Basilio Magno e il concilio di Costantinopoli, Gregorio di Nazianzo e la cristologia

dal sito:

http://www.kyrieeleison.eu/patristica/cappadocia_terra_grandi_padri.htm

 

 CAPPADOCIA, TERRA DI GRANDI PADRI 

Basilio Magno e il concilio di Costantinopoli, Gregorio di Nazianzo e la cristologia 

 

Verso la fine del IV secolo tre grandi Padri, scrittori e vescovi, emergono in Cappadocia: Basilio Magno (ca.330-379), vescovo di Cesarea dal 370, Gregorio (335-394), suo fratello, vescovo di Nissa dal 371, (di cui non si parla in seguito), Gregorio di Nazianzo (ca. 330-390), amico di Basilio, vescovo di Costantinopoli dal 380 al 381. 

1. Basilio Magno e il « Discorso ai giovani » 

Nel suo Discorso ai giovani si coglie la sapiente composizione fra fede cristiana e umanesimo: 

Come le api, a differenza degli altri animali che si limitano al godimento del profumo e del colore dei fiori, sanno trarre da essi anche il miele, allo stesso modo coloro che in tali scritti non cercano soltanto diletto e piacere, possono anche ricavarne una qualche utilità per l’anima. Noi dobbiamo dunque utilizzare quei libri seguendo in tutto l’esempio delle api. Esse non vanno indistintamente su tutti i fiori, e neppure cercano di portar via tutto da quelli sui quali si posano ma ne traggono solo quanto serve alla lavorazione e tralasciano il resto. E noi, se siamo saggi, prenderemo da quegli scritti quanto si adatta a noi ed è conforme alla verità e lasceremo andare il resto. E come mettendoci a cogliere dei fiori dal roseto evitiamo le spine, ugualmente, raccogliendo dai libri dei pagani quanto è utile, dobbiamo guardarci da quello che vi è di nocivo. La prima cosa da fare dunque è di esaminare attentamente ogni dottrina e di adattarla allo scopo mettendo, come dice il proverbio dorico, la pietra a fil di piombo (Basilio, Discorso ai giovani, 4, 8-11: Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli III e IV, Torino, SEI, 1993, p.290). 

2. Basilio Magno e l’organizzazione della vita monastica 

Basilio visitò i monaci del deserto egiziano, della Palestina, della Siria e della Mesopotamia, e, rientrato in patria diede le proprie ricchezze ai poveri e si ritirò a vita eremitica. Con l’esperienza maturata organizzò la vita monastica in Cappadocia approntando delle Regole nate dalle domande che gli rivolgevano monaci e asceti: Basilio predilige il monachesimo cenobitico, forma nella quale si possono meglio esercitare le virtù della pazienza, del servizio e dell’amore vicendevole. 

Domanda: [...] Vorremmo sapere se chi si è separato dal mondo debba vivere solitario, oppure convivere con fratelli che abbiano gli stessi suoi sentimenti e aspirino allo stesso ideale di pietà. Risposta: Ho constatato che la convivenza di più persone nello stesso luogo ha molti vantaggi. Prima di tutto nessuno di noi è sufficiente a se stesso nelle necessità fisiche, ma abbiamo bisogno uno dell’altro per procurarci le cose necessarie. Il piede ha la facoltà di camminare, ma non ne ha altre; e, senza l’aiuto delle altre membra, esso non ha la capacità sufficiente alla propria conservazione; né ha modo di supplire a ciò che gli manca. Così avviene nella vita solitaria: ciò che abbiamo ci è insufficiente, e non possiamo provvederci ciò che non abbiamo; perché Dio creatore ha disposto che noi avessimo bisogno l’uno dell’altro, affinché, come dice la Scrittura, noi ci associassimo gli uni agli altri (cfr. Sir 13,15-16). A parte questo, anche la carità cristiana non permette che ciascuno abbia di mira l’utile proprio. « La carità – dice l’Apostolo – non cerca i propri vantaggi (1Cor 13,5). Ora la vita solitaria ha un solo scopo: che ciascuno badi a ciò che gli è necessario. E questo è manifestamente in contrasto con quella legge di carità che praticava l’Apostolo, quando non cercava l’utile proprio ma quello di molti, affinché fossero salvi (cfr. 1Cor 10,33). Inoltre, chi vive segregato non potrà conoscere facilmente i propri difetti, perché non ha chi glieli faccia notare e lo corregga con mansuetudine e clemenza. Certamente la correzione, anche quando è fatta da un nemico, suscita sempre nell’uomo assennato il desiderio di emendarsi; ma solo chi ama sinceramente sa applicare con saggezza la cura, come dicono i libri santi: « Chi ama corregge con cura » (Prov 13,24). Ora una tale persona la si trova difficilmente nella solitudine, se uno non se l’è prima associata nel medesimo genere di vita; e si verifica quindi quello che dice la Scrittura: « Guai a chi è solo, perché se cade non ha chi lo rialzi » (Qo 4,10). Inoltre molti precetti si possono adempiere facilmente quando sono molti radunati insieme; ma non già quando uno è solo; perché adempiendone uno, non se ne può adempiere un altro. Per esempio: se si visita un ammalato, non si può ricevere un ospite; il prestarsi alle altrui necessità specialmente quando esige lungo tempo, impedisce di occuparsi del lavoro. E potrebbe così accadere di trascurare il maggiore dei comandamenti, quello che più conduce alla salvezza, cioè la carità, perché non si dà da mangiare a chi ha fame e non si veste chi è nudo. Chi dunque vorrà preferire una vita sterile a quella fruttuosa e conforme al precetto del Signore? Noi, « che fummo chiamati per vocazione a un’unica speranza » (Ef 4,4), formiamo tutti un solo corpo, che ha per capo Cristo, e siamo membra gli uni degli altri. Soltanto unendoci concordi nello Spirito Santo potremo formare la compagine di un unico corpo. Ma se invece ciascuno sceglie di vivere da solo e non vuole servire al vantaggio della comunità secondo il beneplacito di Dio, per assecondare il gusto di fare quello che gli piace, come potremo noi, così disuniti e separati, conservare la vicendevole relazione e il mutuo servizio delle membra e la dipendenza dal nostro capo, che è Cristo? Se vivremo separati, non potremo congratularci con chi è onorato, né patire insieme a chi soffre, perché ciascuno, come è naturale, non conoscerà come sta il suo prossimo. [...] Del resto, la vita solitaria oltre agli inconvenienti che abbiamo detto, presenta anche dei pericoli. Il primo, e il più grave, è la compiacenza di se stesso. Il solitario non ha chi possa dare un giudizio sul suo modo di agire, e quindi crederà di essere giunto alla perfezione nell’osservanza dei comandamenti. Inoltre, lasciando sempre inesplicate le sue capacità, non potrà conoscere i suoi difetti né constatare i progressi, perché non ha occasione di mettere in pratica i precetti. E infatti, come potrà egli dimostrare di essere umile, se non ha nessuno dinanzi al quale abbassarsi? Come potrà dimostrare la sua compassione verso gli altri, se vive separato dalla società? Come potrà esercitare la pazienza, se non c’è nessuno che si opponga al suo volere? Se poi uno dicesse che, per la riforma dei costumi, gli basta l’insegnamento della Scrittura, io gli risponderei che egli fa come chi impara a edificare, ma non costruisce mai; o impara l’arte del fabbro, ma non mette mai in pratica le norme imparate. A costui l’Apostolo potrebbe dire: « Non coloro che ascoltano la legge sono giusti dinanzi a Dio, ma coloro che la praticano saranno giustificati » (Rom 2,13). Anche il Signore infatti, per la sua grande bontà, non si ritenne pago di ammaestrarci con le parole ma, volendoci dare un esempio sublime di umiltà nella perfezione del suo amore, si cinse i fianchi con un asciugatoio e lavò i piedi dei discepoli. E tu, a chi laverai i piedi? Con chi ti mostrerai servizievole? Di chi ti farai ultimo se vivi da solo? Del resto, come si potrebbe, nella vita solitaria, realizzare la bellezza e la gioia del coabitare con i fratelli nella stessa dimora, cosa che lo Spirito Santo paragona all’unguento che esala profumo dal capo del gran sacerdote? (cfr. Sal 132/133,2). La coabitazione di più fratelli riuniti insieme costituisce dunque un campo di prova, una bella via di progresso, un continuo esercizio, una ininterrotta meditazione dei precetti del Signore. E lo scopo di questa vita in comune è la gloria di Dio, secondo il precetto del Signore nostro Gesù Cristo, che dice: « Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, in modo che vedano le vostre opere buone, e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli » (Mt 5,16). Questo genere di vita è conforme a quello che conducevano i santi ricordati negli Atti degli Apostoli, dei quali si dice: « I fedeli si tenevano uniti e avevano tutto in comune » (At 2,44). « La moltitudine dei fedeli aveva un cuore solo e un’anima sola; e nessuno diceva proprio qualunque suo bene, ma tutto era posseduto in comune » (At 4,32) (Basilio, Asceticon, Settima regola in forma estesa: Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli III e IV, Torino, SEI, 1993, pp. 277-281). 

Si nota in questo testo, una spiccata sensibilità sociale, che fra l’altro spingerà Basilio a fondare una « città di rifugio » per poveri e bisognosi (Basiliade). 

 

Publié dans : Padri della Chiesa e Dottori |le 22 mai, 2008 |Pas de Commentaires »

Vous pouvez laisser une réponse.

Laisser un commentaire

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31