Archive pour novembre, 2008

buona notte e buona prima domenica di Avvento

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 30 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

San Pascasio Radberto: « State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso »

dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/30/2008#

San Pascasio Radberto (? – circa 849), monaco benedettino
Commento al vangelo di Matteo, lib. 2, c.24 ; PL 120, 799

« State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso »

Noi dobbiamo sempre tener presente al pensiero la duplice venuta di Cristo: l’una quando apparirà e dovremo render conto di tutte le nostre azioni; l’altra di ogni giorno, quando egli visita di continuo le nostre coscienze e viene a noi, affinché al suo arrivo ci trovi preparati. Che giova a me conoscere quale sarà il giorno del giudizio, mentre ho coscienza di tanti peccati? Sapere se il Signore verrà o quando verrà, se non viene dapprima nella mia anima, e non ritorna nel mio spirito, se Cristo non vive in me e mi parla? È per me un bene la sua venuta, se già Cristo vive in me, e io in lui. E per me è già quasi l’ora del suo secondo avvento quando i valori di questo mondo si ecclissano al mio sguardo e in un certo modo posso dire: «Il mondo per me è stato crocifisso, e io per il mondo» (Gal 6,14).

Considera anche queste altre parole di Cristo: «Molti verrano nel mio nome» (Mt 24,5). Questo falso caratterizza l’anticristo che si assuma il nome di Cristo… In nessun luogo delle Scritture si trova che il Signore abbia usato l’espressione: «Io sono il Cristo». Gli bastava dimostrare con la dottrina e i miracoli che lo era realmente, perché in lui l’opera del Padre, la dottrina che insegnava e la sua potenza gridavano: «Io sono il Cristo» molto più che se lo gridassero mille voci. Non so se si trovi che Egli l’abbia affermato con le parole, ma dimostrò di essere il Cristo «compiendo le opere del Padre» (Gv 5,36) e insegnando l’amore. I falsi cristi, non possedendo questo, a parole proclamavano di essere ciò che non erano.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 30 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Prima domenica di Avvento, anno B

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Publié dans:immagini sacre |on 29 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Padre Cantalamessa, prediche alla casa Pontificia : La fede in Cristo oggi e all’inizio della Chiesa

dal sito:

http://www.cantalamessa.org/it/predicheView.php?id=43

La fede in Cristo oggi e all’inizio della Chiesa  
 
2005-12-02- I Predica di Avvento alla Casa Pontificia

(il 2005-2006 dovrebbe essere anno B come il 2008-2009, se non sbaglio)

Santo Padre, due cose sento il bisogno di fare in questo momento: ringraziarla per la fiducia accordatami nel chiedermi di continuare nel mio incarico di Predicatore della Casa Pontificia ed esprimerle la mia totale obbedienza e fedeltà, come successore di Pietro.

Credo che non ci sia un modo più bello di salutare l’inizio di un nuovo pontificato che quello di richiamare alla mente e cercare di riprodurre l’atto di fede su cui Cristo fondò il primato di Pietro. “ Su questa pietra – così sant’Agostino parafrasa le parole di Cristo – edificherò la fede che hai professato. Sul fatto che hai detto:  » Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente « , edificherò la mia Chiesa“ [1] .

Per questo ho pensato di scegliere “la fede in Cristo”, come tema della predicazione di Avvento. In questa prima meditazione cercherò di delineare la situazione in atto nella nostra società circa la fede in Cristo e il rimedio che la Parola di Dio ci suggerisce per fronteggiarla. Nei successivi incontri mediteremo su cosa dice a noi oggi la fede in Cristo di Giovanni, di Paolo, del concilio di Nicea e la fede vissuta di Maria, sua Madre.

1. Presenza – assenza di Cristo

Che ruolo ha Gesù nella nostra società e nella nostra cultura? Penso si possa parlare, a questo riguardo, di una presenza-assenza di Cristo. A un certo livello – quello dei mass-media in generale – Gesù Cristo è molto presente, addirittura una “Superstar”, secondo il titolo di un noto musical su di lui. In una serie interminabile di racconti, film e libri, gli scrittori manipolano la figura di Cristo, a volte sotto pretesto di fantomatici nuovi documenti storici su di lui. Il Codice Da Vinci è l’ultimo e più aggressivo episodio di questa lunga serie. È diventato ormai una moda, un genere letterario. Si specula sulla vasta risonanza che ha il nome di Gesú e su quello che egli rappresenta per larga parte dell’umanità per assicurarsi larga pubblicità a basso costo. E questo è parassitismo letterario.

Da un certo punto di vista possiamo dunque dire che Gesù Cristo è molto presente nella nostra cultura. Ma se guardiamo all’ambito della fede, al quale egli in primo luogo appartiene, notiamo, al contrario, una inquietante assenza, se non addirittura rifiuto della sua persona.

In cosa credono, in realtà, quelli che si definiscono “credenti” in Europa e altrove? Credono, il più delle volte, nell’esistenza di un Essere supremo, di un Creatore; credono che esiste un “aldilà”. Questa però è una fede deistica, non ancora una fede cristiana. Tenendo conto della famosa distinzione di Karl Barth, questa è religione, non ancora fede. Diverse indagini sociologiche rilevano questo dato di fatto anche in paesi e regioni di antica tradizione cristiana, come la regione in cui io stesso sono nato, nelle Marche. Gesù Cristo è in pratica assente in questo tipo di religiosità.

Anche il dialogo tra scienza e fede, tornato ad essere così attuale, porta, senza volerlo, a una messa tra parentesi di Cristo. Esso ha infatti per oggetto Dio, il Creatore. La persona storica di Gesú di Nazaret non vi ha alcun posto. Succede lo stesso anche nel dialogo con la filosofia che ama occuparsi di concetti metafisici, più che di realtà storiche.

Si ripete insomma, su scala mondiale, quello che avvenne all’Areopago di Atene, in occasione della predicazione di Paolo. Finché l’Apostolo parlò del Dio “che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene” e del quale “stirpe noi siamo”, i dotti ateniesi lo ascoltarono con interesse; quando iniziò a parlare di Gesú Cristo “risuscitato dai morti”, risposero con un educato “ti sentiremo su questo un’altra volta” (Atti 17, 22-32).

Basta un semplice sguardo al Nuovo Testamento per capire quanto siamo lontani, in questo caso, dal significato originale della parola “fede” nel Nuovo Testamento. Per Paolo, la fede che giustifica i peccatori e conferisce lo Spirito Santo (Gal 3,2), in altre parole, la fede che salva, è la fede in Gesù Cristo, nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione. Anche per Giovanni la fede “che vince il mondo” è la fede in Gesú Cristo. Scrive: “Chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? (1 Gv 5,4-5)

Di fronte a questa nuova situazione, il primo compito è quello di fare, noi per primi, un grande atto di fede. “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” (Gv 16,33), ci ha detto Gesú. Non ha vinto solo il mondo di allora, ma il mondo di sempre, in ciò che ha in sé di refrattario e resistente al vangelo. Dunque, nessuna paura o rassegnazione. Fanno sorridere le ricorrenti profezie sull’inevitabile fine della Chiesa e del cristianesimo nella società tecnologica del futuro. Noi abbiamo una profezia ben più autorevole cui attenerci: “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).

Non possiamo però rimanere inerti; ci dobbiamo dare da fare per rispondere in modo adeguato alle sfide che la fede in Cristo affronta nel nostro tempo. Per ri-evangelizzare il mondo post-cristiano, è indispensabile, io credo, conoscere la via seguita dagli apostoli per evangelizzare il mondo pre-cristiano! Le due situazioni hanno molto in comune. Ed è questo che vorrei ora cercare di mettere in luce: come si presenta la prima evangelizzazione? Quale via seguì la fede in Cristo per conquistare il mondo?

2. Kerygma e didachè

Tutti gli autori del Nuovo Testamento mostrano di presupporre l’esistenza e la conoscenza, da parte dei lettori, di una tradizione comune (parado sis) risalente al Gesù terreno. Questa tradizione pre senta due aspetti, o due componenti: una componente chiamata “predicazione” , o annuncio (kerygma) che proclama ciò che Dio ha operato in Gesù di Nazaret, e una componente chiamata “ insegnamento” (didaché) che presenta norme etiche per un retto agire da parte dei credenti [2] . Varie lettere paoline riflettono que sta ripartizione, perché contengono una prima parte kerigmatica, dalla quale discende una seconda parte di carattere parenetico, o pratico.

La predicazione, o il kerygma, è chiamata 1′ “evangelo” [3] ; l’insegnamen to, o didaché, invece, è chiamato la “ legge” , o il co­mandamento, di Cristo, che si riassume nella carità [4] . Di queste due cose, la prima – il kerygma, o vangelo – è ciò che dà origine alla Chiesa; la secon da – la legge, o la carità – che scaturisce dalla prima, è ciò che traccia alla Chiesa un ideale di vita morale, che “ forma” la fede della Chiesa. In questo senso, l’Apo stolo distingue la sua opera di “ padre” nella fede, nei confronti dei corinzi, da quella dei “ pedagoghi” venu ti dopo di lui. Dice: “Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1 Cor 4, 15 ).

La fede, dunque, come tale, sboccia solo in presenza del kerygma, o dell’annuncio. “Come potranno credere – scrive l’Apostolo parlando della fede in Cristo -, senza averlo ascoltato? E come potranno ascoltarlo, senza che nessuno lo annunci?” (Rom 10,14). Alla lettera: “senza che qualcuno proclami il kerygma (choris keryssontos). E conclude: “La fede dipende dunque dall[’ascolto dell]a predicazione” (Rom 10,17), dove per “predicazione” si intende la stessa cosa, e cioè il “vangelo” o il kerygma.

Nel libro Introduzione al cristianesimo, il Santo Padre Benedetto XVI, allora professore di teologia, ha messo in luce le profonde implicazioni di questo fatto. Scrive: “Nella formula ‘la fede proviene dall’ascolto’…viene chiaramente messa a fuoco la distinzione fondamentale tra fede e filosofia…Nella fede si ha una precedenza della parola sul pensiero…Nella filosofia il pensiero precede la parola; essa è quindi un prodotto della riflessione, che poi si cerca di rendere a parole… La fede invece s’accosta sempre all’uomo dall’esterno…non è un elemento pensato dal soggetto, bensì a lui detto, che gli proviene sotto forma di non pensato e non pensabile, chiamandolo direttamente in causa e impegnandolo” [5] .

La fede viene dunque dall’ascolto della predicazione. Ma qual è, esattamente, l’oggetto della “predicazione”? Si sa che sulla bocca di Gesú esso è la grande notizia che fa da sfondo alle sue parabole e da cui scaturiscono tutti i suoi insegnamenti: “È venuto a voi il Regno di Dio!”. Ma qual è il contenuto della predicazione sulla bocca degli apostoli? Si risponde: l’opera di Dio in Gesù di Nazaret! È vero, ma c’è qualcosa di ancora più ristretto, che è il nucleo germinativo di tutto e che, rispetto al resto, è come il vomere, quella spe cie di spada davanti all’aratro che rompe per primo il terreno e permette all’aratro di tracciare il solco e rivoltare la terra.

Questo nucleo più ristretto è l’esclamazione: “Gesù è il Signore!”, pro­nunciata e accolta nello stupore di una fede “statu nascenti”, cioè nell’atto stesso di nascere. Il mistero di questa parola è tale che essa non può essere detta “se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1 Cor 12, 3 ). Da sola, essa fa entrare nella salvezza chi crede nella sua risurrezione: “Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti sarai salvo” (Rm 10, 9).

“Come la scia di un bel vascello – direbbe Ch. Péguy – va allargandosi fino a sparire e a perdersi, ma comin cia con una punta che è la punta stessa del vascello”, così – aggiungo io – la predicazione della Chiesa va allargandosi, fino a costituire un immenso edificio dottrinale, ma comin cia con una punta e questa punta è il kerygma: “Gesù è il Signore!“ .

Quello dunque che nella predicazione di Gesù era l’esclamazione: “È venuto il regno di Dio!”, nella predicazione degli apostoli è l’esclamazione: “ Gesù è il Signore!“. E tuttavia nessuna opposi zione, ma continuità perfetta tra il Gesú che predica e il Cristo predicato, perché dire: “Gesù è il Signore!“ è come dire che in Gesù, crocifisso e risor to, si è realizzato il regno e la sovranità di Dio sul mondo.

Dobbiamo intenderci bene per non cadere in una ricostruzione irreale della predicazione apostolica. Do po la Pentecoste, gli apostoli non vanno in giro per il mondo, ripetendo sempre e soltanto: “ Gesù è il Signo re! “. Quello che facevano, quando si trovavano ad annunciare per la prima volta la fede in un certo am biente, era, piuttosto, di andare dritti al cuore del vangelo, proclamando due fatti: Gesù è morto – Ge sù è risorto, e il motivo, di questi due fatti: è morto “per i nostri peccati” ; è risor to “ per la nostra giustificazione” (cf. 1 Cor 15, 4; Rm 4, 25).

Paolo ricorda così ai corinzi quello che aveva loro annunciato nella sua prima venuta presso di loro: “Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto…Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (1 Cor 15.1-4). Questo è ciò che egli chiama “il vangelo”. Questo è anche il nocciolo dei discorsi di Pietro negli Atti degli apostoli: “Voi avete ucciso Gesù di Nazaret, Dio lo ha risusci tato, e lo ha costituito Signore e Cristo” [6] .

L’annuncio: “Gesù è il Signo re! “ non è altro, come si vede, che la conclu­sione, ora implicita ora esplicita, di questa breve sto ria, narrata in forma sempre viva e nuova, anche se sostanzialmente identica, ed è, nello stesso tempo, ciò in cui tale storia si riassume e diventa operante per chi l’ascolta. “Cristo Gesù … spogliò se stesso… facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato… perché ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fi1 2, 6-11).

La proclamazione: “Gesù è il Signore!“ non costitui sce dunque, da sola, l’intera predicazione, ne è però l’anima e, per così dire, il sole che la illumina. Essa stabilisce una specie di comunione con la storia di Cristo attraverso la “ particola” della parola e fa pensare, per analogia, alla comunione che si opera con il corpo di Cristo attraverso la particola di pane nell’Eucaristia.

Venire alla fede è l’improvviso e stupito apri re gli occhi a questa luce. Rievocando il momento della sua conversione, Tertulliano lo descrive come un uscire dal grande utero buio dell’ignoranza, trasalendo alla luce della Verità [7] . Era come il dischiudersi di un mondo nuovo; la Prima Lettera di Pietro lo definisce un passare “dalle tenebre all’ammirabile luce” (1 Pt 2, 9; Col 1, 12 ss. ).

3. Riscoprire il kerygma

Richiamiamo alcune caratteristiche essenziali del kerygma. Esso, come ha spiegato bene l’esegeta Heinrich Schlier, ha un carattere assertivo e autoritati vo, non discorsivo o dialettico. Non ha bisogno, cioè, di giustificarsi con ragionamenti filosofici o apologetici: lo si accetta, o non lo si accetta e basta. Non è qualcosa di cui si possa disporre, perché è esso che dispone di tutto; non può essere fondato da qualcuno, perché è Dio stesso che lo fonda ed è esso che fa poi da fondamento all’esistenza [8] . È un parlare profetico nel senso più forte del termine.

Il pagano Celso, nel II secolo, scrive infatti indignato: “I cristiani si comportano come coloro che credono senza ragione. Alcuni di essi non vogliono neppure dare o ricevere ragione intorno a ciò che credono e usano formule come queste: « Non discutere ma credi; la fe de ti salverà. La sapienza di questo secolo è un male e la stoltezza è un bene » [9] .

Celso (che qui ci appare straordinariamente vicino ai moderni fautori del pensiero debole”) vorrebbe, in so stanza, che i cristiani presentassero la loro fede in modo dialettico, sottomettendola, cioè, in tutto e per tutto, alla ricerca e alla discussione, di modo che essa possa rientrare nel quadro generale, accettabile anche filosoficamente, di uno sforzo di autocomprensione dell’uomo e del mondo che rimarrà sempre provvisorio e aperto.

Naturalmente, il rifiuto dei cristiani di dare prove e di accettare discussioni non riguardava l’intero itinerario della fede, ma solo il suo inizio. Essi non rifuggivano, nemmeno in quest’epoca apostolica, dal confronto e dal “dare ragione della loro speranza” anche ai greci (cf. 1 Pt 3, 15 ). Gli apologisti del II-III secolo ne sono la riprova. Solamente, pensavano che la fede stessa non poteva scaturire da quel confronto, ma do veva precederlo come opera dello Spirito e non della ragione. Questa poteva, al massimo, prepararla e, una volta accolta, mostrarne la “ragionevolezza”.

Altra caratteristica. Esso ha, per così dire, un carattere esplosivo, o germinativo; somiglia più al seme che dà origine all’albero, che non al frutto maturo che sta in cima all’albero e che, nel cristianesimo, è costituito piuttosto dalla carità. Non è ottenuto per concentrazione, o per riassunto, quasi fos se il midollo della tradizione; ma sta a parte, o, me­glio, all’inizio di tutto. Da esso si sviluppa tutto il resto, compresi i quattro vangeli che furono scritti in seguito proprio per illustrare il kerygma.

Su questo punto si ebbe una evoluzione dovuta alla situazione generale della Chiesa. Nella misura in cui si va verso un regime di cristianità, in cui tutto intorno è cristiano, o si considera tale, si avverte meno l’importanza della scelta iniziale con cui si diventa cristiani, tanto più che il battesi mo è ormai somministrato normalmente ai bambini, i quali non sono in grado di fare tale scelta propria. Ciò che più si accentua, della fede, non è tanto il momento iniziale, il miracolo del venire alla fede, quanto piuttosto la completezza e l’ortodossia dei con tenuti della fede stessa.

Questa situazione incide oggi fortemente sull’evangelizzazione. Le Chiese con una forte tradizione dogmatica e teologica (come è, per eccellenza, la Chiesa Cattolica) rischiano di trovarsi svantaggiate, se al di sotto dell’immenso patrimonio di dottrina, leggi e istituzioni non ritrovano quel nucleo primordiale capace di suscitare per se stesso la fede.

Presentarsi all’uomo d’oggi, digiuno spesso di ogni conoscenza di Cristo, con tutto il ventaglio di questa dottrina è come mettere uno di quei pesanti piviali di broccato di una volta sulle spalle di un bambino. Siamo più preparati dal nostro passato ad essere “pastori” che ad essere “pescatori” di uomini; cioè, meglio preparati a nutrire la gente che viene in chiesa che portare persone nuove alla Chiesa, o ripescare quelli che si sono allontanati e ne vivono ai margini.

È questo una delle cause per cui in certe parti del mondo tanti cattolici abbandonano la Chiesa cattolica per altre realtà cristiane; sono attratti da un annuncio semplice ed efficace che le mette in diretto contatto con Cristo e fa loro sperimentare la potenza del suo Spirito.

Se da una parte c’è da rallegrarsi che queste persone abbiano ritrovato una fede vissuta, dall’altra è triste che per farlo abbiano abbandonato la loro Chiesa. Con tutto il rispetto e la stima che dobbiamo avere per queste comunità cristiane che non sono tutte delle sette (con alcune di esse la Chiesa cattolica mantiene da anni un dialogo ecumenico, cosa che non farebbe certo con delle sette!), bisogna dire che esse non hanno i mezzi che ha la Chiesa cattolica di portare le persone alla perfezione della vita cristiana.

Presso molti di loro tutto continua a ruotare, dall’inizio alla fine, intorno alla prima conversione, alla cosiddetta nuova nascita, mentre per noi cattolici questo è solo l’inizio della vita cristiana. Dopo di esso deve venire la catechesi e il progresso spirituale che passa attraverso il rinnegamento di se, la notte della fede, la croce, fino alla risurrezione. La Chiesa cattolica ha una ricchissima spiritualità, innumerevoli santi, il magistero e soprattutto i sacramenti.

Bisogna dunque che l’annuncio fonda mentale, almeno una volta, sia proposto tra noi, nitido e scar no, non solo ai catecumeni, ma a tutti, dal momento che la maggioranza dei credenti di oggi non è passata attraverso il catecumenato. La grazia che alcuni dei nuovi movimenti ecclesiali costituiscono oggi per la Chiesa consiste proprio in questo. Essi sono il luogo dove persone adulte hanno finalmente l’occasione di ascoltare il kerygma, rinnovare il proprio battesimo, scegliere consapevolmente Cristo come proprio Signore e salvatore personale e di impegnarsi attivamente nella vita della loro Chiesa.

La proclamazione di Gesù come Signore dovrebbe trovare il suo posto d’onore in tutti i momenti forti della vita cristiana. L’occasione più propizia sono forse i funerali perché di fronte alla morte l’uomo si interroga, ha il cuore aperto, è meno distratto che in altre occasioni. Niente come il kerygma cristiano ha da dire all’uomo, sulla morte, una parola a misura del problema”.

4. Riscegliere Gesú come Signore

Siamo partiti dalla domanda: “che posto occupa Cristo nella società attuale?”; ma non possiamo terminare senza porci la domanda più importante in un contesto come questo: “che posto occupa Cristo nella mia vita?”. Richiamiamo alla mente il dialogo di Gesú con gli apostoli a Cesarea di Filippo: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?…Ma voi chi dite che io sia?” (Mt 16 13-15). La cosa più importante per Gesú non sembra essere cosa pensa di lui la gente, ma cosa pensano di lui i suoi più intimi discepoli.

Ho accennato sopra alla ragione oggettiva che spiega l’importanza della proclamazione di Cristo come Signore nel Nuovo Testamento: essa rende presenti e operanti in chi la pronuncia gli eventi salvifici che ricorda. C’è però anche una ragione soggettiva, ed esistenziale. Dire “Gesù è il Signore!” significa prendere una decisione di fatto. È come dire: Gesù Cristo è il “mio” Signore; gli riconosco ogni diritto su di me, gli cedo le redini della mia vita; io non voglio vivere più “per me stesso”, ma “per lui che è morto e risorto per me” (cf. 2 Cor 5,15).

Proclamare Gesù come proprio Signore, significa sottomettere a lui ogni zona del nostro essere, far penetrare il vangelo in tutto ciò che facciamo. Significa, per ricordare una frase del venerato Giovanni Paolo II, “aprire, anzi spalancare le porte a Cristo”.

Mi è capitato a volte di trovarmi ospite di qualche famiglia e ho visto cosa succede quando suona il citofono e si annuncia una visita inattesa, La padrona di casa si affretta a chiudere le porte delle stanze in disordine, con il letto non rifatto, in modo da guidare l’ospite nel locale più accogliente. Con Gesù bisogna fare esattamente il contrario: aprirgli proprio le “stanze in disordine” della vita, soprattutto la stanza delle intenzioni… Per chi lavoriamo e per che cosa lo facciamo? Per noi stessi o per Cristo, per la nostra gloria o per quella di Cristo? È il modo migliore per preparare in questo Avvento una culla accogliente a Cristo che viene a Natale.

[1] S. Agostino, Sermo 295,1 (PL 38,1349).

[2] Cf. C. H. Dodd, Storia ed Evangelo, Brescia, Paideia, 1976, pp. 42 ss.

[3] Cf., per esempio, Mc 1, 1; Rm 15, 19; Gal 1, 7.

[4] Cf. Gal 6, 2; 1 Cor 7, 25; Gv 15, 12; 1 Gv 4, 21.

[5] J.Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, Queriniana, 1969, pp. 56 s.

[6] Cf. At 2, 22-36; 3, 14-19; 10, 39-42.

[7] Tertulliano, Apologeticum, 39, 9: “ad lucem expa vescentes véritatis” .

[8] H. Schlier, Kerygma e sophia, in Il tempo della Chiesa, Bologna 1968, pp. 330-372.

[9] In Origene, Contra Celsum, I, 9. 

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 29 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

La Divina Liturgia di san Basilio: Pregare in ogni momento davanti al Figlio dell’uomo

dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/29/2008#

La Divina Liturgia di san Basilio (4° secolo)
Preghiera eucharistica, 2a parte

Pregare in ogni momento davanti al Figlio dell’uomo

«Fate questo in memoria di me. Infatti ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annuncerete la mia morte e confesserete la mia resurrezione». Memori, dunque, anche noi, o Sovrano, della sua passione salvifica, della vivificante croce, della sua sepoltura di tre giorni, della resurrezione dai morti, dell’ascensione ai cieli, della sua presenza alla tua destra, o Dio e Padre, e della sua gloriosa e tremenda venuta: Gli stessi doni, da Te ricevuti, a Te offriamo in tutto e per tutto.

A Te inneggiamo, Te benediciamo, Te ringraziamo, o Signore, e ti supplichiamo, o Dio nostro. Per questo, Sovrano Santissimo, anche noi peccatori e tuoi servi indegni, e pure fatti degni di servire al tuo santo altare, non certo per le nostre azioni giuste, poiché non abbiamo fatto niente di buono sulla terra, ma a causa della tua misericordia e della tua compassione che hai riversato abbondantemente su di noi, osiamo avvicinarci al tuo santo altare e, offrendo i segni sacramentali del Santo Corpo e del Sangue del tuo Cristo, ti preghiamo e ti supplichiamo, o Santo dei Santi, che, con il beneplacito della tua bontà, venga il tuo Spirito Santo su di noi e sopra i doni qui presenti, e che li benedica, li santifichi e renda questo pane lo stesso prezioso corpo del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo. (Il diacono dice: Amìn). E questo calice lo stesso prezioso sangue del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo (Il diacono dice: Amìn) che egli versò per la vita del mondo (Il diacono dice: Amìn)…

Tutti noi che partecipiamo a questo unico Pane e Calice, uniscici l’un l’altro nella comunione di un solo Spirito Santo e fa che nessuno di noi partecipi a questo Santo Corpo e Sangue del tuo Cristo a suo giudizio e condanna; ma fa’ si che troviamo misericordia e grazia insieme con tutti i Santi che ti sono stati graditi dal principio… E concedici di glorificare e di lodare con una sola voce ed un solo cuore l’onorabilissimo e magnifico tuo nome, Padre Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 29 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

PAUL SENDS A LETTER GALATIANS

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LUTHER NT, PAUL SENDS A LETTER GALATIANS

http://www.artbible.net/2NT/Gal0101_Portraits_misc/index.htm

Publié dans:immagini sacre |on 28 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Taizé, Meditazione biblica mensile: Novembre, Gv 16, 12-15

dal sito:

http://www.taize.fr/it_article172.html

Taizé, Meditazione biblica mensile

Queste meditazioni bibliche mensili sono proposte per sostenere una ricerca di Dio nel silenzio e nella preghiera, anche nella vita quotidiana. Si tratta di prendere un’ora per leggere in silenzio il testo biblico suggerito, accompagnato dal breve commento e dalle domande. Ci si riunisce poi in piccoli gruppi, da 3 a 10 persone, a casa di uno dei partecipanti o in chiesa, per un breve scambio su ciò che ognuno ha scoperto, con eventualmente un momento di preghiera.

2008
Novembre
Giovanni 16, 12-15: Spirito, guidaci verso la verità tutta intera

Gesù disse ai suoi discepoli: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà. (Giovanni 16,12-15)
Prevenendo i discepoli della sua imminente dipartita, Gesù li rassicura: «Non vi carico di troppi pesi. L’essenziale che dovete assolutamente sapere, l’ho fatto conoscere a voi (vedi Giovanni 15,15). Andate dunque verso l’avvenire con completa fiducia: in ogni nuova situazione, lo Spirito che prenderà il mio posto vi svelerà ciò che dovete sapere di me».

Quando gli uomini lasciano dietro di sé una nuova fondazione d’ordine religioso o filosofico, hanno in generale la preoccupazione di fornire delle indicazioni fissate con cura per iscritto. Gesù, invece, procede diversamente: lascia poco; e anche se quel che lascia si rivela insostituibile, egli conta piuttosto su una persona vivente, lo Spirito di verità, per ricordarlo ai discepoli, per attualizzarlo e interiorizzarlo. Questo Spirito rischiarerà il senso delle sue parole gettando su di esse la luce della sua morte e della sua risurrezione. Così lo «glorificherà».

Non è dunque verso verità inedite che lo Spirito ci guiderà, né verso un sapere che si aggiungerebbe a ciò che Gesù ha trasmesso. No, egli ci guiderà dentro la verità tutta intera. Ci permetterà una comprensione ancora più giusta di quella verità che è Gesù, egli ci renderà coscienti dell’impatto che essa avrà nelle nuove situazioni con cui saremo confrontati.

Questa verità, nessun essere umano, nessun gruppo potrà coglierla da solo. Nessuna tradizione umana basterà per esplorarla. Noi avremo bisogno dei cristiani di altre culture, altre razze, dei cristiani con un’altra storia, per scoprire ciò che questa verità inesauribile ci riserva per vivere di Cristo.

 Sono pronto a riconoscere che la verità tutta intera riguardante Gesù è ancora davanti a me, che devo ancora lasciarmi guidare? Questo che cosa cambia nel mio modo di testimoniare la fede? Nella mia relazione con cristiani di un’altra tradizione diversa dalla mia?

 Al mio umile livello, come posso contribuire a un avvenire ecumenico nel quale potremo dare una testimonianza migliore a Gesù perché saremo stati uniti gli uni agli altri?

Publié dans:meditazioni |on 28 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

Prof. Romano Penna: SIETE STATI CHIAMATI A LIBERTÀ » (Gal 5,13).

dal sito:

http://www.diocesi.brescia.it/main/uffici_servizi_di_curia/u_catechistico/documenti/relazione_Romano_Penna.doc

« SIETE STATI CHIAMATI A LIBERTÀ » (Gal 5,13).
Cosa vuol dire oggi?

di Romano Penna (« Villa Pace » di Gussago, 8 giugno 2008)

Le parole del titolo sono di san Paolo. Quindi sono state scritte circa duemila anni fa. Ma non hanno perso nulla del loro fascino originario, anzi sono sempre più attuali. Perché? Semplicemente perché l’ideale e la ricerca della libertà non hanno tempo, visto che appartengono al fondo dell’uomo, di ogni uomo. E sono parole che fanno il paio con queste altre, ancora più forti, con cui si apre lo stesso capitolo cinque della lettera ai Galati: « Per la libertà Cristo ci ha liberati »! Con questa frase, secondo il copione inedito di un film preparato da Pier Paolo Pasolini su san Paolo, situato tutto nel nostro tempo, l’Apostolo doveva iniziare a Marsiglia il suo discorso a un gruppo di fuorusciti spagnoli dell’ex-regime di Franco.
Dunque, secondo Paolo, noi non siamo soltanto « chiamati » (oggi) ad essere liberi domani, come se la libertà fosse un traguardo ancora tutto da raggiungere. Al contrario, il vangelo consiste nell’annuncio di una libertà già procurata e già donata; sicché, se è stata accolta, essa è già posseduta. In effetti, poco prima nella stessa lettera, Paolo prende le distanze da alcuni « falsi fratelli », che « si sono introdotti per insidiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù » (2,4).
Qui tocchiamo uno dei punti davvero caratteristici dell’identità cristiana, per cui essa si distingue da ogni altro tipo di libertà intesa in senso politico e soprattutto filosofico. Secondo la filosofia, ogni uomo è libero per natura, quindi per nascita, e decide autonomamente le proprie scelte: si tratta del cosiddetto « libero arbitrio », su cui Erasmo da Rotterdam nel 1500 scrisse un celebre trattatello. Il guaio è che ciò è vero in teoria, mentre poi in pratica ciascuno di noi è doppiamente condizionato e limitato: primo, dal nostro personale egoismo (radicato in una situazione originaria di peccato), per cui fare tutto quello che si vuole significa in realtà essere sottomessi a stimoli e pulsioni pre-razionali che ci comandano e di cui siamo forse inconsapevolmente schiavi; secondo, siamo condizionati dalle imposizioni della legge, non tanto di quella civile quanto di quella morale (i comandamenti), nella misura in cui pensiamo di essere graditi a Dio solo se osserviamo con le nostre opere la sua volontà precettiva, senza tener conto della sua grazia. Ecco perché, in contrapposizione a Erasmo, Lutero scrisse un trattatello intitolato « Il servo arbitrio », per dire che in concreto l’uomo è vincolato a una condizione di peccato, che ne limita le vere possibilità.
Ebbene, se Paolo dice che Cristo « ci ha liberati », ciò significa innanzitutto riconoscere che senza Cristo noi ci troviamo in una condizione di servitù (nei confronti sia dell’egoismo sia del principio esterno della legge) e in secondo luogo che noi possiamo ritrovare la nostra libertà piena solo come frutto di una liberazione. Qui sta il punto: senza questa liberazione, noi non siamo liberi! Ma la liberazione, di cui si tratta, non è il prodotto di un nostro sforzo individuale, che ci ricondurrebbe fatalmente alla nostra auto-affermazione e farebbe ancora di noi il criterio interessato di misura del rapporto con gli altri. Invece, la libertà cristiana è il risultato di un costo pagato dall’amore di Cristo per noi (« mi ha amato e ha dato se stesso per me »: Gal 2,20) e quindi il risultato di un dono assolutamente disinteressato.
C’è poi un risvolto importantissimo della libertà cristiana, senza il quale non si capirebbe in che cosa essa davvero consiste. Ed è che la libertà, oltre a consistere in una radice profondamente piantata in noi, si esprime in comportamenti gratuiti e generosi nei confronti degli altri. È qui che ha senso l’idea di libertà come chiamata (« chiamati a libertà »). Infatti Paolo prosegue nella sua lettera: « Non fate della libertà un pretesto per la carne, ma mediante l’amore fatevi servi gli uni degli altri ». Ora, la carne in senso paolino è tutto ciò che prescinde o si oppone alla generosità veramente ‘liberale’ di Dio, cioè è un’atmosfera di chiusura a lui e quindi di deterioramento personale. Perciò la libertà evangelica esclude ogni ripiegamento su se stessi e invece proietta il cristiano al servizio del prossimo.
Si vede bene quindi che la libertà ha una doppia componente: l’una è a livello di realtà oggettiva, statica, e consiste in un modo d’essere, reale e profondo, acquisito per grazia di Dio; l’altra è a livello soggettivo, dinamico, e consiste in un modo di agire, che ci fa estroversi, cioè ci proietta al di fuori di noi e ci impegna per il bene degli altri. Allora, si capisce che la seconda non sta senza la prima: l’impegno non avrebbe senso, se non si fondasse su di un dono di cui siamo beneficiari; ma, altrettanto, la prima componente sarebbe sterile, se non si traducesse positivamente in modi nuovi di vivere. Perciò, si potrebbe dire che la libertà effettiva, che già ci è stata donata, diventa una chiamata, cioè un impulso, una spinta, un input a liberarci sempre più di noi stessi per esprimerci in pienezza a favore degli altri.

Publié dans:biblica, San Paolo |on 28 novembre, 2008 |Pas de commentaires »

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 28 novembre, 2008 |Pas de commentaires »
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