Presepe del Pinturicchio (foto scattata da me, da una cartolina che ho a casa)
presepe del Pinturicchio, chiesa Santa Maria del Popolo a Roma
foto scattata da me, da una cartolina che ho a casa

presepe del Pinturicchio, chiesa Santa Maria del Popolo a Roma
foto scattata da me, da una cartolina che ho a casa
dal sito:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/210023
Grande musica nelle chiese di Roma. Ma in Vaticano sono sordi
Nelle basiliche romane hanno suonato i Wiener Philarmoniker e altri sommi interpreti, in un caso col papa presente. Ma in curia è paralisi. L’accompagnamento musicale delle messe papali continua a essere di desolante mediocrità
di Sandro Magister
ROMA, 3 dicembre 2008 – Si è concluso domenica scorsa, prima di Avvento, il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra che si tiene ogni autunno nelle basiliche papali di Roma.
Promosso dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra, il Festival si prefigge di restituire la grande musica sacra al suo contesto autentico, le chiese: un contesto che magari non è acusticamente perfetto come un’aula di concerto ma è quello giusto per ridare vita piena a musiche originariamente create per la liturgia.
« Il mio sogno – dice Hans-Albert Courtial, presidente della Fondazione – è che ogni domenica dell’anno, in una chiesa di Roma, vi sia una messa accompagnata da capolavori della musica sacra, gregoriana e polifonica, con interpreti di prima grandezza ».
In effetti, lo scorso 26 novembre è avvenuto proprio così. Nella basilica di San Pietro il cardinale Angelo Comastri ha celebrato la messa, e il maestro Helmuth Rilling ha magnificamente diretto la Harmonienmesse in si bemolle maggiore di Franz Joseph Haydn.
Ma nel Festival non c’è stata solo musica liturgica. Il primo e l’ultimo giorno del programma hanno avuto al centro, rispettivamente, l’Arte della Fuga e l’Offerta Musicale di Johann Sebastian Bach, genialmente riscoperte e riproposte nella loro profondità metafisica, di sublime armonia cosmica, da Hans-Eberhard Dentler.
Un’altra vetta del Festival di quest’anno è stata l’esecuzione nella basilica di Santa Maria Maggiore (vedi foto) del Requiem Tedesco di Johannes Brahms, opera anch’essa né liturgica né cattolica eppure intensamente spirituale, magistralmente diretta da Marek Janowski con l’Orchestre de la Suisse Romande e il Rundfunkchor Berlin.
E poi, memorabile, c’è stata la Sesta Sinfonia di Anton Bruckner suonata dai Wiener Philarmoniker diretti da Christoph Eschenbach, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il 13 ottobre, con Benedetto XVI in prima fila.
* * *
La presenza di papa Joseph Ratzinger a un concerto non è stata l’unica novità del Festival di quest’anno.
Assieme a Benedetto XVI, quella sera in San Paolo fuori le Mura, c’erano anche i 250 cardinali e vescovi che partecipavano negli stessi giorni al sinodo mondiale sulla Parola di Dio. Per molti di essi Bruckner non era un autore facile, ma l’esempio del papa, almeno per una volta, li ha portati ad assistere a un grande concerto. Perché la sensibilità musicale non è proprio di casa nel ceto ecclesiastico: gli alti prelati accorsi agli altri concerti del Festival si sono contati sulle dita di una mano sola.
Un’altra novità è stata lo spazio dato all’organo. Per quattro sere di fila, dal 17 al 20 novembre, lo strumento principe della musica liturgica ha dominato il programma del Festival, con opere sia antiche che contemporanee suonate da famosi organisti in diverse chiese romane. Non solo. Le esecuzioni a Roma sono state il coronamento di un più ampio percorso fatto di concerti d’organo in nove paesi d’Europa, cominciato a giugno in Baviera: un « Euro Via Festival » che si ripete ogni anno dal 2005 sotto la direzione artistica di Johannes Skudlik.
Negli stessi giorni, a Roma, sono stati ultimati i restauri di due magnifici organi, quello della Sala Accademica del Pontificio Istituto di Musica Sacra e quello della chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi. Un altro dei più splendidi organi di Roma, quello della chiesa di Sant’Ignazio, sarà restaurato nei prossimi mesi a cura della Fondazione pro Musica e Arte Sacra e tornerà a suonare nel Festival del 2009.
Brutalmente soppiantato dalle chitarre in numerosissime chiese del mondo, l’organo sta ultimamente mostrando piccoli segni di ripresa. La conferenza episcopale italiana, ad esempio, ha organizzato il mese scorso un seminario di studio per organisti e liturgisti, dal titolo: « L’organo a canne. Un cammino secolare a servizio della liturgia ».
Ma il cammino resta impervio. Non solo il suono dell’organo è largamente assente dai riti liturgici, ma se ne trascura l’uso persino in quegli altri momenti ai quali esso sarebbe più che mai consono. Un cattivo esempio è dato dalla stessa basilica di San Pietro. Ogni volta che c’è una celebrazione liturgica col papa, la basilica si riempie di fedeli con molto anticipo sull’orario d’inizio. Sarebbe questo un momento ideale per il suono dell’organo. Creerebbe un clima più raccolto, di preparazione al rito liturgico. E invece niente. L’organo è lì, gli organisti ci sono, migliaia di fedeli sarebbero felici di ascoltare della buona musica che elevi lo spirito. Manca solo la volontà di decidere una cosa così elementare.
C’è una sorta di paralisi musicale, a Roma, attorno alle celebrazioni del papa. Il pensiero di Benedetto XVI in materia di musica liturgica è arcinoto, è consegnato ai suoi scritti, molto critici dell’avvenuto degrado. Ma quasi nulla è cambiato, in più di tre anni di pontificato. In Vaticano continua a mancare un organismo che abbia autorità per quanto riguarda la musica sacra. La Cappella Sistina, diretta da monsignor Giuseppe Liberto, è l’ombra del suo passato glorioso. E quando non è la Cappella Sistina a cantare nelle messe papali, impera lo stile da « musical » di monsignor Marco Frisina, titolare della cappella del Laterano, la cattedrale di Roma.
Anche in questo il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra ha impartito una lezione. Per eseguire le messe e i mottetti di Giovanni Pierluigi da Palestrina, di Tomás Luis de Victoria, di Luca Marenzio, di Claudio Monteverdi, insomma, dei grandi maestri di cappella delle cattedrali di Roma e d’Europa del Cinquecento e Seicento, sono venuti dagli Stati Uniti il coro del Santuario di Maria Immacolata di Washington, diretto da Peter Latona, e dalla Germania il coro della cattedrale di Spira, diretto da Leo Krämer.
Non che a Roma e in Italia manchino validi esecutori di questa grande musica polifonica. Anzi, il più geniale interprete al mondo di Palestrina è sicuramente monsignor Domenico Bartolucci. Ma, appunto, Bartolucci dirige Palestrina nelle sale di concerto, non più nelle messe papali con la Cappella Sistina, di cui fu direttore e da cui fu estromesso in malo modo nel 1997. È difficile trovare oggi a Roma e in Italia un coro di chiesa che esegua tali autori nel vivo dell’azione liturgica.
Se per far riassaporare tali meraviglie ci vuole un Festival, è segno che molta strada è ancora da percorrere.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-16371?l=italian
Benedetto XVI e il rapporto fra Adamo e Cristo in San Paolo
Intervento in occasione dell’Udienza generale
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 3 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale svoltasi nell’aula Paolo VI.
Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, continuando il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulla sua predicazione sul rapporto fra Adamo, il primo uomo, e Cristo.
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Cari fratelli e sorelle,
nell’odierna catechesi ci soffermeremo sulle relazioni tra Adamo e Cristo, delineate da san Paolo nella nota pagina della Lettera ai Romani (5,12-21), nella quale egli consegna alla Chiesa le linee essenziali della dottrina sul peccato originale. In verità, già nella prima Lettera ai Corinzi, trattando della fede nella risurrezione, Paolo aveva introdotto il confronto tra il progenitore e Cristo: « Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita… Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita » (1 Cor 15,22.45). Con Rm 5,12-21 il confronto tra Cristo e Adamo si fa più articolato e illuminante: Paolo ripercorre la storia della salvezza da Adamo alla Legge e da questa a Cristo. Al centro della scena non si trova tanto Adamo con le conseguenze del peccato sull’umanità, quanto Gesù Cristo e la grazia che, mediante Lui, è stata riversata in abbondanza sull’umanità. La ripetizione del « molto più » riguardante Cristo sottolinea come il dono ricevuto in Lui sorpassi, di gran lunga, il peccato di Adamo e le conseguenze prodotte sull’umanità, così che Paolo può giungere alla conclusione: « Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia » (Rm 5,20). Pertanto, il confronto che Paolo traccia tra Adamo e Cristo mette in luce l’inferiorità del primo uomo rispetto alla prevalenza del secondo.
D’altro canto, è proprio per mettere in evidenza l’incommensurabile dono della grazia, in Cristo, che Paolo accenna al peccato di Adamo: si direbbe che se non fosse stato per dimostrare la centralità della grazia, egli non si sarebbe attardato a trattare del peccato che « a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte » (Rm 5,12). Per questo se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’orizzonte della giustificazione in Cristo.
Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina? Molti pensano che, alla luce della storia dell’evoluzione, non ci sarebbe più posto per la dottrina di un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell’umanità. E, di conseguenza, anche la questione della Redenzione e del Redentore perderebbe il suo fondamento. Dunque, esiste il peccato originale o no? Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile, direi tangibile per tutti. E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di questo fatto. Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l’altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell’egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro essere così: «C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7, 18-19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto.
Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una «seconda natura», che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa « seconda natura » fa apparire il male come normale per l’uomo. Così anche l’espressione solita: «questo è umano» ha un duplice significato. «Questo è umano» può voler dire: quest’uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma «questo è umano» può anche voler dire la falsità: il male è normale, è umano. Il male sembra essere divenuto una seconda natura. Questa contraddizione dell’essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà, il desiderio che il mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi.
Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male? Nella storia del pensiero, prescindendo dalla fede cristiana, esiste un modello principale di spiegazione, con diverse variazioni. Questo modello dice: l’essere stesso è contraddittorio, porta in sè sia il bene sia il male. Nell’antichità questa idea implicava l’opinione che esistessero due principi ugualmente originari: un principio buono e un principio cattivo. Tale dualismo sarebbe insuperabile; i due principi stanno sullo stesso livello, perciò ci sarà sempre, fin dall’origine dell’essere, questa contraddizione. La contraddizione del nostro essere, quindi, rifletterebbe solo la contrarietà dei due principi divini, per così dire. Nella versione evoluzionistica, atea, del mondo ritorna in modo nuovo la stessa visione. Anche se, in tale concezione, la visione dell’essere è monistica, si suppone che l’essere come tale dall’inizio porti in se il male e il bene. L’essere stesso non è semplicemente buono, ma aperto al bene e al male. Il male è ugualmente originario come il bene. E la storia umana svilupperebbe soltanto il modello già presente in tutta l’evoluzione precedente. Ciò che i cristiani chiamano peccato originale sarebbe in realtà solo il carattere misto dell’essere, una mescolanza di bene e di male che, secondo questa teoria, apparterrebbe alla stessa stoffa dell’essere. È una visione in fondo disperata: se è così, il male è invincibile. Alla fine conta solo il proprio interesse. E ogni progresso sarebbe necessariamente da pagare con un fiume di male e chi volesse servire al progresso dovrebbe accettare di pagare questo prezzo. La politica, in fondo, è impostata proprio su queste premesse: e ne vediamo gli effetti. Questo pensiero moderno può, alla fine, solo creare tristezza e cinismo.
E così domandiamo di nuovo: che cosa dice la fede, testimoniata da san Paolo? Come primo punto, essa conferma il fatto della competizione tra le due nature, il fatto di questo male la cui ombra pesa su tutta la creazione. Abbiamo sentito il capitolo 7 della Lettera ai Romani, potremmo aggiungere il capitolo 8. Il male esiste, semplicemente. Come spiegazione, in contrasto con i dualismi e i monismi che abbiamo brevemente considerato e trovato desolanti, la fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c’è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l’essere non è un misto di bene e male; l’essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c’è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell’essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata.
Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso. Lo si è presentato in grandi immagini, come fa il capitolo 3 della Genesi, con quella visione dei due alberi, del serpente, dell’uomo peccatore. Una grande immagine che ci fa indovinare, ma non può spiegare quanto è in se stesso illogico. Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all’altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell’evoluzionismo, non possono dire che l’uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l’uomo è sanabile. E il Libro della Sapienza dice: « Hai creato sanabili le nazioni » (1, 14 volg). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte.
Fratelli e sorelle, è tempo di Avvento. Nel linguaggio della Chiesa la parola Avvento ha due significati: presenza e attesa. Presenza: la luce è presente, Cristo è il nuovo Adamo, è con noi e in mezzo a noi. Già splende la luce e dobbiamo aprire gli occhi del cuore per vedere la luce e per introdurci nel fiume della luce. Soprattutto essere grati del fatto che Dio stesso è entrato nella storia come nuova fonte di bene. Ma Avvento dice anche attesa. La notte oscura del male è ancora forte. E perciò preghiamo nell’Avvento con l’antico popolo di Dio: «Rorate caeli desuper». E preghiamo con insistenza: vieni Gesù; vieni, dà forza alla luce e al bene; vieni dove domina la menzogna, l’ignoranza di Dio, la violenza, l’ingiustizia; vieni, Signore Gesù, dà forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità. Vieni Signore Gesù!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua. In particolare, saluto i rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri ed esprimo loro viva riconoscenza per il gradito dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa. Saluto i rappresentanti della Banca di Credito Cooperativo del Lamentino. La vostra presenza, cari amici, mi offre l’opportunità per porre in luce, specialmente in questo tempo di difficoltà per tante famiglie, uno degli obiettivi primari degli Istituti bancari e di credito, e cioè la solidarietà nei confronti delle fasce più deboli e il sostegno all’attività produttiva. Saluto poi la Compagnia Fiori nel deserto, di Vibo Valenzia e formulo voti perché il Signore vivifichi con la sua grazia le aspirazioni e i propositi di ciascuno. Saluto altresì i confratelli della « Misericordia » di Viareggio, qui convenuti con l’artistico crocifisso ligneo, in occasione del 150° anniversario della sua realizzazione, e li esorto a proseguire nella loro attività in favore dei fratelli più bisognosi.
Rivolgo infine un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cari giovani, vi invito a riscoprire, nel clima spirituale dell’Avvento, l’intimità con Cristo, ponendovi alla scuola della Vergine Maria. Raccomando a voi, cari ammalati, di trascorrere questo periodo di attesa e di preghiera incessante, offrendo al Signore che viene le vostre sofferenze per la salvezza del mondo. Esorto, infine, voi, cari sposi novelli, ad essere costruttori di famiglie cristiane autentiche, ispirandovi al modello della Santa Famiglia di Nazaret, a cui guardano particolarmente in questo tempo di preparazione al Natale.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-16367?l=italian
Un reportage nei luoghi, nella mente e nel cuore di san Paolo
ROMA, martedì, 2 dicembre 2008 (ZENIT.org).- L’esegeta biblico e archeologo inglese, Peter Walker, ha pubblicato un resoconto del “grande itinerario paolino” che nel I secolo d.C. portò Saulo di Tarso sempre più lontano dalla Palestina.
Walker, che ha viaggiato nei Paesi del Mediterraneo come guida e per motivi di studio e ha scritto vari libri sui luoghi legati agli avvenimenti della storia sacra, ha raccolto il frutto delle sue riflessioni nel volume intitolato “Sui passi di san Paolo. Guida spirituale, storica e geografica ai viaggi di san Paolo” (Elledici-Edizioni Messaggero Padova-Velar 2008, pagg. 214, € 20,00).
Il libro presenta 14 luoghi visitati da Paolo e citati negli Atti degli Apostoli, inquadrandoli nell’avventurosa vicenda paolina, nella grande storia del Mediterraneo e nella realtà odierna.
Il testo, arricchito da fotografie a colori, cronologie, elaborazioni grafiche, cartine e approfondimenti, accompagna il lettore in un viaggio suggestivo attraverso strade, paesaggi e città, ma anche nella mente e nel cuore dell’Apostolo delle genti.
In un’intervista, che verrà pubblicata sul n. di gennaio-febbraio 2009 di Insegnare religione, la rivista del settore Scuola dell’editrice “Elledici”, Walker ha parlato di tre dei siti, a suo avviso, più suggestivi e commoventi legati a san Paolo.
Primo tra tutti ha detto di scegliere “il panorama dei superbi monti del Tauro che sovrastano la moderna Antalya, nella Turchia meridionale; mi domando ancora oggi che cosa spinse l’Apostolo a valicarli: non c’è da stupirsi che Giovanni Marco avesse deciso di fare ritorno a Gerusalemme…”
“ Poi ci sono le solitarie coste di Malta spazzate dai venti invernali, che ci aiutano a rivivere il dramma di 276 naufraghi dopo due settimane alla deriva”, aggiunge.
“Infine c’è la Basilica di San Paolo, a Roma – prosegue –, davanti alla quale possiamo meditare sul singolare destino dell’Apostolo, che, decapitato non lontano, rimase sepolto ‘fuori le mura’: lui, un uomo che avrebbe influenzato in maniera così significativa quella città e la sua storia”.
Parlando di come le vicende narrate negli Atti degli Apostoli e nell’epistolario paolino trovino conferma nell’archeologia e nella topografia, l’autore del libro ha detto che “un seggio nell’antico teatro di Mileto che, secondo una scritta, era utilizzato dai ‘timorati di Dio’ (i pagani attratti dal monoteismo ebraico, ndr), ma anche il lastricato di Corinto che porta la ‘firma’ epigrafica di Erasto, un personaggio di rilievo citato in Romani 16, confermano che gli Atti ci restituiscono un quadro veritiero del mondo mediterraneo del primo secolo”.
Circa alcuni aspetti oscuri nella biografia di Paolo di Tarso che vorrebbe veder “risolti”, Walker ha ammesso che “sarebbe bello sapere che cosa fece nel periodo di vita nel deserto poco dopo la conversione, oppure che cosa accadde quando fece ritorno a Tarso: fu ripudiato dai parenti?”.
“Per quanto mi riguarda – afferma –, sarei curioso di sapere se nel 56 d.C. viaggiò veramente in Illiria, l’antico nome della Jugoslavia, magari scrivendo 1 Timoteo e Tito da quella regione (è una questione che discuto nel mio libro)”.
“Ma soprattutto – osserva – : Paolo poté mai allontanarsi da Roma da uomo libero? Io giungo a una conclusione negativa: potrebbe essere stato inserito in una lunga ‘lista d’attesa’, per finire sotto processo prima del grande incendio del 64 d.C. Non posso esserne sicuro, ma è un’ipotesi ragionevole”.
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/03/2008#
Concilio Vaticano II
Constituzione sulla santa liturgia « Sacrosanctum Concilium », § 6.8
« Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga » (1Cor 11,26)
Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo. Essi, predicando il Vangelo a tutti gli uomini , non dovevano limitarsi ad annunciare che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì dovevano anche attuare l’opera di salvezza che annunziavano, mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica. Così, mediante il battesimo, gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi, « che ci fa esclamare: Abba, Padre» (Rm 8,15), e diventano quei veri adoratori che il Padre ricerca. Allo stesso modo, ogni volta che essi mangiano la cena del Signore, ne proclamano la morte fino a quando egli verrà.
Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria.
(Riferimenti biblici : Mc 16,15; Rm 6,4; 8,15 ; Gv 4,23; 1Cor 11,26; Ap 21,2; Eb 8,2; Col 3,4)