Jesus – Lumière du monde
16_Bordone_I am the light of the world Joh 8_1 National gallery London Christ as the Light of the World probably about 1540-60 BORDONE, Paris 1500 -

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dal sito:
http://www.zenit.org/article-15645?l=italian
Omelia di Benedetto XVI per l’apertura del Sinodo dei Vescovi
ROMA, domenica, 5 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI questa domenica mattina nella Basilica di San Paolo fuori le Mura di Roma durante l’Eucaristia di apertura della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà in Vaticano fino al 26 ottobre sul tema « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ».
* * *
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
La prima Lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, come pure la pagina del Vangelo secondo Matteo, hanno proposto alla nostra assemblea liturgica una suggestiva immagine allegorica della Sacra Scrittura: l’immagine della vigna, di cui abbiamo già sentito parlare nelle domeniche precedenti. La pericope iniziale del racconto evangelico fa riferimento al « cantico della vigna » che troviamo in Isaia. Si tratta di un canto ambientato nel contesto autunnale della vendemmia: un piccolo capolavoro della poesia ebraica, che doveva essere assai familiare agli ascoltatori di Gesù e dal quale, come da altri riferimenti dei profeti (cfr Os 10,1; Ger 2,21; Ez 17,3-0; 19,10-14; Sal 79,9-17), si capiva bene che la vigna indicava Israele. Alla sua vigna, al popolo che si è scelto, Iddio riserva le stesse cure che uno sposo fedele prodiga alla sua sposa (cfr Ez 16,1-14; Ef 5,25-33).
L’immagine della vigna, insieme a quella delle nozze, descrive dunque il progetto divino della salvezza, e si pone come una commovente allegoria dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù riprende il cantico di Isaia, ma lo adatta ai suoi ascoltatori e alla nuova ora della storia della salvezza. L’accento non è tanto sulla vigna quanto piuttosto sui vignaioli, ai quali i « servi » del padrone chiedono, a suo nome, il canone di affitto. I servi però vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle vicende del popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine, il proprietario della vigna compie l’ultimo tentativo: manda il proprio figlio, convinto che ascolteranno almeno lui. Accade invece il contrario: i vignaioli lo uccidono proprio perché è il figlio, cioè l’erede, convinti di potersi così impossessare facilmente della vigna. Assistiamo pertanto ad un salto di qualità rispetto all’accusa di violazione della giustizia sociale, quale emerge dal cantico di Isaia. Qui vediamo chiaramente come il disprezzo per l’ordine impartito dal padrone si trasformi in disprezzo verso di lui: non è la semplice disubbidienza ad un precetto divino, è il vero e proprio rigetto di Dio: appare il mistero della Croce.
Quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire. Non parla solo dell’ »ora » di Cristo, del mistero della Croce in quel momento, ma della presenza della Croce in tutti i tempi. Interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo. Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E’ spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna. Vi è chi, avendo deciso che « Dio è morto », dichiara « dio » se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina Dio dal proprio orizzonte, dichiara Dio « morto », è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piuttosto – come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente – che si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione? Il punto d’arrivo, alla fine, è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa.
Ma nelle parole di Gesù vi è una promessa: la vigna non sarà distrutta. Mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il padrone non si distacca dalla sua vigna e l’affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che, se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla. Proprio per questo Gesù, mentre cita il Salmo 117 [118]: « La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo » (v. 22), assicura che la sua morte non sarà la sconfitta di Dio. Ucciso, Egli non resterà nella tomba, anzi, proprio quella che sembrerà essere una totale disfatta, segnerà l’inizio di una definitiva vittoria. Alla sua dolorosa passione e morte in croce seguirà la gloria della risurrezione. La vigna continuerà allora a produrre uva e sarà data in affitto dal padrone « ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo » (Mt 21,41).
L’immagine della vigna, con le sue implicazioni morali, dottrinali e spirituali, ritornerà nel discorso dell’Ultima Cena, quando, congedandosi dagli Apostoli, il Signore dirà: « Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto » (Gv 15,1-2). A partire dall’evento pasquale la storia della salvezza conoscerà dunque una svolta decisiva, e ne saranno protagonisti quegli « altri contadini » che, innestati come scelti germogli in Cristo, vera vite, porteranno frutti abbondanti di vita eterna (cfr Orazione colletta). Tra questi « contadini » ci siamo anche noi, innestati in Cristo, che volle divenire Egli stesso la « vera vite ». Preghiamo che il Signore che ci dà il suo sangue, Se stesso, nell’Eucaristia, ci aiuti a « portare frutto » per la vita eterna e per questo nostro tempo.
Il consolante messaggio che raccogliamo da questi testi biblici è la certezza che il male e la morte non hanno l’ultima parola, ma a vincere alla fine è Cristo. Sempre! La Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest’oggi, in questa Basilica dedicata all’Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell’Asia minore e dell’Europa. Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio durante la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema: « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa« . Vorrei qui salutare con affetto cordiale tutti voi, venerati Padri sinodali, e quanti prendete parte a questo incontro come esperti, uditori e invitati speciali. Sono lieto inoltre di accogliere i Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ed ai suoi collaboratori va l’espressione della riconoscenza di tutti noi per l’impegnativo lavoro svolto in questi mesi, insieme con un augurio per le fatiche che li attendono nelle prossime settimane.
Quando Dio parla, sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l’umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna: « Aspettò che producesse uva, produsse, invece, acini acerbi » (cfr Is 5,2). Solo la Parola di Dio può cambiare in profondità il cuore dell’uomo, ed è importante allora che con essa entrino in una intimità sempre crescente i singoli credenti e le comunità. L’Assemblea sinodale volgerà la sua attenzione a questa verità fondamentale per la vita e la missione della Chiesa. Nutrirsi della Parola di Dio è per essa il compito primo e fondamentale. In effetti, se l’annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d’essere e la sua missione, è indispensabile che la Chiesa conosca e viva ciò che annuncia, perché la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le povertà degli uomini che la compongono. Sappiamo, inoltre, che l’annuncio della Parola, alla scuola di Cristo, ha come suo contenuto il Regno di Dio (cfr Mc 1,14-15), ma il Regno di Dio è la stessa persona di Gesù, che con le sue parole e le sue opere offre la salvezza agli uomini di ogni epoca. Interessante è al riguardo la considerazione di san Girolamo: « Colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo » (Prologo al commento del profeta Isaia: PL 24,17).
In questo Anno Paolino sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell’Apostolo delle genti: « Guai a me se non predicassi il Vangelo » (1 Cor 9,16); grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo. « La messe è molta » (Mt 9,37), ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non Lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell’entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto soltanto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo può fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro (cfr 1 Pt 3,15), annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo.
Venerati e cari Fratelli, ci aiuti il Signore ad interrogarci insieme, durante le prossime settimane di lavori sinodali, su come rendere sempre più efficace l’annuncio del Vangelo in questo nostro tempo. Avvertiamo tutti quanto sia necessario porre al centro della nostra vita la Parola di Dio, accogliere Cristo come unico nostro Redentore, come Regno di Dio in persona, per far sì che la sua luce illumini ogni ambito dell’umanità: dalla famiglia alla scuola, alla cultura, al lavoro, al tempo libero e agli altri settori della società e della nostra vita. Partecipando alla Celebrazione eucaristica, avvertiamo sempre lo stretto legame che esiste tra l’annuncio della Parola di Dio e il Sacrificio eucaristico: è lo stesso Mistero che viene offerto alla nostra contemplazione. Ecco perché « la Chiesa – come pone in luce il Concilio Vaticano II – ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli ». Giustamente il Concilio conclude: « Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta venerazione della Parola di Dio, che «permane in eterno» » (Dei Verbum, 21.26).
Ci conceda il Signore di accostarci con fede alla duplice mensa della Parola e del Corpo e Sangue di Cristo. Ci ottenga questo dono Maria Santissima, che « serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore » (Lc 2,19). Sia Lei ad insegnarci ad ascoltare le Scritture e a meditarle in un processo interiore di maturazione, che mai separi l’intelligenza dal cuore. Vengano in nostro aiuto anche i Santi, in particolare l’Apostolo Paolo, che durante quest’anno andiamo sempre più scoprendo come intrepido testimone e araldo della Parola di Dio. Amen!
dal sito:
http://www.zenit.org/article-15184?l=italian
Sinodo della Parola “viva, tagliente ed efficace”
Parla il Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma
di Miriam Díez i Bosch
ROMA, martedì, 19 agosto 2008 (ZENIT.org).- La Parola di Dio non è ridotta alla Bibbia ed è una Parola “viva” perché non è un testo.
A spiegarlo è padre Roberto Fornara, ocd, Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma (www.ocd.it), docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” e la Pontificia Università Gregoriana nonché Direttore della “Rivista di Vita Spirituale”.
Il Sinodo vorrebbe favorire la riscoperta piena di stupore della Parola di Dio che è viva, tagliente ed efficace. Cosa si intende?
P. Fornara: La triplice annotazione prende spunto da Eb 4,12. La Parola è «viva», anzi «vivente» (zôn), perché non è un testo (il cristianesimo non è “religione del Libro”!), ma la persona viva del Verbo, per cui l’ascolto della Parola non si concepisce al di fuori di un’esperienza orante di relazione con Cristo.
Si parla poi della Parola «efficace» (energès, piena di «energia», di «forza viva»). Noi occidentali, tendenti a considerare la parola come flatus vocis, dobbiamo ricuperare il concetto ebraico di dabar, parola e atto, che presiede alla logica della creazione del mondo: «Dio disse…» e tutte le cose furono fatte.La stessa efficacia creatrice, la Parola la esercita penetrando nel cuore dell
’uomo, «più tagliente» (tomóteros) di ogni spada a doppio taglio. Supera le barriere dell’esteriorità e dell’apparenza, fa la verità in noi, penetra nell’intimo, è «lama di luce» (come si esprimevano i medievali), perché illumina il cammino e perché ci illumina, mettendo a nudo ciò che in noi appartiene allo Spirito e ciò che, appartenendo alla carne, ha bisogno di conversione.
In questo «taglio», la spada della Parola ci “fa male”: il Signore ferisce e risana. Maria stessa – nella profezia di Simeone – comprese che la sua vita sarebbe stata attraversata dalla spada della Parola: ferita e gioia, ferita orientata alla gioia piena.
Qual è il legame tra Bibbia e spiritualità?
P. Fornara: La Parola di Dio (non la Bibbia) è sorgente della vita spirituale, vita secondo lo Spirito e vita dello Spirito in noi.
Dei Verbum 12 cita un’espressione di san Girolamo secondo cui la Scrittura dev’essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con cui fu scritta: lo Spirito all’origine dell’ispirazione biblica è lo stesso Spirito che ne opera l’interpretazione e la “vivificazione”.
Nella Bibbia sono spesso accomunati il «soffio» e la «parola» divini; lo Spirito continua a soffiare perché la Parola diventi carne nel credente: è questa la vita spirituale. È l’itinerario della lectio divina, dalla lectio (studio, lettura attenta della Bibbia, da cui attingere la Parola) alla contemplatio (divento io stesso quel templum, quel tabernacolo che contiene la Parola e la comunica, talmente ne sono impregnato: non sono più io che vivo, ma Cristo – Parola del Padre – vive in me nella forza dello Spirito; cf Gal 2,20).
Il legame tra Parola e spiritualità, di cui siamo oggi più coscienti e convinti, è indispensabile per evitare derive razionalistiche nell’interpretazione biblica o sentimentalistiche e devozionistiche nel modo di concepire e vivere la vita spirituale.
Quali frutti ha portato il documento conciliare Dei Verbum nelle comunità cattoliche?
P. Fornara: È evidente la maggiore importanza della Parola di Dio nella vita delle comunità; penso al diverso respiro biblico della riflessione teologica, della predicazione e della catechesi, come pure alla maggiore formazione biblica del clero, dei religiosi e dei laici, o alla crescente importanza della lectio divina, sia personale che comunitaria.
Rispetto al 1965, possiamo usufruire di un numero molto più grande di traduzioni e di strumenti per la lettura della Bibbia. L’eredità della Dei Verbum ci ha permesso di ricuperare molto terreno nei confronti delle comunità riformate, da sempre molto più centrate sulla Parola.
Tuttavia, molto resta ancora da fare, sia nel lavoro formativo, sia nella dimensione orante e spirituale, sia sotto l’aspetto più missionario di evangelizzazione. Alla presentazione dell’Instrumentum laboris, mons. Eterovic, segretario generale del Sinodo, ricordava i dati di una recente indagine: solo il 38 % degli italiani praticanti (27 % se si considerano gli italiani adulti) avrebbe letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi. Oltre il 50 % considera la Scrittura difficile da comprendere. La gente ha bisogno di essere introdotta e guidata ad un’intelligenza ecclesiale della Bibbia.
Concretamente, qual è stato il contributo dei santi carmelitani alle Sacre Scritture?
P. Fornara: I santi del Carmelo riformato (soprattutto i tre dottori della Chiesa) vivono nel periodo che va dal Concilio di Trento al Vaticano II, definito «esilio della Parola» dalla vita del popolo di Dio. Eppure tutti provano una sete grandissima di abbeverarsi alle sorgenti della Parola. Vivono, in modi diversi, un cammino di lectio, fedeli alla Regola del Carmelo.
Teresa d’Avila si nutre di una sola parola delle Scritture più che di mille letture spirituali, e capisce che questo la preserva da «devozioni alla balorda». Giovanni della Croce dà importanza sia allo studio esegetico, sia all’accoglienza del linguaggio simbolico della Scrittura. Teresa di Gesù Bambino è maestra di un’ermeneutica spirituale della Bibbia, alla ricerca del volto di Cristo. Elisabetta della Trinità è forse la più contemplativa, non ascoltando la Parola per “fare” quello che le viene chiesto, ma per gustare, contemplare e adorare la Bellezza divina.
Tutti vivono il contatto con la Parola in una dimensione orante e con una tonalità affettiva. Si respira in tutti una certa “passività” verso una Parola da non usare o comprendere, ma da ascoltare, accogliere, servire e lasciar operare. Io spero che dal Sinodo emerga una nuova coscienza “passiva”, una consegna, un abbandono totale alla Parola di Dio, una fede grande nella potenza della Parola che opera ciò che significa. “Stupore”, insieme alla docilità dell’ascolto obbediente, è forse l’atteggiamento di cui abbiamo maggiore necessità.