Nativity

dal sito:
http://www.zenit.org/article-16329?l=italian
Il Papa per i primi Vespri della prima Domenica di Avvento
CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 30 novembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere sabato sera, nella Basilica Vaticana, la celebrazione dei primi Vespri della I Domenica di Avvento.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Con questa liturgia vespertina, iniziamo l’itinerario di un nuovo anno liturgico, entrando nel primo dei tempi che lo compongono: l’Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo usa proprio questa parola: « venuta », che in greco è « parusia » e in latino « adventus » (1 Ts 5,23). Secondo la comune traduzione di questo testo, Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a conservarsi irreprensibili « per la venuta » del Signore. Ma nel testo originale si legge « nella venuta » (¦< J± B"D@LF‘), quasi che l’avvento del Signore fosse, più che un punto futuro del tempo, un luogo spirituale in cui camminare già nel presente, durante l’attesa, e dentro il quale appunto essere custoditi perfettamente in ogni dimensione personale. In effetti, è proprio questo che noi viviamo nella liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo il mistero – in questo caso la venuta del Signore – in modo tale da potere, per così dire, « camminare in essa » verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi, ma attingendone già la virtù santificatrice, dal momento che i tempi ultimi sono già iniziati con la morte e risurrezione di Cristo.
La parola che riassume questo particolare stato, in cui si attende qualcosa che deve manifestarsi, ma che al tempo stesso si intravede e si pregusta, è « speranza ». L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, e in esso la Chiesa intera è chiamata a diventare speranza, per se stessa e per il mondo. Tutto l’organismo spirituale del Corpo mistico assume, per così dire, il « colore » della speranza. Tutto il popolo di Dio si rimette in cammino attratto da questo mistero: che il nostro Dio è « il Dio che viene » e ci chiama ad andargli incontro. In che modo? Anzitutto in quella forma universale della speranza e dell’attesa che è la preghiera, che trova la sua espressione eminente nei Salmi, parole umane in cui Dio stesso ha posto e pone continuamente sulle labbra e nei cuori dei credenti l’invocazione della sua venuta. Soffermiamoci perciò qualche istante sui due Salmi che abbiamo pregato poco fa e che sono consecutivi anche nel Libro biblico: il 141 e il 142, secondo la numerazione ebraica.
« Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera » (Sal 141,1-2). Così inizia il primo salmo dei primi Vespri della prima settimana del Salterio: parole che all’inizio dell’Avvento acquistano un nuovo « colore », perché lo Spirito Santo le fa risuonare in noi sempre nuovamente, nella Chiesa in cammino tra tempo di Dio e tempi degli uomini. « Signore … accorri in mio aiuto » (v. 1). E’ il grido di una persona che si sente in grave pericolo, ma è anche il grido della Chiesa fra le molteplici insidie che la circondano, che minacciano la sua santità, quell’integrità irreprensibile di cui parla l’apostolo Paolo, che deve invece essere conservata per la venuta del Signore. E in questa invocazione risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana e della condizione dei poveri. All’inizio dell’Avvento la liturgia della Chiesa fa proprio nuovamente questo grido, e lo innalza a Dio « come incenso » (v. 2). L’offerta vespertina dell’incenso è infatti simbolo della preghiera, dell’effusione dei cuori rivolti al Dio, all’Altissimo, come pure « le mani alzate come sacrificio della sera » (v. 2). Nella Chiesa non si offrono più sacrifici materiali, come avveniva anche nel tempio di Gerusalemme, ma si eleva l’offerta spirituale della preghiera, in unione a quella di Gesù Cristo, che è al tempo stesso Sacrificio e Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Nel grido del Corpo mistico, riconosciamo la voce stessa del Capo: il Figlio di Dio che ha preso su di sé le nostre prove e le nostre tentazioni, per donarci la grazia della sua vittoria.
Questa identificazione di Cristo con il Salmista è particolarmente evidente nel secondo Salmo (142). Qui, ogni parola, ogni invocazione fa pensare a Gesù nella passione, in particolare alla sua preghiera al Padre nel Getsemani. Nella sua prima venuta, con l’incarnazione, il Figlio di Dio ha voluto condividere pienamente la nostra condizione umana. Naturalmente non ha condiviso il peccato, ma per la nostra salvezza ne ha patito tutte le conseguenze. Pregando il Salmo 142, la Chiesa rivive ogni volta la grazia di questa com-passione, di questa « venuta » del Figlio di Dio nell’angoscia umana fino a toccarne il fondo. Il grido di speranza dell’Avvento esprime allora, fin dall’inizio e nel modo più forte, tutta la gravità del nostro stato, il nostro estremo bisogno di salvezza. Come dire: noi aspettiamo il Signore non alla stregua di una bella decorazione su un mondo già salvo, ma come unica via di liberazione da un pericolo mortale. E noi sappiamo che Lui stesso, il Liberatore, ha dovuto patire e morire per farci uscire da questa prigione (cfr v. 8).
Insomma, questi due Salmi ci mettono al riparo da qualsiasi tentazione di evasione e di fuga dalla realtà; ci preservano da una falsa speranza, che forse vorrebbe entrare nell’Avvento e andare verso il Natale dimenticando la drammaticità della nostra esistenza personale e collettiva. In effetti, una speranza affidabile, non ingannevole, non può che essere una speranza « pasquale », come ci ricorda ogni sabato sera il cantico della Lettera ai Filippesi, con il quale lodiamo Cristo incarnato, crocifisso, risorto e Signore universale. A Lui volgiamo lo sguardo e il cuore, in unione spirituale con la Vergine Maria, Nostra Signora dell’Avvento. Mettiamo la nostra mano nella sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità. Come Maria e con il suo materno aiuto, rendiamoci docili all’azione dello Spirito Santo, perché il Dio della pace ci santifichi pienamente, e la Chiesa diventi segno e strumento di speranza per tutti gli uomini. Amen!
dal sito:
Angelus del 30 novembre 2008 -
L’Avvento ci invita a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo
Pubblicato il 30 Novembre 2008 di gianni80
Cari fratelli e sorelle!
Iniziamo oggi, con la prima Domenica di Avvento, un nuovo Anno liturgico. Questo fatto ci invita a riflettere sulla dimensione del tempo, che esercita sempre su di noi un grande fascino. Sull’esempio di quanto amava fare Gesù, desidererei tuttavia partire da una constatazione molto concreta: tutti diciamo che « ci manca il tempo », perché il ritmo della vita quotidiana è diventato per tutti frenetico. Anche a tale riguardo la Chiesa ha una « buona notizia » da portare: Dio ci dona il suo tempo. Noi abbiamo sempre poco tempo; specialmente per il Signore non sappiamo o, talvolta, non vogliamo trovarlo. Ebbene, Dio ha tempo per noi! Questa è la prima cosa che l’inizio di un anno liturgico ci fa riscoprire con meraviglia sempre nuova. Sì: Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza. In questa prospettiva, il tempo è già in se stesso un segno fondamentale dell’amore di Dio: un dono che l’uomo, come ogni altra cosa, è in grado di valorizzare o, al contrario, di sciupare; di cogliere nel suo significato, o di trascurare con ottusa superficialità.
Tre poi sono i grandi « cardini » del tempo, che scandiscono la storia della salvezza: all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione-redenzione e al termine la « parusia », la venuta finale che comprende anche il giudizio universale. Questi tre momenti però non sono da intendersi semplicemente in successione cronologica. Infatti, la creazione è sì all’origine di tutto, ma è anche continua e si attua lungo l’intero arco del divenire cosmico, fino alla fine dei tempi. Così pure l’incarnazione-redenzione, se è avvenuta in un determinato momento storico, il periodo del passaggio di Gesù sulla terra, tuttavia estende il suo raggio d’azione a tutto il tempo precedente e a tutto quello seguente. E a loro volta l’ultima venuta e il giudizio finale, che proprio nella Croce di Cristo hanno avuto un decisivo anticipo, esercitano il loro influsso sulla condotta degli uomini di ogni epoca.
Il tempo liturgico dell’Avvento celebra la venuta di Dio, nei suoi due momenti: dapprima ci invita a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo; quindi, avvicinandosi il Natale, ci chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo per la nostra salvezza. Ma il Signore viene continuamente nella nostra vita. Quanto mai opportuno è quindi l’appello di Gesù, che in questa prima Domenica ci viene riproposto con forza: « Vegliate! » (Mc 13,33.35.37). E’ rivolto ai discepoli, ma anche « a tutti », perché ciascuno, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza. Questo comporta un giusto distacco dai beni terreni, un sincero pentimento dei propri errori, una carità operosa verso il prossimo e soprattutto un umile e fiducioso affidamento alle mani di Dio, nostro Padre tenero e misericordioso. Icona dell’Avvento è la Vergine Maria, la Madre di Gesù. InvochiamoLa perché aiuti anche noi a diventare un prolungamento di umanità per il Signore che viene.
[Testo originale: Italiano]
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/01/2008#
Eusebio di Cesarea (circa 265 – 340), vescovo, teologo
Commento evangelico, II, 3, 35 ; SC 228
« Molti verrano dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa… nel Regno dei cieli »
Molte testimonianze della Scrittura mostrano che le nazioni pagane non hanno ricevuto grazie meno numerose del popolo giudeo. Se i giudei… partecipano alla benedizione di Abramo, l’amico di Dio, perché sono i suoi discendenti, ricordiamoci che Dio si è impegnato a dare ai pagani una benedizione simile non soltanto a quella di Abramo, ma anche a quella di Isacco e di Giacobbe. Ha predetto esplicitamente infatti che tutte le nazioni sarebbero state benedette allo stesso modo e invita tutti i popoli a una sola e medesima gioia con questi beati amici di Dio: «Esultate, o nazioni, per il suo popolo» (Dt 32,43) e ancora: «I capi dei popoli si sono raccolti con il popolo del Dio di Abramo» (Sal 46,10).
Se Israele si glorifica del Regno di Dio, dicendo che questo è la sua eredità, gli oracoli divini gli mostrano che Dio regnerà anche sugli altri popoli: «Dite tra i popoli: Il Signore regna» (Sal 95,10) e ancora: «Dio regna sui popoli» (Sal 46,9). Se i giudei sono stati scelti per essere i sacerdoti di Dio e per rendergli un culto…, la parola di Dio ha promesso di comunicare alle nazioni lo stesso ministero: «Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome. Portate offerte ed entrare nei suoi atri» (Sal 95,7-8)…
E se anticamente, in un primo tempo, «porzione del Signore è il suo popolo; Giacobbe è la sua eredità» (Dt 32,9), in un secondo tempo, la Scrittura afferma che tutti i popoli saranno dati in eredità al Signore secondo la parola del Padre: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti» (Sal 2,8). La profezia annuncia anche che «dominerà» non soltanto in Giudea, ma «da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra; lo serviranno tutte le nazioni; in lui saranno benedette tutte le stirpi della terra» (Sal 71, 8.11.17). In questo modo il Dio dell’universo «ha manifestato la sua salvezza agli occhi dei popoli» (Sal 97,2).