Crocifissione
Enamel Crucifix from Limoges Images of Religious and Theological Iconography Vanderbilt University, Divinity Library Nashville,
http://www.artbible.net/3JC/-Mat-27,32_Crucifixion/index.html

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PADRE CANTALAMESSA, COMMENTO ALLA LITURGIA DI DOMENICA XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO – 12 OTTOBRE 2008
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=395
L’importante e l’urgente
XXVIII Domenica
A – 2008-10-12 Isaia 25, 6-10a; Filippesi 4, 12-14.19-20; Matteo 22, 1-14
È istruttivo osservare quali sono i motivi per cui gli invitati della parabola rifiutano di venire al banchetto. Matteo dice che essi “non si curarono” dell’invito e “andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. Il Vangelo di Luca, su questo punto, è più dettagliato e presenta così le motivazioni del rifiuto: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo… Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli… Ho preso moglie e perciò non posso venire” (Lc 14, 18-20).
Cos’hanno in comune questi diversi personaggi? Tutti e tre hanno qualcosa di urgente da fare, qualcosa che non può aspettare, che reclama subito la loro presenza. E cosa rappresenta invece il banchetto nuziale? Esso indica i beni messianici, la partecipazione alla salvezza recata da Cristo, quindi la possibilità di vivere in eterno. Il banchetto rappresenta dunque la cosa importante nella vita, anzi l’unica cosa importante. È chiaro allora in che consiste l’errore commesso dagli invitati; consiste nel tralasciare l’importante per l’urgente, l’essenziale per il contingente! Ora questo è un rischio così diffuso e così insidioso, non solo sul piano religioso, ma anche su quello puramente umano, che vale la pena riflettervi sopra un poco.
Anzitutto, appunto, sul piano religioso. Tralasciare l’importante per l’urgente, sul piano spirituale, significa rimandare continuamente il compimento dei doveri religiosi, perché ogni volta si presenta qualcosa di urgente da fare. È Domenica ed è ora di andare alla Messa, ma c’è da fare quella visita, quel lavoretto in giardino, il pranzo da preparare. La Messa può aspettare, il pranzo no; allora si rimanda la Messa e ci si mette intorno ai fornelli.
Ho detto che il pericolo di tralasciare l’importante per l’urgente è presente anche nell’ambito umano, nella vita di tutti i giorni, e vorrei accennare anche a questo. Per un uomo è certamente importantissimo dedicare del tempo alla famiglia, a stare con i figli, dialogare con essi se sono grandi, giocarci se sono piccoli. Ma ecco che all’ultimo momento si presentano sempre cose urgenti da sbrigare in ufficio, straordinari da fare sul lavoro, e si rimanda a un’altra volta, finendo per tornare a casa troppo tardi e troppo stanchi per pensare ad altro.
Per un uomo o una donna è cosa importantissima andare ogni tanto a far visita all’anziano genitore che vive solo in casa o in qualche ospizio. Per chiunque è cosa importantissima far visita a un conoscente malato per mostragli il proprio sostegno e rendergli forse qualche servizio pratico. Ma non è urgente, se rimandi, apparentemente non casca il mondo, forse nessuno se ne accorge. E così si rinvia.
La stessa cosa si realizza anche nella cura della propria salute che è anch’essa tra le cose importanti. Il medico, o semplicemente il fisico, avverte che ci si deve riguardare, prendere un periodo di riposo, evitare quel tipo di stress…Si risponde: sì, sì, lo farò senz’altro, appena avrò portato termine quel lavoro, quando avrò sistemato la casa, quando avrò estinto tutti i debiti…Finché ci si accorge che è troppo tardi. Ecco dove sta l’insidia: si passa la vita a rincorrere le mille piccole faccende da sbrigare e non si trova mai tempo per le cose che incidono davvero sui rapporti umani e possono fare la vera gioia (e, trascurate, la vera tristezza) nella vita. Così vediamo come il Vangelo, indirettamente, è anche scuola di vita; ci insegna a stabilire delle priorità, a tendere all’essenziale. In una parola, a non perdere l’importante per l’urgente, come successe agli invitati della nostra parabola.
dal sito:
SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL 50° DELLA MORTE
DEL SERVO DI DIO PAPA PIO XII
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Giovedì, 9 ottobre 2008
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Il brano del libro del Siracide ed il prologo della Prima Lettera di san Pietro, proclamati come prima e seconda lettura, ci offrono significativi spunti di riflessione in questa celebrazione eucaristica, durante la quale facciamo memoria del mio venerato predecessore, il Servo di Dio Pio XII. Sono passati esattamente cinquant’anni dalla sua morte, avvenuta nelle prime ore del 9 ottobre 1958. Il Siracide, come abbiamo ascoltato, ha ricordato a quanti intendono seguire il Signore che devono prepararsi ad affrontare prove, difficoltà e sofferenze. Per non soccombere ad esse – egli ammonisce – occorre un cuore retto e costante, occorre fedeltà a Dio e pazienza unite a inflessibile determinazione nel proseguire nella via del bene. La sofferenza affina il cuore del discepolo del Signore, come l’oro viene purificato nella fornace. “Accetta quanto ti capita – scrive l’autore sacro – e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore” (2,4).
San Pietro, per parte sua, nella pericope che ci è stata proposta, rivolgendosi ai cristiani delle comunità dell’Asia Minore che erano “afflitti da varie prove”, va anche oltre: chiede loro di essere, ciò nonostante, “ricolmi di gioia” (1 Pt 1,6). La prova è infatti necessaria, egli osserva, “affinché il valore della vostra fede, assai più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato col fuoco -, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà” (1 Pt 1,7). E poi, per la seconda volta, li esorta ad essere lieti, anzi ad esultare “di gioia indicibile e gloriosa” (v. 8). La ragione profonda di questo gaudio spirituale sta nell’amore per Gesù e nella certezza della sua invisibile presenza. E’ Lui a rendere incrollabile la fede e la speranza dei credenti anche nelle fasi più complicate e dure dell’esistenza.
Alla luce di questi testi biblici possiamo leggere la vicenda terrena di Papa Pacelli e il suo lungo servizio alla Chiesa iniziato nel 1901 sotto Leone XIII, e proseguito con san Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Questi testi biblici ci aiutano soprattutto a comprendere quale sia stata la sorgente da cui egli ha attinto coraggio e pazienza nel suo ministero pontificale, svoltosi negli anni travagliati del secondo conflitto mondiale e nel periodo susseguente, non meno complesso, della ricostruzione e dei difficili rapporti internazionali passati alla storia con la qualifica significativa di “guerra fredda”.
“Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam”: con questa invocazione del Salmo 50/51 Pio XII iniziava il suo testamento. E continuava: “Queste parole, che, conscio di essere immeritevole e impari, pronunciai nel momento in cui diedi, tremando, la mia accettazione alla elezione a Sommo Pontefice, con tanto maggior fondamento le ripeto ora”. Mancavano allora due anni alla sua morte. Abbandonarsi nelle mani misericordiose di Dio: fu questo l’atteggiamento che coltivò costantemente questo mio venerato Predecessore, ultimo dei Papi nati a Roma ed appartenente ad una famiglia legata da molti anni alla Santa Sede. In Germania, dove svolse il compito di Nunzio Apostolico, prima a Monaco di Baviera e poi a Berlino sino al 1929, lasciò dietro di sé una grata memoria, soprattutto per aver collaborato con Benedetto XV al tentativo di fermare “l’inutile strage” della Grande Guerra, e per aver colto fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica. Creato Cardinale nel dicembre 1929, e divenuto poco dopo Segretario di Stato, per nove anni fu fedele collaboratore di Pio XI, in un’epoca contrassegnata dai totalitarismi: quello fascista, quello nazista e quello comunista sovietico, condannati rispettivamente dalle Encicliche Non abbiamo bisogno, Mit Brennender Sorge e Divini Redemptoris.
“Chi ascolta la mia parola e crede… ha la vita eterna” (Gv 5,24). Questa assicurazione di Gesù, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci fa pensare ai momenti più duri del pontificato di Pio XII quando, avvertendo il venir meno di ogni umana sicurezza, sentiva forte il bisogno, anche attraverso un costante sforzo ascetico, di aderire a Cristo, unica certezza che non tramonta. La Parola di Dio diventava così luce al suo cammino, un cammino nel quale Papa Pacelli ebbe a consolare sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra. Soltanto Cristo è vera speranza dell’uomo; solo fidando in Lui il cuore umano può aprirsi all’amore che vince l’odio. Questa consapevolezza accompagnò Pio XII nel suo ministero di Successore di Pietro, ministero iniziato proprio quando si addensavano sull’Europa e sul resto del mondo le nubi minacciose di un nuovo conflitto mondiale, che egli cercò di evitare in tutti i modi: “Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”, aveva gridato nel suo radiomessaggio del 24 agosto 1939 (AAS, XXXI, 1939, p. 334).
La guerra mise in evidenza l’amore che nutriva per la sua “diletta Roma”, amore testimoniato dall’intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica. Quando, occupata la città, gli fu ripetutamente consigliato di lasciare il Vaticano per mettersi in salvo, identica e decisa fu sempre la sua risposta: “Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire” (cfr Summarium, p.186). I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra (cfr A. Tornielli, Pio XII, Un uomo sul trono di Pietro). E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle “centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento” (AAS, XXXV, 1943, p. 23), con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che così scrisse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime”, concludendo con commozione: “Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”.
Purtroppo il dibattito storico sulla figura del Servo di Dio Pio XII, non sempre sereno, ha tralasciato di porre in luce tutti gli aspetti del suo poliedrico pontificato. Tantissimi furono i discorsi, le allocuzioni e i messaggi che tenne a scienziati, medici, esponenti delle categorie lavorative più diverse, alcuni dei quali conservano ancora oggi una straordinaria attualità e continuano ad essere punto di riferimento sicuro. Paolo VI, che fu suo fedele collaboratore per molti anni, lo descrisse come un erudito, un attento studioso, aperto alle moderne vie della ricerca e della cultura, con sempre ferma e coerente fedeltà sia ai principi della razionalità umana, sia all’intangibile deposito delle verità della fede. Lo considerava come un precursore del Concilio Vaticano II (cfr Angelus del 10 marzo 1974). In questa prospettiva, molti suoi documenti meriterebbero di essere ricordati, ma mi limito a citarne alcuni. Con l’Enciclica Mystici Corporis, pubblicata il 29 giugno 1943 mentre ancora infuriava la guerra, egli descriveva i rapporti spirituali e visibili che uniscono gli uomini al Verbo incarnato e proponeva di integrare in questa prospettiva tutti i principali temi dell’ecclesiologia, offrendo per la prima volta una sintesi dogmatica e teologica che sarebbe stata la base per la Costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium.
Pochi mesi dopo, il 20 settembre 1943, con l’Enciclica Divino afflante Spiritu stabiliva le norme dottrinali per lo studio della Sacra Scrittura, mettendone in rilievo l’importanza e il ruolo nella vita cristiana. Si tratta di un documento che testimonia una grande apertura alla ricerca scientifica sui testi biblici. Come non ricordare quest’Enciclica, mentre sono in svolgimento i lavori del Sinodo che ha come tema proprio “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”? Si deve all’intuizione profetica di Pio XII l’avvio di un serio studio delle caratteristiche della storiografia antica, per meglio comprendere la natura dei libri sacri, senza indebolirne o negarne il valore storico. L’approfondimento dei “generi letterari”, che intendeva comprendere meglio quanto l’autore sacro aveva voluto dire, fino al 1943 era stato visto con qualche sospetto, anche per gli abusi che si erano verificati. L’Enciclica ne riconosceva la giusta applicazione, dichiarandone legittimo l’uso per lo studio non solo dell’Antico Testamento, ma anche del Nuovo. “Oggi poi quest’arte – spiegò il Papa – che suol chiamarsi critica testuale e nelle edizioni degli autori profani s’impiega con grande lode e pari frutto, con pieno diritto si applica ai Sacri Libri appunto per la riverenza dovuta alla parola di Dio”. Ed aggiunse: “Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d’ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi” (AAS, XXXV, 1943, p. 336).
La terza Enciclica che vorrei menzionare è la Mediator Dei, dedicata alla liturgia, pubblicata il 20 novembre 1947. Con questo Documento il Servo di Dio dette impulso al movimento liturgico, insistendo sull’“elemento essenziale del culto”, che “deve essere quello interno: è necessario, difatti, – egli scrisse – vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi, affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti… Diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto”. Non possiamo poi non accennare all’ impulso notevole che questo Pontefice impresse all’attività missionaria della Chiesa con le Encicliche Evangelii praecones (1951) e Fidei donum (1957), ponendo in rilievo il dovere di ogni comunità di annunciare il Vangelo alle genti, come il Concilio Vaticano II farà con coraggioso vigore. L’amore per le missioni, peraltro, Papa Pacelli lo aveva dimostrato sin dall’inizio del pontificato quando nell’ottobre 1939 aveva voluto consacrare personalmente dodici Vescovi di Paesi di missione, tra i quali un indiano, un cinese, un giapponese, il primo Vescovo africano e il primo Vescovo del Madagascar. Una delle sue costanti preoccupazioni pastorali fu infine la promozione del ruolo dei laici, perché la comunità ecclesiale potesse avvalersi di tutte le energie e le risorse disponibili. Anche per questo la Chiesa e il mondo gli sono grati.
Cari fratelli e sorelle, mentre preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del Servo di Dio Pio XII, è bello ricordare che la santità fu il suo ideale, un ideale che non mancò di proporre a tutti. Per questo dette impulso alle cause di beatificazione e canonizzazione di persone appartenenti a popoli diversi, rappresentanti di tutti gli stati di vita, funzioni e professioni, riservando ampio spazio alle donne. Proprio Maria, la Donna della salvezza, egli additò all’umanità quale segno di sicura speranza proclamando il dogma dell’Assunzione durante l’Anno Santo del 1950. In questo nostro mondo che, come allora, è assillato da preoccupazioni e angosce per il suo avvenire; in questo mondo, dove, forse più di allora, l’allontanamento di molti dalla verità e dalla virtù lascia intravedere scenari privi di speranza, Pio XII ci invita a volgere lo sguardo verso Maria assunta nella gloria celeste. Ci invita ad invocarla fiduciosi, perchè ci faccia apprezzare sempre più il valore della vita sulla terra e ci aiuti a volgere lo sguardo verso la meta vera a cui siamo tutti destinati: quella vita eterna che, come assicura Gesù, possiede già chi ascolta e segue la sua parola. Amen!
Day 4 Sun moon & stars / Jour 4 Soleil lune avec étoiles / 14 COMESTOPR BIBLE HISTORIALE THE SUN
http://www.artbible.net/1T/Gen0114_4Sunmoon_stars/pages/21%20VONAESCH%20CORINNE%20DAY%20FOUR.htm
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=10/11/2008#
San Bernardo (1091-1153), monaco cistercense e dottore della Chiesa
Disorso 31 sul Cantico dei Cantici
« Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore » (Lc 1,45)
Come diciamo che presso i nostri padri dell’antica alleanza c’erano l’ombra e la figura, mentre a noi risplende per grazia la stessa verità di Cristo presente nella carne, così non possiamo negare che anche noi, rispetto al secolo futuro viviamo, per così dire, nell’ombra della verità, come dice l’apostolo Paolo: «La nostra conoscenza è imperfetta, imperfetta la nostra profezia» (1 Cor 13,9) e anche: «Non ritengo ancora di esservi giunto» (Ef 3,13). Come può non esserci differenza tra colui che cammina nella fede e chi è già nella visione? «Il giusto vive di fede» (Ha 2,4; Rm 1,17), il beato esulta nella visione; perciò l’uomo santo vive sulla terra nell’ombra di Cristo… È provvidenziale l’ombra della fede: essa tempera i riflessi all’occhio annebbiato e lo prepara a sostenere la luce. Sta scritto infatti: «Con la fede purifica i cuori» (At 15,9). La fede dunque non soffoca la luce, ma la filtra. L’ombra della fede conserva per me, in un ripostiglio sicuro, proprio tutto quello che gli angeli vedono apertamente, per rivelarmelo a suo tempo.
Anche la madre del Signore viveva all’ombra della fede; tanto che a lei fu detto: «Te beata che hai creduto» (Lc 1,45). Accolse nel suo seno l’ombra preziosa del corpo di Cristo quando udì: «Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35). E non è un’ombra comune quella che viene formata dalla potenza dell’Altissimo. C’è infatti tale una forza nella carne di Cristo mentre si fa ombra per la Vergine che, cosa impossibile a una donna mortale, essa, concepito un corpo vivificante, accolse nel suo grembo la presenza della divina maestà e ne sostenne la luce inaccessibile. Forza da cui ogni altra forza contraria è vinta. Forza e ombra che scaccia i demoni, protegge gli uomini, forza che dà vita, ombra che dà sollievo. Viviamo perciò nell’ombra di Cristo noi che camminiamo nella fede e ci nutriamo della sua carne per avere la vita.
dal sito:
http://www.gesuveraluce.it/ravasi22.htm
GIANFRANCO RAVASI
LA TORRE CHE SFIDA IL CIELO
La torre che sfida il Cielo Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei?
E « com’è che li sentiamo ciascuno parlare nella nostra lingua nativa?» (Atti 2,7-8).
Tutti ricordano la cornice della Pentecoste descritta da Luca negli Atti degli Apostoli: la dispersione, la confusione “babelica” sono cancellate dalla forza unificante e illuminante dello Spirito Santo che nella Chiesa fa a tutti professare la stessa fede
in Cristo, pur nella diversità delle lingue e delle culture.
Ebbene, questo rimando allusivo a Babilonia ci permette di presentare brevemente la celebre pagina di Genesi 11,1-9.
La “torre di Babele”, infatti, è uno dei soggetti che più prepotentemente si è insediato nell’immaginazione popolare e nella storia dell’arte. Pensiamo solo all’intaglio in avorio del duomo di Salerno, forse una delle prime rappresentazioni del tema (XI sec.), ai mosaici della Cappella Palatina di Palermo (XII sec.), del duomo di Monreale (XII sec.), dell’atrio di S. Marco a Venezia (XIII sec.). Pensiamo alle infinite miniature, all’affresco di Benozzo Gozzoli (XV sec.) nel Camposanto di Pisa, alle tavole di H. van Eyck (XV sec.) all’Aia e di P.Brueghel (XVI sec.) a Vienna e così via.
Pensiamo alle numerosissime incisioni che accompagnavano le Bibbie e, se si vuole, anche al film Metropolis di F. Lang (1926).
Ma questa pagina biblica ha la sua forza soprattutto nel messaggio religioso che propone.
Attraverso la prepotenza oppressiva — che è una nuova incarnazione del “peccato originale” presentato nel capitolo 3 della Genesi — si trasforma la ricchezza della varietà delle culture, delle razze, delle nazioni, descritta nel precedente capitolo 10, in un groviglio di esclusivismi, tensioni razziali, prevaricazioni e nazionalismi imperialistici.
L’autore biblico fonde nel suo racconto elementi differenti.
C’è l’avversario tradizionale di Israele, Babilonia, il cui nome (Babel), che significa “porta di Dio” (cioè città perfetta), viene
liberamente interpretato sulla base del verbo ebraico balal, vuol dire “confondere”.
C’è, poi, la “torre” che rimanda alla ziqqurat, cioè al tipico tempio mesopotamico a gradoni che aveva al vertice il santuarietto del dio.
A Babilonia questo tempio era grandioso e portava il nome di Entemenanki , cioè “casa delle fondamenta dei cielo e della terra”, ed è per la Bibbia il simbolo dell’idolatria.
C’è, infine, la diaspora dei popoli in forme opposte e divise di cultura, segno del peccato di orgoglio delle grandi potenze castigato dal Signore che «disperse gli uomini su tutta la terra» (11,8). Babilonia diventa, così, l’emblema dell’oppressione blasfema, del potere che sfida Dio e s’illude di dominare il mondo, creando divisioni, odio, miseria.
La pluralità di culture e civiltà è, invece, un segno positivo quando si sviluppa nell’armonia, nella libertà, nella creatività.
Diventa allora simile a una musica o a un coro dai mille suoni e dalle tante voci che si muovono in concerto, proprio come accade nella Pentecoste cristiana.