. « Il Signore guarda dal cielo, egli vede tutti gli uomini » (Sal 32, 13), abbiamo proclamato col salmista, confessando ancora una volta la nostra fede in Dio, che non fa distinzioni di razza o di cultura. Juan Diego, nell’accogliere il messaggio cristiano senza rinunciare alla sua identità indigena, scoprì la profonda verità della nuova umanità, nella quale tutti sono chiamati ad essere figli di Dio. In tal modo facilitò l’incontro fecondo di due mondi e si trasformò in protagonista della nuova identità messicana, intimamente unita alla Vergine di Guadalupe, il cui volto meticcio esprime la sua maternità spirituale che abbraccia tutti i messicani. Attraverso di esso, la testimonianza della sua vita deve continuare a dare vigore alla costruzione della nazione messicana, a promuovere la fraternità tra tutti i suoi figli e a favorire sempre di più la riconciliazione del Messico con le sue origini, i suoi valori e le sue tradizioni.
Questo nobile compito di edificare un Messico migliore, più giusto e solidale, richiede la collaborazione di ciascuno. In particolare è necessario sostenere oggi gli indigeni nelle loro legittime aspirazioni, rispettando e difendendo gli autentici valori di ciascun gruppo etnico. Il Messico ha bisogno dei suoi indigeni e gli indigeni hanno bisogno del Messico!
Amati Fratelli e Sorelle di tutte le etnie del Messico e dell’America, nell’esaltare oggi la figura dell’indio Juan Diego, desidero esprimere la vicinanza della Chiesa e del Papa a tutti voi, abbracciandovi con affetto ed esortandovi a superare con speranza le difficili situazioni che attraversate.
5. In questo momento decisivo della storia del Messico, già oltrepassata la soglia del nuovo millennio, affido all’efficace intercessione di San Juan Diego le gioie e le speranze, i timori e le angustie del diletto popolo messicano, che porto nel mio cuore.
Benedetto Juan Diego, indio buono e cristiano, che il popolo semplice ha sempre considerato come un vero santo! Ti chiediamo di accompagnare la Chiesa pellegrina in Messico, perché ogni giorno sia sempre più evangelizzatrice e missionaria. Incoraggia i Vescovi, sostieni i sacerdoti, suscita nuove e sante vocazioni, aiuta tutti coloro che offrono la propria vita per la causa di Cristo e per la diffusione del suo Regno.
Felice Juan Diego, uomo fedele ed autentico! Ti affidiamo i nostri fratelli e sorelle laici, perché sentendosi chiamati alla santità, impregnino tutti gli ambiti della vita sociale con lo spirito evangelico. Benedici le famiglie, sostieni gli sposi nel loro matrimonio, appoggia gli sforzi dei genitori per educare cristianamente i loro figli. Guarda benigno il dolore di quanti soffrono nel corpo e nello spirito, di quanti patiscono povertà, solitudine, emarginazione o ignoranza. Che tutti, governanti e sudditi, agiscano sempre secondo le esigenze della giustizia e il rispetto della dignità di ogni uomo, perché così si consolidi la vera pace.
Amato Juan Diego, « l’aquila che parla »! Insegnaci il cammino che conduce alla Virgen Morena del Tepeyac, affinché Ella ci accolga nell’intimo del suo cuore, giacché Ella è la Madre amorosa e compassionevole che ci conduce fino al vero Dio. Amen.