Archive pour octobre, 2008

Guglielmo di Saint-Thierry : « Se non vi convertirete, perirete »

dal sito:

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Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), monaco benedettino poi cistercense
Orazioni meditative, n° 5 ; SC 324, 99

« Se non vi convertirete, perirete »

Povero me, la mia coscienza mi accusa senza sosta, senza che la verità possa scusarmi dicendo: non sapeva quello che faceva. Perdona dunque, Signore, al prezzo del tuo prezioso sangue, tutti i miei peccati nei quali sono caduto, coscientemente o incoscientemente… Sì, Signore, ho veramente peccato, volontariamente e molto. Dopo aver ricevuto la conoscenza della tua verità, ho offeso lo Spirito di grazia; eppure, durante il mio battesimo, egli mi aveva concesso gratuitamente la remissione dei peccati. Ma io, dopo aver ricevuto la conoscenza della tua verità sono tornato ai miei peccati, «come il cane al suo vomito» (2 Pt 2,2; Pr 26,11).

O Figlio di Dio, ti ho forse calpestato rinnegandoti? Eppure non posso dire che Pietro, rinnegandoti ti abbia calpestato, lui che ti amava così ardentemente, anche se ti ha rinnegato una volta, due volte, tre volte… Anche la mia fede Satana l’ha cercata, per vagliarla come il grano; ma la tua preghiera è scesa fino a me, sicché la mia fede non è venuta mai meno (Lc 22,31-32), non ti ho abbandonato… Sai quanto io abbia sempre voluto aderire alla fede in te; tu dunque, custodiscimi in questa volontà fino alla fine.

Sempre ho creduto in te…, sempre ti ho amato anche quando ho peccato contro di te. Mi rammarico dei miei peccati, fino a morirne. Ma del mio amore non ho nessun rammarico, se non quello di non averti amato quanto avrei dovuto.

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buona notte

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donkey

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Discernere i segni dei tempi

dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&ordo=&localTime=10/24/2008#

Concilio Vaticano II
Decreto sull’ecumenismo, 4

Discernere i segni dei tempi

Siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e l’azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica.

Per « movimento ecumenico » si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità, il « dialogo » condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione. Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune, e possono anche, all’occasione, riunirsi per pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com’è dovere, intraprendono con vigore l’opera di rinnovamento e di riforma.

Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione. Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell’unica Chiesa.

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salmo 22 (23)Dio mio pastore

salmo 22 (23)Dio mio pastore  dans immagini sacre 20081012_v

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Dimanche 12 octobre 2008, 28ème dimanche ordinaire Année A

Psaume 22 [23]

R/ Près de toi, Seigneur,
sans fin nous vivrons.

Le Seigneur est mon berger :
je ne manque de rien.
Sur des prés d’herbe fraîche,
il me fait reposer.

Il me mène vers les eaux tranquilles
et me fait revivre ;
il me conduit par le juste chemin
pour l’honneur de son nom.

Si je traverse les ravins de la mort,
je ne crains aucun mal,
car tu es avec moi,
ton bâton me guide et me rassure.

Tu prépares la table pour moi,
devant mes ennemis ;
tu répands le parfum sur ma tête,
ma coupe est débordante.

Grâce et bonheur m’accompagnent
tous les jours de ma vie ;
j’habiterai la maison du Seigneur
pour la durée de mes jours.

Domenica 12 ottobre 2008, XXVIII domenica del Tempo ordinario, anno A

22 (23)Dio mio pastore  

1 Salmo. Di Davide. 

Il Signore è il mio pastore: 

non manco di nulla; 

2 su pascoli erbosi mi fa riposare 

ad acque tranquille mi conduce. 

3 Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, 

per amore del suo nome. 

4 Se dovessi camminare in una valle oscura, 

non temerei alcun male, perché tu sei con me. 

Il tuo bastone e il tuo vincastro 

mi danno sicurezza. 

5 Davanti a me tu prepari una mensa 

sotto gli occhi dei miei nemici; 

cospargi di olio il mio capo. 

Il mio calice trabocca. 

6 Felicità e grazia mi saranno compagne 

tutti i giorni della mia vita, 

e abiterò nella casa del Signore 

per lunghissimi anni.

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Il Papa: San Paolo e la centralità del Risorto nel mistero della salvezza

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-15869?l=italian

Il Papa: San Paolo e la centralità del Risorto nel mistero della salvezza

Intervento in occasione dell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 22 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale in Piazza San Pietro.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

nelle catechesi delle scorse settimane abbiamo meditato sulla ‘conversione’ di san Paolo, frutto dell’incontro personale con Gesù crocifisso e risorto, e ci siamo interrogati su quale sia stata la relazione dell’Apostolo delle genti con il Gesù terreno. Oggi vorrei parlare dell’insegnamento che san Paolo ci ha lasciato sulla centralità del Cristo risorto nel mistero della salvezza, sulla sua cristologia. In verità, Gesù Cristo risorto, « esaltato sopra ogni nome », sta al centro di ogni sua riflessione. Cristo è per l’Apostolo il criterio di valutazione degli eventi e delle cose, il fine di ogni sforzo che egli compie per annunciare il Vangelo, la grande passione che sostiene i suoi passi sulle strade del mondo. E si tratta di un Cristo vivo, concreto: il Cristo – dice Paolo – « che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me » (Gal 2, 20). Questa persona che mi ama, con la quale posso parlare, che mi ascolta e mi risponde, questo è realmente il principio per capire il mondo e per trovare la strada nella storia. Chi ha letto gli scritti di san Paolo sa bene che egli non si è preoccupato di narrare i singoli fatti in cui si articola la vita di Gesù, anche se possiamo pensare che nelle sue catechesi abbia raccontato molto di più sul Gesù prepasquale di quanto egli scrive nelle Lettere, che sono ammonimenti in situazioni precise. Il suo intento pastorale e teologico era talmente teso all’edificazione delle nascenti comunità, che gli era spontaneo concentrare tutto nell’annuncio di Gesù Cristo quale « Signore », vivo adesso e presente adesso in mezzo ai suoi. Di qui la caratteristica essenzialità della cristologia paolina, che sviluppa le profondità del mistero con una costante e precisa preoccupazione: annunciare, certo, il Gesù vivo, il suo insegnamento, ma annunciare soprattutto la realtà centrale della sua morte e risurrezione, come culmine della sua esistenza terrena e radice del successivo sviluppo di tutta la fede cristiana, di tutta la realtà della Chiesa. Per l’Apostolo la risurrezione non è un avvenimento a sé stante, disgiunto dalla morte: il Risorto è sempre colui che, prima, è stato crocifisso. Anche da Risorto porta le sue ferite: la passione è presente in Lui e si può dire con Pascal che Egli è sofferente fino alla fine del mondo, pur essendo il Risorto e vivendo con noi e per noi. Questa identità del Risorto col Cristo crocifisso Paolo l’aveva capita nell’incontro sulla via di Damasco: in quel momento gli si rivelò con chiarezza che il Crocifisso è il Risorto e il Risorto è il Crocifisso, che dice a Paolo: « Perché mi perseguiti? » (At 9,4). Paolo sta perseguitando Cristo nella Chiesa e allora capisce che la croce è « una maledizione di Dio » (Dt 21,23), ma sacrificio per la nostra redenzione.

L’Apostolo contempla affascinato il segreto nascosto del Crocifisso-risorto e attraverso le sofferenze sperimentate da Cristo nella sua umanità (dimensione terrena) risale a quell’esistenza eterna in cui Egli è tutt’uno col Padre (dimensione pre-temporale): « Quando venne la pienezza del tempo – egli scrive -, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli » (Gal 4,4-5). Queste due dimensioni, la preesistenza eterna presso il Padre e la discesa del Signore nella incarnazione, si annunciano già nell’Antico Testamento, nella figura della Sapienza. Troviamo nei Libri sapienziali dell’Antico Testamento alcuni testi che esaltano il ruolo della Sapienza preesistente alla creazione del mondo. In questo senso vanno letti passi come questo del Salmo 90: « Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio » (v. 2); o passi come quello che parla della Sapienza creatrice: « Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra » (Prv 8, 22-23). Suggestivo è anche l’elogio della Sapienza, contenuto nell’omonimo libro: « La Sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra e governa a meraviglia l’universo » (Sap 8,1). Gli stessi testi sapienziali che parlano della preesistenza eterna della Sapienza, parlano anche della discesa, dell’abbassamento di questa Sapienza, che si è creata una tenda tra gli uomini. Così sentiamo echeggiare già le parole del Vangelo di Giovanni che parla della tenda della carne del Signore. Si è creata una tenda nell’Antico Testamento: qui è indicato il tempio, il culto secondo la « Thorà »; ma dal punto di vista del Nuovo Testamento possiamo capire che questa era solo una prefigurazione della tenda molto più reale e significativa: la tenda della carne di Cristo. E vediamo già nei Libri dell’Antico Testamento che questo abbassamento della Sapienza, la sua discesa nella carne, implica anche la possibilità che essa sia rifiutata. San Paolo, sviluppando la sua cristologia, si richiama proprio a questa prospettiva sapienziale: riconosce in Gesù la sapienza eterna esistente da sempre, la sapienza che discende e si crea una tenda tra di noi e così egli può descrivere Cristo, come « potenza e sapienza di Dio », può dire che Cristo è diventato per noi « sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione » (1 Cor 1,24.30). Similmente Paolo chiarisce che Cristo, al pari della Sapienza, può essere rifiutato soprattutto dai dominatori di questo mondo (cfr 1 Cor 2,6-9), cosicché può crearsi nei piani di Dio una situazione paradossale, la croce, che si capovolgerà in via di salvezza per tutto il genere umano.

Uno sviluppo ulteriore di questo ciclo sapienziale, che vede la Sapienza abbassarsi per poi essere esaltata nonostante il rifiuto, si ha nel famoso inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11). Si tratta di uno dei testi più alti di tutto il Nuovo Testamento. Gli esegeti in stragrande maggioranza concordano ormai nel ritenere che questa pericope riporti una composizione precedente al testo della Lettera ai Filippesi. Questo è un dato di grande importanza, perché significa che il giudeo-cristianesimo, prima di san Paolo, credeva nella divinità di Gesù. In altre parole, la fede nella divinità di Gesù non è una invenzione ellenistica, sorta molto dopo la vita terrena di Gesù, un’invenzione che, dimenticando la sua umanità, lo avrebbe divinizzato; vediamo in realtà che il primo giudeo-cristianesimo credeva nella divinità di Gesù, anzi possiamo dire che gli Apostoli stessi, nei grandi momenti della vita del loro Maestro, hanno capito che Egli era il Figlio di Dio, come disse san Pietro a Cesarea di Filippi: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » (Mt 16,16). Ma ritorniamo all’inno della Lettera ai Filippesi. La struttura di questo testo può essere articolata in tre strofe, che illustrano i momenti principali del percorso compiuto dal Cristo. La sua preesistenza è espressa dalle parole: « pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio » (v. 6); segue poi l’abbassamento volontario del Figlio nella seconda strofa: « svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo » (v. 7), fino a umiliare se stesso « facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce » (v. 8). La terza strofa dell’inno annuncia la risposta del Padre all’umiliazione del Figlio: « Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome » (v. 9). Ciò che colpisce è il contrasto tra l’abbassamento radicale e la seguente glorificazione nella gloria di Dio. E’ evidente che questa seconda strofa è in contrasto con la pretesa di Adamo che da sé voleva farsi Dio, è in contrasto anche col gesto dei costruttori della torre di Babele che volevano da soli edificare il ponte verso il cielo e farsi loro stessi divinità. Ma questa iniziativa della superbia finì nella autodistruzione: non si arriva così al cielo, alla vera felicità, a Dio. Il gesto del Figlio di Dio è esattamente il contrario: non la superbia, ma l’umiltà, che è realizzazione dell’amore e l’amore è divino. L’iniziativa di abbassamento, di umiltà radicale di Cristo, con la quale contrasta la superbia umana, è realmente espressione dell’amore divino; ad essa segue quell’elevazione al cielo alla quale Dio ci attira con il suo amore.

Oltre alla Lettera ai Filippesi, vi sono altri luoghi della letteratura paolina dove i temi della preesistenza e della discesa del Figlio di Dio sulla terra sono tra loro collegati. Una riaffermazione dell’assimilazione tra Sapienza e Cristo, con tutti i connessi risvolti cosmici e antropologici, si ritrova nella prima Lettera a Timoteo: « Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria » (3,16). E’ soprattutto su queste premesse che si può meglio definire la funzione di Cristo come Mediatore unico, sullo sfondo dell’unico Dio dell’Antico Testamento (cfr 1 Tm 2,5 in relazione a Is 43,10-11; 44,6). E’ Cristo il vero ponte che ci guida al cielo, alla comunione con Dio.

E, finalmente, solo un accenno agli ultimi sviluppi della cristologia di san Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini. Nella prima, Cristo viene qualificato come « primogenito di tutte le creature » (1,15-20). Questa parola « primogenito » implica che il primo tra tanti figli, il primo tra tanti fratelli e sorelle, è disceso per attirarci e farci suoi fratelli e sorelle. Nella Lettera agli Efesini troviamo una bella esposizione del piano divino della salvezza, quando Paolo dice che in Cristo Dio voleva ricapitolare tutto (cfr. Ef 1,23). Cristo è la ricapitolazione di tutto, riassume tutto e ci guida a Dio. E così ci implica in un movimento di discesa e di ascesa, invitandoci a partecipare alla sua umiltà, cioè al suo amore verso il prossimo, per essere così partecipi anche della sua glorificazione, divenendo con lui figli nel Figlio. Preghiamo che il Signore ci aiuti a conformarci alla sua umiltà, al suo amore, per essere così resi partecipi della sua divinizzazione.

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Liturgia e primato di Dio al centro della presentazione del Papa alla sua Opera Omnia

RADIO VATICANA

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=239678

23/10/2008

Liturgia e primato di Dio al centro della presentazione del Papa alla sua Opera Omnia

La centralità

della Liturgia, il primato di Dio, lorientamento della preghiera nella celebrazione eucaristica: sono i temi che il Papa ha affrontato nella prefazione al primo volume dellOpera Omnia dei suoi scritti che vanno dagli anni delluniversità fino al 2005, e che è stata presentata ieri in Sala Stampa vaticana. Ce ne parla

Sergio Centofanti.

“Mi farebbe molto piacere se la nuova pubblicazione dei miei scritti liturgici potesse contribuire a rendere visibili le grandi prospettive della nostra Liturgia, rimettendo al loro posto le misere, piccole beghe sulle forme esteriori”: è quanto scrive il Papa nella presentazione del primo volume dell’Opera Omnia che parte dai suoi scritti sulla Liturgia. Benedetto XVI sottolinea che iniziare con la Liturgia, come è accaduto ai lavori del Concilio Vaticano II, vuol dire affermare il primato di Dio. “Prima di tutto Dio”: infatti, “là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento”. Come afferma la Regola benedettina: “nulla anteporre all’Opera di Dio”, all’Eucaristia.

Il Pontefice confida di aver pensato inizialmente, per non riaccendere le polemiche, di eliminare nove pagine del suo libro intitolato “Lo Spirito della Liturgia. Una introduzione”, pubblicato nel 2000, e che forma il testo centrale del primo volume. Purtroppo – rileva – quasi tutte le recensioni si sono concentrate solo su quelle pagine che trattano l’orientamento della preghiera nella Liturgia quasi che si volesse reintrodurre nella Messa il sacerdote “con le spalle rivolte all’assemblea”. Ma poi le ha conservate ritenendo fosse chiara la sua intenzione più profonda. Ha notato quindi con piacere che si sta facendo strada il suo suggerimento di “non modificare le strutture, ma semplicemente di porre la Croce al centro dell’altare, alla quale guardano il sacerdote ed i fedeli insieme, per lasciarsi così condurre al Signore che preghiamo tutti insieme”.

“Il concetto secondo cui il sacerdote e l’assemblea dovrebbero guardarsi negli occhi durante la preghiera – scrive – si è sviluppato soltanto nell’epoca moderna ed è assolutamente estraneo alla cristianità antica. Infatti, il sacerdote e l’assemblea non pregavano l’uno verso l’altra, ma rivolti all’unico Signore. Per questo durante la preghiera guardano nella medesima direzione: o verso Oriente, simbolo cosmico del Signore che deve venire, o – dove questo non fosse possibile – verso un’immagine di Cristo sull’abside, verso una Croce, o semplicemente tutti insieme verso l’alto, come fece il Signore durante la preghiera sacerdotale nella sera prima della sua Passione”.

Il Papa spiega quindi che, al di là delle “questioni spesso pedanti su questa o quella forma”, l’intenzione essenziale di questa opera è quella di porre la Liturgia “nella vastità del cosmo”, che “abbraccia contemporaneamente Creazione e Storia” al cui centro c’è il Salvatore, Gesù Cristo, verso il quale tutti ci rivolgiamo in preghiera.

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vi va ancora qualcosa da mangiare? … da bere?

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http://www.panciapiena.com/2008/05/12/spaghetti-alla-carbonara/

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Dionigi il Certosino : « Vi lascio la pace, vi do la mia pace » (Gv 14,27)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=10/23/2008#

Dionigi il Certosino (1402-1471), monaco
Commento sul vangelo di Luca ; Opera omnia, 12, 72

« Vi lascio la pace, vi do la mia pace » (Gv 14,27)

«Pensate cho io sia venuto a portare la pace sulla terra?» Come se Cristo dicesse: «Non pensate che io sia venuto a dare agli uomini la pace secondo la carne, la pace secondo questo mondo, la pace cioè senza nessuna regola, che li avrebbe fatti vivere in accordo col male e avrebbe assicurato loro la prosperità su questa terra. No, vi dico, non sono venuto a portare una pace di questo genere ma la divisione, una buona e salutare separazione degli spiriti e anche dei corpi. Così, perché amano Dio e cercano la pace interiore, coloro che credono in me si troveranno naturalmente in disaccordo con i malvagi; si separeranno da coloro che provano a distoglierli dal progresso spirituale a dalla purezza dell’amore divino, o che si sforzano di crear loro difficoltà.

Dunque la pace spirituale, la pace interiore, la buona pace è la tranquilità dell’anima in Dio, e la concordia secondo l’ordine giusto. Cristo è venuto a portare questa pace prima di ogni altra cosa… La pace interiore trova la sua sorgente nell’amore. Consiste in una gioia inalterabile dell’anima che è in Dio. La chiamiamo pace del cuore. È l’inizio e un assaggio della pace dei santi che sono nella patria, della pace dell’eternità.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 23 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

Cristo Re dell’universo

Cristo Re dell'universo dans immagini sacre

immagine dalla festa di: Cristo Re dell’universo

23 novembre (celebrazione mobile)

http://santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 22 octobre, 2008 |Pas de commentaires »

di Bartolomeo I : « Arriverà il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente »

dal sito: 

http://chiesa.espresso.repubblica.it:80/articolo/208818

« Arriverà il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente »

Il testo integrale del discorso del patriarca ecumenico di Costantinopoli al sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica, pronunciato nella Cappella Sistina sabato 18 ottobre 2008

di Bartolomeo I

Santità, Padri Sinodali, è al contempo motivo di disagio e di ispirazione essere cortesemente invitato da Vostra Santità a rivolgermi alla XII Assemblea Generale Ordinaria di questo ben augurante Sinodo dei Vescovi, storico incontro dei Vescovi della Chiesa Cattolica Romana da ogni parte del mondo, riuniti in un unico luogo per meditare su « la Parola di Dio » e deliberare sull’esperienza e sull’espressione di tale Parola « nella vita e nella missione della Chiesa ».

Il gentile invito di Vostra Santità alla nostra modesta persona è un gesto colmo di contenuto e di significato abbiamo l’ardire di considerarlo come evento storico in se stesso. Si tratta della prima volta nella storia che ad un Patriarca Ecumenico è offerta l’opportunità di rivolgersi ad un Sinodo dei Vescovi della Chiesa Cattolica Romana, e così esser parte a così alto livello della vita di questa Chiesa sorella. Consideriamo questo come una manifestazione dello Spirito Santo che guida le nostre Chiese ad una relazione sempre più stretta e profonda fra noi, un passo importante per la restaurazione della nostra piena comunione.

È ben noto come la Chiesa Ortodossa attribuisca al sistema sinodale un’importanza ecclesiologica fondamentale. Insieme con il primato, la sinodalità costituisce la spina dorsale del governo e dell’organizzazione della Chiesa. Come la nostra Commissione Internazionale Congiunta sul Dialogo Teologico fra le nostre Chiese lo ha espresso nel documento di Ravenna, tale interdipendenza fra sinodalità e primato percorre tutti i livelli della vita della Chiesa: locale, regionale ed universale. Avendo, pertanto, oggi il privilegio di rivolgerci al Vostro Sinodo, aumentano le nostre speranze che arriverà il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della sinodalità nella vita della Chiesa, argomento al quale la nostra comune Commissione Teologica attualmente dedica il proprio studio.

Il tema che affronta questo Sinodo episcopale è di significato cruciale non soltanto per la Chiesa Cattolica Romana, ma anche per tutti quelli che sono chiamati a dar testimonianza di Cristo nel nostro tempo. La missione e l’evangelizzazione restano un obbligo permanente della Chiesa in tutti i tempi ed in ogni luogo. Di più: esse sono parte della natura stessa della Chiesa, dato che essa è chiamata « Apostolica » sia nel senso della sua fedeltà all’insegnamento originale degli Apostoli, sia in quello di proclamare la Parola di Dio in ogni contesto culturale e in ogni tempo. La Chiesa ha bisogno, pertanto, di riscoprire la Parola di Dio in ogni generazione e porla a guida con rinnovato vigore e capacità persuasiva anche nel nostro mondo contemporaneo, il quale, nelle sue più intime profondità, ha sete del messaggio di Dio, messaggio di pace, speranza e carità.

Questo compito di evangelizzare avrebbe potuto essere grandemente favorito e rafforzato, è ovvio, se tutti i cristiani fossero stati in grado di realizzarlo ad una sola voce e come Chiesa pienamente unita. Nella sua preghiera al Padre, poco prima della propria Passione, nostro Signore ha messo in chiaro che l’unità della Chiesa è inscindibilmente correlata con la sua missione « affinché il mondo creda » (Giovanni 17, 21). È pertanto quanto mai appropriato che questo Sinodo abbia aperto le proprie porte ai delegati ecumenici fraterni, così che tutti diventiamo coscienti del nostro comune dovere dell’evangelizzazione, come pure delle difficoltà e dei problemi della sua realizzazione nel mondo odierno.

Questo Sinodo, indubbiamente, si è dedicato a studiate il soggetto « Parola di Dio » in profondità ed in tutti i suoi aspetti, sia teologici che pratici e pastorali. Nel nostro umile intervento di fronte a voi ci limiteremo a condividere con voi alcuni pensieri sul tema della vostra assemblea, deducendoli dal modo in cui la tradizione ortodossa lo ha affrontato attraverso i secoli e, in particolare, nell’insegnamento patristico greco.

Più concretamente, vorremmo concentrarci su tre aspetti dell’argomento, e precisamente: sull’ascoltare e proclamare la Parola di Dio attraverso le Sacre Scritture; sul vedere la Parola di Dio nella natura e, soprattutto, nella bellezza delle icone; e, da ultimo, sul toccare e condividere la Parola di Dio nella comunione dei Santi e nella vita sacramentale della Chiesa. Infatti, noi riteniamo che questi aspetti siano cruciali nella vita e nella missione della Chiesa.

Nel far questo, cercheremo di attingere alla ricca tradizione patristica, che risale all’inizio del terzo secolo ed espone una dottrina dei cinque sensi spirituali, dato che ascoltare la Parola di Dio, scrutarla e toccarla sono tutte vie spirituali per percepire l’unico mistero divino. Basandosi su Proverbi 2, 5 circa « la facoltà divina di percezione (áisthesis) », Origene di Alessandria afferma: « Tale senso si snoda come vista per contemplare le forme immateriali, ascolto per discernere le voci, gusto per assaporare il pane vivo, profumo per la dolce fragranza spirituale, e tatto per maneggiare la Parola di Dio, che è afferrata mediante ogni facoltà dell’anima ».

Questi sensi spirituali vengono in vario modo descritti come « i cinque sensi dell’anima », come « divine » o « intime facoltà« , e addirittura come « facoltà del cuore » o della « mente ». Questa dottrina ha ispirato la teologia dei Cappadoci (specialmente di Basilio Magno e Gregorio di Nissa), come quella dei Padri del Deserto (in modo speciale di Evagrio Pontico e Macario il Grande).

1. Udire e proclamare la Parola attraverso le Scritture

In ogni celebrazione della Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, il celebrante che presiede l’Eucaristia implora affinché « siamo resi degni di ascoltare il Santo Vangelo », poiché « ascoltare, vedere, toccare con le nostre mani il Verbo della vita » (cfr. 1 Giovanni 1, 1) non è prima e anzitutto nostro diritto nativo e fontale come esseri umani; è piuttosto nostro privilegio e dono come figli del Dio vivente. La Chiesa cristiana è, al di sopra di tutto, una Chiesa scritturistica. Anche se i metodi interpretativi possono aver variato da Padre della Chiesa a Padre della Chiesa, da « scuola » a « scuola », e dall’est all’ovest, tuttavia la Scrittura è sempre stata recepita come una realtà viva e non come un libro morto.

Nel contesto di una fede viva, pertanto, la Scrittura è la testimonianza vivente di una storia vissuta circa il rapporto di un Dio vivo con un popolo vivo. La Parola « che ha parlato mediante i Profeti » (Credo Niceno-Costantinopolitano), ha parlato per essere udita e produrre effetto, è primariamente una comunicazione orale e diretta rivolta a destinatari umani. Il testo scritturistico è perciò derivato e secondario, poiché il testo scritturistico serve sempre la parola parlata; non viene trasmesso meccanicamente, ma comunicato di generazione in generazione come una parola vivente. Mediante il Profeta Isaia, il Signore promette: « Come la pioggia e la neve scendono dal cielo per irrigare la terra… così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata » (cfr. 55, 10-11).

Di più: come spiega san Giovanni Crisostomo, la Parola divina manifesta profonda condiscendenza (sunkatábasis) per la diversità personale e per i contesti culturali di quanti l’odono e la ricevono. L’adattamento della Parola divina alla specifica disponibilità personale ed al contesto culturale particolare definisce la dimensione missionaria della Chiesa, chiamata a trasformare il mondo attraverso la Parola. Nel silenzio o nella proclamazione, nella preghiera o nell’azione, la Parola divina si rivolge al mondo intero, « ammaestrando tutte le nazioni » (Matteo 28, 19) senza alcun privilegio o pregiudizio nei confronti della razza, della cultura, del sesso o della classe. Quando obbediamo a questo divino comando, siamo rassicurati: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni » (Matteo 28, 20). Siamo chiamati ad annunciare la Parola divina in tutte le lingue « facendoci tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno » (cfr. 1 Corinzi 9, 22).

Quali discepoli della Parola di Dio, dunque è oggi più doveroso che mai che noi offriamo una prospettiva unica al di là del sociale, del politico o dell’economico circa la necessità di sradicare la povertà, di offrire equilibrio in un mondo globalizzato, di combattere il fondamentalismo o il razzismo, di sviluppare la tolleranza religiosa in un mondo di conflitti. Nel dar risposta alle necessità dei poveri del mondo, a quanti sono vulnerabili ed emarginati, la Chiesa può dimostrarsi un baluardo che definisce lo spazio e il carattere della comunità globale. Se da un lato il linguaggio teologico della religione e della spiritualità differisce dal vocabolario tecnico dell’economia e della politica, dall’altro le barriere che di primo acchito sembrano separare le preoccupazioni religiose (come, ad esempio, il peccato, la salvezza e la spiritualità) dagli interessi pratici (quali la contrattazione, lo scambio di merci e la politica) non sono impenetrabili, e crollano di fronte alle molteplici sfide della giustizia sociale e della globalizzazione.

Sia che si tratti di ambiente o di pace, di povertà o di fame, di educazione o di sanità, vi è oggi un accresciuto senso del comune coinvolgimento e della comune responsabilità, che viene percepita in maniera particolarmente acuta dalle persone di fede, ma anche da quanti hanno una prospettiva manifestamente secolare. Il nostro impegno in simili ambiti ovviamente non minaccia in alcuna maniera né abolisce le differenze fra le diverse discipline né le discordanze nei confronti di quanti guardano al mondo in modi differenti. E tuttavia i segni crescenti di un comune impegno per il benessere dell’umanità e della vita del mondo sono incoraggianti. è un incontro tra singoli ed istituzioni che promette bene per il mondo. Ed è un impegno che pone in risalto la suprema vocazione e missione dei discepoli e di quanti aderiscono alla Parola di Dio per trascendere le differenze politiche o religiose, al fine di trasformare l’intero mondo visibile a gloria dell’invisibile Dio.

2. Vedere la Parola di Dio. La bellezza delle icone e della natura

In nessun altro luogo l’invisibile viene reso piu visibile che nella bellezza dell’iconografia e nella meraviglia del creato. Nelle parole di quel campione delle sacre immagini che fu san Giovanni Damasceno: « Quale creatore del cielo e della terra, Dio Verbo fu Lui stesso a dipingere e a raffigurare icone ». Ogni tratto del pennello dell’iconografo al pari di ogni parola di una definizione teologica, di ogni nota musicale cantata nella salmodia e di ogni pietra scolpita in una piccola cappella o in una magnifica cattedrale articola il Verbo divino nella creazione, la quale rende lode a Dio in ogni essere vivente ed in ogni vivente realtà (cfr. Salmi 150, 6).

Nell’affermare la liceità delle sacre immagini, il settimo Concilio Ecumenico di Nicea non si preoccupò dell’arte religiosa; era la continuazione e la conferma di definizioni precedenti riguardanti la pienezza dell’umanità del Verbo di Dio. Le icone sono un ricordo visibile della nostra vocazione celeste; sono un invito ad innalzarci al di sopra delle nostre preoccupazioni meschine e dei servili modi riduttivi del mondo. Ci incoraggiano a ricercare lo straordinario proprio nell’ordinario, ad essere ripieni della medesima meraviglia che caratterizzò il divino stupore nella Genesi: « Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona » (Genesi 1, 30-31). La parola greca (dei LXX) per « bontà« , è « kállos », che implica etimologicamente e simbolicamente un senso di « chiamare ». Le icone sottolineano che la missione fondamentale della Chiesa è di riconoscere che ogni persona ed ogni cosa sono create e chiamate ad essere « buone » e « belle ».

Certamente le icone ci ricordano un altro modo di vedere le cose, un’altra maniera di far esperienza della realtà, un altro modo di risolvere i conflitti. Siamo chiamati ad assumere ciò che l’innologia della domenica di Pasqua chiama « un altro modo di vivere ». Ci siamo infatti comportati in maniera arrogante e sconsiderata verso la creazione naturale. Ci siamo rifiutati di obbedire alla Parola di Dio negli oceani del pianeta, negli alberi dei continenti, e negli animali della terra. Abbiamo rinnegato la nostra stessa natura, che ci invita a chinarci sufficientemente in basso per udire la Parola di Dio nella creazione, se vogliamo « divenire partecipi della natura divina » (2 Pietro 1, 4). Come possiamo ignorare le piu vaste implicazioni del Verbo divino che ha assunto la carne? Perché non siamo in grado di percepire la natura creata quale estensione del corpo di Cristo?

I teologi dell’Oriente cristiano hanno sempre sottolineato le proporzioni cosmiche dell’incarnazione divina. Il Verbo incarnato è intrinseco alla creazione, che è venuta all’esistenza attraverso un divino pronunciamento. San Massimo il Confessore insiste sulla presenza della Parola divina in ogni cosa (cfr. Colossesi 3, 11); il Logos divino è al centro del mondo, rivelando in modo misterioso il suo originale principio e ultimo scopo (cfr. 1 Pietro 1, 20). Tale mistero viene descritto da sant’Atanasio di Alessandria: « Come Verbo scrive Egli non è contenuto da nulla e, tuttavia, contiene tutto. È in tutto e, tuttavia, al di fuori di tutto… il Primogenito del mondo intero in ogni suo aspetto ».

L’intero mondo è un prologo al Vangelo di Giovanni e quando la Chiesa è incapace di riconoscere le dimensioni piu ampie, cosmiche della Parola di Dio, restringendo le proprie preoccupazioni ad argomenti puramente spirituali, trascura la propria missione di implorare Dio per la trasformazione sempre e dovunque, « in ogni luogo del dominio del Signore dell’intero cosmo inquinato. Non è da meravigliarsi, quindi, che nella domenica di Pasqua, quando la celebrazione pasquale raggiunge il suo culmine, i cristiani ortodossi cantino: « Ora tutto è riempito di luce divina: cielo e terra, ed ogni cosa sotto terra. Si rallegri, pertanto, l’intera creazione ».

Ogni genuina « ecologia profonda » è pertanto collegata intrinsecamente con la teologia profonda: « Anche una pietra scrive Basilio Magno reca in sé il marchio della Parola di Dio. Ciò vale per una formica, un’ape ed una mosca, le più piccole fra le creature. Perché Egli apre gli ampi cieli e stese l’immenso mare, ed Egli creò la piccola custodia del pungiglione dell’ape ». Ricordare la nostra piccolezza nell’ampia e splendida creazione di Dio sottolinea semplicemente il nostro ruolo centrale nel piano di Dio per la salvezza del mondo intero.

3. Toccare e condividere la Parola di Dio. La comunione dei Santi e i Sacramenti della vita.

La Parola di Dio costantemente « esce fuori di Se stessa in estasi » (Dionigi Aeropagita), cercando in maniera appassionata di « dimorare in noi » (Giovanni 1, 14), perché il mondo abbia la vita in abbondanza (Giovanni 10, 10). La compassionevole misericordia di Dio viene riversata e condivisa « affinché vengano moltiplicati gli oggetti della Sua beneficenza » (Gregorio il Teologo). Dio assume tutto ciò che è nostro « essendo provato in ogni cosa, come noi, eccetto il peccato » (Ebrei 4, 15), al fine di offrirci ogni cosa che è di Dio e renderci dei per grazia. « Da ricco che era, si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi » (2 Corinzi 8, 9), scrive l’apostolo Paolo, al quale questo anno è giustamente dedicato. Questo è il Verbo di Dio: a Lui siano rese grazie e gloria.

La parola di Dio riceve la sua piena incorporazione nella creazione e, soprattutto, nel sacramento della Santissima Eucaristia. è qui che il Verbo diviene carne e ci permette non soltanto di udirlo o vederlo, ma di toccarlo con le nostre stesse mani, come dichiara san Giovanni (1 Giovanni 1, 1) e di farlo parte del nostro stesso corpo e sangue (sússomoi kai súnaimoi), secondo le parole di san Giovanni Crisostomo.

Nella Santa Eucaristia la Parola ascoltata è al tempo stesso veduta e condivisa (koinonía). Non è un caso accidentale che nei primi documenti eucaristici, come ad esempio l’Apocalisse e la Didaché, l’Eucaristia fosse associata con la profezia, e i Vescovi che la presiedevano fossero visti come successori dei profeti (ad esempio, nel Martirio di Policarpo). Già da san Paolo l’Eucaristia (1 Corinzi 11) veniva descritta come « proclamazione » della morte di Cristo e della sua Seconda Venuta. E poiché lo scopo della Scrittura è essenzialmente la proclamazione del Regno e l’annuncio delle realtà escatologiche, l’Eucaristia è un pregustamento del Regno, e in questo senso è la proclamazione del Verbo per eccellenza. Nell’Eucaristia, Parola e Sacramento divengono un’unica realtà. La parola cessa di essere « parole » e diviene una Persona, che incarna in se stessa tutti gli esseri umani e l’intera creazione.

Dentro la vita della Chiesa, l’indicibile svuotamento di sé (kénosis) e la generosa condivisione (koinonía) del Logos divino sono riflessi nelle vite dei Santi quale esperienza tangibile ed espressione umana della Parola di Dio nella nostra comunitr. Cose, la Parola di Dio diviene Corpo di Cristo, crocifisso e glorificato allo stesso tempo. Ne risulta che i Santi hanno una relazione organica con il cielo e la terra, con Dio e l’intera creazione. Nel combattimento ascetico, il Santo riconcilia la Parola con il mondo. Attraverso il pentimento e la purificazione, il Santo viene riempito come insiste Abba Isacco il Siro di compassione per tutte le creature, cosa che è la suprema umiltà e perfezione.

Questa è la ragione per cui il Santo ama con ardore e ampiezza non condizionati ed irresistibili. Nei Santi conosciamo la Parola stessa di Dio, dato che come afferma san Gregorio Palamas « Dio e i suoi Santi condividono la medesima gloria e splendore ». Nella presenza gentile di un Santo apprendiamo come teologia e azione coincidano; nell’amore compassionevole del Santo, sperimentiamo Dio come « Padre nostro » e la sua misericordia è « ferma ed eterna » (cfr. Salmi 135, LXX). Il Santo è consumato dal fuoco dell’amore di Dio: questa è la ragione per cui egli distribuisce grazia e non può tollerare la minima manipolazione o sfruttamento sia nella società che nella natura. Il Santo fa semplicemente ciò che è « appropriato e giusto » (Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo), sempre dignificando l’umanità e onorando la creazione. « Le sue parole hanno la forza delle azioni ed il suo silenzio la potenza di un discorso » (sant’Ignazio di Antiochia).

Entro la comunione dei Santi, ciascuno di noi è chiamato a « diventare come fuoco » (Detti dei Padri del Deserto), a toccare il mondo con la mistica forza della Parola di Dio, cose che quale esteso corpo di Cristo anche il mondo possa dire: « Qualcuno mi ha toccato » (cfr. Matteo 9, 20). Il male viene sradicato soltanto dalla santitò, non dalla durezza; la santità introduce nella società un seme che guarisce e trasforma. Arricchiti della vita sacramentale e della preghiera pura, siamo in grado di entrare nel mistero piu recondito della Parola di Dio. Avviene come per le placche tettoniche della crosta terrestre: gli strati piu profondi devono spostarsi solo di pochi millimetri per scuotere la superficie del mondo. E tuttavia, perché tale rivoluzione spirituale avvenga, dobbiamo fare esperienza della metánoia radicale una conversione dei comportamenti, delle abitudini e della prassi nei confronti dei modi con i quali abbiamo travisato o mal usato la Parola di Dio, i doni di Dio e la creazione di Dio.

Una simile conversione è, ovviamente, impossibile senza la grazia divina; non la si può raggiungere semplicemente attraverso sforzi piu grandi o forza di volontà umana. « Per i mortali è impossibile, ma per Dio ogni cosa è possibile » (Matteo 19, 26). Il mutamento spirituale avviene quando i nostri corpi ed anime sono innestati sulla vivente Parola di Dio, quando le nostre cellule contengono lo scorrere del sangue vivificante che proviene dai Sacramenti; quando siamo aperti a condividere ogni cosa con ogni persona. Come ci ricorda san Giovanni Crisostomo, il sacramento del « nostro prossimo » non può essere isolato dal sacramento « dell’altare ». Purtroppo, abbiamo ignorato la vocazione a condividere e il dovere che ne consegue. L’ingiustizia sociale e l’ineguaglianza, la povertà globale e la guerra, l’inquinamento e il degrado ecologico derivano dalla nostra incapacità o non volontà di condividere. Se affermiamo di possedere il Sacramento dell’altare, non possiamo soprassedere o dimenticare il sacramento del prossimo, condizione fondamentale per realizzare la Parola di Dio nel mondo, entro la vita e la missione della Chiesa.

Carissimi Fratelli in Cristo,

abbiamo esplorato l’insegnamento patristico dei sensi spirituali, percependo la potenza dell’ascoltare e del pronunciare la Parola di Dio nella Scrittura, del vedere la Parola di Dio nelle icone e nella natura, come pure del toccare e condividere la Parola di Dio nei Santi e nei Sacramenti. Orbene, per rimanere fedeli alla vita e alla missione della Chiesa, dobbiamo essere personalmente cambiati da questa Parola. La Chiesa deve apparire quale madre, sostenuta e nutrita attraverso il cibo che essa mangia. Tutto ciò che non è cibo e non nutre chiunque altro, non può sostenere neppure noi. Quando il mondo non condivide la gioia della Risurrezione di Cristo, ciò diventa un atto d’accusa nei confronti della nostra stessa integrità e del nostro impegno verso la vivente Parola di Dio. Prima della celebrazione di ogni Divina Liturgia, i cristiani ortodossi pregano che tale Parola sia « spezzata e consumata, distribuita e condivisa » in comunione. E noi « sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i nostri fratelli » e sorelle (1 Giovanni, 3, 14).

La sfida che sta di fronte a noi è il discernimento della Parola di Dio nei confronti del male, la trasfigurazione di ogni più piccolo dettaglio e frammento di questo mondo alla luce della Risurrezione. La vittoria è già presente nelle profondità della Chiesa, ogni volta che sperimentiamo la grazia della riconciliazione e della comunione. Mentre combattiamo la nostra battaglia in noi stessi e nel mondo per riconoscere la potenza della Croce, cominciamo ad apprezzare come ogni atto di giustizia, ogni sprazzo di bellezza, ogni parola di verità possano gradualmente raschiar via la crosta del male. Tuttavia, al di là dei nostri fragili sforzi, abbiamo la rassicurazione dello Spirito, che « ci sostiene nelle nostre debolezze » (Romani 8, 26) ed è al nostro fianco come avvocato e « consolatore » (Giovanni 14, 6), penetrando tutte le cose e « trasformandoci come dice san Simeone il Nuovo Teologo in ogni cosa che la Parola di Dio afferma circa il Regno di Dio: perla, chicco di senape, lievito, acqua, fuoco, pane, vita e mistica camera delle nozze ». Tale è la potenza e la grazia dello Spirito Santo che noi invochiamo, mentre concludiamo il nostro intervento, estendendo a Vostra Santità la nostra gratitudine e a ciascuno di voi qui presenti la nostra benedizione:

Re del cielo, Consolatore, Spirito di verità,
Presente ovunque per riempire ogni cosa;
Tesoro di bontà
e datore di vita:
Vieni e dimora in noi.

Purificaci da ogni impurità;
Salva le nostre anime.

Poiché tu sei buono ed ami l’umanità.

Amen.

Publié dans:Ortodossia, Sinodo dei Vescovi 2008 |on 22 octobre, 2008 |Pas de commentaires »
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